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Autore: Elanor89    03/02/2012    2 recensioni
Quando Andrea si sveglia con entrambi i polsi legati non ricorda neanche il proprio nome. La sua mente è una tabula rasa e ogni cosa le è estranea. Sarà Logan a raccontarle la sua storia, sarà Adam a rivelarle la verità. Ma è da sola che dovrà imparare ad accettare se stessa per andare avanti e non commettere di nuovo gli stessi errori.
Un intreccio di vite, sentimenti e bugie: "perché la bellezza nasce dagli ostacoli, sempre."
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Tiziana, quando troverà questa storia.
Ti voglio bene :*







Capitolo V


 

Ricordavo di essermi accoccolata sul divano del salotto subito dopo aver tolto la terza teglia di biscotti dal forno e di aver acceso la tv, facendo zapping per qualche minuto prima di trovare un canale in cui programmavano una vecchia serie televisiva. Mi ero avvolta nel plaid a patchwork che avevo ricordato solo qualche giorno prima e dovevo essermi appisolata tra un episodio e l’altro perché quella mattina il telefono fu lasciato squillare diverse volte prima che intuissi la provenienza di quel cicaleccio infernale e mi degnassi di allungare una mano a sollevare la cornetta dell’apparecchio non lontano da me.
- Si?- risposi, perplessa. Non sapevo nemmeno che ore fossero, perciò ero particolarmente maldisposta verso l’incauto disturbatore mattutino.
- Evans, ho bisogno di parlarti. Pensi di poter uscire qualche minuto?-

La familiare stretta allo stomaco fu ritardata dalla difficoltà a concepire razionalmente quella situazione paradossale. Non riuscivo a capire se mi sentissi più offesa dalle parole che mi aveva rivolto durante la nostra ultima conversazione, dalla sua prolungata e ingiustificata assenza di quei giorni o da quella pretesa assolutamente fuori luogo.

Quale che fosse la risposta, comunque, il Carter in questione non deficitava di faccia tosta se pensava che bastasse una chiamata per indurmi al dialogo, soprattutto dopo una notte quasi insonne. Che rimanesse a fare l’idiota nella sua auto per una settimana, non era di certo un mio problema. Ero senza parole.

Ma per quanto potessi essere arrabbiata con il legittimo proprietario di quella voce arrochita dal freddo, sapevo che stavo per cedere, incapace di combattere le reazioni languide del mio corpo, e la cosa mi faceva infuriare. Perciò decisi di farla breve e di rendere le cose più facili per entrambi.

- Mi vesto e sono da te…- risposi, asciutta, domandandomi se fosse a conoscenza dell’effetto che era in grado di avere su di me. Scossi la testa, disturbata da quel pensiero molesto e mi diressi verso la mia attuale camera.
Indossai i pantaloni della tuta nera e un maglione a collo alto, poi mi rivolsi un’impietosa occhiata allo specchio. Ero un disastro: i capelli sciolti mi coprivano le spalle, scendendo in onde fino alla vita, ma non nascondevano i segni di una notte passata a rimuginare. Occhiaie scure mi cerchiavano gli occhi grigi e il mio colorito pallido faceva risaltare le efelidi dorate, unica nota di colore nell’incarnato cereo.
Mi infilai in fretta il cappotto, cercando di mettere a tacere la mia coscienza estetica e uscii fuori dal portone di casa, avviandomi verso il vicolo in cui avevo visto la sua auto parcheggiata la sera prima. Repressi una sequela di imprecazioni per il freddo pungente del mattino e percorsi il breve tratto sospinta più dalla necessità irrazionale di vederlo che dal bisogno senza dubbio più sensato di ascoltare cosa avesse da dirmi. Lo scorsi attraverso il parabrezza e non potei fare a meno di notare che anche lui pareva piuttosto provato da quella notte trascorsa all’addiaccio, probabilmente insonne quanto la mia.
Mi aprì lo sportello del passeggero dall’interno, voltandosi verso di me.
- Che ci fai ancora qui, Carter?- lo salutai.
- Sei già sul piede di guerra…- constatò ironico – In genere pronunci il mio nome in quel modo solo quando siamo più in là con la discussione…-
- Cerchiamo di dare un senso a questa conversazione, ti va?- gli intimai, nervosa.

Nonostante l’aria stanca e la camicia sgualcita era bello da togliere il fiato. Non potei impedirmi di perdere un battito nell’ammirare la barba lunga di un giorno adombrargli il mento e nascondergli la fossetta sulla guancia destra, compagna del suo consueto sorriso sarcastico, né di sentire il suo profumo intenso impregnarmi i capelli e gli indumenti, imprimendosi sul mio corpo come un marchio di appartenenza.

- Come vuoi…- fece una pausa, quasi a prendere coraggio - Io volevo scusarmi con te per l’altra volta. Sono stato un idiota…- disse - Non so perché ti ho trattata in quel modo, ma questa cosa dell’amnesia mi ha sconvolto. Ha rimesso tutto in discussione e io… non ero preparato…- disse in fretta, come in preda ad un inarrestabile flusso di coscienza.
- Preparato a cosa?- chiesi, esitante.

- A dirti la verità… Ad ammetterla con me stesso!- rispose, mesto.

Il suo sguardo si fece incerto mentre cercava le parole, in balia di un groviglio di sentimenti che non ero in grado di sciogliere.

- Non so esattamente quando è cominciato tutto: gli sguardi rubati, la continua ricerca di intimità, di attimi solo nostri… Sapevo ciò che lui provava per te, lo sapevamo entrambi, ma non riuscivo a prendere una decisione… Negavo i miei sentimenti persino a me stesso pur di non dover fare i conti con la mia coscienza, ma poi tornavo da te ogni volta…- disse, sopraffatto da quei ricordi quasi quanto io lo ero dalle sue parole – Ho provato ad allontanarti, convinto che fosse l’unica soluzione accettabile per tutti, ma non è servito a nulla. Hai cominciato a perdere peso, a non stare bene…e ho avuto paura. Sapevo che la colpa di tutto era solo mia, delle mie chiamate nel cuore della notte, delle mie scenate... Ma non vedevo altra via d'uscita, non sapevo cosa fare...-

Strinsi i pugni, cercando di scaricare la tensione e di calmare il panico che scorreva violento nelle mie vene, facendomi pulsare le tempie. Ero sconcertata.
- Sono partito per l’Europa, tre mesi fa… Dovevo riprendere il controllo della situazione e ho creduto che frapporre miglia e miglia tra noi mi avrebbe aiutato a guardare tutto con la dovuta lucidità, ma mi sono dovuto ricredere…mi mancavi da morire e non avevo trovato nessuna soluzione… Quando sono tornato due settimane fa, credo che le cose tra te e Logan si fossero spinte più in là di quanto avessi temuto e non hai più voluto vedermi...-

Entrambe le sue mani scesero a stringere le mie. Non ebbi la forza di negarmi. Non trovai il coraggio di sottrarmi a quel contatto… Lo desideravo. E capivo il suo tormento: lo provavo su me stessa da quel giorno a casa mia.
- Non so cosa dire…- mormorai, abbassando gli occhi.

- Quando Logan mi ha chiamato, la scorsa settimana, per dirmi della tua amnesia ho provato un immenso sollievo… ho pensato che fosse una benedizione, una seconda possibilità che il destino ci aveva concesso per fare la cosa giusta. Potevamo ricominciare tutto da capo, fare le cose per bene… Così ti ho mentito, ho detto che non c’era mai stato nulla, che non provavo nulla per te, ma il passato ha uno strano modo di tornare a galla…-

- L’orologio…-

- Lo indossavo l’ultima notte prima di partire…- ammise – Devo averlo lasciato a casa tua nella fretta di non perdere quel dannato aereo. Avevo fatto di tutto per stare lontano da te, ma non potevo partire senza rivederti un’ultima volta.-

Lo guardai negli occhi a lungo, cercando un appiglio in quel turbine verde scuro che mi risucchiava l’anima. Tutto cominciava ad assumere contorni precisi, sfumature più marcate. E la gravità della situazione mi appariva in tutto il suo orrore.
- Perché mi racconti tutto questo?- domandai, il tono fermo, nonostante mi tremassero le mani.
- Perché ho già tentato di sistemare le cose a modo mio, e non voglio più ripetere lo stesso errore…-
Rimasi a riflettere, cercando di ricacciare indietro la nausea e di rimanere calma.
Avevo pensato anche io a quella amnesia come a una seconda possibilità, ma sapevo non sarebbe mai stata veramente tale se non avessi avuto opzioni accattabili tra cui scegliere. 
- Non posso prendere una decisione del genere così, su due piedi… Non sono nelle condizioni di poter dire cosa sia meglio per me, come posso assumermi la responsabilità di decidere anche per te e Logan? Una settimana fa non ricordavo nemmeno il mio nome…-
- Ma ricordavi il mio...-
- Quando ti ho visto ho solo saputo che eri tu…- ribadii, stremata.

- Ma deve pur significare qualcosa…- insisté – Andrea, ti prego…-

Repressi l’ennesimo brivido al suono del mio nome tra le sue labbra. Non poteva andare così. Non riuscivo nemmeno a dare un senso a tutto quello che mi stava accadendo, come potevo decidere di altre due vite?
- Cosa dovrebbe significare? - domandai, sottraendo le mani alla sua stretta - Io… non so cosa ti aspetti da me, ma non voglio che Logan soffra per causa mia, non posso fargli questo…- aggiunsi, nervosa. Il suo sguardo mi annientò, mesto e depresso come non lo avevo mai visto. Non mi era mai parso vulnerabile come in quel momento.
- Logan è mio fratello, è il mio miglior amico… E’ tutto ciò che rimane della mia famiglia… Non credere che sia facile per me…- mormorò.

Adam non doveva avere molta pratica nell’esprimere a voce i sentimenti, lo dimostrava la posa tesa che aveva mantenuto per tutto il tempo della sua confessione, la lotta interiore che gli potevo leggere negli occhi. Ma a differenza della nostra precedente conversazione, la verità brillava limpida nel suo tono e nello sguardo.

Solo allora mi resi conto che lo avevo giudicato ingiustamente, nei giorni passati. Lo avevo detestato per la sua reazione a casa mia senza concedergli nessuna attenuante e avevo sottovalutato molte argomentazioni. Ero stata cieca a mio modo, ma le sue parole mi avevano aperto gli occhi.
Anche lui aveva perso una sorella. Anche lui aveva subito la morte dei genitori, l’improvviso passaggio nelle sue mani dell’impero farmaceutico dei Carter… Anche lui aveva dovuto fare i conti con le proprie responsabilità, scendere a patti con i propri sogni e occuparsi di tutto.
Come avevo potuto essere tanto stupida da
dimenticare quanto quella situazione pesasse sulle sue spalle? Come avevo potuto essere così egoista da non pensare a quanto potesse costargli mettere a repentaglio la sua stentata serenità familiare per una ragazza qualsiasi?
No, mi corressi mentalmente, non una qualsiasi… Io ero senza dubbio la ragazza meno adatta per la quale rischiare la propria vita. Ero un mostro.

Appoggiai la testa al finestrino, gelato a sufficienza da intontirmi per una frazione di secondo.
- Hai ragione tu...- dissi – Abbiamo la possibilità di cambiare le cose, dobbiamo almeno tentare...-
Lo guardai negli occhi, cercando in lui il coraggio che non avevo. Lo vidi stringere le mani sul volante fino a farsi sbiancare le nocche.
- So di averlo detto, ma non credo di farcela...- disse.
- Che significa?- domandai, sorpresa.
- Significa che non so se riesco a fingere di ignorarti. Ci abbiamo provato all'inizio, ma non è servito... Non credere che la cosa mi stia bene così com'è, o forse dovrei dire com'era prima che tu perdessi la memoria... ma in tutta onestà non credo di poter tornare con la mia vita a un anno fa. So che sembra assurdo, ma ti ho cercata per settimane prima di incontrarti a casa di Logan... Non so cosa sia successo quella notte, ma eri diventata un pensiero fisso...-
La mia mano raggiunse il suo viso senza che potessi impedirlo. Sentivo scorrere la barba ispida sotto i polpastrelli, le linee del suo profilo irrigidite dal mio tocco inaspettato.

I suoi occhi si incatenarono ai miei, pregandomi di non interrompere quel contatto. Era la prima volta che sentivo la necessità di toccarlo di mia iniziativa, era la prima occasione in cui non tentavo di nascondere la mia attrazione per lui sotto strati di irritazione e sarcasmo.
- Mi dispiace, Andrea. Credimi, mi sono pentito delle parole orribili che ti ho rivolto l'altro giorno un secondo dopo averle pronunciate...Vorrei tanto che riuscissi a ricordare...-
Le sue parole rimasero sospese mentre mi avvicinavo al suo viso, sporgendomi con tutto il corpo nella sua direzione. Non si ritrasse, né rimase al suo posto. Mi venne incontro di slancio, stringendomi un braccio intorno alla vita, mentre le sue labbra trovavano le mie al volo, come se fossero nate per quello scopo. L'impatto fu morbido, il brivido che mi attraversò la schiena mi indusse a stringermi di più al suo corpo.
Mi mancava l'aria già da qualche secondo quando mi allontanai da lui con lentezza, lo vidi riaprire gli occhi e fissarmi trasognato, prima di sorridere.
Niente ironia, solo una fossetta sulla guancia destra a reclamare un altro bacio.

Che stavo facendo?
Mi riscossi come scottata, incapace di spiegarmi razionalmente cosa mi avesse spinta a comportarmi in quel modo così avventato e stupido. Non avrei peggiorato le cose.
Non ci sarebbe stato nessun triangolo. Mai più. Non potevo permettere al mio passato di condizionare il resto della mia vita, dovevo farlo per Logan. Dovevo farlo per me stessa.
Dovevo fare la cosa giusta.
Mi affrettai ad aprire la portiera, mentre Adam cercava di afferrarmi con una mano, invano.
- Devo andare.-


Uscire per una passeggiata, quella sera, fu necessario come respirare.

Non ero in grado di rimanere ancora chiusa in casa in compagnia dei miei pensieri, soprattutto quando questi erano così caotici e ridondanti da farmi mancare l'aria.
Avevo rimuginato sulla conversazione avuta con Adam per tutta la giornata e la cosa non aveva affatto giovato al mio umore né al mio appetito.

Avevo dovuto subire l'apprensione di Logan, molto più attento alla mia alimentazione del solito per via del siero, e quando avevo cercato la solitudine in un bagno caldo per evitare il suo sguardo acuto e provare a schiarirmi le idee, mi ero ritrovata ad arrovellarmi istantaneamente sul mio futuro e sulle conseguenze di ciò che era successo con Adam.
L'incertezza mi uccideva, l'amnesia mi sottraeva lucidità ed ero arrabbiata con me stessa, dipendente come un tossico da ogni minuscola dose di ricordi che riuscissi a recuperare dal buco nero della mia corteccia cerebrale.
Non sapevo quanto avrei retto se non avessi trovato presto un diversivo e quell'uscita serale si prestava a diventarlo. 

Faceva più freddo rispetto alla sera precedente: avevo dovuto indossare i guanti per evitare di perdere le dita, e Logan portava un berretto di lana grigio che gli illuminava lo sguardo. Era anche lui avvolto nella giacca e il suo respiro si condensava in nuvolette attorno al suo viso e al naso gelato, donandogli un'aura rarefatta e un'aria buffissima.
Anche quella sera ci eravamo diretti verso il locale di Jessica, pregustando il tepore del camino e i deliziosi biscotti al burro, e avevamo rimandato il momento del rientro a casa per un'ora, rifuggendo l'ondata di gelo che era calata sulla città quella mattina.
- Temo che, ad eccezione dei miei pelosi momenti mensili, Jess dovrà riservarci un tavolo tutte le sere...- constatai. Di quel passo avremmo inaugurato una nuova tradizione.

- Prima dell'amnesia lo chiamavi “il mio piccolo problema peloso”...- rispose lui, ridendo.

- Detta così, sembra quasi che io sia vittima di un barboncino imbizzarrito...- risposi, contagiata dal quell'improvviso buonumore.

- È più o meno quello che ho sempre pensato anche io...- ribatté allegro.
Continuai a sorridergli senza smettere di guardarlo negli occhi. Erano lucidi, limpidi, uno specchio per tutto ciò che si parasse loro di fronte. E riflessa in quel verde chiaro mi vidi serena anche io, leggera come non ero stata per tutta la giornata appena trascorsa, e mi sorpresi nel constatare che non mi costava nessuno sforzo. In quell'istante ero felice.
- Non so se ti ho mai realmente ringraziato per tutto questo...- dissi, esitante, strofinando le mani per scaldarle.
- Non mi devi ringraziare, Andy... Ci diamo una mano a vicenda, siamo pari...- si schernì lui, sbrigativo, fermandosi sul marciapiedi.
- No che non siamo pari... Non so dove sarei adesso, senza il tuo aiuto, senza di te... Non mi hai mai fatta sentire... un 
problema peloso, anche se è quello che sono... non dev'essere stato sempre facile avere a che fare con tutto questo....-
La sua mano mi accarezzò una guancia, calda nonostante il freddo gelido intorno a noi.
Un minuscolo fiocco di neve si posò leggero sul mio naso, sciogliendosi un attimo dopo e interrompendo sul nascere la sua replica. Lo vidi sorridere nuovamente mentre qualche altro piccolo cristallo di ghiaccio cominciava a scendere lentamente sulle nostre teste per posarsi sui miei capelli e sulle sue spalle. Sorrisi come una bambina il giorno di Natale davanti alla montagna di regali da scartare: adoravo la neve.
- Adoro la neve...- disse Logan, accarezzandomi lo zigomo con il pollice, gli occhi nei miei.
Non mi sottrassi al suo abbraccio, quando mi strinse a sé per ripararmi dal freddo, i nostri nasi rivolti al cielo per osservare compiersi quella meraviglia.
- E non ti ho mai vista come un 
problema peloso...- aggiunse, piano - Per me sei sempre stata Andrea... Solo Andrea...-
Le sue labbra calde furono sulle mie in un attimo, più intraprendenti di quanto potessi immaginare. Sentivo la sua lingua accarezzare la mia con una lentezza studiata per togliermi il fiato e le sue mani mi tenevano così stretta che stentavo a riconoscere i contorni del mio corpo, così aderenti al suo.

Doveva aver aspettato quel bacio dal mio risveglio, diversi giorni prima, e la dolcezza di quel contatto non poteva nascondere il desiderio di una maggiore intimità.
Mi staccai dalle sue labbra intontita, rendendomi appena conto che la neve cadeva più fitta e che se non fossimo rientrati subito ci saremmo beccati ben più di un semplice raffreddore.
Recuperai l'equilibrio e mi avviai per il marciapiedi, tirandolo per un braccio verso l'ingresso del cancello. Il suo sorriso illuminava la strada a pieno giorno, ma i suoi piedi puntati sul basolato opponevano resistenza.
- Tu vuoi che io muoia assiderata, ammettilo... E tanti saluti al 
piccolo problema peloso...- dissi, in imbarazzo. Il senso di colpa stava smontando il mio ritrovato buonumore alla velocità della luce. Che stavo facendo?
- Vorrei solo ti godessi questo momento di pace...- rispose, attirandomi di nuovo tra le sue braccia – Ti terrò al caldo io...- aggiunse a un soffio dalle mie labbra prima di coinvolgermi in un nuovo bacio. 

 

La lezione di arte contemporanea era appena terminata e stavo ancora raccogliendo le mie cose per gettarle confusamente nella borsa, come da copione.
Avevo sfilato il pennello che usavo come fermaglio dalla crocchia disordinata dei miei capelli, ormai perennemente legati per via dell'afa irrespirabile che era scesa sull'intero Paese. Era assurdo per essere ancora maggio, che ci fosse tanto caldo. Aveva ragione il vecchio Al: stavamo mandando il pianeta azzurro al creatore prima del tempo, e il clima si ribellava a quella sorte facendo più bizze del solito.
Avevo soffiato un ciuffo rosso fuori dal mio campo visivo mentre afferravo gli occhiali da sole e me li calavo sul naso, la borsa in spalla in direzione della caffetteria. Avevo un immediato e irrinunciabile bisogno di energie, mi sarei accontentata di un doppio cappuccino con latte scremato e cacao, 
come da copione.
E sarebbe davvero andato tutto 
come da copione se quella notte non fosse stata luna piena. Il solo pensiero di ciò che mi aspettava mi rendeva terribilmente ansiosa, e come avevo imparato da tempo, l'ansia mi rallentava i recettori. Perciò non avevo recepito l'intruso nel mio raggio d'azione fino a quando non mi aveva già afferrata per un gomito, costringendomi a fermarmi.
- Andrea? Andrea Evans?- mi aveva chiesto, togliendo gli occhiali da sole.
- Ci conosciamo?- avevo domandato di rimando, osservandolo bene, dietro le lenti scure.
- Sono Logan Carter. Avrei bisogno di parlarti in privato...-
- Sono spiacente, Logan Carter, ma senza la mia dose giornaliera di caffeina non sono 
così amichevole... Di che si tratta?- avevo sollevato gli occhiali da sole sulla testa, fissando gli occhi nei suoi. Sembrava un tipo a posto, ma non mi fidavo.
- Sono un ricercatore e sto sintetizzando un siero contro le mutazioni genetiche...- aveva spiegato, fin troppo brevemente. La sua espressione si era fatta seria.
Mi ero sentita raggelare. Avevo dovuto reprimere l'istinto di scappare e nascondermi per impormi un sorriso freddo e distaccato. Ero stata attenta, dannazione! Avevo preso tutte le precauzioni possibili... Come era potuto accadere? Cosa era andato storto? Ero nei guai. No, ero in un mare di guai. Dovevo sorridere, mentire e sorridere, sperando di dissolvere i suoi sospetti con il sarcasmo. Sorridere e mentire. E sperare di convincerlo di aver sbagliato persona.
- Vuoi che dipinga per te?- avevo domandato scettica – No, perché non so proprio cos'altro tu possa volere da me, se non un olio... o magari un acquerello. Si, sembri un tipo da acquerello... - avevo continuato. Mentire e sorridere.
- Andrea, io posso aiutarti. Devi solo darmi una mano con la mia ricerca... Mi serve qualcuno che si sottoponga al siero... e a te serve una cura...- aveva ribattuto, deciso.

- Forse, a guardarti meglio, sei più il tipo da acrilico...- avevo insistito imperterrita. Sorridere e mentire. E all'occorrenza negare l'evidenza.
- Pensavo che avresti almeno prestato un po' di attenzione alla mia proposta...- aveva detto, deluso. Non si era aspettato quell'atteggiamento, gli si leggeva negli occhi.
- Ma quale proposta? Non capisco di cosa tu stia parlando...- avevo negato ancora, distogliendo lo sguardo. Lui aveva scosso la testa, afferrandomi per un polso. Sapeva. Sapeva 
davvero.
- Cerchiamo di non perdere tempo prezioso per entrambi, ok? So esattamente chi sei... e potrai anche fingere di non capire cosa io stia dicendo, ma stanotte avrai bisogno di quel siero...- si era spazientito. Il panico aveva preso possesso del mio corpo, piantando una bandierina dentro alla scatola cranica.
 Dovevo reagire.
Non so chi tu creda io sia, ma non hai nessun diritto di parlarmi in questo modo. Io non ti conosco, non ti ho mai visto prima di questa mattina e ti sarei davvero grata se mi lasciassi andare. Immediatamente.- avevo sibilato nervosa, trattenendomi a stento dal ringhiare apertamente. Bel lavoro, davvero: tanto valeva dargli un campione del mio sangue e ululare alla luna davanti a lui.

Logan aveva fissato il mio polso serrato tra le sue dita per un attimo, poi mi aveva liberata, come incapace di spiegarsi come fossimo arrivati a tanto in così poco tempo.
- Andrea... Mi dispiace, abbiamo cominciato con il piede sbagliato... Non sono stato molto delicato, ma ritengo opportuno andare subito al sodo, viste le circostanze.-
- Andare al sodo?!- avevo ripetuto sarcastica -
 Tu non vai al sodo, tu demolisci qualsiasi norma civile e poi ti guardi intorno, perfettamente a posto con te stesso, cercando qualcosa che sia miracolosamente sopravvissuto al tuo passaggio.-
Stanotte ci sarà luna piena, maledizione!- aveva imprecato. E lo diceva a me? Lo sapevo benissimo, dannazione!
- Si può sapere che cosa vuoi?- ero sbottata.
- Solo parlare. Offrirti il pranzo e spiegarti la mia proposta... Solo questo...-
Lo avevo guardato con sufficienza, mascherando l'agitazione che mi scorreva nel sangue insieme all'ossigeno. Non avevo altra scelta.
- Niente cinese, sono allergica all'unto...- avevo decretato.
Il suo sorriso era stato in grado di illuminare tutto il campus .

 

Se non rientriamo adesso perderò le dita dei piedi, ne sono sicura...- mormorai, staccandomi dalle sue labbra, rigida. Lui sorrise, senza sciogliere il nostro abbraccio.
- Non ti servono le dita dei piedi...- sentenziò.
- La tua sensibilità mi commuove, sul serio...- lo schernii. La sua mano mi condusse verso casa, ormai a mezzo isolato da dove ci eravamo fermati.
Mi cedette il passo davanti al cancello e si diresse ad aprire la porta di casa, mentre io verificavo che l'inferriata si richiudesse alle mie spalle per assicurarmi un attimo di pace prima di 
affrontare la situazione. Cosa avrei dovuto dire?
Gettai un'occhiata intorno, temporeggiando in attesa dell'illuminazione divina: la neve cominciava ad ammonticchiarsi agli angoli delle strade e sui lampioni, nascondendo con il suo bianco accecante ogni cosa. I tetti delle case, i giardini, le auto parcheggiate, la biposto nera nel vicolo. 
No, non poteva essere. Solo un pazzo scriteriato sarebbe rimasto al freddo per due notti di seguito senza uno straccio di motivazione. Solo un individuo degenere avrebbe sostato senza un riparo sotto la neve, rischiando di non poter più ripartire, vista la rapidità con cui le strade si stavano ghiacciando.
Avrei voluto urlargli di tornare a casa e non fare il bambino, ma il ragionevole dubbio, o l'amara consapevolezza, che potesse aver visto 
tutto mi trattenne dal richiamare l'attenzione su di lui. Su di noi.
- Che ne è delle tue dita dei piedi?- mi richiamò allegro Logan, ignaro del disastro imminente. Distolsi lentamente lo sguardo dalla strada e mi affrettai ad entrare in casa, conscia che, dopotutto, quello peloso non era il più grave dei miei problemi.



 

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