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Autore: Dorothy257    03/02/2012    1 recensioni
[Dark Fall]
Uno strano messaggio.
Un'area abbandonata.
Un antico mistero.
Strane presenze di secoli passati.
E due ragazzi che capiranno che, anche se non c'è nessuno, non sono soli.
[Storia basata sull'omonimo videogioco, fatevi catturare dall'atmosfera misteriosa di Dark Fall e intraprendete questo viaggio con me, non ve ne pentirete.]
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 3, Here we are.
 


 
 
Un ora e mezza dopo circa.

 
 
Puntuale come un’ orologio Mia scese in strada. Portava con se solamente una borsa da viaggio verde acido di media grandezza a tracolla ed un giaccone pesante nel caso a Dorset facesse ancora più freddo che a Londra.
Il taxi era già fermo sul ciglio della strada in attesa, Mia caricò il suo unico bagaglio e si guardò attorno in cerca di Ray che, come suo solito, dava proprio l’impressione di essere in ritardo. Diede poi nuovamente un’occhiata all’orologio e sbuffò a bassa voce: «Le 15 e 40, diavolo Ray dove sei? Perché vuoi sempre farmi andare di corsa?»
«Eccomi!! Arrivo!!!», gridò qualcuno come se fosse riuscito ad udire il sussurro di lei.
La ragazza tirò su la testa e strabuzzò gli occhi per poi scoppiare in una fragorosa risata, «Ma quanta roba ti sei portato?», disse ancora ridendo alla vista dell’amico che arrancava sotto ad un quantitativo di borse che avrebbe fatto facilmente concorrenza ad una ragazza.
«Ah, ah, simpatica come sempre, vuoi il mio aiuto o no? Le cose o si fanno bene o non si fanno, questa è solamente una piccola parte di tutte le attrezzature che ci potrebbero servire, e credimi, sto mettendo a repentaglio tanti, tanti, tanti soldi, che mi ridarà ovviamente tutti tuo fratello nel caso subissi qualche danno.», ghignò il ragazzo.
«Dai sali in macchina.», si arrese Mia, dimenticando completamente la ramanzina che aveva in mente di fargli per il ritardo.
«Il lavoro?»
«Tutto ok, ho avvertito che questo pomeriggio non sarei tornata e  mi sono presa qualche giorno di ferie, te il negozio? L’hai affidato a qualcuno?»
«No figurati, ho solo lasciato scritto sulla vetrina che sarei stato irreperibile per qualche giorno, tanto i clienti sono sempre pochi e sempre quelli, forse dovrei proprio togliere quell’ insegna aggiuntiva, la gente è restia ad entrare, pensano che sia fuori di testa, ed è molto probabile che lo sia visto che ti sto accompagnando in questa “ avventura” che non mi piace proprio per niente.», disse il ragazzo mimando le virgolette in aria.
«Ray?», gli strinse la mano.
«Mmh?»
«Grazie», e sorrise.
«Non dirlo neanche.», concluse sorridendole di rimando.
 

 
Il taxi partì alla volta della stazione bloccandosi dopo nemmeno cento metri per il traffico che intasava le strade della capitale, infondo il previdente anticipo di Mia era ben giustificato.
Una volta a Paddington la situazione non era per nulla migliorata, le persone camminavano velocemente ed imperterrite verso ogni direzione, bastava voltare leggermente il capo ed ovunque si guardasse ne spuntavano di nuove chissà da dove.
Sempre arrancando sotto al peso dei bagagli, divisi quasi equamente tra i due amici, giunsero di fronte al tabellone degli orari dei treni in partenza.
«Allora, allora, il treno è quello delle 17.05 ed è il numero seicentosessantasei, quindi…»
«CHE COSA?», urlò il ragazzo facendo trasalire la vecchietta accanto a lui.
«Cosa che cosa?!», strabuzzò gli occhi.
«Il, il, il num, il nu…»
«Sei diventato balbuziente all’improvviso?», disse la ragazza cercando di trattenere le risate che sapeva sarebbero arrivate da li a poco.
«Seicentosessantasei! SEI SEI SEI!»
«E allora?», era davvero diventato insostenibile trattenersi dallo sganasciargli in faccia.
«Il numero del Diavolo! Torniamo a casa Mia, ti prego, non promette per niente bene!», la supplicò quasi mettendosi in ginocchio.
«E tu saresti un cacciatore di fantasmi?», il ragazzo annuì semplicemente.
«Sei tutto un programma Ray», lo scosse e continuò calcando la voce, «Stavo dicendo, prima che qualcuno mi interrompesse piagnucolando come una bambina, e non faccio nomi, che il treno parte dal binario..», scorse velocemente gli occhi sul tabellone, «Binario numero sette! Andiamo dai!».
«Sette? Sette come le vite dei gatti! Di bene in meglio proprio.», mugugnò il giovane mentre si incamminavano, sbandando sempre per il peso delle valigie, verso il binario.
«Sei diventato anche superstizioso ora?», disse Mia con tono scherzoso, e scoppiarono entrambi in una risata.
 
 


 
Mia? Mia dove sei? Ti prego fatti vedere. Dimmi dove sei. Devo sapere dove sei. Ho bisogno di te. Ho bisogno del tuo aiuto, sono nei guai, guai grossi Mia! Fantasmi, fantasmi, sono sicuro, sono fantasmi! Non so quanti siano a dir la verità, ma a me sembrano tanti, troppi. Mi stanno cercando, mi vogliono! Vogliono anche me. Ti prego aiutami. Ho paura. Ho tanta paura. Devi partire subito, questo luogo mi sta facendo impazzire, ho provato a cercare Nigel e Polly prima ma non sono riuscito a trovarli da nessuna parte. Li hanno trovati, li hanno presi loro! Ho paura Mia. Vieni qui ti prego.
Li senti, li senti? Il mio nome, stanno sussurrando il mio nome! Cos’altro sapranno di me?
Lo senti questo rumore? Sono loro? Sembrano cani che abbaiano in lontananza, sembrano gatti che grattano sulla porta per cercare di aprirla, sembrano serpenti che strisciano viscidi sul pavimento. Li senti Mia? LI SENTI?    
Sono proprio qua fuori. Mi hanno trovato. Mi vogliono, devo andare da loro. Devo aprire la porta.
 
 


 
 
«NO! Non aprire la porta!», urlò la ragazza.
«Che è successo?!»
Un brivido percorse la schiena di Mia, si guardò attorno spaesata con gli occhi spalancati per capire dove fosse e da dove provenisse quella voce, ma era ancora seduta al proprio posto sul treno.
«Io.. io… », aveva la voce rotta dal fiatone ed il petto sussultava per il battito accelerato. Si passò una mano sulla fronte e sugli occhi. Nonostante avesse freddo era sudata marcia. Raccolse le idee per una decina di secondi e poi capii cosa era successo.
«Io, io credo di aver avuto un incubo.», corrugò la fronte confusa.
«Credo anche io, tutto ok ora?»
Sempre fissando il pavimento con aria concentrata ma allo stesso tempo smarrita Mia annuì con il capo.
«Sicura di stare bene?», alzò un sopracciglio, poco convinto.
«Si, credo di si.», sforzò un sorriso.
Stava bene davvero? Cosa era successo qualche minuto prima? Si sentiva strana, confusa, completamente stordita. Peggio di un post-sbornia. Mia? La voce di suo fratello, perché aveva sentito la voce di suo fratello? Si sarà trattato sicuramente di un sogno, quel messaggio in segreteria l’aveva nettamente sconvolta. Però perché si sentiva così strana? Probabilmente era colpa di Ray e di tutte le sue teorie sui collegamenti telepatici. Era sicura che se gli avesse raccontato l’incubo lui avrebbe subito affermato che suo fratello aveva cercato di mettersi in contatto con lei. Stupidate, questo non era possibile. Si, stupidate.

 
«Weymouth, è la nostra fermata.», la voce del ragazzo seduto accanto a lei la destò dai suoi pensieri.
«Bene, l’ora X si avvicina.»                
 
 
«Lo sai che continuo ad essere sempre più convinto di aver fatto una pessima idea a farmi convincere da te?»
«Dai Ray non essere così drastico, andrà tutto bene.», disse la ragazza, più per convincere se stessa che l’amico, mentre apriva la portiera di un taxi per poi accoccolarsi sul sedile di pelle.
«Allora, dove vi porto di bello?», canzonò il conducente.
«A Dowerton Station per favore.»
«Agli ordini!», e partì ghignando.

 
Dopo una decina di minuti l’aria dentro alla vettura era diventata pesante ed irrespirabile. La tensione era insostenibile, non lo avrebbero mai ammesso ma entrambi erano davvero preoccupati di quello che avrebbero potuto trovare ad attenderli alla stazione di Dowerton.
«Perché andate in quel luogo infestato di Dowerton Station?», chiese sfacciato l’autista.
«Infestato? Lei come lo sa?», sbottò Mia come risvegliata da un sonno profondo.
«Mia madre ha lavorato li qualche anno fa ma poi si è licenziata perché accadevano cose molto strane, diciamo spiritate!»
«Quindi accadevano anche in passato effetti paranormali.», sussurrò a Ray.
«Ragazzi siamo arrivati, io vi lascio qui e torno subito indietro, non mi spingo mai oltre, non vorrei mai finire in pasto a uno di quei lenzuoli bianchi!», e scoppiò in una risata poco rassicurante.
«Grazie mille!». Dissero in coro scaricando i bagagli e pagando il pedaggio.
L’auto fece inversione facendo scricchiolare le ruote sul terriccio misto a pietrisco.
«Buona fortuna!», e scoppiò in una risata sinistra, ancora più forte di quella precedente e, ovviamente ancora meno rassicurante.
«Simpatico non trovi?», chiese ironico il ragazzo.


 
Nonostante fosse appena sera sembrava notte inoltrata, piccole luci rischiaravano a malapena il buio che li circondava. Riuscivano appena a distinguere un piccolo sentiero che partiva davanti a loro e che si inoltrava all’interno di un campo di erba alta visibilmente trascurata da anni ma che un tempo era stata sicuramente tagliata alla perfezione, come ogni giardino inglese che si rispetti.
La vegetazione secca impediva ancora ai ragazzi la vista della struttura ed il vento freddo che soffiava faceva muovere l’erba in un moto ondoso che rendeva loro più difficile la traversata.
Finalmente riuscirono ad uscire da quella trappola vivente e la visuale si aprì dinanzi ai loro occhi lasciandoli a bocca aperta.  
«Carino questo posto, un po’ inquietante ma carino.», disse Ray guardandosi intorno. 
 
 
To be continued…




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Ok, lo so, fa schifo. Ma hey, come dice il titolo, "here we are", e dal prossimo si cambia totalmente. Si entrerà subito nell'atmosfera "molto carina" che circonda Dowerton ;)
Ho dovuto apportare due piccole modifiche nel finale del capitolo precedente perché se no i tempi non coincidevano ed alcune cose erano materialmente impossibili da realizzarsi. :)
Un ringraziamento particolarissimo a Mora18 che mi riempie sempre di gioia. :'3  :'3  :'3
Un bacione, Dorothy.


  
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