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Autore: Faffo    03/02/2012    0 recensioni
Non so chi sono. Non so cosa mi hanno fatto. L’unica cosa che so … è che esito.
Genere: Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II

II

 

 

  Come tutte le cose che accadono per caso, anche quella, era molto strana. In fondo ora avevo un posto dove stare. Il lavoro non mi piaceva molto, ma ero sicuro che, prima o poi, qualcosa di meglio avrei trovato. Scesi le scale e mi ritrovai faccia a faccia con la mia nuova squadra. Li vidi seduti vicino ad un tavolino con una mappa, ovviamente scritta a mano. Appena mi videro Zac fu  a parlare – finalmente sveglio, buon giorno.
  – Buon giorno.
  – Cosa vuoi per colazione?
  – Di solito cosa si mangia?
  Mi guardarono perplessi – noi … di solito latte e brioches.
  – Va bene. Grazie.
  Mi sedetti a tavola e mi servirono la colazione.
  Quando ebbi finito avevo tutti gli sguardi puntati – cosa c’è?
  Il capo mi guardò e con voce timida – ti va di partecipare ad un altro colpo?
  Volevo rispondere no, – sì! – ma in un modo dovevo pur ringraziare.
  Mise la cartina sul tavolo e si schiarì la voce – questa è la mappa.
  Doveva essere un colpo veramente grosso, di solito i capi delegano sempre – l’avevo capito.
  – Bene …
  – Cosa svaligiamo ora … un negozio di carne affumicata.
  – No! Quello l’abbiamo svaligiato la settimana scorsa. Ora svaligeremo la banca.
  – C’ha voglia di soldi il capo.
  – Zitto imbecille! – gli diede un ceffone.
  Si rischiarì la voce – allora … il piano consiste in questo: prendiamo i soldi e scappiamo prima che arriva la “madama”.
  – Anche la banca è della “madama”?
  – Nulla le appartiene … ma tutto è sotto il suo controllo.
  Ora era veramente tutto chiaro; una grande donna controllava la città.
  – Ascoltami bene Fred, entreremo da qui … faremo questo percorso, sfonderemo il caveau e scapperemo con il bottino. Capito?
  – No!
  – Va bene, possiamo procedere.

  Il giorno successivo alle ventidue in punto, armati di torce, eravamo davanti alla banca. Come ogni ladro che si rispetti i nostri abiti erano neri ed attillati. Zac li teneva per le grandi occasioni. Ci fece segno e ci fermammo li dove eravamo. Avanzò guardandosi bene a destra e a sinistra e appena arrivò di fronte alla porta cacciò le sue attrezzature migliori: ventosa, seghetto per il vetro e trapano a batterie. Era veramente un gran capo.
  Iniziò con il trapano, si fermò di botto e si guardò nuovamente intorno: c’eravamo solo noi e un gatto nero. Di solito i gatti di quel colore non sono ben visti, ma in fondo era vestito come noi, quindi … poteva restare.
  Schiacciò nuovamente il pulsante e il trapano entrò in azione. Spingeva sempre più forte, ma il vetro non ne voleva proprio sapere di bucarsi, era duro un accidenti. Cominciò a fare forza con il corpo fino a quando non sbucò abbastanza da far entrare la lama del seghetto.
  Molto lentamente prese l’altro arnese e cominciò, la lama era veramente affilata e il vetro si tagliava una meraviglia. A metà lavoro agganciò la ventosa e tenendola ben salda con la mano, continuò il suo lavoro con l’altra. Dopo poco, tutto fu precisamente tagliato e tolto accuratamente con la ventosa. Infilò la mano e con gran maestria aprì.
  Con scarpe che solo lui conosceva entrammo in modo da non far scattare l’allarme.
  Ci faceva strada, mentre con gesti ben chiari ribadì il concetto che non dovevamo toccare assolutamente a terra.
   Continuammo ad avanzare molto lentamente, ogni tanto ci fermavamo e sceglieva per noi la strada migliore. Voltammo in un corridoio e scendemmo delle scale, davanti a noi si parò una porta blindata. Si avvicinò e inserì un codice nel tastierino numerico in alto a destra, sentimmo uno scatto metallico e poi la porta si aprì. Mi indicò la strada e feci per entrare quando improvvisamente suonò l’allarme.
  – Avete toccato a terra?
  – No – dicemmo all’unisono.
  – Bill, ma hai chiuso la porta?
  – Perché proprio io … non l’ho chiusa, non lo sapevo …
  – Lo sanno anche i bambini: “l’ultimo chiude la porta” – disse quasi ironicamente – vai sopra e controlla se è entrato qualcuno.
  Bill scattò eseguendo quell’ordine più velocemente possibile. In qualche modo voleva rimediare. Ritornò subito e quasi cadde per le scale – c’è il gatto … è entrato … c’ho paura dei gatti …
  Boom gli diede un ceffone dietro la testa – zitto imbecille!
  – Fred, muoviti apri il caveau.
  Mi avvicinai e unii le miei mani. Si fece un buco abbastanza grande da entrarci tutti. Cominciammo a riempire sacchi di soldi. Ce n’erano veramente tanti sistemati sugli scaffali. Per fare prima uno manteneva il sacco e l’altro li faceva cadere all’interno, prendendoli a due mani, e quando il sacco diventava abbastanza pieno da reggersi da solo le mani diventavano quattro.
  I sacchi furono pieni e Zac si maledisse per non averne portati altri. Si riempirono le tasche e Bill anche il portafoglio. Me ne caricarono cinque sulle spalle e loro ne presero uno a testa. Facemmo la strada all’indietro e ci fermammo alla porta.
  Oltre all’allarme si sentiva un altro suono.
  – Cavolo, la “madama” già è qui. Via, via.
  Cominciai a vedere luci blu – ma questa “madama” la scortano gli sbirri?
  Mi guardò smarrito e non rispose.
  Ero in testa al gruppo e correvo senza sosta sentendo sempre di più quelle sirene  avvicinarsi. Svoltammo in un vicolo e vidi Boom che proseguì dritto. Mi bloccai.
  – Cosa fai, via, via … dividiamoci … ci vediamo a casa.
  Proseguii per una strada dietro di me degli spari, ritornai indietro: gli sbirri se la stavano prendendo con Zac. Fortunatamente era troppo lontano e non riuscivano a beccarlo. Mi unii nuovamente a lui – tutto bene?
  – Sì! Grazie, andiamo da questa parte.
  La corsa continuava matta e disperata, si vedeva che il fiato gli mancava, era veramente un osso duro; nonostante tutto questo, non mollava il malloppo. Svoltammo in un vicolo, poi in un altro. Corremmo nel buio, poi nella luce. Ci precipitammo nelle pozzanghere, poi nel selciato. Ma quando arrivammo alla fine di quella strada ci fermammo di botto.
  – Fred, ecco la “madama” … hai visto come è stata brava a fotterci.
  Davanti c’erano dieci o forse quindici sbirri con pistole in pugno puntate verso di noi. Le loro auto erano alle loro spalle, parcheggiate a casaccio. Mentre ci venivano addosso – hai detto che è stata brava?
  Mi guardò smarrito – cosa vorresti dire?
  – Nulla … se è stata brava, allora merita un bell’applauso.
  Zac sorrise – bravo, facciamoci un bell’applauso.
  Posai i sacchi e Zac per ironia fece altrettanto, come se volesse godere a pieno quel momento immaginandosi lui stesso al posto mio. Presi la mira sulla prima macchina, non volevo uccidere nessuno ma solo spaventarli. Feci il primo applauso … la macchina volo in aria manco se fosse di cartone. Ne feci un altro … l’altra auto schizzo indietro. Solo allora si resero conto di quello che stava succedendo: aprirono il fuoco.
  Riprendemmo i sacchi e tornammo indietro, sapevamo benissimo che non bisognava mai farlo, ma era l’unica strada disponibile. Correvamo col fuoco alle spalle, un auto di sbirri ci tagliò la strada.
  – Applauso – ordinò il capo.
  Posai i sacchi ed eseguii.
  Continuammo a correre.
  – Applauso lì … poi lì … oh! Guarda quelli … mega applauso, sono bravissimi.
  Potevo sentire il sibilo delle pallottole che mi sfioravano, il gioco non era più tanto bello. Qualcosa mi squarciò quasi i timpani: un elicottero. Volava a bassa quota sopra di noi. Ci superò, fece un giro largo e si piazzò proprio alla nostra sinistra. Subito dopo una raffica di colpi. Insistevo col mio applauso, ma era troppo agile  non riuscivo a prenderlo. Eppure lo miravo bene …  fui distratto  da un urlo.
  Mi voltai – Zac, ZAC.
  – È solo un graffio. Pensa a salvarti … porta …
  – Tieni gli occhi aperti, non chiuderli – lo presi in braccio e cominciai a correre.
  – Prendi il … bottino, è solo un graffio.
  – Sì, dopo.
  Mi trovai spaesato col sangue tra le mani. I vicoli scorrevano veloci mentre quel dannato elicottero mi sparava addosso. In un vicolo stretto persi l’equilibrio, stavo quasi per cadere, ma riuscii a ripararmi con un braccio.
  – Non pensarmi … il bottino … è solo un graffio.
  – Zac, resisti.
  Mi ritrovai in un vicolo buio, non vedevo nulla, ma correvo sempre più veloce – Zac?!
  Le gambe mi bruciavano – ZAC!? – il cuore mi esplodeva in petto – ZAC!?
  Mi fermai – Zac, rispondi … Zac …
  I miei occhi erano impastati di lacrime mentre lentamente lo posavo a terra, lo scuotevo ma nessuna reazione – Zac, svegliati, non farmi questi scherzi … Zac.
  Gli presi la mano e con l’altra cercavo di tamponare il buco che aveva nel torace. Spingevo forte, ma il sangue non voleva proprio saperne di tornare dov’era un attimo prima. Come tutti, non appena aveva trovato una via di scampo per svignarsela l’aveva sfruttata. Li dentro c’era stato per troppi anni, si era annoiato, ora voleva esplorare nuovi posti. Ed io, non potevo impedirglielo. Mi limitavo solo a vedere il padrone, impotente, con gli occhi chiusi senza sorriso. Lui, non lo sapeva che chi per tutta la vita aveva bagnato il suo cuore ora se la stava dando a gambe senza fregarsene dei danni che causava. Tutto quello non doveva accadere … non era possibile che proprio in quel momento la morte era passata e io non me n’ero accorto. Non era possibile che mi aveva sfiorata e io non avevo saputo difenderlo.
  Non era possibile …
  – FERMA! MANI DIETRO LA NUCA.
  – Zac, svegliati.
  – MANI DIETRO LA NUCA!
  – Zac, apri quegli occhi; svegliati!
  Mi sentii afferrare i polsi e subito dopo mi era difficile muovere le braccia, cominciavo a ribellarmi ma non ci riuscivo, erano troppi contro di me. Uno sbirro si mise tra me e il capo – Calmati, CALMATI!
  Gli diedi un calcio e lo scaraventai a terra. Con le manette ai polsi mi avvicinai nuovamente – Zac …
  – Sedatelo, può essere che si calma.
  – ZAAAAAAAAC!

 

 

  
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