II
Come
tutte le cose che accadono per caso, anche quella, era molto strana. In fondo
ora avevo un posto dove stare. Il lavoro non mi piaceva molto, ma ero sicuro
che, prima o poi, qualcosa di meglio avrei trovato. Scesi le scale e mi
ritrovai faccia a faccia con la mia nuova squadra. Li vidi seduti vicino ad un
tavolino con una mappa, ovviamente scritta a mano. Appena mi videro Zac fu a parlare – finalmente sveglio, buon giorno.
– Buon giorno.
– Cosa vuoi per colazione?
– Di solito cosa si mangia?
Mi guardarono perplessi – noi … di solito latte e brioches.
– Va bene. Grazie.
Mi sedetti a tavola e mi servirono la colazione.
Quando
ebbi finito avevo tutti gli sguardi puntati – cosa c’è?
Il capo mi guardò e con voce timida – ti va di partecipare ad un altro
colpo?
Volevo rispondere no, – sì! – ma in un modo dovevo pur ringraziare.
Mise la cartina sul tavolo e si schiarì la voce – questa è la mappa.
Doveva essere un colpo veramente grosso, di solito i capi delegano
sempre – l’avevo capito.
– Bene …
– Cosa svaligiamo ora … un negozio di carne affumicata.
– No! Quello l’abbiamo svaligiato la settimana scorsa. Ora svaligeremo
la banca.
– C’ha voglia di soldi il capo.
– Zitto imbecille! – gli diede un ceffone.
Si rischiarì la voce – allora … il piano consiste in questo: prendiamo i
soldi e scappiamo prima che arriva la “madama”.
– Anche la banca è della “madama”?
– Nulla le appartiene … ma tutto è sotto il suo controllo.
Ora era veramente tutto chiaro; una grande donna controllava la città.
– Ascoltami bene Fred, entreremo da qui … faremo questo percorso,
sfonderemo il caveau e scapperemo con il bottino. Capito?
– No!
– Va bene, possiamo procedere.
Il giorno successivo alle ventidue in punto, armati di torce, eravamo
davanti alla banca. Come ogni ladro che si rispetti i nostri abiti erano neri
ed attillati. Zac li teneva per le grandi occasioni. Ci fece segno e ci
fermammo li dove eravamo. Avanzò guardandosi bene a destra e a sinistra e
appena arrivò di fronte alla porta cacciò le sue attrezzature migliori:
ventosa, seghetto per il vetro e trapano a batterie. Era veramente un gran capo.
Iniziò
con il trapano, si fermò di botto e si guardò nuovamente intorno: c’eravamo
solo noi e un gatto nero. Di solito i gatti di quel colore non sono ben visti,
ma in fondo era vestito come noi, quindi … poteva restare.
Schiacciò nuovamente il pulsante e il trapano entrò in azione. Spingeva
sempre più forte, ma il vetro non ne voleva proprio sapere di bucarsi, era duro
un accidenti. Cominciò a fare forza con il corpo fino a quando non sbucò
abbastanza da far entrare la lama del seghetto.
Molto lentamente prese l’altro arnese e cominciò, la lama era veramente affilata
e il vetro si tagliava una meraviglia. A metà lavoro agganciò la ventosa e
tenendola ben salda con la mano, continuò il suo lavoro con l’altra. Dopo poco,
tutto fu precisamente tagliato e tolto accuratamente con la ventosa. Infilò la
mano e con gran maestria aprì.
Con scarpe che solo lui conosceva entrammo in modo da non far scattare
l’allarme.
Ci faceva strada, mentre con gesti ben chiari ribadì il concetto che non
dovevamo toccare assolutamente a terra.
Continuammo ad avanzare molto lentamente, ogni
tanto ci fermavamo e sceglieva per noi la strada migliore. Voltammo in un
corridoio e scendemmo delle scale, davanti a noi si parò una porta blindata. Si
avvicinò e inserì un codice nel tastierino numerico in alto a destra, sentimmo
uno scatto metallico e poi la porta si aprì. Mi indicò la strada e feci per
entrare quando improvvisamente suonò l’allarme.
–
Avete toccato a terra?
–
No – dicemmo all’unisono.
–
Bill, ma hai chiuso la porta?
–
Perché proprio io … non l’ho chiusa, non lo sapevo …
–
Lo sanno anche i bambini: “l’ultimo chiude la porta” – disse quasi ironicamente
– vai sopra e controlla se è entrato qualcuno.
Bill scattò eseguendo quell’ordine più velocemente possibile. In qualche
modo voleva rimediare. Ritornò subito e quasi cadde per le scale – c’è il gatto
… è entrato … c’ho paura dei gatti …
Boom gli diede un ceffone dietro la testa – zitto imbecille!
–
Fred, muoviti apri il caveau.
Mi avvicinai e unii le miei mani. Si fece un buco abbastanza grande da
entrarci tutti. Cominciammo a riempire sacchi di soldi. Ce n’erano veramente
tanti sistemati sugli scaffali. Per fare prima uno manteneva il sacco e l’altro
li faceva cadere all’interno, prendendoli a due mani, e quando il sacco
diventava abbastanza pieno da reggersi da solo le mani diventavano quattro.
I
sacchi furono pieni e Zac si maledisse per non averne portati altri. Si
riempirono le tasche e Bill anche il portafoglio. Me ne caricarono cinque sulle
spalle e loro ne presero uno a testa. Facemmo la strada all’indietro e ci
fermammo alla porta.
Oltre all’allarme si sentiva un altro suono.
–
Cavolo, la “madama” già è qui. Via, via.
Cominciai a vedere luci blu – ma questa “madama” la scortano gli sbirri?
Mi
guardò smarrito e non rispose.
Ero
in testa al gruppo e correvo senza sosta sentendo sempre di più quelle sirene avvicinarsi. Svoltammo in un vicolo e vidi
Boom che proseguì dritto. Mi bloccai.
–
Cosa fai, via, via … dividiamoci … ci vediamo a casa.
Proseguii per una strada dietro di me degli
spari, ritornai indietro: gli sbirri se la stavano prendendo con Zac.
Fortunatamente era troppo lontano e non riuscivano a beccarlo. Mi unii
nuovamente a lui – tutto bene?
–
Sì! Grazie, andiamo da questa parte.
La corsa continuava matta e disperata, si vedeva che il fiato gli
mancava, era veramente un osso duro; nonostante tutto questo, non mollava il
malloppo. Svoltammo in un vicolo, poi in un altro. Corremmo nel buio, poi nella
luce. Ci precipitammo nelle pozzanghere, poi nel selciato. Ma quando arrivammo
alla fine di quella strada ci fermammo di botto.
–
Fred, ecco la “madama” … hai visto come è stata brava a fotterci.
Davanti c’erano dieci o forse quindici sbirri con pistole in pugno
puntate verso di noi. Le loro auto erano alle loro spalle, parcheggiate a
casaccio. Mentre ci venivano addosso – hai detto che è stata brava?
Mi guardò smarrito – cosa vorresti dire?
–
Nulla … se è stata brava, allora merita un bell’applauso.
Zac sorrise – bravo, facciamoci un bell’applauso.
Posai i sacchi e Zac per ironia fece altrettanto, come se volesse godere
a pieno quel momento immaginandosi lui stesso al posto mio. Presi la mira sulla
prima macchina, non volevo uccidere nessuno ma solo spaventarli. Feci il primo
applauso … la macchina volo in aria manco se fosse di cartone. Ne feci un altro
… l’altra auto schizzo indietro. Solo allora si resero conto di quello che
stava succedendo: aprirono il fuoco.
Riprendemmo i sacchi e tornammo indietro, sapevamo benissimo che non
bisognava mai farlo, ma era l’unica strada disponibile. Correvamo col fuoco
alle spalle, un auto di sbirri ci tagliò la strada.
–
Applauso – ordinò il capo.
Posai i sacchi ed eseguii.
Continuammo a correre.
–
Applauso lì … poi lì … oh! Guarda quelli … mega applauso, sono bravissimi.
Potevo sentire il sibilo delle pallottole che mi sfioravano, il gioco
non era più tanto bello. Qualcosa mi squarciò quasi i timpani: un elicottero.
Volava a bassa quota sopra di noi. Ci superò, fece un giro largo e si piazzò
proprio alla nostra sinistra. Subito dopo una raffica di colpi. Insistevo col mio
applauso, ma era troppo agile non
riuscivo a prenderlo. Eppure lo miravo bene …
fui distratto da un urlo.
Mi voltai – Zac, ZAC.
–
È solo un graffio. Pensa a salvarti … porta …
–
Tieni gli occhi aperti, non chiuderli – lo presi in braccio e cominciai a
correre.
–
Prendi il … bottino, è solo un graffio.
–
Sì, dopo.
Mi trovai spaesato col sangue tra le mani. I vicoli scorrevano veloci
mentre quel dannato elicottero mi sparava addosso. In un vicolo stretto persi
l’equilibrio, stavo quasi per cadere, ma riuscii a ripararmi con un braccio.
–
Non pensarmi … il bottino … è solo un graffio.
–
Zac, resisti.
Mi
ritrovai in un vicolo buio, non vedevo nulla, ma correvo sempre più veloce –
Zac?!
Le gambe mi bruciavano – ZAC!? – il cuore mi esplodeva in petto – ZAC!?
Mi fermai – Zac, rispondi … Zac …
I miei occhi erano impastati di lacrime mentre lentamente lo posavo a
terra, lo scuotevo ma nessuna reazione – Zac, svegliati, non farmi questi
scherzi … Zac.
Gli presi la mano e con l’altra cercavo di tamponare il buco che aveva
nel torace. Spingevo forte, ma il sangue non voleva proprio saperne di tornare
dov’era un attimo prima. Come tutti, non appena aveva trovato una via di scampo
per svignarsela l’aveva sfruttata. Li dentro c’era stato per troppi anni, si
era annoiato, ora voleva esplorare nuovi posti. Ed io, non potevo impedirglielo.
Mi limitavo solo a vedere il padrone, impotente, con gli occhi chiusi senza
sorriso. Lui, non lo sapeva che chi per tutta la vita aveva bagnato il suo
cuore ora se la stava dando a gambe senza fregarsene dei danni che causava.
Tutto quello non doveva accadere … non era possibile che proprio in quel
momento la morte era passata e io non me n’ero accorto. Non era possibile che
mi aveva sfiorata e io non avevo saputo difenderlo.
Non
era possibile …
–
FERMA! MANI DIETRO LA NUCA.
–
Zac, svegliati.
–
MANI DIETRO LA NUCA!
–
Zac, apri quegli occhi; svegliati!
Mi
sentii afferrare i polsi e subito dopo mi era difficile muovere le braccia,
cominciavo a ribellarmi ma non ci riuscivo, erano troppi contro di me. Uno sbirro
si mise tra me e il capo – Calmati, CALMATI!
Gli diedi un calcio e lo scaraventai a terra. Con le manette ai polsi mi
avvicinai nuovamente – Zac …
– Sedatelo, può essere che si calma.
–
ZAAAAAAAAC!