~ Klaine Songs ~
25°_ Raise your
glass ~ Blaine
~ Quando temi che il padre del tuo
fidanzato possa staccarti la testa a morsi ~
Right right, turn off the lights
We gonna lose our minds tonight
What's the dealio?
I love when it's all too much
5 AM turn the radio up
Where's the rock and roll?
Riprendo
subito a cantare la nostra prossima canzone – Pink, come potevo non proporre
una delle sue creazioni? – cercando di metterci quanto più impegno possibile e
soprattutto tentando di concentrarmi al massimo su quello che sto facendo in
questo momento.
Peccato che
sia ancora tutto preso da Kurt, dal duetto che abbiamo appena finito di
cantare, da Kurt, dal modo in cui mi guardava, da Kurt, dal suo sorriso, da
Kurt, dal calore che sono riuscito a sentire quando mi sono avvicinato a lui
per portarlo sotto i riflettori, da Kurt, dal suo profumo e…
ho già detto da Kurt?
Lo so, lo so… sono pessimo. Ma non è colpa mia se non riesco a fare a
meno di pensare a Kurt.
Party crasher, panty snatcher
Call me up if you are gangsta
Don't be fancy, just get dancey
Why so serious?
Già, pensare
a Kurt… ed essere serio. Ci credo che lo sono! Prima
in pullman, mentre venivamo qui, mi ha del tutto spiazzato invitandomi a casa
sua per la prossima domenica. È stata davvero una sorpresa, non me lo aspettavo
proprio. Non so in che veste mi presenterà a suo padre e a Carole, soprattutto
dal momento che sospetto che Finn sappia già tutto…
Anderson,
questo non è il momento di preoccuparsi! Te ne occuperai in seguito. Piuttosto,
pensa a cantare e a impegnarti al massimo per portare a casa quel trofeo!
So raise your glass if you are wrong
In all the right ways
All my underdogs, we will never be, never be
Anything but loud
And nitty gritty dirty little freaks
Won't you come on, and come on, and
Raise your glass
Just come on and come and
Raise Your Glass!
Continuo a
cantare, facendo uscire quanta più voce possibile. Volteggio intorno ai miei
compagni, seguendo i passi previsti dalla coreografia, cercando il più
possibile di pensare solo a poche cose: i passi, le parole e basta. E pian
piano, l’idea che quel trofeo possa davvero essere nostro, che potremmo andare
alle Nazionali, mi fa stringere lo stomaco in una morsa.
Non ci ho mai
pensato veramente in quest’ultimo periodo, le mie attenzioni erano tutte
focalizzate su Kurt. Certo, sapevo che avremmo dovuto esercitarci per vincere
alle Regionali, e difatti è quello che abbiamo fatto. Ma il mio pensiero di
base è sempre stato Kurt.
So if you're too school for cool
And you're treated like a fool (like a fool)
You could choose to let it go
We can always, we can always
Party on our own...
Ora che però
mi ritrovo qui, a un passo dal poter effettivamente vincere…
sento un brivido di eccitazione scorrermi lungo la schiena. Vincere ci farebbe
estremamente bene, sia a livello emotivo sia da un punto di vista scolastico.
Alla Dalton tengono in gran considerazione il nostro gruppo e l’arrivare alle
Nazionali certamente ci permetterebbe di ottenere dei punteggi in più quando
poi ci troveremo a dover fare domanda per il college – momento che, per quanto
mi riguarda, è davvero remoto.
E infine, le
Nazionali quest’anno si terranno a New York e io smanio all’idea di andarci.
Sarebbe davvero spettacolare trascorrere dei giorni lì con tutto il gruppo – in
particolar modo con Kurt.
Un sorriso
mi si dipinge sul volto mentre continuo a cantare con quanto fiato ho in corpo,
mentre varie immagini cominciano a formarmisi in
testa.
Io e Kurt per
mano, in giro per le strade di New York. Il suo sorriso e i suoi occhi luminosi
che spiccano a Times Square.
Il suo sguardo, un misto di stupore e commozione, a Broadway. E infine, il
sorriso che rivolgerebbe a me, e a me soltanto.
So raise your
So raise your glass if you are wrong
In all the right ways
All my underdogs, we will never be, never be
Anything but loud
And nitty gritty dirty little freaks
Quell’immagine
resta fissa nella mia mente, mi si imprime quasi sulla retina – non riesco a scacciarla
via. E improvvisamente, lo sfondo che faceva di contorno al suo viso – le
insegne luminose delle strade di New York – si trasformano e diventano i
contorni della sala studio della Dalton, per poi cedere il posto al bianco dei
cuscini dei nostri letti e diventare infine i contorni sbiaditi di una cucina
che non conosco.
Capisco che
non importa di dove saremo, l’unica costante è il sorriso che Kurt mi rivolge. Ed è solo questo l’importante: Kurt.
Won't you come on! and come on! and
Raise your glass
Just come on and come and
Raise your glass
Won't you come on! and come on! and
Raise your glass
For me
Non importa se vinceremo o meno. Certo, ci tengo davvero tanto a vincere le
Regionali, ma anche se non dovesse succedere, non mi dispererò. Perché vincere
le Regionali significherebbe solo vincere un mero e freddo trofeo, di cui
magari non conserverò alcun ricordo quando sarò vecchio.
Sento di aver vinto qualcosa di molto più importante, ne ho la certezza. Ho
vinto Kurt.
E nel momento in cui vedo Kurt sorridermi dall’altro lato del palco,
correre verso di me e abbracciarmi davanti a tutti, sento che è questa la
vittoria più grande che potessi ottenere.
~ ∞ ~
Le mani quasi tremano per l’agitazione nel momento in cui mi ritrovo davanti
allo specchio della mia camera della Dalton a sistemare al meglio il mio
papillon. Perché diamine ho deciso di metterne uno? Perché ho deciso di dover
essere ben vestito per questo pranzo? E se andasse a finire che sarò l’unico
vestito elegante? No, dai, di questo non devo preoccuparmi. Kurt sarà vestito
di tutto punto, come è solito fare.
Ed ecco un’altra cosa che mi piace di Kurt: notare quante migliaia di capi
di abbigliamento possiede, ognuno più bello dell’altro. O meglio, qualsiasi
cosa lui indossi, per me sarebbe sempre stupendo, però ogni volta riesce a
sorprendermi con outfit sempre nuovi e diversi. Sto
cominciando a non sopportare quella divisa che lo nasconde fin troppo, quel
blazer che non gli si appiccica addosso come invece fanno i suoi soliti
maglioni lunghi, o quei pantaloni che certamente non sono stretti quanto quelli
che è abituato a indossare. Io amo i
suoi pantaloni stretti, lo fanno sembrare un essere etereo e bellissimo,
slanciandogli le gambe e mettendogli in mostra il…
Blaine Anderson, fermati immediatamente! A cosa diamine stavi pensando, si può
sapere?!
Fortunatamente vengo salvato in extremis dall’imbarazzo in cui mi ero
cacciato da solo da Wes e David, che fanno capolino
nella stanza che divido con Kurt. Devo trovare un modo per evitare che chiunque
possa entrare nella nostra stanza senza avvisare – non vorrei che trovassero me
e Kurt in situazioni poco…
Ancora, Anderson?! La vuoi smettere di pensare al tuo fidanzato in quei
termini? Sai benissimo che Kurt non approverebbe e d’altronde neanche a te
sembra il caso di affrettare le cose, giusto? Non vuoi rovinare tutto e
soprattutto, benché tu ti spacci per uomo vissuto, non lo sei affatto. Chissà
se poi saresti in grado di fare il primo passo, se ti trovassi davvero nella
possibilità di farlo.
L’immagine sfocata di un Kurt con uno sguardo penetrante a me indirizzato
mentre mi si avvicina carponi sul letto fa improvvisamente capolino nella mia
mente. Un sorriso malizioso mi si dipinge sulle labbra, finché…
«Blaine, sei sicuro di star bene?»
Sobbalzo nel sentire la voce di Wes che mi
richiama, mentre metto bene a fuoco prima una mano che sventola a pochi
centimetri dal mio naso, e poi lo sguardo stranito dei miei due amici, qualche
passo più in là. Mi guardano come se si stessero chiedendo cosa c’è di
sbagliato in me. Effettivamente me lo sto chiedendo anche io.
«Sì, sì, sto bene» mi affretto a rispondere prima che Wes
e David decidano di portarmi direttamente in un centro di cura per malattie
mentali. Devo avere davvero un’espressione da idiota.
«A giudicare dalla tua espressione non sembra» risponde David facendo un
passo avanti ed esaminandomi con fare medico. «Sei passato dal rosso
imbarazzato a un sorriso ebete nel giro di qualche secondo.»
Io abbasso lo sguardo e torno a concentrarmi sul mio riflesso allo
specchio, finendo di sistemarmi il farfallino. Non dico nulla – non ci sarebbe
nulla da dire che potrebbe giustificare il mio strano comportamento – e passo
poi a dedicarmi ai capelli, costretti come al solito sotto quintali di gel. I
miei due amici continuano a rimanere in piedi dietro di me, a fissarmi con uno
strano sorriso sulle labbra.
Quando alla fine mi reputo conciato abbastanza decentemente per andare a
conoscere i genitori del ragazzo di cui sono innamorato – che poi li conosco
già, ma questa volta sarà completamente diverso – mi volto verso Wes e David, squadrandoli da capo a piedi. Hanno due
espressioni che non mi convincono affatto.
«Si può sapere che avete da guardare con quei sorrisetti inquietanti?» dico
incrociando le braccia al petto.
I due si guardano per un attimo, sospirando, finché poi David mi rivolge
due occhioni lucidi e dice, «Sono così fiero di te!»
«Già, stai diventando grande…» aggiunge Wes con un dolce sorriso sul volto.
«Il nostro Blaine sta crescendo…»
dicono infine in coro.
A quell’uscita, non posso fare a meno di alzare le sopracciglia e lasciare
che la mia mascella cada a terra, continuando a fissarli imbambolato. Non so se
prendermela per il fatto che mi considerino alla stregua di un bambino, o se
gongolare del fatto che mi considerino il loro figlio. Il primo di una lunga serie… Non mi stupisco neanche poi tanto quando si
afferrano entrambe le mani, stringendosi l’uno all’altro con degli sguardi
commossi.
Alzo gli occhi al cielo e tiro un sospiro. «Sì, va bene. Io sono vostro
figlio e voi due i miei genitori. Qualche consiglio utile?»
Non mi faccio nemmeno assalire dalla tristezza che dire questa frase mi ha
messo in corpo. O meglio, non le permetto di prendere possesso delle mie intere
sensazioni. Non permetterò che mi rovinino questa giornata, né loro né il
pensiero che ho di loro. Ho sempre saputo che i miei genitori non sarebbero
stati al mio fianco quando un giorno come questo sarebbe arrivato; perciò mi
accontento di quello che ho. E, fissando i miei due migliori amici – che hanno
entrambi inclinato la testa con uno sguardo preoccupato sul volto dal momento
che, lo so, hanno capito che cosa mi sta passando per la testa in questo
istante – posso anche affermare di essere fortunato.
Tutti e tre restiamo a fissarci per un interminabile periodo di tempo
finché, proprio come mi aspettavo, Wes dice, «Non
farti prendere dal panico e soprattutto evita di guardare negli occhi il padre
di Kurt. Potrebbe approfittarne e incuterti ancora più paura, costringendoti ad
issare bandiera bianca e allontanarti da Kurt.»
Stringo i pugni anche solo a sentire quella frase. Non permetterò a nessuno di allontanarmi da Kurt, di
mettersi in mezzo a noi. A nessuno.
Non faccio in tempo a replicare che David, con la sua solita calma che tanto
lo contraddistingue, dice, «Tu comportati naturalmente e cerca di stare
rilassato. Agitarsi peggiora sempre le cose.»
«Già, è vero. Alla fine l’importante per quelle persone è che tu non voglia
prendere in giro Kurt; vorranno avere le prove che ci tieni davvero.» Si
intromette Wes.
«E non è complicato da capire. Basta osservare i tuoi occhi quando lo
guardi.» Conclude David.
Io non posso fare a meno di sorridere, mentre sento una strana sensazione
in gola, un groppo, come se stessi per piangere. A volte mi domando che cosa io
abbia fatto di buono per meritare degli amici come loro, che mi stanno vicino
senza giudicarmi e senza chiedere nulla in cambio. Sono fantastici.
Senza pensarci due volte, faccio una cosa che non sono abituato a fare. Mi
sporgo verso di loro e li stringo in un abbraccio. E quando anche loro mi
ricambiano, mi sento proprio un bambino che viene abbracciato dai suoi
genitori, non solo per un mero fatto di altezza, ma perché con loro mi sento
protetto. In questi anni, sono diventati la mia famiglia.
Quando ci separiamo, Wes combatte l’imbarazzo in
cui siamo caduti sdrammatizzando, come sempre, e dice, «Ah, anche un’altra
cosa, nano maleficamente ingellato: non guardare
troppo Kurt e non fare pensieri strani su di lui. I genitori, in particolar
modo i padri, hanno una specie di radar quando si tratta di sesso.»
Arrossisco immediatamente alle sue parole, ripensando alle immagini ben
poco caste che mi erano venute in mente giusto qualche minuto fa. Dovrò cercare
di controllarmi se non voglio che Burt mi stacchi la testa a morsi.
Senza dilungarmi oltre in chiacchiere che hanno il solo scopo di mettermi
in imbarazzo e farmi preoccupare più di quanto credessi possibile, li saluto
con una pacca sulla spalla ciascuno ed esco dalla stanza, afferrando le chiavi
della macchina al volo. Mi precipito giù per le scale, cercando di non pensare
a cosa dovesse succedere se arrivassi in ritardo a casa di Kurt. Nel mio
percorso fino alla macchina mi imbatto in parecchi Warblers,
che mi fanno tutti gli auguri per il pranzo da Kurt; inutile, c’è poco da fare:
i maschi, etero e non, sono più pettegoli delle ragazze, se si trovano in certe
situazioni.
Arrivato finalmente alla macchina, cerco di rilassarmi e perciò inserisco
l’ultimo cd di Katy Perry. Fortunatamente la sua voce
ha l’effetto sperato: tempo pochi minuti che mi sono già tranquillizzato un
po’, tanto che mi metto persino a cantare a squarciagola, tamburellando anche
un po’ con le dita sul volante seguendo il ritmo della canzone.
Quasi non mi rendo conto quando arrivo a casa di Kurt. Freno bruscamente
davanti al giardino di casa sua e guardo verso quella che so essere la finestra
della sua stanza; mi è persino sembrato di vedere la tenda muoversi di scatto,
ma non vorrei sbagliarmi.
Quando spengo la musica e infine il motore, vengo di nuovo assalito
dall’ansia. E se dovessi stare antipatico al padre di Kurt? D’altronde, la
prima volta che mi ha visto, alla partita del McKinley, non abbiamo poi parlato
tanto; la seconda volta mi ha trovato nel letto di Kurt, e io non ero in grado
nemmeno di mettere in fila una frase con un senso compiuto. E la terza volta
gli ho praticamente ordinato di parlare al figlio di sesso. No. No, non credo
di stargli affatto simpatico.
Reprimo un gemito, dandomi dello stupido per come mi sono comportato in
precedenza con Burt. Come mi sono permesso di rivolgermi a lui con un tono così… superiore? Come ho anche solo osato venire a parlare
con lui di un argomento tanto delicato?
Però, ripensandoci, se non fossero successe tutte quelle cose, io non sarei
dove sono ora. Io non avrei capito di essere innamorato di Kurt e noi non
saremmo mai stati insieme. Nonostante tutte le difficoltà che abbiamo dovuto
affrontare, siamo riusciti a trovarci e stare insieme. Perciò, affronteremo
anche questa, e ne usciremo a testa alta, come abbiamo sempre fatto.
Stringo i pugni ed esco dalla macchina, chiudendola, per poi avviarmi per
il loro vialetto, dritto verso lo spesso portone. Tempo pochi attimi che me lo
ritrovo davanti. Alzo una mano tremante per suonare il campanello, poi chiudo
gli occhi e prendo un profondo respiro.
Courage, Anderson!
Suono. E subito dopo sento dei passi pesanti avvicinarsi oltre la porta,
che viene poi spalancata con forza. Di fronte a me c’è Finn,
infagottato in una camicia bianca che non è affatto nel suo stile; sono certo
che in qualche modo c’entri lo zampino di Kurt.
Sorridiamo entrambi imbarazzati mentre lui mi fa cenno di entrare,
indietreggiando. Io entro con fare titubante in casa, salutandolo. Non è la
prima volta che vengo qui, ma ora sembra tutto diverso.
«Ehi amico, dammi pure la giacca!» mi fa Finn,
cercando di mettermi a mio agio con un largo sorriso.
Lo ringrazio con gli occhi, togliendomi la giacca e porgendogliela. Dalla
cucina sento provenire dei rumori di posate e pentole – immagino che Carole
stia cucinando. Il mio sguardo però viene attirato dalle foto appese lungo
tutte le pareti. Mi avvicino un po’ per osservarle meglio.
In una si vede Finn bambino, con indosso un
elmetto da militare, mentre è seduto alla batteria; sta sorridendo verso
l’obiettivo. Mi nasce spontaneo un sorriso, mentre mi giro a osservare Finn dietro di me, che non ha smesso un attimo di seguire i
miei movimenti.
«Le vecchie abitudini sono dure a morire, vero?» gli chiedo per spezzare un
po’ il ghiaccio. Ma il ragazzone mi fissa con un’espressione stranita, inclinando
la testa di lato e dicendo, «Eh?”
Scuoto la testa, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. Kurt mi
aveva avvertito del fatto che Finn non avesse tutto
questo acume, o almeno per la maggior parte del tempo. Così mi limito a
spiegare.
«Kurt mi ha detto che suoni la batteria. A quanto vedo la suonavi fin da
piccolo.»
Devo aver fatto centro, perché il ragazzo di fronte a me si apre in un
sorrisone. «Sì, mi è sempre piaciuta tanto! Mi rilassa suonare la batteria,
scarico tutto ciò che provo.»
«Immagino,» commento mentre passo poi alla foto successiva, che raffigura
Carole e Burt il giorno del matrimonio.
Quando il mio sguardo si posa su quella affianco, non posso fare a meno di
allargare ancora di più il mio sorriso; sento gli occhi farsi lucidi mentre
osservo con attenzione le due persone nella foto, i loro sorrisi simili, i
capelli dello stesso identico colore e gli occhi che sembrano due gocce d’acqua
completamente identiche. Non ci metto molto a capire che i due soggetti della
foto sono Kurt e quella che deve essere sicuramente sua madre. Sinceramente,
non so chi guardare: se la stupenda donna che ha messo al mondo una creatura
perfetta come Kurt o se Kurt bambino, felice come l’ho visto solo poche volte.
E lo stomaco fa una piccola capriola, seguito subito dopo dal cuore, quando
mi rendo conto che effettivamente l’ho visto così tanto felice solo quando gli
ho chiesto di diventare il mio fidanzato, davanti alla finestra della nostra
stanza della Dalton, al tramonto.
Senza rendermene conto sollevo una mano per sfiorare la cornice della foto,
la parte vicino al volto di Kurt. Sono completamente perso a osservare la foto,
tanto che mi dimentico di Finn al mio fianco, che si
premura subito di riportarmi con i piedi per terra, invadendo il mio spazio
personale.
Sollevo lo sguardo su di lui, aspettandomi di trovare i suoi occhi che
cercano i miei; e invece vengo smentito. Non sta guardando me, ma la foto. Vedo
i suoi occhi seguire i contorni del viso della mamma di Kurt, per poi passare a
quelli del suo fratellastro. Rimango immobile e in silenzio, aspettando che
dica qualcosa.
«Spero per te che tu ci tenga davvero a lui…»
sussurra, in netto contrasto col tono di voce duro che ha usato per rivolgersi
a me.
Non mi stupisco più di tanto, immaginavo che avrei dovuto ricevere la
paternale dal fratello maggiore – che poi maggiore non è, ma questi sono solo
semplici dettagli. Comunque, sapevo che Finn avrebbe
voluto parlarmi, d’altronde il mio intuito mi dice che Kurt debba avergli detto
qualcosa su di noi. Dopotutto, era presente anche lui la sera del party a casa
di Rachel…
«Ha già sofferto tanto, e non si merita di soffrire ancora.»
Non mi guarda negli occhi: il suo sguardo non si è ancora distolto dalla
fotografia. Io non posso fare a meno che rimanere spiazzato da questo suo
comportamento; non mi aspettavo che tenesse così tanto a Kurt. Ciò non fa che
rendermi orgoglioso del mio fidanzato: riesce a farsi voler bene da tutti e non
è una cosa da poco. Mi affretto quindi a rispondere immediatamente a Finn, anche io senza guardarlo in volto.
«Non ho alcuna intenzione di farlo soffrire…»
sussurro anche io, imitando il suo tono di voce di poco prima.
Questa volta sento uno sguardo penetrante che mi fissa. «Lo hai già fatto.»
Alzo lo sguardo anche io, e non faccio fatica a sostenere quello di Finn, per quanto le sue parole mi abbiano ferito. So di
avergli fatto del male, ma da ora in avanti farò di tutto per fare in modo che
non capiti più.
«Non era mia intenzione farlo. E giuro su ciò che ho di più caro che
farò qualsiasi
cosa per far sì che non succeda. Mai
più.»
Le mie parole devono avere avuto un qualche effetto su di lui, oppure è
stato il mio tono serio, perché abbassa lo sguardo a terra. E, senza che io
avessi comandato a quelle parole di uscirmi dalle labbra, dico, «Sono
innamorato di Kurt.»
Lui rialza immediatamente lo sguardo su di me e mi osserva per qualche
secondo; io sostengo quello che non è altro che un esame, senza abbassare mai
gli occhi a terra. Alla fine, dopo quelle che paiono ore, fa un passo verso di
me e stende una mano nella mia direzione, mano che è però chiusa a pugno.
Sorrido e colpisco il suo pugno con il mio.
«Ottimo, è un piacere averti qui Blaine.» Dice
con tono di voce allegro.
Sto per replicare quando una voce ci interrompe, una voce cristallina e
acuta, una voce che riconoscerei tra mille, una voce che mi manda letteralmente
il cuore in gola.
«Blaine!»
Mi volto verso le scale, al fondo delle quali c’è Kurt, stretto in un paio
di pantaloni neri, la mano che poggia su un fianco. Sposto lo sguardo verso
l’alto, seguendo il profilo del suo busto coperto da un maglioncino grigio
aderente e a collo alto, finché non incrocio i suoi occhi. Sento lo stomaco
fare una capriola alla vista del mio stupendo, bellissimo, straordinario
fidanzato.
Deglutisco, sentendo il cuore mancare qualche battito e le mani iniziare a
sudare, mentre il mio corpo praticamente mi urla
di correre verso di lui e baciarlo lì, nel bel mezzo dell’ingresso di casa
sua, davanti a Finn. Invece mi limito a restare
immobile a fissarlo imbambolato. Prima o poi la smetterà di avere questo potere
su di me, questo potere che mi riduce sempre a un pesce lesso. Non che mi
dispiaccia, certo!
«Ciao!» dico infine, quando finalmente la salivazione torna ad agire
normalmente.
Lui, dannato, mi fa un altro dei suoi sorrisi che sono in grado di portarmi
dritto in paradiso, e io non posso fare a meno di avvicinarmi a lui, quasi come
se fossi attratto da una calamita. E il piacere che provo quando vedo anche lui
avvicinarsi a me, con un dolce sorriso sulle labbra e gli occhi che brillano, è
indescrivibile.
Ci ritroviamo vicini nel bel mezzo dell’ingresso e le nostre mani si
trovano a metà strada, le dita che si intrecciano e una sensazione di calore
che mi invade, improvvisa, il petto. Mi rendo conto che ora che c’è lui,
l’ansia mi ha del tutto abbandonato. Con lui vicino, so di poter affrontare
qualsiasi cosa.
«Finn ti ha già assalito?» mi chiede con un mezzo
sorriso, lasciando per un attimo i miei occhi per fissare il suo fratellastro
alle mie spalle, da cui sento provenire un flebile gemito di protesta, seguito
poi dal rumore di passi che si allontanano.
«Uhm… no.» Gli rispondo, iniziando a fissare le
sue labbra con insistenza. «Siamo soli ora?» chiedo subito dopo, vergognandomi
un po’ di me stesso. Non so cosa mi stia succedendo, forse è colpa di tutti i
pensieri che mi sono presi prima, quando ero alla Dalton, ma provo
l’inarrestabile impulso di baciare Kurt.
Lui ovviamente non sembra aver capito il motivo per cui gli ho posto quella
domanda, perché inclina la testa da un lato e mi dice, «Si, perché -?»
Non attendo oltre. Sto per fiondarmi sulle sue labbra – sento già il suo
respiro che mi accarezza la bocca, le sue mani che si stringono attorno alla
mia vita, i suoi occhi sorpresi – quando veniamo, o meglio, vengo interrotto da
una voce che ho sentito solo una volta, qualche mese fa.
«Ragazzi, scusate l’interruzione!»
Kurt fa un salto di parecchi centimetri, mettendo le dovute distanze tra i
nostri due corpi e si volta verso Carole, arrossendo. Anche a me viene quasi un
infarto per lo spavento, ma non posso fare a meno di notare quanto sia
adorabile Kurt in questo momento, le gote rosse per l’imbarazzo e la voce
stridula mentre saluta la sua matrigna. Cerco di darmi un controllo e vengo in
aiuto a Kurt, avvicinandomi a Carole e offrendole la mano.
«Piacere, Blaine. Non so se si ricorda di me.»
Ora che sono arrivati i momenti delle presentazioni, mi sta tornando l’ansia.
Meglio da un certo lato; almeno metterà a sopire la voglia che ho di
avvicinarmi a Kurt e baciarlo finché non saremo costretti a fermarci per
mancanza d’aria.
Carole mi rivolge un sorriso affettuoso, che ha un impatto abbastanza
potente su di me, facendomi scordare quasi del tutto dei miei istinti da
adolescente con gli ormoni impazziti. Il sorriso della matrigna di Kurt è un
sorriso che non potrei definire in altro modo se non con materno. Era
tantissimo che non vedevo un sorriso del genere, soprattutto era tantissimo che
qualcuno non mi rivolgeva un sorriso del genere. Sento quasi tremare le
ginocchia mentre un morso strano mi prende alla bocca dello stomaco.
Scaccio subito quella brutta sensazione. Ho promesso che non permetterò ai
miei genitori di rovinare questa giornata; non mi permetterò di fare paragoni.
«Certo che mi ricordo di te, caro.» Dice stringendomi la mano. «Anche
perché sarebbe un po’ difficile dimenticarsi di te, visto che Kurt pronuncia il
tuo nome ogni volta che gli è possibile.» Aggiunge con un sorriso e un
occhiolino.
Getto un’occhiata a Kurt giusto solo per gustarmi la sua reazione; come
prevedevo, è di nuovo arrossito e ha aperto la bocca per dire qualcosa di
pungente, ma evidentemente non ha trovato nulla di abbastanza acuto da dire,
perché tace. Sorrido e riporto lo sguardo su Carole.
«Spero dica cose belle.»
«Stupende, tesoro. E ti prego, dammi del tu.» Aggiunge lei rivolgendomi di
nuovo uno di quei sorrisi materni.
Annuisco, mentre lei ci fa strada in cucina, dove troviamo Finn seduto al tavolo, mentre occhieggia con sguardo
affamato il tacchino posato sulla tavola. Io invece rimango a fissare e cercare
di recepire il calore che è presente in quella stanza; e non sto parlando di
questione di temperatura, quanto di sentimento. Sembra ci sia un’aria così… familiare.
Mentre Carole si dedica a sistemare qualcosa che ha tutta l’aria di essere
della verdura, canticchiando ad alta voce una vecchia canzone che non ricordo
dove ho già sentito, Kurt mi trascina un attimo in salotto con una scusa.
Lontano da orecchie indiscrete, mi avvicino a Kurt e gli sussurro
all’orecchio, «Ma i tuoi sanno di me, oppure glielo vogliamo dire proprio in
pompa magna?”
Kurt mi fissa con un’espressione shockata, ancora leggermente rosso in
viso, e scuote la testa. «No, non lo sanno. Però non voglio dirglielo in pompa magna. Pensavo di prenderli uno
per volta.»
Per me qualsiasi cosa preferisca Kurt, in questo caso, mi sta bene.
D’altronde qui si tratta dei suoi genitori, della sua famiglia, e tocca a lui
decidere come agire. E devo dire che mi rende più tranquillo sapere che non
dovremo fare un grande annuncio a tavola, come se stessimo per sposarci. Almeno
così potrò affrontarne uno per volta.
«Finn lo sa.» Sussurro all’orecchio di Kurt. Lo
vedo rabbrividire e chiudere gli occhi a causa del mio fiato così vicino alla
sua pelle, e devo dire che la sensazione di vederlo in questo stato per colpa
mia mi piace.
Quando riapre gli occhi mi rivolge uno sguardo a metà tra l’ironico e il
mortificato. «Sì, lo ha saputo subito. È da lui che sono andato quando mi hai
baciato e poi sono… scappato.» Alzo un sopracciglio e
lo fisso: a quanto pare ci avevo visto giusto. «E’ che mi è stato parecchio
vicino quando ero… triste.»
Il tono con cui lo ha detto mi fa improvvisamente sentire di nuovo in
colpa. L’ho davvero fatto soffrire, sebbene non fosse mia intenzione. Ora come
non mai, sento davvero che quello che ho detto poco fa a Finn
è la pura verità, e mi impegnerò per rispettare quel giuramento.
Perciò lo prendo per mano e incastro alla perfezione le dita tra le sue.
Lui stringe la mia mano e mi rivolge un sorriso luminoso. Restiamo a fissarci
per quelle che sembrano ore, finché cominciamo ad avvicinarci sempre di più
l’uno all’altro. Questa volta non c’è nessuna fretta nel desiderare l’uno le
labbra dell’altro, è più un godersi quell’attimo di straziante attesa prima del
bacio, che a volte è quasi meglio del bacio stesso.
Purtroppo, anche questa volta veniamo interrotti dal rumore della porta di
casa che si apre e da una voce profonda che dice, «Sono arrivato!»
Io e Kurt sciogliamo subito le mani e sento di nuovo il cuore iniziare a
correre troppo veloce per i miei gusti, ma ora sono di nuovo nervoso: Burt è
appena arrivato a casa. Ciò significa che tra poco verrò ucciso.
E infatti, quando il padre di Kurt fa il suo ingresso in salotto e inizia a
osservare quanto io e suo figlio siamo vicini – troppo per i suoi gusti a
quanto pare – inizio mentalmente a pregare e a darmi dell’idiota per non aver
fatto testamento. Sembra quasi che voglia strapparmi la testa a morsi.
Deglutisco e mi allontano un po’ da Kurt, in imbarazzo. Poi faccio qualche
passo verso Burt, allungando una mano per stringere la sua.
«Non so se si ricorda, io sono –»
«Blaine, sì. Mi ricordo di te.» Dice lui con tono
burbero, inclinando la testa e guardandomi con la stessa espressione che ho
visto fare un sacco di altre volte a Kurt.
Kurt che decide di salvarmi, facendosi avanti e iniziando a spingerci verso
la cucina. «Forza, su! Carole ha preparato un pranzo coi fiocchi, quindi spero
che tu, papà, abbia scelto il vino adatto!»
Vedo Burt alzare gli occhi al cielo e rilassarsi all’istante, mentre gli sfugge
un sorrisetto a causa della manie di perfezione del figlio. Sorrido anche io,
mentre mi appresto a seguirli in cucina.
Sono ancora un bel po’ in ansia. Temo il momento in cui dovremo metterci a
parlare con Burt e Carole, ho paura che non ne uscirò vivo. Quando però entro
in cucina e trovo praticamente tutti seduti al loro posto, tranne Kurt che è in
piedi ad aspettarmi e Carole che è vicina ai fornelli, mi rendo conto che prima
di qualsiasi cosa, dovrò affrontare un pranzo.
Sarà imbarazzante. Non so proprio di cosa parlerò.
*
Ok, se prima avevo pensato che il pranzo sarebbe stato imbarazzante, ho
dovuto ricredermi. Credo sia tutto merito di Finn
però. Infatti, per mia fortuna, ha iniziato a parlare di football, una
conversazione che è riuscita a catturare l’attenzione sia mia sia di Burt.
Ed è stato davvero un bene, sia perché
mi ha dato la possibilità di sciogliermi un po’ e di dire qualcosa, sia perché
almeno Burt ha smesso di squadrarmi con fare inquisitorio e forse anche un po’
preoccupato, quasi temesse che potessi alzarmi e iniziare a parlare di sesso
gay e di come parlarne al figlio.
Certo la conversazione sul football non ha interessato Kurt e Carole, ma
non sembra che se le siano presa, soprattutto Kurt. Anzi, sembra quasi felice
che io stia parlando con suo padre mantenendo dei toni normali e civili. Non so
cosa si aspettasse, ma devo dire che sta andando tutto meglio di quanto avevo
immaginato.
A volte tuttavia non posso fare a meno di distrarmi un attimo e lanciare
qualche occhiata fugace a Kurt, al modo in cui si porta la forchetta alle
labbra, o al modo in cui una o due volte la sua lingua è guizzata fuori dal suo
rifugio per leccarsi il labbro inferiore. Oppure è lui stesso a distrarmi,
sorridendomi o guardandomi soltanto; oppure sfiorandomi il ginocchio con il
suo, come in questo momento.
Alzo lo sguardo su di lui e incrocio subito i suoi occhi imbarazzati; però
non si affretta ad allontanare il ginocchio, come invece avevo pensato facesse.
Questo semplice contatto mi fa rabbrividire e provo di nuovo il terribile
impulso di sporgermi verso di lui e catturare tra le mie quelle labbra rosse.
Mi trattengo, nemmeno io so come.
Quando però sentiamo qualcuno – Finn – schiarirsi
la gola, capiamo che forse siamo stati un po’ troppo a fissarci questa volta.
Sposto lo sguardo su tutte le altre persone presenti al tavolo: Finn sembra imbarazzato, Carole ci sta osservando con un
dolce sorriso sul volto e Burt…
Diamine, credo proprio che Wes avesse ragione sul
radar dei padri a proposito del sesso! Sembra proprio che Burt abbia capito
verso quali binari siano deviati i miei pensieri e temo di nuovo che voglia
staccarmi la testa a morsi. Abbasso lo sguardo e sposto la gamba che prima era
ancora in contatto con quella di Kurt. Almeno così riuscirò a pensare
lucidamente.
Fortunatamente quel momento di imbarazzante silenzio viene spezzato, da
Carole questa volta, che ci invita ad andare via dal tavolo e svagarci per
un’oretta, mentre finisce di preparare il dolce.
«Kurt, perché non fai vedere a Blaine la tua
stanza?» propone la donna, lanciando una veloce occhiata di ammonimento al
marito, per poi spostare lo sguardo su me e Kurt.
«Certo!» risponde lui, tralasciando il fatto che io in realtà ho già visto la
sua stanza. Ma non credo che questo loro lo sappiano.
Contemporaneamente, io, Kurt e Finn ci alziamo
dal tavolo e ci precipitiamo su per le scale. Uscire dalla cucina mi permette
di rilassarmi un attimo, anche se comincio ad avvertire la tensione di quello
che dovremo fare tra poco io e Kurt.
Finn ci lascia davanti alla camera di Kurt e si dirige nella sua con un fugace
sorriso a Kurt e una pacca sulla spalla a me. Io lo ringrazio con un sorriso;
se non ci fosse stato lui, credo che il pranzo sarebbe stato molto più
difficile da sostenere.
«Dai, vieni! Entra.» Dice Kurt afferrandomi per mano e trascinandomi in
camera sua. E io resto a bocca aperta, perché è totalmente cambiata dall’ultima
volta che l’ho vista, mesi fa. Il colore delle pareti è diverso, il letto è
stato cambiato – ora è molto più grande – ed è stato messo in un’altra
posizione. Appesi ai muri, ci sono poster che non ricordavo di aver visto
l’altra volta ma, cosa più importante di tutte, il muro vicino al suo letto
ospita una piccola bacheca, su cui vedo troneggiare una mia fotografia.
Mi avvicino, curioso. Vicino alla mia fotografia, presa sicuramente
dall’annuario della Dalton, visto che indosso la divisa, è appeso un collage
con la scritta Couragé, seguita poi da un foglietto chiaramente
strappato da una pagina di una quaderno; sul foglietto c’è scritto, dentro un
cuore rosso, Kurt+Blaine.
A coronare il tutto, ci sono appesi degli scontrini che, quando mi avvicino a
controllare meglio, si rivelano essere degli scontrini del Lima Bean.
Rimango imbambolato a fissarla per non so quanto tempo, mentre provo un
sacco di sensazioni diverse, tra cui felicità, imbarazzo, sorpresa e qualcosa
di molto più profondo, qualcosa che mi fa battere forte il cuore e diventare
gli occhi lucidi.
Mi volto a cercare gli occhi di Kurt, ho bisogno del suo sguardo in questo istante, e inaspettatamente lo
trovo a testa bassa, a parecchi passi di distanza da me; è ancora vicino alla
porta, precisamente dove l’ho lasciato non appena siamo entrati nella stanza.
Rimango sconvolto quando capisco che è imbarazzato.
Mi avvicino a lui, gli prendo il mento tra due dita e gli faccio alzare la
testa, di modo da poterlo guardare negli occhi. Sento così tante cose in questo
momento, e mi viene quasi voglia di dirgli quanto lo amo. Ma è solo una
settimana che stiamo insieme e sento che il mio sentimento per lui è già
aumentato; mi chiedo di questo passo che cosa diventerà fra qualche mese.
Decido quindi di aspettare, perché sono curioso di scoprire quanto cambierà. Inoltre
ora come ora, ho un groppo in gola e non sono sicuro che la mia voce uscirebbe
forte e chiara. Diavolo, non so neanche se uscirebbe!
Così mi limito a comunicargli con gli occhi tutto l’affetto che provo nei
suoi confronti. E magicamente, Kurt sembra capire. Siamo tornati a essere quei
due ragazzi che si capivano solo con uno sguardo, finalmente, proprio come
eravamo all’inizio; solo che ora siamo qualcosa di più.
Non so nemmeno se sono io a stringerlo tra le braccia o se è lui a stingere
me. So che ci ritroviamo stretti in un abbraccio, il suo volto nascosto
nell’incavo del mio collo e la mia mano che vaga sui suoi capelli.
«Credo di sentirmi… lusingato…»
gli dico per spezzare un po’ la tensione.
La sua reazione non è però quella che mi aspettavo, perché si stringe di
più a me e sussurra qualcosa che dapprima non riesco a capire. Ma dopo un po’,
sforzandomi, riesco a sentire ciò che sta dicendo. E non ne sono affatto
felice.
«E’ che ho paura che io non ti piaccia
quanto tu piaci a me.»
Sciolgo l’abbraccio, tenendolo però sempre vicino a me e lo fisso negli
occhi con sguardo severo. Non so come fare a fargli capire che piuttosto qui
sono io quello che è stato completamente stregato da lui; sono io che non
riesco a smettere di pensare a lui neanche per un attimo. Farei di tutto per
lui, qualsiasi cosa. È il mio cuore che sta battendo forsennatamente nel petto
in questo istante a mostrarmi le prove di quanto Kurt sia importante per me e
di quanto mi piaccia.
E forse, se il mio cuore è in grado di dimostrare a me cosa provo, allora
potrà fare lo stesso con Kurt.
Così afferro una sua mano e me la metto sul cuore. Lui arrossisce per il
mio gesto, ma rimane immobile e in silenzio, ad ascoltare i battiti frenetici del
mio cuore, che aumenta ancora di più i battiti quando, anche attraverso lo
spesso strato del maglione, riesco a sentire il calore della sua mano che mi
sfiora il petto per la prima volta.
«Lo senti?» gli chiedo, guardandolo dritto negli occhi. «E’ molto più veloce
di come dovrebbe essere.» Kurt annuisce, gli occhi lucidi fissi nei miei. «Fa
sempre così quando ci sei tu.»
Il sorriso che mi rivolge è certamente il migliore che mi sia mai stato
rivolto – quasi illumina la stanza. Si getta di nuovo tra le mie braccia, che
lo accolgono subito, pronte. E quando, dopo un tempo infinito trascorso a
dondolarci semplicemente sul posto cercando di respirare in sincrono, ci
stacchiamo e ci guardiamo dritto negli occhi, credo sia finalmente giunto il
momento che bramo da quando l’ho visto vicino alle scale.
Ma anche questa volta, veniamo interrotti.
Qualcuno bussa alla porta. Io non posso evitare di alzare gli occhi al
cielo e non riesco a reprimere un gemito di esasperazione; a quanto pare però
la mia reazione diverte Kurt, che scoppia in una breve risata prima di
allontanarsi da me e andare ad aprire la porta.
Sull’uscio c’è Carole, che ci guarda con un sorriso dispiaciuto.
«Scusate se vi disturbo sempre ma… il dolce mi è
esploso nel forno. Quindi niente dolce.» Abbassa lo sguardo e a me viene da
ridere quando mi rendo conto che forse teme una delle sfuriate alla “tutto-deve-essere-perfetto” di Kurt.
E infatti, Kurt fa tempo ad aprire la bocca per lamentarsi, ma io lo
interrompo subito, facendo un passo avanti e posando una mano sul braccio di
Kurt. «Non preoccuparti, magari c’è qualcosa che può essere salvato.» Dico con
fare esperto. «Scendiamo a vedere.»
Vedo Kurt rivolgermi un’occhiata stranita, ma segue me e Carole in cucina,
che è ora vuota. Dal salotto sento venire i rumori di una partita di baseball,
quindi immagino che Burt sia lì a guardare la televisione.
Effettivamente, dopo un’attenta analisi del dolce nel forno, mi rendo conto
che non c’è nulla che possa essere salvato. Nel vedere l’espressione
dispiaciuta di Kurt, mi intenerisco e decido di mettermi all’opera. Dopotutto,
non potrei mai sprecare un’occasione del genere: riportare il sorriso sul viso
di Kurt, rendendo di nuovo tutto perfetto come vorrebbe lui, e soprattutto
mettermi in buona luce con Carole.
Perciò mi tiro su le maniche e mi rivolgo a Carole. «Hai quattro uova, del
mascarpone, del caffè e dei biscotti?»
La donna mi fissa stranita per un attimo, ma poi si appresta a prendermi
tutto ciò che mi occorre per preparare un tiramisù. E, senza guardare nessuno
negli occhi, inizio a darmi da fare. Sto sbattendo le uova quando tuttavia sono
costretto a rialzare lo sguardo, sentendomi osservato: sia Kurt sia Carole mi
stanno fissando.
«Sai cucinare?» mi chiede Kurt, sconvolto.
Ridacchio, mentre sento un lieve rossore salirmi sul collo e diffondersi
sulle guance. «Non proprio. So cucinare alcune cose, tra cui il tiramisù; è quello
che sto preparando adesso.»
Lui si limita a fissarmi con un’espressione estatica sul volto. E rimane così
per buona parte della preparazione, finché la voce di Finn
non lo richiama al piano di sopra; da quanto ho capito, deve essere successo
qualcosa con un vestito di Kurt e un lavaggio sbagliato nella lavatrice. Lo
sguardo terrorizzato di Kurt spinge me e Carole a scoppiare a ridere, e a
continuare imperterriti quando Kurt, con una scusa, si precipita correndo fuori
dalla cucina.
Rimasti soli, io riprendo il lavoro dove mi ero interrotto, sotto lo
sguardo attento di Carole. Ora che siamo solo noi due, mi riprende l’ansia;
forse è il caso che io le parli adesso. Ma sarebbe giusto farlo senza Kurt
presente?
«Mi sa che Kurt si è trovato un ottimo fidanzato…
Sai addirittura cucinare!»
Alzo di scatto lo sguardo, cercando di trattenere la mia mascella, che
stava di nuovo calando a terra. Ottimo, a quanto pare non devo preoccuparmi di
cosa, o se, dire qualcosa a Carole; ha fatto tutto da sola.
«Cosa… come lo hai capito?» chiedo, sconvolto.
Lei mi rivolge di nuovo lo stesso materno sorriso che mi aveva rivolto
prima di pranzo e fa il giro del tavolo, venendo a posizionarsi accanto a me e
aiutandomi a inzuppare i biscotti nel caffè e a sistemarli lungo la teglia.
Resta in silenzio per un po’ – e nel frattempo io pendo dalle sue labbra per
avere una risposta – finché, senza guardarmi negli occhi, riprende a parlare.
«Si vede da come lo guardi.» La osservo, mentre mi tornano in mente le
parole di David. «Hai gli occhi che brillano, segui ogni suo spostamento, pendi
dalle sue labbra quando parla e cerchi ogni possibile contatto con lui, seppur
piccolo.»
Arrossisco nel sentire le sue parole. Non pensavo di essere così palese.
«Lui, d’altronde, fa lo stesso con te. E dopotutto,» e questa volta alza lo
sguardo su di me e mi rivolge un occhiolino, «vi ho quasi sorpresi a baciarvi.»
Ok, adesso credo di essere passato da un semplice rosso a uno scarlatto.
Sono estremamente imbarazzato, ma allo stesso tempo sono felice che l’abbia
presa così bene. Pensavo di dovermi impegnare molto di più, ma alla fine sembra
stia facendo tutto da sola; perciò, senza sapere perché, mi ritrovo a parlare
anche io.
«Stiamo insieme da una settimana.» Mi trovo a specificare. «Kurt…» faccio una pausa, alzando la testa e guardando il
soffitto, «Lui è sempre stato molto importante per me, fin da subito ho sentito
che il nostro legame era più forte di qualsiasi altro avessi mai sperimentato
in vita mia. Mi spiace solo di averci messo troppo a capire che quello che
provavo non era solo una semplice amicizia, forte certo, ma pur sempre un’amicizia.»
Abbasso lo sguardo, mentre un sorriso mi si dipinge sulle labbra. «Non posso
fare a meno di lui, né voglio. Non so se lo ha capito, ma lui mi da tanta
forza. E io… sono felice quando sto con lui.»
«E lui lo è con te.» Mi interrompe Carole, continuando a sistemare i
biscotti. «Non l’ho mai visto così felice e spensierato. E il merito mi sa che
è tutto tuo.»
Arrossisco di nuovo quando lei mi rivolge un altro dei suoi sorrisi. Credo
mi sia inevitabile, ormai; e sentirsi dire quelle parole da qualcuno di
esterno, mi ha totalmente destabilizzato. La felicità di Kurt dipende anche da
me, perciò mi impegnerò per fare in modo che lo sia, il più possibile.
Finiamo di preparare il dolce in silenzio, e quando è pronto lo cospargo di
cioccolato in polvere, prima di metterlo in frigo. Saluto Carole e, su suo
suggerimento, raggiungo Kurt nella sua stanza.
Mentre salgo le scale, ripenso alle parole di Carole; è stata davvero
gentile, e il fatto che abbia capito di me e Kurt semplicemente osservandoci mi
fa chiedere se per caso lo stesso valga con Burt. Sento di nuovo tornare
l’ansia. Anche se mi resta solo più un membro della famiglia con cui parlare,
mi resta certo la persona più difficile.
Ma ora che so quanto si veda il mio amore per Kurt, niente può fermarmi.
Ora che so che la sua felicità dipende da me, niente mi distoglierà dai miei
obiettivi.
Quando apro la porta della sua stanza, lo trovo seduto per terra,
circondato da una miriade di vestiti dai mille colori diversi, probabilmente
intento a sistemare tutto o a cercare qualcos’altro da abbinare al capo che,
con ogni probabilità, è andato rovinato. Non appena mi vede, Kurt si alza in
piedi e mi raggiunge.
E io non so di nuovo cosa mi prenda. Non so se siano i suoi capelli un po’
in disordine a dargli un’aria diversa da quella cui sono abituato, un’aria più
sbarazzina; o se è colpa delle labbra, rosse a causa del suo continuo
mordersele; o se siano le sue guance arrossate dal caldo; o se siano i miei
ormoni impazziti e il desiderio che ho di premere il mio corpo contro il suo,
di toccarlo; o se sia un semplice
modo per spezzare la tensione che mi attanaglia le viscere per ciò che mi
attende tra poco con Burt; o se sia un modo per dimostrare l’euforia che mi ha
preso a causa delle parole di Carole. Forse è un insieme di tutte queste cose.
Mi fiondo sulle sue labbra e non mi sforzo nemmeno di reprimere il verso di
vittoria che mi esce dalla gola quando finalmente incontro le sue, pronte ad
accogliermi. A quanto pare, anche lui aveva il mio stesso bisogno. Infatti, in
meno di un attimo, le mie mani hanno iniziato a vagare sul suo collo e le sue
si sono intrecciate nei miei capelli, premendomi ancora di più contro la sua
bocca.
Un gemito gli sfugge quando, gentilmente nonostante la passione che entrambi
stiamo mettendo nel bacio, gli faccio dischiudere le labbra, lasciandomi libero
accesso alla sua bocca e permettendo alle nostre lingue di intrecciarsi e
giocare tra loro.
Io faccio un passo in avanti, avvicinandomi ancora di più a lui e nel
frattempo spingendolo verso la scrivania alle sue spalle; continuo ad avanzare,
finché non lo sento sbattere contro la scrivania. Ora non può più spostarsi,
non può più indietreggiare. Sono riuscito a chiuderlo in un angolo, dove non
può sfuggirmi; e la cosa mi rende estremamente euforico, soprattutto quando poi
mi rendo conto che a lui non dispiace affatto.
Le mie mani continuano a vagare sul suo collo e sulle sue spalle, finché
non ci stacchiamo, entrambi in cerca d’aria. Abbiamo tutti e due il respiro
affannato mentre ci guardiamo negli occhi, sconvolti da quanto abbiamo appena
fatto: non ci siamo mai baciati con tutta questa enfasi e di certo a nessuno
dei due è dispiaciuto.
E poi, sento una sua mano accarezzarmi il collo e scendere fino a fermarsi
all’altezza del cuore, proprio dove l’avevo messa io neanche un’oretta fa. Il
respiro mi si mozza in gola, mentre vengo di nuovo percorso dai brividi che mi
causa il calore della sua mano sul mio petto; e so di essere prossimo
all’infarto quando lo vedo avvicinarsi a me. Mi sta fissando le labbra
insistentemente, quasi come se me le volesse mangiare.
È lui a catturare le mie labbra con voracità questa volta, e io lo lascio
fare, fiero della sua presa di posizione, ma soprattutto, succube. Man mano che
il bacio si approfondisce, le mani sul mio petto diventano due, e io non posso
fare a meno di scendere a stringergli un fianco, succhiandogli il labbro
inferiore con i denti.
Ed è in quel momento, quando sento nascere un gemito roco in fondo alla
gola e quando mi rendo conto che, con ogni probabilità, mi sto eccitando, che
la porta della camera di Kurt si apre e fa il suo ingresso l’ultima persona che
avrei voluto ci vedesse così: io che schiaccio Kurt contro la scrivania, le
mani sui suoi fianchi, mentre ci divoriamo la bocca a vicenda.
I nostri sguardi si spostano su Burt i cui occhi, potrei giurarlo, stanno
mandando scintille.
Fantastico, sono morto…
«Papà!» urla Kurt con un tono di voce talmente acuto che quasi fa male. Mi
allontano da lui come se scottasse – o come se le saette che partono dagli
occhi di Burt avessero raggiunto la mia mano che fino a pochi secondi prima era
posata sul fianco del figlio.
Burt non considera l’urlo di Kurt e il suo sguardo rimane fisso nel mio;
sto cominciando ad avere le gambe che tremano per la paura e l’agitazione.
«Ho bisogno di parlare con Blaine.» Dice, gelido.
«Da solo.» Aggiunge poi, come se non fosse stato abbastanza chiaro. Poi mi fa
cenno di seguirlo.
Faccio qualche passo in avanti, lanciando un’ultima occhiata a Kurt che
sembra non volermi lasciare andare; almeno, se fra poco dovrò morire, avrò
avuto un ultimo, entusiasmante bacio con Kurt.
«Non ti preoccupare figliolo, non ho intenzione di ucciderlo.» Continua
Burt, cercando di usare un tono sarcastico. Kurt si ferma e mi lascia andare
col padre, che mi conduce giù per le scale per arrivare infine al salotto, dove
ora la televisione è spenta. Si chiude la porta alle spalle e si volta a
fronteggiarmi.
Io sono spaventato a morte e non capisco perché. So bene che Burt non mi
ucciderà, non è mica un pazzo; però allora non so spiegarmi il motivo per cui
desidero così ardentemente che lui approvi la mia relazione con Kurt. Ed è
questo il fatto. Non solo desidero che lui approvi la relazione di Kurt con me,
ma anche il viceversa; e sono due cose ben diverse.
«Ascolti, mi dispiace per quello che –» inizio a dire.
Ma lui alza una mano, interrompendomi. «Non preoccuparti Blaine. Quello a cui ho assistito, non è altro che una
semplice dimostrazione di affetto tipica delle relazioni in generale e dei
ragazzi della vostra età in particolare.» Io resto muto a fissarlo, in attesa
che continui. «Finché cercherete di frenare certi impulsi, per me andrà bene.»
Annuisco, capendo perfettamente cosa vuole dire. Sapevo che il discorso sul
sesso sarebbe uscito, soprattutto visto l’ultimo – nonché primo – discorso che
ho avuto da solo con quest’uomo; e ora che sono diventato il ragazzo di suo
figlio, è più che normale che lui voglia indagare. Tuttavia non mi aspettavo
che sarebbe venuto fuori in questo modo, e soprattutto in quest’ordine.
Mi rendo conto che ora Burt mi sta fissando, aspettandosi che sia io a
parlare.
«Io e Kurt stiamo insieme.» Esordisco, constatando l’ovvio.
Burt solleva un sopracciglio e mi rivolge un sorrisetto sarcastico. «Non
l’avevo capito!»
«Ehm… sì, io… noi…» sono imbarazzato da morire e soprattutto ho paura.
Davvero tanta. Così tanta che non riesco neanche a parlare, facendo una pessima
figura col padre del mio fidanzato.
E poi, succede una cosa che non mi sarei mai e poi mai aspettato. Burt si
avvicina a me, mi posa una mano sulla spalle e mi guarda con un’espressione che
sembra… preoccupata? Possibile che sia davvero
preoccupato? E per chi poi? Per Kurt o per me?
«So quanto tieni a Kurt, anche un cieco lo vedrebbe.» Deglutisco e continuo
a fissarlo, incapace di distogliere lo sguardo. «E so che, dato che tieni a
Kurt, non vorrai affrettare le cose.»
Questo, più che una constatazione, sembrava un avvertimento. Ma io non ho
nessunissima intenzione di correre con Kurt, nonostante mi piacerebbe molto.
Tuttavia non è questo il momento né il luogo in cui pensare a una cosa del
genere.
«Però io vorrei sapere… tu stai bene, Blaine?»
Rimango totalmente spiazzato da quella domanda. Perché Burt mi sta
chiedendo una cosa del genere? Certo che sto bene, non sono mai stato più
felice in tutta la mia vita! Ora ho Kurt, ed è la cosa migliore che potesse
capitarmi. Però a quanto pare non è questo a cui si riferiva Burt, perché
aggiunge un’altra domanda che ha il potere di spezzarmi dentro e di far uscire
tutti i brutti pensieri che avevo cercato di contenere per quella giornata, o
per tutte le altre.
«Come va con i tuoi genitori? Loro non ti…
aiutano, vero?»
Io mi limito a un cenno di diniego con la testa. Ho abbassato gli occhi
adesso, incapace di sostenere il suo sguardo e soprattutto di mostrarmi così
debole ai suoi occhi. Miseria, dovrei essere io a difendere Kurt, e invece sto
dimostrando una debolezza che so di avere, ma che consideravo nascosta dietro
la mia armatura.
«No, fin da quando lo hanno scoperto, non sono più stati gli stessi.» Alzo
le spalle, per sminuire la cosa. «Ho imparato a cavarmela da solo.»
Burt fa una smorfia adesso, come se si stesse trattenendo dal dire
qualcosa. Poi, dopo alcuni secondi di silenzio, mi chiede, «Hai avuto una brutta
esperienza con il sesso?»
Spalanco gli occhi, sconvolto, arrossendo all’istante. Anche Wes mi aveva fatto la stessa domanda quando gliene avevo
parlato e, proprio come avevo fatto in precedenza, anche ora mi impegno a
spiegare la cosa.
«No, no! Solamente ho dovuto cercare da solo tutte le informazioni, per non
arrivare impreparato a qualsiasi cosa fosse potuta accadere, bella o brutta.»
Mi fermo un attimo, per poi riprendere. «Comunque no, non mi è successo nulla.
Volevo solo avere qualcuno con cui poterne parlare, ed è per questo che ho
insistito tanto con lei a proposito di Kurt.»
Rimaniamo in silenzio a osservarci per qualche minuto; mi sembra di avere
la testa che scoppia a causa di tutti i miei pensieri confusi. Ma tra tutti, ce
n’è uno che spicca più di altri. E glielo dico.
«Kurt è fortunato ad avere un padre come lei.» Sussurro, quasi come se non
volessi farmi sentire. Ma in questa stanza ci siamo solo noi due, c’è assoluto
silenzio e quindi Burt sente che cosa ho appena detto. Peccato che poi sia
costretto a sgranare gli occhi quando la risposta dell’uomo arriva alle mie
orecchie.
«Kurt è anche fortunato ad avere te.» Sorride nel vedere la mia
espressione. «Sei molto importante per lui, e lui lo è per te. Sono certo che
le cose tra voi andranno bene, me lo sento. Sono felice che vi siate trovati.»
Ed è solo in questo momento, quando sento le sue parole, che sento
andarsene non solo la tensione che mi ha attanagliato lo stomaco per tutto il
giorno, ma anche la tristezza per il fatto che io non ho un padre come Burt. E
capisco anche che era per questo motivo che per me l’opinione di Burt era importante,
perché in realtà, una piccola parte di me, lo considera come una sottospecie di
mentore, di padre adottivo, di qualcuno cui guardare in cerca di consigli. Sarà
la sua figura paterna, non lo so; ma so che volevo sentire la sua approvazione.
«Bene, ora andiamo a mangiare il dolce che hai preparato!» dice, perdendo
il tono burbero e serio con cui finora si è rivolto a me. Ma prima di lasciare
la stanza, lui certamente più tranquillo e io col cuore infinitamente più
leggero, mi ferma di nuovo, e mi dice una cosa che non mi aspettavo di sentirmi
dire, ma che speravo dicesse, con tutto me stesso.
«In caso ti servisse qualcosa, qualsiasi cosa, sai dove trovarmi. In caso
avessi bisogno di parlare, o di sfogarti, la mia porta è sempre aperta.»
Gli sorrido, riconoscente. «Grazie, signor Hummel.»
Dico con enfasi.
«Chiamami Burt e dammi pure del tu.» Dice lui aprendomi la porta – dietro
la quale troviamo Kurt e Carole che camminano avanti e indietro per il
corridoio, fingendosi indaffarati a fare qualcosa.
Burt alza gli occhi al cielo e si dirige in cucina, seguito da Carole,
mentre Kurt si avvicina a me. Quando passa vicino al padre però, gli rivolge
un’occhiata felice e un sorriso in grado di sciogliere i ghiacci. Ed è con lo
stesso sorriso che poi si rivolge a me, prendendomi per mano e rimanendo
semplicemente a fissarmi.
«E’ andata bene,» dico infine, facendolo ridere.
«Oh sì, più che bene!» risponde lui avvicinandosi a me e rubandomi un bacio
a fior di labbra, prima di dirigersi in cucina, trascinandomi con sé.
Quando entriamo in cucina, mano nella mano, tutti e tre – Carole, Finn e Burt – si fermano a fissarci e sorridono alla vista
delle nostre mani giunte. Io non posso fare a meno di gongolare nel vedere le
loro espressioni, limitandomi a stringere un po’ più forte la mano di Kurt, che
ricambia la mia stretta.
E mentre mangiamo il mio dolce, con Finn e Carole
che si complimentano con me per le mie doti in cucina e Burt e Kurt che si
limitano a dei sorrisi stratosferici, mi sento quasi come se fossi in famiglia.
La mia famiglia.
NOTE:
Qui è Pachelbel che vi parla…
Innanzitutto dovrei scusarmi per la lunghezza di questo capitolo, è venuto
esageratamente lungo. E sinceramente non so nemmeno spiegarne il motivo!
Inoltre, altre scuse sono d’obbligo: l’immenso ritardo con cui ci stiamo
trovando a postare ultimamente. Davvero, ci spiace tanto! È che tra la scuola
(della Alch) l’università (mia) e gli esami, qui si sclera…
Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Credo che nonostante tutto, sia
uno dei miei preferiti! =) Mi piacerebbe molto sapere che tipo di rapporto
hanno Burt e Blaine – e l’assaggio che ci è stato
dato nella 3x11 (Who’s gonna tell Blaine? You gotta let me do it! ADORABLE!) mi
ha letteralmente fatto AWWare... *__*
Prima di passare ai ringraziamenti, volevo solo dire che io e la Alch abbiamo partecipato a un contest indetto da Somochu
e MissBlackspots
con due storie intitolate Oblio di mie
pene e di me stesso (mia) e Someone like you
(della Alch), classificatesi rispettivamente
prima e quarta… Magari vi va di darci un’occhiata?
*__* Ci piacerebbe conoscere i vostri pareri.
Infine, ci tengo davvero a ringraziare tutti i lettori affezionati che
continuano a recensire ogni capitolo: non lo sapete neanche quanto ciò ci renda
felici. E un sentito grazie anche a tutte le persone che leggono, seguono,
ricordano e preferiscono ♥
Alla prossima! E cercheremo di aggiornare un po’ più velocemente! =)