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Autore: Alchbel    04/02/2012    15 recensioni
La storia si propone di ripercorrere con voi le tappe del rapporto tra Blaine e Kurt, soffermandosi sui pensieri che i due hanno avuto durante le canzoni che li hanno visti protagonisti... Verranno inoltre inseriti dei “missing moments” attraverso i quali si indagherà ancora sulle dinamiche del loro rapporto. Enjoy!
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ Klaine Songs ~

 

 

 

25°_ Raise your glass ~ Blaine

~ Quando temi che il padre del tuo fidanzato possa staccarti la testa a morsi ~

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Right right, turn off the lights
We gonna lose our minds tonight
What's the dealio?
I love when it's all too much
5 AM turn the radio up
Where's the rock and roll?

 

Riprendo subito a cantare la nostra prossima canzone – Pink, come potevo non proporre una delle sue creazioni? – cercando di metterci quanto più impegno possibile e soprattutto tentando di concentrarmi al massimo su quello che sto facendo in questo momento.

 

Peccato che sia ancora tutto preso da Kurt, dal duetto che abbiamo appena finito di cantare, da Kurt, dal modo in cui mi guardava, da Kurt, dal suo sorriso, da Kurt, dal calore che sono riuscito a sentire quando mi sono avvicinato a lui per portarlo sotto i riflettori, da Kurt, dal suo profumo e… ho già detto da Kurt?

 

Lo so, lo so… sono pessimo. Ma non è colpa mia se non riesco a fare a meno di pensare a Kurt.

 


Party crasher, panty snatcher
Call me up if you are gangsta
Don't be fancy, just get dancey
Why so serious?

 

Già, pensare a Kurt… ed essere serio. Ci credo che lo sono! Prima in pullman, mentre venivamo qui, mi ha del tutto spiazzato invitandomi a casa sua per la prossima domenica. È stata davvero una sorpresa, non me lo aspettavo proprio. Non so in che veste mi presenterà a suo padre e a Carole, soprattutto dal momento che sospetto che Finn sappia già tutto…

 

Anderson, questo non è il momento di preoccuparsi! Te ne occuperai in seguito. Piuttosto, pensa a cantare e a impegnarti al massimo per portare a casa quel trofeo!

 


So raise your glass if you are wrong
In all the right ways
All my underdogs, we will never be, never be
Anything but loud
And nitty gritty dirty little freaks
Won't you come on, and come on, and
Raise your glass
Just come on and come and
Raise Your Glass!

 

Continuo a cantare, facendo uscire quanta più voce possibile. Volteggio intorno ai miei compagni, seguendo i passi previsti dalla coreografia, cercando il più possibile di pensare solo a poche cose: i passi, le parole e basta. E pian piano, l’idea che quel trofeo possa davvero essere nostro, che potremmo andare alle Nazionali, mi fa stringere lo stomaco in una morsa.

 

Non ci ho mai pensato veramente in quest’ultimo periodo, le mie attenzioni erano tutte focalizzate su Kurt. Certo, sapevo che avremmo dovuto esercitarci per vincere alle Regionali, e difatti è quello che abbiamo fatto. Ma il mio pensiero di base è sempre stato Kurt.

 


So if you're too school for cool
And you're treated like a fool (like a fool)
You could choose to let it go
We can always, we can always
Party on our own...

 

Ora che però mi ritrovo qui, a un passo dal poter effettivamente vincere… sento un brivido di eccitazione scorrermi lungo la schiena. Vincere ci farebbe estremamente bene, sia a livello emotivo sia da un punto di vista scolastico. Alla Dalton tengono in gran considerazione il nostro gruppo e l’arrivare alle Nazionali certamente ci permetterebbe di ottenere dei punteggi in più quando poi ci troveremo a dover fare domanda per il college – momento che, per quanto mi riguarda, è davvero remoto.

 

E infine, le Nazionali quest’anno si terranno a New York e io smanio all’idea di andarci. Sarebbe davvero spettacolare trascorrere dei giorni lì con tutto il gruppo – in particolar modo con Kurt.

 

Un sorriso mi si dipinge sul volto mentre continuo a cantare con quanto fiato ho in corpo, mentre varie immagini cominciano a formarmisi in testa.

 

Io e Kurt per mano, in giro per le strade di New York. Il suo sorriso e i suoi occhi luminosi che spiccano a Times Square. Il suo sguardo, un misto di stupore e commozione, a Broadway. E infine, il sorriso che rivolgerebbe a me, e a me soltanto.

 


So raise your
So raise your glass if you are wrong
In all the right ways
All my underdogs, we will never be, never be
Anything but loud
And nitty gritty dirty little freaks

 

Quell’immagine resta fissa nella mia mente, mi si imprime quasi sulla retina – non riesco a scacciarla via. E improvvisamente, lo sfondo che faceva di contorno al suo viso – le insegne luminose delle strade di New York – si trasformano e diventano i contorni della sala studio della Dalton, per poi cedere il posto al bianco dei cuscini dei nostri letti e diventare infine i contorni sbiaditi di una cucina che non conosco.

 

Capisco che non importa di dove saremo, l’unica costante è il sorriso che Kurt mi rivolge. Ed è solo questo l’importante: Kurt.

 


Won't you come on! and come on! and
Raise your glass
Just come on and come and
Raise your glass
Won't you come on! and come on! and
Raise your glass
For me

 

Non importa se vinceremo o meno. Certo, ci tengo davvero tanto a vincere le Regionali, ma anche se non dovesse succedere, non mi dispererò. Perché vincere le Regionali significherebbe solo vincere un mero e freddo trofeo, di cui magari non conserverò alcun ricordo quando sarò vecchio.

 

Sento di aver vinto qualcosa di molto più importante, ne ho la certezza. Ho vinto Kurt.

 

E nel momento in cui vedo Kurt sorridermi dall’altro lato del palco, correre verso di me e abbracciarmi davanti a tutti, sento che è questa la vittoria più grande che potessi ottenere.

 

 

~ ∞ ~

 

Le mani quasi tremano per l’agitazione nel momento in cui mi ritrovo davanti allo specchio della mia camera della Dalton a sistemare al meglio il mio papillon. Perché diamine ho deciso di metterne uno? Perché ho deciso di dover essere ben vestito per questo pranzo? E se andasse a finire che sarò l’unico vestito elegante? No, dai, di questo non devo preoccuparmi. Kurt sarà vestito di tutto punto, come è solito fare.

 

Ed ecco un’altra cosa che mi piace di Kurt: notare quante migliaia di capi di abbigliamento possiede, ognuno più bello dell’altro. O meglio, qualsiasi cosa lui indossi, per me sarebbe sempre stupendo, però ogni volta riesce a sorprendermi con outfit sempre nuovi e diversi. Sto cominciando a non sopportare quella divisa che lo nasconde fin troppo, quel blazer che non gli si appiccica addosso come invece fanno i suoi soliti maglioni lunghi, o quei pantaloni che certamente non sono stretti quanto quelli che è abituato a indossare. Io amo i suoi pantaloni stretti, lo fanno sembrare un essere etereo e bellissimo, slanciandogli le gambe e mettendogli in mostra il…

 

Blaine Anderson, fermati immediatamente! A cosa diamine stavi pensando, si può sapere?!

 

Fortunatamente vengo salvato in extremis dall’imbarazzo in cui mi ero cacciato da solo da Wes e David, che fanno capolino nella stanza che divido con Kurt. Devo trovare un modo per evitare che chiunque possa entrare nella nostra stanza senza avvisare – non vorrei che trovassero me e Kurt in situazioni poco…

 

Ancora, Anderson?! La vuoi smettere di pensare al tuo fidanzato in quei termini? Sai benissimo che Kurt non approverebbe e d’altronde neanche a te sembra il caso di affrettare le cose, giusto? Non vuoi rovinare tutto e soprattutto, benché tu ti spacci per uomo vissuto, non lo sei affatto. Chissà se poi saresti in grado di fare il primo passo, se ti trovassi davvero nella possibilità di farlo.

 

L’immagine sfocata di un Kurt con uno sguardo penetrante a me indirizzato mentre mi si avvicina carponi sul letto fa improvvisamente capolino nella mia mente. Un sorriso malizioso mi si dipinge sulle labbra, finché…

 

«Blaine, sei sicuro di star bene?»

 

Sobbalzo nel sentire la voce di Wes che mi richiama, mentre metto bene a fuoco prima una mano che sventola a pochi centimetri dal mio naso, e poi lo sguardo stranito dei miei due amici, qualche passo più in là. Mi guardano come se si stessero chiedendo cosa c’è di sbagliato in me. Effettivamente me lo sto chiedendo anche io.

 

«Sì, sì, sto bene» mi affretto a rispondere prima che Wes e David decidano di portarmi direttamente in un centro di cura per malattie mentali. Devo avere davvero un’espressione da idiota.

 

«A giudicare dalla tua espressione non sembra» risponde David facendo un passo avanti ed esaminandomi con fare medico. «Sei passato dal rosso imbarazzato a un sorriso ebete nel giro di qualche secondo.»

 

Io abbasso lo sguardo e torno a concentrarmi sul mio riflesso allo specchio, finendo di sistemarmi il farfallino. Non dico nulla – non ci sarebbe nulla da dire che potrebbe giustificare il mio strano comportamento – e passo poi a dedicarmi ai capelli, costretti come al solito sotto quintali di gel. I miei due amici continuano a rimanere in piedi dietro di me, a fissarmi con uno strano sorriso sulle labbra.

 

Quando alla fine mi reputo conciato abbastanza decentemente per andare a conoscere i genitori del ragazzo di cui sono innamorato – che poi li conosco già, ma questa volta sarà completamente diverso – mi volto verso Wes e David, squadrandoli da capo a piedi. Hanno due espressioni che non mi convincono affatto.

 

«Si può sapere che avete da guardare con quei sorrisetti inquietanti?» dico incrociando le braccia al petto.

 

I due si guardano per un attimo, sospirando, finché poi David mi rivolge due occhioni lucidi e dice, «Sono così fiero di te!»

 

«Già, stai diventando grande…» aggiunge Wes con un dolce sorriso sul volto.

 

«Il nostro Blaine sta crescendo…» dicono infine in coro.

 

A quell’uscita, non posso fare a meno di alzare le sopracciglia e lasciare che la mia mascella cada a terra, continuando a fissarli imbambolato. Non so se prendermela per il fatto che mi considerino alla stregua di un bambino, o se gongolare del fatto che mi considerino il loro figlio. Il primo di una lunga serie… Non mi stupisco neanche poi tanto quando si afferrano entrambe le mani, stringendosi l’uno all’altro con degli sguardi commossi.

 

Alzo gli occhi al cielo e tiro un sospiro. «Sì, va bene. Io sono vostro figlio e voi due i miei genitori. Qualche consiglio utile?»

 

Non mi faccio nemmeno assalire dalla tristezza che dire questa frase mi ha messo in corpo. O meglio, non le permetto di prendere possesso delle mie intere sensazioni. Non permetterò che mi rovinino questa giornata, né loro né il pensiero che ho di loro. Ho sempre saputo che i miei genitori non sarebbero stati al mio fianco quando un giorno come questo sarebbe arrivato; perciò mi accontento di quello che ho. E, fissando i miei due migliori amici – che hanno entrambi inclinato la testa con uno sguardo preoccupato sul volto dal momento che, lo so, hanno capito che cosa mi sta passando per la testa in questo istante – posso anche affermare di essere fortunato.

 

Tutti e tre restiamo a fissarci per un interminabile periodo di tempo finché, proprio come mi aspettavo, Wes dice, «Non farti prendere dal panico e soprattutto evita di guardare negli occhi il padre di Kurt. Potrebbe approfittarne e incuterti ancora più paura, costringendoti ad issare bandiera bianca e allontanarti da Kurt.»

 

Stringo i pugni anche solo a sentire quella frase. Non permetterò a nessuno di allontanarmi da Kurt, di mettersi in mezzo a noi. A nessuno.

 

Non faccio in tempo a replicare che David, con la sua solita calma che tanto lo contraddistingue, dice, «Tu comportati naturalmente e cerca di stare rilassato. Agitarsi peggiora sempre le cose.»

 

«Già, è vero. Alla fine l’importante per quelle persone è che tu non voglia prendere in giro Kurt; vorranno avere le prove che ci tieni davvero.» Si intromette Wes.

 

«E non è complicato da capire. Basta osservare i tuoi occhi quando lo guardi.» Conclude David.

 

Io non posso fare a meno di sorridere, mentre sento una strana sensazione in gola, un groppo, come se stessi per piangere. A volte mi domando che cosa io abbia fatto di buono per meritare degli amici come loro, che mi stanno vicino senza giudicarmi e senza chiedere nulla in cambio. Sono fantastici.

 

Senza pensarci due volte, faccio una cosa che non sono abituato a fare. Mi sporgo verso di loro e li stringo in un abbraccio. E quando anche loro mi ricambiano, mi sento proprio un bambino che viene abbracciato dai suoi genitori, non solo per un mero fatto di altezza, ma perché con loro mi sento protetto. In questi anni, sono diventati la mia famiglia.

 

Quando ci separiamo, Wes combatte l’imbarazzo in cui siamo caduti sdrammatizzando, come sempre, e dice, «Ah, anche un’altra cosa, nano maleficamente ingellato: non guardare troppo Kurt e non fare pensieri strani su di lui. I genitori, in particolar modo i padri, hanno una specie di radar quando si tratta di sesso.»

 

Arrossisco immediatamente alle sue parole, ripensando alle immagini ben poco caste che mi erano venute in mente giusto qualche minuto fa. Dovrò cercare di controllarmi se non voglio che Burt mi stacchi la testa a morsi.

 

Senza dilungarmi oltre in chiacchiere che hanno il solo scopo di mettermi in imbarazzo e farmi preoccupare più di quanto credessi possibile, li saluto con una pacca sulla spalla ciascuno ed esco dalla stanza, afferrando le chiavi della macchina al volo. Mi precipito giù per le scale, cercando di non pensare a cosa dovesse succedere se arrivassi in ritardo a casa di Kurt. Nel mio percorso fino alla macchina mi imbatto in parecchi Warblers, che mi fanno tutti gli auguri per il pranzo da Kurt; inutile, c’è poco da fare: i maschi, etero e non, sono più pettegoli delle ragazze, se si trovano in certe situazioni.

 

Arrivato finalmente alla macchina, cerco di rilassarmi e perciò inserisco l’ultimo cd di Katy Perry. Fortunatamente la sua voce ha l’effetto sperato: tempo pochi minuti che mi sono già tranquillizzato un po’, tanto che mi metto persino a cantare a squarciagola, tamburellando anche un po’ con le dita sul volante seguendo il ritmo della canzone.

 

Quasi non mi rendo conto quando arrivo a casa di Kurt. Freno bruscamente davanti al giardino di casa sua e guardo verso quella che so essere la finestra della sua stanza; mi è persino sembrato di vedere la tenda muoversi di scatto, ma non vorrei sbagliarmi.

 

Quando spengo la musica e infine il motore, vengo di nuovo assalito dall’ansia. E se dovessi stare antipatico al padre di Kurt? D’altronde, la prima volta che mi ha visto, alla partita del McKinley, non abbiamo poi parlato tanto; la seconda volta mi ha trovato nel letto di Kurt, e io non ero in grado nemmeno di mettere in fila una frase con un senso compiuto. E la terza volta gli ho praticamente ordinato di parlare al figlio di sesso. No. No, non credo di stargli affatto simpatico.

 

Reprimo un gemito, dandomi dello stupido per come mi sono comportato in precedenza con Burt. Come mi sono permesso di rivolgermi a lui con un tono così… superiore? Come ho anche solo osato venire a parlare con lui di un argomento tanto delicato?

 

Però, ripensandoci, se non fossero successe tutte quelle cose, io non sarei dove sono ora. Io non avrei capito di essere innamorato di Kurt e noi non saremmo mai stati insieme. Nonostante tutte le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare, siamo riusciti a trovarci e stare insieme. Perciò, affronteremo anche questa, e ne usciremo a testa alta, come abbiamo sempre fatto.

 

Stringo i pugni ed esco dalla macchina, chiudendola, per poi avviarmi per il loro vialetto, dritto verso lo spesso portone. Tempo pochi attimi che me lo ritrovo davanti. Alzo una mano tremante per suonare il campanello, poi chiudo gli occhi e prendo un profondo respiro.

 

Courage, Anderson!

 

Suono. E subito dopo sento dei passi pesanti avvicinarsi oltre la porta, che viene poi spalancata con forza. Di fronte a me c’è Finn, infagottato in una camicia bianca che non è affatto nel suo stile; sono certo che in qualche modo c’entri lo zampino di Kurt.

 

Sorridiamo entrambi imbarazzati mentre lui mi fa cenno di entrare, indietreggiando. Io entro con fare titubante in casa, salutandolo. Non è la prima volta che vengo qui, ma ora sembra tutto diverso.

 

«Ehi amico, dammi pure la giacca!» mi fa Finn, cercando di mettermi a mio agio con un largo sorriso.

 

Lo ringrazio con gli occhi, togliendomi la giacca e porgendogliela. Dalla cucina sento provenire dei rumori di posate e pentole – immagino che Carole stia cucinando. Il mio sguardo però viene attirato dalle foto appese lungo tutte le pareti. Mi avvicino un po’ per osservarle meglio.

 

In una si vede Finn bambino, con indosso un elmetto da militare, mentre è seduto alla batteria; sta sorridendo verso l’obiettivo. Mi nasce spontaneo un sorriso, mentre mi giro a osservare Finn dietro di me, che non ha smesso un attimo di seguire i miei movimenti.

 

«Le vecchie abitudini sono dure a morire, vero?» gli chiedo per spezzare un po’ il ghiaccio. Ma il ragazzone mi fissa con un’espressione stranita, inclinando la testa di lato e dicendo, «Eh?”

 

Scuoto la testa, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. Kurt mi aveva avvertito del fatto che Finn non avesse tutto questo acume, o almeno per la maggior parte del tempo. Così mi limito a spiegare.

 

«Kurt mi ha detto che suoni la batteria. A quanto vedo la suonavi fin da piccolo.»

 

Devo aver fatto centro, perché il ragazzo di fronte a me si apre in un sorrisone. «Sì, mi è sempre piaciuta tanto! Mi rilassa suonare la batteria, scarico tutto ciò che provo.»

 

«Immagino,» commento mentre passo poi alla foto successiva, che raffigura Carole e Burt il giorno del matrimonio.

 

Quando il mio sguardo si posa su quella affianco, non posso fare a meno di allargare ancora di più il mio sorriso; sento gli occhi farsi lucidi mentre osservo con attenzione le due persone nella foto, i loro sorrisi simili, i capelli dello stesso identico colore e gli occhi che sembrano due gocce d’acqua completamente identiche. Non ci metto molto a capire che i due soggetti della foto sono Kurt e quella che deve essere sicuramente sua madre. Sinceramente, non so chi guardare: se la stupenda donna che ha messo al mondo una creatura perfetta come Kurt o se Kurt bambino, felice come l’ho visto solo poche volte.

 

E lo stomaco fa una piccola capriola, seguito subito dopo dal cuore, quando mi rendo conto che effettivamente l’ho visto così tanto felice solo quando gli ho chiesto di diventare il mio fidanzato, davanti alla finestra della nostra stanza della Dalton, al tramonto.

 

Senza rendermene conto sollevo una mano per sfiorare la cornice della foto, la parte vicino al volto di Kurt. Sono completamente perso a osservare la foto, tanto che mi dimentico di Finn al mio fianco, che si premura subito di riportarmi con i piedi per terra, invadendo il mio spazio personale.

 

Sollevo lo sguardo su di lui, aspettandomi di trovare i suoi occhi che cercano i miei; e invece vengo smentito. Non sta guardando me, ma la foto. Vedo i suoi occhi seguire i contorni del viso della mamma di Kurt, per poi passare a quelli del suo fratellastro. Rimango immobile e in silenzio, aspettando che dica qualcosa.

 

«Spero per te che tu ci tenga davvero a lui…» sussurra, in netto contrasto col tono di voce duro che ha usato per rivolgersi a me.

 

Non mi stupisco più di tanto, immaginavo che avrei dovuto ricevere la paternale dal fratello maggiore – che poi maggiore non è, ma questi sono solo semplici dettagli. Comunque, sapevo che Finn avrebbe voluto parlarmi, d’altronde il mio intuito mi dice che Kurt debba avergli detto qualcosa su di noi. Dopotutto, era presente anche lui la sera del party a casa di Rachel…

 

«Ha già sofferto tanto, e non si merita di soffrire ancora.»

 

Non mi guarda negli occhi: il suo sguardo non si è ancora distolto dalla fotografia. Io non posso fare a meno che rimanere spiazzato da questo suo comportamento; non mi aspettavo che tenesse così tanto a Kurt. Ciò non fa che rendermi orgoglioso del mio fidanzato: riesce a farsi voler bene da tutti e non è una cosa da poco. Mi affretto quindi a rispondere immediatamente a Finn, anche io senza guardarlo in volto.

 

«Non ho alcuna intenzione di farlo soffrire…» sussurro anche io, imitando il suo tono di voce di poco prima.

 

Questa volta sento uno sguardo penetrante che mi fissa. «Lo hai già fatto.»

 

Alzo lo sguardo anche io, e non faccio fatica a sostenere quello di Finn, per quanto le sue parole mi abbiano ferito. So di avergli fatto del male, ma da ora in avanti farò di tutto per fare in modo che non capiti più.

 

«Non era mia intenzione farlo. E giuro su ciò che ho di più caro che farò  qualsiasi cosa per far sì che non succeda. Mai più.»

 

Le mie parole devono avere avuto un qualche effetto su di lui, oppure è stato il mio tono serio, perché abbassa lo sguardo a terra. E, senza che io avessi comandato a quelle parole di uscirmi dalle labbra, dico, «Sono innamorato di Kurt.»

 

Lui rialza immediatamente lo sguardo su di me e mi osserva per qualche secondo; io sostengo quello che non è altro che un esame, senza abbassare mai gli occhi a terra. Alla fine, dopo quelle che paiono ore, fa un passo verso di me e stende una mano nella mia direzione, mano che è però chiusa a pugno. Sorrido e colpisco il suo pugno con il mio.

 

«Ottimo, è un piacere averti qui Blaine.» Dice con tono di voce allegro.

 

Sto per replicare quando una voce ci interrompe, una voce cristallina e acuta, una voce che riconoscerei tra mille, una voce che mi manda letteralmente il cuore in gola.

 

«Blaine

 

Mi volto verso le scale, al fondo delle quali c’è Kurt, stretto in un paio di pantaloni neri, la mano che poggia su un fianco. Sposto lo sguardo verso l’alto, seguendo il profilo del suo busto coperto da un maglioncino grigio aderente e a collo alto, finché non incrocio i suoi occhi. Sento lo stomaco fare una capriola alla vista del mio stupendo, bellissimo, straordinario fidanzato.

 

Deglutisco, sentendo il cuore mancare qualche battito e le mani iniziare a sudare, mentre il mio corpo praticamente mi urla di correre verso di lui e baciarlo lì, nel bel mezzo dell’ingresso di casa sua, davanti a Finn. Invece mi limito a restare immobile a fissarlo imbambolato. Prima o poi la smetterà di avere questo potere su di me, questo potere che mi riduce sempre a un pesce lesso. Non che mi dispiaccia, certo!

 

«Ciao!» dico infine, quando finalmente la salivazione torna ad agire normalmente.

 

Lui, dannato, mi fa un altro dei suoi sorrisi che sono in grado di portarmi dritto in paradiso, e io non posso fare a meno di avvicinarmi a lui, quasi come se fossi attratto da una calamita. E il piacere che provo quando vedo anche lui avvicinarsi a me, con un dolce sorriso sulle labbra e gli occhi che brillano, è indescrivibile.

 

Ci ritroviamo vicini nel bel mezzo dell’ingresso e le nostre mani si trovano a metà strada, le dita che si intrecciano e una sensazione di calore che mi invade, improvvisa, il petto. Mi rendo conto che ora che c’è lui, l’ansia mi ha del tutto abbandonato. Con lui vicino, so di poter affrontare qualsiasi cosa.

 

«Finn ti ha già assalito?» mi chiede con un mezzo sorriso, lasciando per un attimo i miei occhi per fissare il suo fratellastro alle mie spalle, da cui sento provenire un flebile gemito di protesta, seguito poi dal rumore di passi che si allontanano.

 

«Uhm… no.» Gli rispondo, iniziando a fissare le sue labbra con insistenza. «Siamo soli ora?» chiedo subito dopo, vergognandomi un po’ di me stesso. Non so cosa mi stia succedendo, forse è colpa di tutti i pensieri che mi sono presi prima, quando ero alla Dalton, ma provo l’inarrestabile impulso di baciare Kurt.

 

Lui ovviamente non sembra aver capito il motivo per cui gli ho posto quella domanda, perché inclina la testa da un lato e mi dice, «Si, perché -?»

 

Non attendo oltre. Sto per fiondarmi sulle sue labbra – sento già il suo respiro che mi accarezza la bocca, le sue mani che si stringono attorno alla mia vita, i suoi occhi sorpresi – quando veniamo, o meglio, vengo interrotto da una voce che ho sentito solo una volta, qualche mese fa.

 

«Ragazzi, scusate l’interruzione!»

 

Kurt fa un salto di parecchi centimetri, mettendo le dovute distanze tra i nostri due corpi e si volta verso Carole, arrossendo. Anche a me viene quasi un infarto per lo spavento, ma non posso fare a meno di notare quanto sia adorabile Kurt in questo momento, le gote rosse per l’imbarazzo e la voce stridula mentre saluta la sua matrigna. Cerco di darmi un controllo e vengo in aiuto a Kurt, avvicinandomi a Carole e offrendole la mano.

 

«Piacere, Blaine. Non so se si ricorda di me.» Ora che sono arrivati i momenti delle presentazioni, mi sta tornando l’ansia. Meglio da un certo lato; almeno metterà a sopire la voglia che ho di avvicinarmi a Kurt e baciarlo finché non saremo costretti a fermarci per mancanza d’aria.

 

Carole mi rivolge un sorriso affettuoso, che ha un impatto abbastanza potente su di me, facendomi scordare quasi del tutto dei miei istinti da adolescente con gli ormoni impazziti. Il sorriso della matrigna di Kurt è un sorriso che non potrei definire in altro modo se non con materno. Era tantissimo che non vedevo un sorriso del genere, soprattutto era tantissimo che qualcuno non mi rivolgeva un sorriso del genere. Sento quasi tremare le ginocchia mentre un morso strano mi prende alla bocca dello stomaco.

 

Scaccio subito quella brutta sensazione. Ho promesso che non permetterò ai miei genitori di rovinare questa giornata; non mi permetterò di fare paragoni.

 

«Certo che mi ricordo di te, caro.» Dice stringendomi la mano. «Anche perché sarebbe un po’ difficile dimenticarsi di te, visto che Kurt pronuncia il tuo nome ogni volta che gli è possibile.» Aggiunge con un sorriso e un occhiolino.

 

Getto un’occhiata a Kurt giusto solo per gustarmi la sua reazione; come prevedevo, è di nuovo arrossito e ha aperto la bocca per dire qualcosa di pungente, ma evidentemente non ha trovato nulla di abbastanza acuto da dire, perché tace. Sorrido e riporto lo sguardo su Carole.

 

«Spero dica cose belle.»

 

«Stupende, tesoro. E ti prego, dammi del tu.» Aggiunge lei rivolgendomi di nuovo uno di quei sorrisi materni.

 

Annuisco, mentre lei ci fa strada in cucina, dove troviamo Finn seduto al tavolo, mentre occhieggia con sguardo affamato il tacchino posato sulla tavola. Io invece rimango a fissare e cercare di recepire il calore che è presente in quella stanza; e non sto parlando di questione di temperatura, quanto di sentimento. Sembra ci sia un’aria così… familiare.

 

Mentre Carole si dedica a sistemare qualcosa che ha tutta l’aria di essere della verdura, canticchiando ad alta voce una vecchia canzone che non ricordo dove ho già sentito, Kurt mi trascina un attimo in salotto con una scusa.

 

Lontano da orecchie indiscrete, mi avvicino a Kurt e gli sussurro all’orecchio, «Ma i tuoi sanno di me, oppure glielo vogliamo dire proprio in pompa magna?”

 

Kurt mi fissa con un’espressione shockata, ancora leggermente rosso in viso, e scuote la testa. «No, non lo sanno. Però non voglio dirglielo in pompa magna. Pensavo di prenderli uno per volta.»

 

Per me qualsiasi cosa preferisca Kurt, in questo caso, mi sta bene. D’altronde qui si tratta dei suoi genitori, della sua famiglia, e tocca a lui decidere come agire. E devo dire che mi rende più tranquillo sapere che non dovremo fare un grande annuncio a tavola, come se stessimo per sposarci. Almeno così potrò affrontarne uno per volta.

 

«Finn lo sa.» Sussurro all’orecchio di Kurt. Lo vedo rabbrividire e chiudere gli occhi a causa del mio fiato così vicino alla sua pelle, e devo dire che la sensazione di vederlo in questo stato per colpa mia mi piace.

 

Quando riapre gli occhi mi rivolge uno sguardo a metà tra l’ironico e il mortificato. «Sì, lo ha saputo subito. È da lui che sono andato quando mi hai baciato e poi sono… scappato.» Alzo un sopracciglio e lo fisso: a quanto pare ci avevo visto giusto. «E’ che mi è stato parecchio vicino quando ero… triste.»

 

Il tono con cui lo ha detto mi fa improvvisamente sentire di nuovo in colpa. L’ho davvero fatto soffrire, sebbene non fosse mia intenzione. Ora come non mai, sento davvero che quello che ho detto poco fa a Finn è la pura verità, e mi impegnerò per rispettare quel giuramento.

 

Perciò lo prendo per mano e incastro alla perfezione le dita tra le sue. Lui stringe la mia mano e mi rivolge un sorriso luminoso. Restiamo a fissarci per quelle che sembrano ore, finché cominciamo ad avvicinarci sempre di più l’uno all’altro. Questa volta non c’è nessuna fretta nel desiderare l’uno le labbra dell’altro, è più un godersi quell’attimo di straziante attesa prima del bacio, che a volte è quasi meglio del bacio stesso.

 

Purtroppo, anche questa volta veniamo interrotti dal rumore della porta di casa che si apre e da una voce profonda che dice, «Sono arrivato!»

 

Io e Kurt sciogliamo subito le mani e sento di nuovo il cuore iniziare a correre troppo veloce per i miei gusti, ma ora sono di nuovo nervoso: Burt è appena arrivato a casa. Ciò significa che tra poco verrò ucciso.

 

E infatti, quando il padre di Kurt fa il suo ingresso in salotto e inizia a osservare quanto io e suo figlio siamo vicini – troppo per i suoi gusti a quanto pare – inizio mentalmente a pregare e a darmi dell’idiota per non aver fatto testamento. Sembra quasi che voglia strapparmi la testa a morsi.

 

Deglutisco e mi allontano un po’ da Kurt, in imbarazzo. Poi faccio qualche passo verso Burt, allungando una mano per stringere la sua.

 

«Non so se si ricorda, io sono –»

 

«Blaine, sì. Mi ricordo di te.» Dice lui con tono burbero, inclinando la testa e guardandomi con la stessa espressione che ho visto fare un sacco di altre volte a Kurt.

 

Kurt che decide di salvarmi, facendosi avanti e iniziando a spingerci verso la cucina. «Forza, su! Carole ha preparato un pranzo coi fiocchi, quindi spero che tu, papà, abbia scelto il vino adatto!»

 

Vedo Burt alzare gli occhi al cielo e rilassarsi all’istante, mentre gli sfugge un sorrisetto a causa della manie di perfezione del figlio. Sorrido anche io, mentre mi appresto a seguirli in cucina.

 

Sono ancora un bel po’ in ansia. Temo il momento in cui dovremo metterci a parlare con Burt e Carole, ho paura che non ne uscirò vivo. Quando però entro in cucina e trovo praticamente tutti seduti al loro posto, tranne Kurt che è in piedi ad aspettarmi e Carole che è vicina ai fornelli, mi rendo conto che prima di qualsiasi cosa, dovrò affrontare un pranzo.

 

Sarà imbarazzante. Non so proprio di cosa parlerò.

 

 

*

 

 

Ok, se prima avevo pensato che il pranzo sarebbe stato imbarazzante, ho dovuto ricredermi. Credo sia tutto merito di Finn però. Infatti, per mia fortuna, ha iniziato a parlare di football, una conversazione che è riuscita a catturare l’attenzione sia mia sia di Burt. Ed  è stato davvero un bene, sia perché mi ha dato la possibilità di sciogliermi un po’ e di dire qualcosa, sia perché almeno Burt ha smesso di squadrarmi con fare inquisitorio e forse anche un po’ preoccupato, quasi temesse che potessi alzarmi e iniziare a parlare di sesso gay e di come parlarne al figlio.

 

Certo la conversazione sul football non ha interessato Kurt e Carole, ma non sembra che se le siano presa, soprattutto Kurt. Anzi, sembra quasi felice che io stia parlando con suo padre mantenendo dei toni normali e civili. Non so cosa si aspettasse, ma devo dire che sta andando tutto meglio di quanto avevo immaginato.

 

A volte tuttavia non posso fare a meno di distrarmi un attimo e lanciare qualche occhiata fugace a Kurt, al modo in cui si porta la forchetta alle labbra, o al modo in cui una o due volte la sua lingua è guizzata fuori dal suo rifugio per leccarsi il labbro inferiore. Oppure è lui stesso a distrarmi, sorridendomi o guardandomi soltanto; oppure sfiorandomi il ginocchio con il suo, come in questo momento.

 

Alzo lo sguardo su di lui e incrocio subito i suoi occhi imbarazzati; però non si affretta ad allontanare il ginocchio, come invece avevo pensato facesse. Questo semplice contatto mi fa rabbrividire e provo di nuovo il terribile impulso di sporgermi verso di lui e catturare tra le mie quelle labbra rosse. Mi trattengo, nemmeno io so come.

 

Quando però sentiamo qualcuno – Finn – schiarirsi la gola, capiamo che forse siamo stati un po’ troppo a fissarci questa volta. Sposto lo sguardo su tutte le altre persone presenti al tavolo: Finn sembra imbarazzato, Carole ci sta osservando con un dolce sorriso sul volto e Burt…

 

Diamine, credo proprio che Wes avesse ragione sul radar dei padri a proposito del sesso! Sembra proprio che Burt abbia capito verso quali binari siano deviati i miei pensieri e temo di nuovo che voglia staccarmi la testa a morsi. Abbasso lo sguardo e sposto la gamba che prima era ancora in contatto con quella di Kurt. Almeno così riuscirò a pensare lucidamente.

 

Fortunatamente quel momento di imbarazzante silenzio viene spezzato, da Carole questa volta, che ci invita ad andare via dal tavolo e svagarci per un’oretta, mentre finisce di preparare il dolce.

 

«Kurt, perché non fai vedere a Blaine la tua stanza?» propone la donna, lanciando una veloce occhiata di ammonimento al marito, per poi spostare lo sguardo su me e Kurt.

 

«Certo!» risponde lui, tralasciando il fatto che io in realtà ho già visto la sua stanza. Ma non credo che questo loro lo sappiano.

 

Contemporaneamente, io, Kurt e Finn ci alziamo dal tavolo e ci precipitiamo su per le scale. Uscire dalla cucina mi permette di rilassarmi un attimo, anche se comincio ad avvertire la tensione di quello che dovremo fare tra poco io e Kurt.

 

Finn ci lascia davanti alla camera di Kurt e si dirige nella sua con un fugace sorriso a Kurt e una pacca sulla spalla a me. Io lo ringrazio con un sorriso; se non ci fosse stato lui, credo che il pranzo sarebbe stato molto più difficile da sostenere.

 

«Dai, vieni! Entra.» Dice Kurt afferrandomi per mano e trascinandomi in camera sua. E io resto a bocca aperta, perché è totalmente cambiata dall’ultima volta che l’ho vista, mesi fa. Il colore delle pareti è diverso, il letto è stato cambiato – ora è molto più grande – ed è stato messo in un’altra posizione. Appesi ai muri, ci sono poster che non ricordavo di aver visto l’altra volta ma, cosa più importante di tutte, il muro vicino al suo letto ospita una piccola bacheca, su cui vedo troneggiare una mia fotografia.

 

Mi avvicino, curioso. Vicino alla mia fotografia, presa sicuramente dall’annuario della Dalton, visto che indosso la divisa, è appeso un collage con la scritta Couragé, seguita poi da un foglietto chiaramente strappato da una pagina di una quaderno; sul foglietto c’è scritto, dentro un cuore rosso, Kurt+Blaine. A coronare il tutto, ci sono appesi degli scontrini che, quando mi avvicino a controllare meglio, si rivelano essere degli scontrini del Lima Bean.

 

Rimango imbambolato a fissarla per non so quanto tempo, mentre provo un sacco di sensazioni diverse, tra cui felicità, imbarazzo, sorpresa e qualcosa di molto più profondo, qualcosa che mi fa battere forte il cuore e diventare gli occhi lucidi.

 

Mi volto a cercare gli occhi di Kurt, ho bisogno del suo sguardo in questo istante, e inaspettatamente lo trovo a testa bassa, a parecchi passi di distanza da me; è ancora vicino alla porta, precisamente dove l’ho lasciato non appena siamo entrati nella stanza. Rimango sconvolto quando capisco che è imbarazzato.

 

Mi avvicino a lui, gli prendo il mento tra due dita e gli faccio alzare la testa, di modo da poterlo guardare negli occhi. Sento così tante cose in questo momento, e mi viene quasi voglia di dirgli quanto lo amo. Ma è solo una settimana che stiamo insieme e sento che il mio sentimento per lui è già aumentato; mi chiedo di questo passo che cosa diventerà fra qualche mese. Decido quindi di aspettare, perché sono curioso di scoprire quanto cambierà. Inoltre ora come ora, ho un groppo in gola e non sono sicuro che la mia voce uscirebbe forte e chiara. Diavolo, non so neanche se uscirebbe!

 

Così mi limito a comunicargli con gli occhi tutto l’affetto che provo nei suoi confronti. E magicamente, Kurt sembra capire. Siamo tornati a essere quei due ragazzi che si capivano solo con uno sguardo, finalmente, proprio come eravamo all’inizio; solo che ora siamo qualcosa di più.

 

Non so nemmeno se sono io a stringerlo tra le braccia o se è lui a stingere me. So che ci ritroviamo stretti in un abbraccio, il suo volto nascosto nell’incavo del mio collo e la mia mano che vaga sui suoi capelli.

 

«Credo di sentirmi… lusingato…» gli dico per spezzare un po’ la tensione.

 

La sua reazione non è però quella che mi aspettavo, perché si stringe di più a me e sussurra qualcosa che dapprima non riesco a capire. Ma dopo un po’, sforzandomi, riesco a sentire ciò che sta dicendo. E non ne sono affatto felice.

 

«E’ che ho paura che io non  ti piaccia quanto tu piaci a me.»

 

Sciolgo l’abbraccio, tenendolo però sempre vicino a me e lo fisso negli occhi con sguardo severo. Non so come fare a fargli capire che piuttosto qui sono io quello che è stato completamente stregato da lui; sono io che non riesco a smettere di pensare a lui neanche per un attimo. Farei di tutto per lui, qualsiasi cosa. È il mio cuore che sta battendo forsennatamente nel petto in questo istante a mostrarmi le prove di quanto Kurt sia importante per me e di quanto mi piaccia.

 

E forse, se il mio cuore è in grado di dimostrare a me cosa provo, allora potrà fare lo stesso con Kurt.

 

Così afferro una sua mano e me la metto sul cuore. Lui arrossisce per il mio gesto, ma rimane immobile e in silenzio, ad ascoltare i battiti frenetici del mio cuore, che aumenta ancora di più i battiti quando, anche attraverso lo spesso strato del maglione, riesco a sentire il calore della sua mano che mi sfiora il petto per la prima volta.

 

«Lo senti?» gli chiedo, guardandolo dritto negli occhi. «E’ molto più veloce di come dovrebbe essere.» Kurt annuisce, gli occhi lucidi fissi nei miei. «Fa sempre così quando ci sei tu.»

 

Il sorriso che mi rivolge è certamente il migliore che mi sia mai stato rivolto – quasi illumina la stanza. Si getta di nuovo tra le mie braccia, che lo accolgono subito, pronte. E quando, dopo un tempo infinito trascorso a dondolarci semplicemente sul posto cercando di respirare in sincrono, ci stacchiamo e ci guardiamo dritto negli occhi, credo sia finalmente giunto il momento che bramo da quando l’ho visto vicino alle scale.

 

Ma anche questa volta, veniamo interrotti.

 

Qualcuno bussa alla porta. Io non posso evitare di alzare gli occhi al cielo e non riesco a reprimere un gemito di esasperazione; a quanto pare però la mia reazione diverte Kurt, che scoppia in una breve risata prima di allontanarsi da me e andare ad aprire la porta.

 

Sull’uscio c’è Carole, che ci guarda con un sorriso dispiaciuto.

 

«Scusate se vi disturbo sempre ma… il dolce mi è esploso nel forno. Quindi niente dolce.» Abbassa lo sguardo e a me viene da ridere quando mi rendo conto che forse teme una delle sfuriate alla “tutto-deve-essere-perfetto” di Kurt.

 

E infatti, Kurt fa tempo ad aprire la bocca per lamentarsi, ma io lo interrompo subito, facendo un passo avanti e posando una mano sul braccio di Kurt. «Non preoccuparti, magari c’è qualcosa che può essere salvato.» Dico con fare esperto. «Scendiamo a vedere.»

 

Vedo Kurt rivolgermi un’occhiata stranita, ma segue me e Carole in cucina, che è ora vuota. Dal salotto sento venire i rumori di una partita di baseball, quindi immagino che Burt sia lì a guardare la televisione.

 

Effettivamente, dopo un’attenta analisi del dolce nel forno, mi rendo conto che non c’è nulla che possa essere salvato. Nel vedere l’espressione dispiaciuta di Kurt, mi intenerisco e decido di mettermi all’opera. Dopotutto, non potrei mai sprecare un’occasione del genere: riportare il sorriso sul viso di Kurt, rendendo di nuovo tutto perfetto come vorrebbe lui, e soprattutto mettermi in buona luce con Carole.

 

Perciò mi tiro su le maniche e mi rivolgo a Carole. «Hai quattro uova, del mascarpone, del caffè e dei biscotti?»

 

La donna mi fissa stranita per un attimo, ma poi si appresta a prendermi tutto ciò che mi occorre per preparare un tiramisù. E, senza guardare nessuno negli occhi, inizio a darmi da fare. Sto sbattendo le uova quando tuttavia sono costretto a rialzare lo sguardo, sentendomi osservato: sia Kurt sia Carole mi stanno fissando.

 

«Sai cucinare?» mi chiede Kurt, sconvolto.

 

Ridacchio, mentre sento un lieve rossore salirmi sul collo e diffondersi sulle guance. «Non proprio. So cucinare alcune cose, tra cui il tiramisù; è quello che sto preparando adesso.»

 

Lui si limita a fissarmi con un’espressione estatica sul volto. E rimane così per buona parte della preparazione, finché la voce di Finn non lo richiama al piano di sopra; da quanto ho capito, deve essere successo qualcosa con un vestito di Kurt e un lavaggio sbagliato nella lavatrice. Lo sguardo terrorizzato di Kurt spinge me e Carole a scoppiare a ridere, e a continuare imperterriti quando Kurt, con una scusa, si precipita correndo fuori dalla cucina.

 

Rimasti soli, io riprendo il lavoro dove mi ero interrotto, sotto lo sguardo attento di Carole. Ora che siamo solo noi due, mi riprende l’ansia; forse è il caso che io le parli adesso. Ma sarebbe giusto farlo senza Kurt presente?

 

«Mi sa che Kurt si è trovato un ottimo fidanzato… Sai addirittura cucinare!»

 

Alzo di scatto lo sguardo, cercando di trattenere la mia mascella, che stava di nuovo calando a terra. Ottimo, a quanto pare non devo preoccuparmi di cosa, o se, dire qualcosa a Carole; ha fatto tutto da sola.

 

«Cosa… come lo hai capito?» chiedo, sconvolto.

 

Lei mi rivolge di nuovo lo stesso materno sorriso che mi aveva rivolto prima di pranzo e fa il giro del tavolo, venendo a posizionarsi accanto a me e aiutandomi a inzuppare i biscotti nel caffè e a sistemarli lungo la teglia. Resta in silenzio per un po’ – e nel frattempo io pendo dalle sue labbra per avere una risposta – finché, senza guardarmi negli occhi, riprende a parlare.

 

«Si vede da come lo guardi.» La osservo, mentre mi tornano in mente le parole di David. «Hai gli occhi che brillano, segui ogni suo spostamento, pendi dalle sue labbra quando parla e cerchi ogni possibile contatto con lui, seppur piccolo.»

 

Arrossisco nel sentire le sue parole. Non pensavo di essere così palese.

 

«Lui, d’altronde, fa lo stesso con te. E dopotutto,» e questa volta alza lo sguardo su di me e mi rivolge un occhiolino, «vi ho quasi sorpresi a baciarvi.»

 

Ok, adesso credo di essere passato da un semplice rosso a uno scarlatto. Sono estremamente imbarazzato, ma allo stesso tempo sono felice che l’abbia presa così bene. Pensavo di dovermi impegnare molto di più, ma alla fine sembra stia facendo tutto da sola; perciò, senza sapere perché, mi ritrovo a parlare anche io.

 

«Stiamo insieme da una settimana.» Mi trovo a specificare. «Kurt…» faccio una pausa, alzando la testa e guardando il soffitto, «Lui è sempre stato molto importante per me, fin da subito ho sentito che il nostro legame era più forte di qualsiasi altro avessi mai sperimentato in vita mia. Mi spiace solo di averci messo troppo a capire che quello che provavo non era solo una semplice amicizia, forte certo, ma pur sempre un’amicizia.» Abbasso lo sguardo, mentre un sorriso mi si dipinge sulle labbra. «Non posso fare a meno di lui, né voglio. Non so se lo ha capito, ma lui mi da tanta forza. E io… sono felice quando sto con lui.»

 

«E lui lo è con te.» Mi interrompe Carole, continuando a sistemare i biscotti. «Non l’ho mai visto così felice e spensierato. E il merito mi sa che è tutto tuo.»

 

Arrossisco di nuovo quando lei mi rivolge un altro dei suoi sorrisi. Credo mi sia inevitabile, ormai; e sentirsi dire quelle parole da qualcuno di esterno, mi ha totalmente destabilizzato. La felicità di Kurt dipende anche da me, perciò mi impegnerò per fare in modo che lo sia, il più possibile.

 

Finiamo di preparare il dolce in silenzio, e quando è pronto lo cospargo di cioccolato in polvere, prima di metterlo in frigo. Saluto Carole e, su suo suggerimento, raggiungo Kurt nella sua stanza.

 

Mentre salgo le scale, ripenso alle parole di Carole; è stata davvero gentile, e il fatto che abbia capito di me e Kurt semplicemente osservandoci mi fa chiedere se per caso lo stesso valga con Burt. Sento di nuovo tornare l’ansia. Anche se mi resta solo più un membro della famiglia con cui parlare, mi resta certo la persona più difficile.

 

Ma ora che so quanto si veda il mio amore per Kurt, niente può fermarmi. Ora che so che la sua felicità dipende da me, niente mi distoglierà dai miei obiettivi.

 

Quando apro la porta della sua stanza, lo trovo seduto per terra, circondato da una miriade di vestiti dai mille colori diversi, probabilmente intento a sistemare tutto o a cercare qualcos’altro da abbinare al capo che, con ogni probabilità, è andato rovinato. Non appena mi vede, Kurt si alza in piedi e mi raggiunge.

 

E io non so di nuovo cosa mi prenda. Non so se siano i suoi capelli un po’ in disordine a dargli un’aria diversa da quella cui sono abituato, un’aria più sbarazzina; o se è colpa delle labbra, rosse a causa del suo continuo mordersele; o se siano le sue guance arrossate dal caldo; o se siano i miei ormoni impazziti e il desiderio che ho di premere il mio corpo contro il suo, di toccarlo; o se sia un semplice modo per spezzare la tensione che mi attanaglia le viscere per ciò che mi attende tra poco con Burt; o se sia un modo per dimostrare l’euforia che mi ha preso a causa delle parole di Carole. Forse è un insieme di tutte queste cose.

 

Mi fiondo sulle sue labbra e non mi sforzo nemmeno di reprimere il verso di vittoria che mi esce dalla gola quando finalmente incontro le sue, pronte ad accogliermi. A quanto pare, anche lui aveva il mio stesso bisogno. Infatti, in meno di un attimo, le mie mani hanno iniziato a vagare sul suo collo e le sue si sono intrecciate nei miei capelli, premendomi ancora di più contro la sua bocca.

 

Un gemito gli sfugge quando, gentilmente nonostante la passione che entrambi stiamo mettendo nel bacio, gli faccio dischiudere le labbra, lasciandomi libero accesso alla sua bocca e permettendo alle nostre lingue di intrecciarsi e giocare tra loro.

 

Io faccio un passo in avanti, avvicinandomi ancora di più a lui e nel frattempo spingendolo verso la scrivania alle sue spalle; continuo ad avanzare, finché non lo sento sbattere contro la scrivania. Ora non può più spostarsi, non può più indietreggiare. Sono riuscito a chiuderlo in un angolo, dove non può sfuggirmi; e la cosa mi rende estremamente euforico, soprattutto quando poi mi rendo conto che a lui non dispiace affatto.

 

Le mie mani continuano a vagare sul suo collo e sulle sue spalle, finché non ci stacchiamo, entrambi in cerca d’aria. Abbiamo tutti e due il respiro affannato mentre ci guardiamo negli occhi, sconvolti da quanto abbiamo appena fatto: non ci siamo mai baciati con tutta questa enfasi e di certo a nessuno dei due è dispiaciuto.

 

E poi, sento una sua mano accarezzarmi il collo e scendere fino a fermarsi all’altezza del cuore, proprio dove l’avevo messa io neanche un’oretta fa. Il respiro mi si mozza in gola, mentre vengo di nuovo percorso dai brividi che mi causa il calore della sua mano sul mio petto; e so di essere prossimo all’infarto quando lo vedo avvicinarsi a me. Mi sta fissando le labbra insistentemente, quasi come se me le volesse mangiare.

 

È lui a catturare le mie labbra con voracità questa volta, e io lo lascio fare, fiero della sua presa di posizione, ma soprattutto, succube. Man mano che il bacio si approfondisce, le mani sul mio petto diventano due, e io non posso fare a meno di scendere a stringergli un fianco, succhiandogli il labbro inferiore con i denti.

 

Ed è in quel momento, quando sento nascere un gemito roco in fondo alla gola e quando mi rendo conto che, con ogni probabilità, mi sto eccitando, che la porta della camera di Kurt si apre e fa il suo ingresso l’ultima persona che avrei voluto ci vedesse così: io che schiaccio Kurt contro la scrivania, le mani sui suoi fianchi, mentre ci divoriamo la bocca a vicenda.

 

I nostri sguardi si spostano su Burt i cui occhi, potrei giurarlo, stanno mandando scintille.

 

Fantastico, sono morto…

 

«Papà!» urla Kurt con un tono di voce talmente acuto che quasi fa male. Mi allontano da lui come se scottasse – o come se le saette che partono dagli occhi di Burt avessero raggiunto la mia mano che fino a pochi secondi prima era posata sul fianco del figlio.

 

Burt non considera l’urlo di Kurt e il suo sguardo rimane fisso nel mio; sto cominciando ad avere le gambe che tremano per la paura e l’agitazione.

 

«Ho bisogno di parlare con Blaine.» Dice, gelido. «Da solo.» Aggiunge poi, come se non fosse stato abbastanza chiaro. Poi mi fa cenno di seguirlo.

 

Faccio qualche passo in avanti, lanciando un’ultima occhiata a Kurt che sembra non volermi lasciare andare; almeno, se fra poco dovrò morire, avrò avuto un ultimo, entusiasmante bacio con Kurt.

 

«Non ti preoccupare figliolo, non ho intenzione di ucciderlo.» Continua Burt, cercando di usare un tono sarcastico. Kurt si ferma e mi lascia andare col padre, che mi conduce giù per le scale per arrivare infine al salotto, dove ora la televisione è spenta. Si chiude la porta alle spalle e si volta a fronteggiarmi.

 

Io sono spaventato a morte e non capisco perché. So bene che Burt non mi ucciderà, non è mica un pazzo; però allora non so spiegarmi il motivo per cui desidero così ardentemente che lui approvi la mia relazione con Kurt. Ed è questo il fatto. Non solo desidero che lui approvi la relazione di Kurt con me, ma anche il viceversa; e sono due cose ben diverse.

 

«Ascolti, mi dispiace per quello che –» inizio a dire.

 

Ma lui alza una mano, interrompendomi. «Non preoccuparti Blaine. Quello a cui ho assistito, non è altro che una semplice dimostrazione di affetto tipica delle relazioni in generale e dei ragazzi della vostra età in particolare.» Io resto muto a fissarlo, in attesa che continui. «Finché cercherete di frenare certi impulsi, per me andrà bene.»

 

Annuisco, capendo perfettamente cosa vuole dire. Sapevo che il discorso sul sesso sarebbe uscito, soprattutto visto l’ultimo – nonché primo – discorso che ho avuto da solo con quest’uomo; e ora che sono diventato il ragazzo di suo figlio, è più che normale che lui voglia indagare. Tuttavia non mi aspettavo che sarebbe venuto fuori in questo modo, e soprattutto in quest’ordine.

 

Mi rendo conto che ora Burt mi sta fissando, aspettandosi che sia io a parlare.

 

«Io e Kurt stiamo insieme.» Esordisco, constatando l’ovvio.

 

Burt solleva un sopracciglio e mi rivolge un sorrisetto sarcastico. «Non l’avevo capito!»

 

«Ehm… sì, io… noi…» sono imbarazzato da morire e soprattutto ho paura. Davvero tanta. Così tanta che non riesco neanche a parlare, facendo una pessima figura col padre del mio fidanzato.

 

E poi, succede una cosa che non mi sarei mai e poi mai aspettato. Burt si avvicina a me, mi posa una mano sulla spalle e mi guarda con un’espressione che sembra… preoccupata? Possibile che sia davvero preoccupato? E per chi poi? Per Kurt o per me?

 

«So quanto tieni a Kurt, anche un cieco lo vedrebbe.» Deglutisco e continuo a fissarlo, incapace di distogliere lo sguardo. «E so che, dato che tieni a Kurt, non vorrai affrettare le cose.»

 

Questo, più che una constatazione, sembrava un avvertimento. Ma io non ho nessunissima intenzione di correre con Kurt, nonostante mi piacerebbe molto. Tuttavia non è questo il momento né il luogo in cui pensare a una cosa del genere.

 

«Però io vorrei sapere… tu stai bene, Blaine

 

Rimango totalmente spiazzato da quella domanda. Perché Burt mi sta chiedendo una cosa del genere? Certo che sto bene, non sono mai stato più felice in tutta la mia vita! Ora ho Kurt, ed è la cosa migliore che potesse capitarmi. Però a quanto pare non è questo a cui si riferiva Burt, perché aggiunge un’altra domanda che ha il potere di spezzarmi dentro e di far uscire tutti i brutti pensieri che avevo cercato di contenere per quella giornata, o per tutte le altre.

 

«Come va con i tuoi genitori? Loro non ti… aiutano, vero?»

 

Io mi limito a un cenno di diniego con la testa. Ho abbassato gli occhi adesso, incapace di sostenere il suo sguardo e soprattutto di mostrarmi così debole ai suoi occhi. Miseria, dovrei essere io a difendere Kurt, e invece sto dimostrando una debolezza che so di avere, ma che consideravo nascosta dietro la mia armatura.

 

«No, fin da quando lo hanno scoperto, non sono più stati gli stessi.» Alzo le spalle, per sminuire la cosa. «Ho imparato a cavarmela da solo.»

 

Burt fa una smorfia adesso, come se si stesse trattenendo dal dire qualcosa. Poi, dopo alcuni secondi di silenzio, mi chiede, «Hai avuto una brutta esperienza con il sesso?»

 

Spalanco gli occhi, sconvolto, arrossendo all’istante. Anche Wes mi aveva fatto la stessa domanda quando gliene avevo parlato e, proprio come avevo fatto in precedenza, anche ora mi impegno a spiegare la cosa.

 

«No, no! Solamente ho dovuto cercare da solo tutte le informazioni, per non arrivare impreparato a qualsiasi cosa fosse potuta accadere, bella o brutta.» Mi fermo un attimo, per poi riprendere. «Comunque no, non mi è successo nulla. Volevo solo avere qualcuno con cui poterne parlare, ed è per questo che ho insistito tanto con lei a proposito di Kurt.»

 

Rimaniamo in silenzio a osservarci per qualche minuto; mi sembra di avere la testa che scoppia a causa di tutti i miei pensieri confusi. Ma tra tutti, ce n’è uno che spicca più di altri. E glielo dico.

 

«Kurt è fortunato ad avere un padre come lei.» Sussurro, quasi come se non volessi farmi sentire. Ma in questa stanza ci siamo solo noi due, c’è assoluto silenzio e quindi Burt sente che cosa ho appena detto. Peccato che poi sia costretto a sgranare gli occhi quando la risposta dell’uomo arriva alle mie orecchie.

 

«Kurt è anche fortunato ad avere te.» Sorride nel vedere la mia espressione. «Sei molto importante per lui, e lui lo è per te. Sono certo che le cose tra voi andranno bene, me lo sento. Sono felice che vi siate trovati.»

 

Ed è solo in questo momento, quando sento le sue parole, che sento andarsene non solo la tensione che mi ha attanagliato lo stomaco per tutto il giorno, ma anche la tristezza per il fatto che io non ho un padre come Burt. E capisco anche che era per questo motivo che per me l’opinione di Burt era importante, perché in realtà, una piccola parte di me, lo considera come una sottospecie di mentore, di padre adottivo, di qualcuno cui guardare in cerca di consigli. Sarà la sua figura paterna, non lo so; ma so che volevo sentire la sua approvazione.

 

«Bene, ora andiamo a mangiare il dolce che hai preparato!» dice, perdendo il tono burbero e serio con cui finora si è rivolto a me. Ma prima di lasciare la stanza, lui certamente più tranquillo e io col cuore infinitamente più leggero, mi ferma di nuovo, e mi dice una cosa che non mi aspettavo di sentirmi dire, ma che speravo dicesse, con tutto me stesso.

 

«In caso ti servisse qualcosa, qualsiasi cosa, sai dove trovarmi. In caso avessi bisogno di parlare, o di sfogarti, la mia porta è sempre aperta.»

 

Gli sorrido, riconoscente. «Grazie, signor Hummel.» Dico con enfasi.

 

«Chiamami Burt e dammi pure del tu.» Dice lui aprendomi la porta – dietro la quale troviamo Kurt e Carole che camminano avanti e indietro per il corridoio, fingendosi indaffarati a fare qualcosa.

 

Burt alza gli occhi al cielo e si dirige in cucina, seguito da Carole, mentre Kurt si avvicina a me. Quando passa vicino al padre però, gli rivolge un’occhiata felice e un sorriso in grado di sciogliere i ghiacci. Ed è con lo stesso sorriso che poi si rivolge a me, prendendomi per mano e rimanendo semplicemente a fissarmi.

 

«E’ andata bene,» dico infine, facendolo ridere.

 

«Oh sì, più che bene!» risponde lui avvicinandosi a me e rubandomi un bacio a fior di labbra, prima di dirigersi in cucina, trascinandomi con sé.

 

Quando entriamo in cucina, mano nella mano, tutti e tre – Carole, Finn e Burt – si fermano a fissarci e sorridono alla vista delle nostre mani giunte. Io non posso fare a meno di gongolare nel vedere le loro espressioni, limitandomi a stringere un po’ più forte la mano di Kurt, che ricambia la mia stretta.

 

E mentre mangiamo il mio dolce, con Finn e Carole che si complimentano con me per le mie doti in cucina e Burt e Kurt che si limitano a dei sorrisi stratosferici, mi sento quasi come se fossi in famiglia. La mia famiglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE:

Qui è Pachelbel che vi parla… Innanzitutto dovrei scusarmi per la lunghezza di questo capitolo, è venuto esageratamente lungo. E sinceramente non so nemmeno spiegarne il motivo!

Inoltre, altre scuse sono d’obbligo: l’immenso ritardo con cui ci stiamo trovando a postare ultimamente. Davvero, ci spiace tanto! È che tra la scuola (della Alch) l’università (mia) e gli esami, qui si sclera…

 

Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Credo che nonostante tutto, sia uno dei miei preferiti! =) Mi piacerebbe molto sapere che tipo di rapporto hanno Burt e Blaine – e l’assaggio che ci è stato dato nella 3x11 (Who’s gonna tell Blaine? You gotta let me do it! ADORABLE!) mi ha letteralmente fatto AWWare... *__*

 

Prima di passare ai ringraziamenti, volevo solo dire che io e la Alch abbiamo partecipato a un contest indetto da Somochu e MissBlackspots con due storie intitolate Oblio di mie pene e di me stesso (mia) e Someone like you (della Alch), classificatesi rispettivamente prima e quarta… Magari vi va di darci un’occhiata? *__* Ci piacerebbe conoscere i vostri pareri.

 

Infine, ci tengo davvero a ringraziare tutti i lettori affezionati che continuano a recensire ogni capitolo: non lo sapete neanche quanto ciò ci renda felici. E un sentito grazie anche a tutte le persone che leggono, seguono, ricordano e preferiscono ♥

 

Alla prossima! E cercheremo di aggiornare un po’ più velocemente! =)

 

 

   
 
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