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Autore: sistolina    06/02/2012    6 recensioni
E' difficile camminare a testa alta nei corridoi di Hogwarts quando tuo padre è Draco Malfoy, il Traditore.
E' difficile essere all'altezza quando tuo padre è Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico.
E' difficile incontrarsi nel mezzo, quando alla Scuola di Magia e Stregoneria infuriano i fantasmi del passato, gli strascichi della Guerra e la sete di potere, e di vendetta, di chi ancora rimane.
Ed è difficile essere Lily Potter, e non odiare più Scorpius Malfoy.
Venticinque anni dopo, le colpe dei padri ricadranno sui figli, e non ci sarà più nessuno, a Hogwarts, al sicuro dalla propria eredità...
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Lily/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Il Paradiso Perduto

Sangue perfetto, che poi non si beve
da l'assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve,
prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch'a farsi quelle per le vene vane.
(Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXV, vv 37-42)


Gocciolò. Rosso scuro, vivo, pulsante e denso scivolò giù per il suo gomito come acqua che ruscella sulle rocce d'estate, in modo così naturale che quasi pensò fosse così che doveva andare, fosse quello il suo posto, la sua destinazione. La pelle si macchiava un millimetro alla volta, impregnandosi, rallentando la sua corsa fino all'estremità, dove lo attendeva solo il baratro.
I suoi occhi indugiarono su di lei un istante di troppo.

Spare me your judgements and spare me your dreams
Cause recently mine have been tearing my seams

Una goccia precipitò a terra rimbombando nel silenzio con uno schiocco fradicio. Era stata silenziosa, eppure gli intontiva ancora i timpani come un'esplosione.
“E' questo che vuoi?” parlò lei alla fine, tenendo il braccio sollevato in aria, il sangue che scorreva sulla pelle come le sue lacrime sul viso. Si sarebbero mischiati a terra, pensò distrattamente, vorticando sulla fredda pietra impermeabile. Prima di quel momento lui non vi avrebbe prestato che una vaga attenzione, lo avrebbe notato, come un dettaglio fastidioso da tenere a mente per evitare di sporcare la volta seguente. Ma allora se ne accorse, e lo trovò ipnotico, e stupendo nel suo naturale manifestarsi.
Anche del dolore di lei si sarebbe a malapena accorto. Fino ad allora, forse nemmeno lo avrebbe riconosciuto come tale. “E' questo che ti serve?” il palmo della sua mano cozzò contro il suo viso, impiastrandolo di sangue caldo e dall'odore metallico “Questo?” lacrime calde scivolarono una sull'altra a sostituire quelle che erano cadute sullo scollo, fra le labbra socchiuse, al di sotto del cotone marrone scuro del pullover. Strinse le mani a pugno con violenza, e lo afferrò per la camicia immacolata. L'aveva previsto, l'aveva visto succedere nella sua mente migliaia di volte; anche un attimo prima che si muovesse e lo afferrasse, anche prima che le sue dita si chiudessero attorno alla stoffa per macchiarla irrimediabilmente, anche prima che il suo sguardo fosse così vicino da vedere le gocce tentennare fra le ciglia.
L'aveva visto succedere, ma era rimasto paralizzato, immobile, disarmato da quella dimostrazione di dolore così insopportabilmente umana. Era diventato insensibile alle miserie dell'uomo, eppure non poteva spingerlo via da sé, non voleva, ne era affascinato e rapito ad un punto tale da perdere coscienza di quale fosse il suo ruolo in quel momento.
Alle sue spalle avvertì qualcuno trattenere il respiro, ma non un solo suono si agitò nella calca della tensione e l'attesa.
Lei esaminò per un attimo la ferita, come se cercasse nei suoi ricordi il motivo per cui se l'era inferta. Sembrò smarrita, e persa, e incredibilmente inerme. Poi gli avvicinò il braccio al viso, spalmandogli il sangue sulle labbra come un'impronta, intangibile e incancellabile.
Le lacrime che non voleva lasciar asciugare sulle guance risucchiate dalla pelle disidratata.
Si leccò le labbra con lentezza, assaporando il ferroso sapore della vittoria. Letteralmente.
“A cosa è servito? Tutto il dolore, e la sconfitta, e la frustrazione, a cosa sono serviti?” aveva smesso di piangere, rimanendo inerme davanti a lui, con il sangue denso che rallentava fino a fermarsi, incastrandosi fra le dita, imprigionato dalla sua stretta, pur nella forza di gravità. I pugni serrati tremavano lungo i fianchi, ma non si allontanò né abbassò lo sguardo.
Soppesò la risposta a quella domanda fino a quando il dilatarsi stesso del silenzio sembrò insopportabile alle sue orecchie

I sit alone in this winter clarity which clouds my mind
Alone in the wind and the rain you left me

“Se ti può essere di conforto, sei parte di qualcosa che nemmeno immagini” non lo era, e non lo sarebbe stato nemmeno per lui.
L'afferrò con malagrazia, accelerando il flusso sotto le sue dita, assieme al battito di lei intrappolato sotto la pelle, e avvicinò il suo polso al calderone fumante di miasmi violacei e cupi. L'odore della pozione aveva il vago sentore della decomposizione e la morte, ed era così denso da poter fondere il peltro in pochi secondi. Eppure si agitava blando nel suo contenitore, in attesa.
Le loro mani rimasero sospese per qualche istante, mentre seguiva con lo sguardo il percorso ad ostacoli della goccia di sangue, l'ultima, che avrebbe completato il rituale, finalmente, restituendo ad ognuno di loro quello che di se stessi che avevano immolato alla vita per arrivare fino a lì.
In un attimo dove anche un solo respiro avrebbe frantumato i vetri delle finestre, la goccia si sangue tremolò e cadde, semplicemente, come se non ci avessero impiegato tutta una vita a fare sì che accadesse.
L'ultima cosa che vide, fu la lacrima di lei che scivolava lungo la guancia e precipitò sulla sua mano appoggiata al bordo dai contorni irregolari del calderone. La sentì bruciare sulla pelle come fuoco di drago, ma non ritrasse la mano.

It’s getting dark darling, too dark to see
And I’m on my knees, and your faith in shreds, it seems

***

“Cosa significa questo?” Incubus sollevò a malapena gli occhi dal libro che stava leggendo. Era in rumeno, la sua lingua madre, e Rose non era riuscita a decifrare una sola parola. L'unica cosa di cui poteva dirsi certa era che, qualunque cosa ci fosse scritto, era per Incubus più importante di lei. E del mondo, e di qualsiasi spiffero gelido falcidiasse i suoi respiri e costringesse le fiamme del camino a ritrarsi in se stesse. Era snervante doversi muovere a ritmo del fuoco nella speranza di catturare una fiammella di calore in quell'umido pastrano logoro che era il loro rifugio.
Si strinse addosso il cappotto sdrucito e rosicchiato dai topi che aveva trovato in un armadio all'ingresso, divorato dai tarli, che puzzava immondamente di chiuso e muffa. L'odore le era penetrato così a fondo che non era certa di essere capace di liberarsene.
Incubus sollevò un sopracciglio, interrogativo
“Questo?” sollevò il tomo consunto e impolverato “non lo conosci? E dire che pensavo fossi una strega informata” il suo tono era intriso di sarcasmo, accompagnato da una lieve sfumatura noncurante. Non c'era più intensità, o una scintilla di umanità nel suo sguardo, o nella sua postura, o nei gesti misurati con cui si passava il dito sulle labbra per poi sfogliare le pagine “Paradiso Perduto, un'ottima lettura, se si considera che l'autore era un Babbano” sussurrò percorrendo con lo sguardo il profilo del libro, l'angolo acuto della copertina, il frontespizio dalle pagine ingiallite della consistenza di una pergamena antica e l'odore di polvere e di marcio.

Corrupted by the simple sniff of riches blown
I know you have felt much more love than you’ve shown

Lo sfogliò velocemente, le dita lunghe e affusolate che si muovevano con grazia sulle pagine incartapecorite, e sorrise. Non c'era niente di vivo nel distendersi delle sue labbra, nell'arcuarsi sottile della cicatrice a mezzaluna, nello scintillare di denti bianchi e letali come quelli di un predatore. Le aveva chiesto una notte, una sola notte per decidere, e Rose la stava trascorrendo a guardarlo mummificarsi
“Sbalordito il diavolo rimase, quando comprese quanto osceno fosse il bene” sussurrò in un tono a malapena udibile avvertendo un pesante nodo di ghiaccio scivolarle in gola. Non sarebbe mai uscita viva da lì, lo comprese con chiarezza in quel momento. Probabilmente lo aveva sempre saputo, ma solo allora si rese conto che Incubus Mortimer non l'avrebbe mai lasciata andare. Che lui fosse o meno il Diavolo incarnato, un incubo in carne ed ossa pronto a sbranarla e a trascinarla nelle più oscure pieghe dell'Inferno, Rose Weasley aveva perso parte di se stessa in quel viaggio, indipendentemente dalla destinazione.
Incubus le concesse un sorriso compiaciuto, un'espressione che su chiunque altro sarebbe sembrata rincuorante, ma che l'atterrì. La terrorizzò, e allo stesso tempo sembrò strapparle con un pugno l'aria nei polmoni.
Fece perno sui braccioli della poltrona sventrata su cui si era seduto e si alzò, avvicinandosi a lei, accovacciata sul tappeto logoro davanti al camino, ancora stretta nel suo cappotto bucherellato.
“Perché credi che ti abbia salvato la vita Rosie? Per pietà, misericordia, empatia?” lei si voltò, fendendo lo spazio che li separava con uno sguardo tagliente
“Perché non sei un assassino, mi verrebbe da pensare, ma credo di sbagliare anche in questo...” biascicò a mezza bocca, tornando a fissare le fiamme. Incubus fece schioccare la lingua con divertito disappunto
“Temo che tu non comprenda appieno in che incredibile guerra sotterranea ti sei cacciata” non sembrava né costernato né infastidito. Solo affettato, in un modo che Rose avrebbe voluto strappargli via di dosso per vedere se avrebbe sanguinato, o respirato, o sarebbe morto. Qualsiasi cosa pur di provare a se stessa che aveva di fronte qualcuno vagamente vivo.

And I’m on my knees and the water creeps to my chest

“L'unica guerra che conosco l'hai dichiarata tu” mormorò rabbiosamente, gettando tra le fiamme un lembo di tappeto che le si era disintegrato fra le dita “hai avvelenato qualsiasi cosa. Hogwarts, la mia vita, la tua” si voltò verso di lui il gelo in gola che si scioglieva in respiro ribollente di angoscia “Non hai nessun diritto di farlo Incubus. Forse la tua famiglia è stata uccisa, forse hai avuto un'infanzia orribile e forse covi dentro di te tanta rabbia, e sofferenza, e paura anche...ma questo” indicò la stanza dalle pareti dardeggiate di quadri e drappi preziosi, vecchi, consunti, lisi fino a cancellare la trama dei tappeti e la fantasia delle tende “e questo” inchiodò su di lui il suo sguardo, indugiando sul suo viso pietrificato dall'immobilità, la ruga appena accennata fra le sopracciglia brune e la linea distesa delle labbra “non ti rendono una persona che cerca giustizia e per farlo è costretta a scavalcare i sentimenti degli altri” deglutì, avvertendo il nodo del suo petto allentarsi “ti rendono solo un essere vuoto, un mostro incapace di fermarsi e di restare aggrappato alla realtà” serrò le dita attorno alla stoffa lisa del tappeto, artigliandosi al tessuto cadente come se potesse impedirle di sprofondare davvero fino nelle incandescenti viscere della Terra.
Incubus restò immobile per un attimo, inghiottendo voracemente le sue parole. Poi sorrise, meno rigidamente e meccanicamente di poco prima, eppure inquietante allo stesso modo
“Quindi è così che mi vorresti? Un disperato eroe romantico legittimato alla vendetta? Protetto nel suo ferire gli altri dall'inattaccabile logica della sua motivazione?” incrociò le braccia al petto, sentenzioso “mi stai veramente dicendo, Rose Weasley, che se fossero il dolore e la sete di rivalsa a muovere le mie azioni, diventerei il tormentato protagonista della tua storia, anziché il cattivo?” Rose si alzò per fronteggiarlo, avvertendo la pelle non più esposta al calore del fuoco farsi umida e fredda. Si strinse nelle braccia, inutilmente. Eppure il cuore le pulsava con una potenza quasi sfiancante, e il sangue scorreva veloce, quasi dandole alla testa.
I due si osservarono per qualche istante, prima che lei riuscisse a rispondere
“E con questo? Non sarebbe giusto vendicarti? Legittimo?” Incubus rise, riversandole addosso un'ondata di brividi gelati. Fu una risata di scherno così tagliente che Rose credette di sentirla frantumarsi contro il muro alle sue spalle
“La legittimità non  rende meno dolorose le ferite che ho inferto o meno amare la lacrime che sono state versate. La legittimità non peserà meno su di me, e non renderà la mano con cui ho scagliato i miei incantesimi più ferma” si passo una mano sul collo, nell'unico gesto umano che gli avesse visto fare fino ad allora “non posso fingere di essere solo un bamboccio sentimentale perché tu possa volermi, al sicuro da te stessa e dalla dilaniante paura che hai di diventare come me...” quelle parole piovvero fra loro in una cascata scrosciante di consapevolezza e terrore.

But plant your hope with good seeds
Don’t cover yourself with thistle and weeds

Incubus fece un passo verso di lei, poi un altro, e un altro ancora, finché non si trovò così vicino da percepire  il flebile calore emanato dal suo corpo.
Allungò una mano a coprirle una guancia, e serrò le dita attorno al suo mento, nella solita frustrante mescolanza di dolore e anticipazione che la facevano sentire sporca e disperata.
“Ma guardati Rosie, così inerme e tremante” sogghignò crudele “lì, in attesa che mi avventi su di te così che tu non debba ammettere che vuoi tutto questo quanto lo vuoi” le fece scivolare un fito lungo il collo, percorrendo quasi distrattamente la clavicola. Sorrise, a rilento, come se assaporasse davvero quel momento.
Rose si divincolò con un  movimento brusco
“Non è così” sibilò passandosi con decisione una mano sul viso, tentando inutilmente di allontanare da sé la sensazione della sua mano, e la consistenza di quel tocco, reale, vivo, a dispetto di quella situazione paradossale “sei spaventoso. Ho pensato, maledetta Morgana, ho davvero creduto che tu avessi ancora qualcosa per cui sforzarsi di capire Mortimer. Ho sperato che la tua fosse solo una recita ben congegnata, qualcosa oltre cui andare per poter vedere davvero cosa si nasconde in te. Mi hai salvato la vita quando potevi semplicemente lasciarmi al mio destino in quella cella, e non mi hai ancora uccisa neanche adesso, nonostante io sappia cosa nascondi” deglutì, inspirando profondamente “non so chi tu sia, credevo di saperlo ma non è così. Non voglio entrare nella tua testa, non voglio conoscere altro di te perché so che non potrei riemergere dall'orrore che è la tua mente” si passò una mano sul viso “voglio solo smettere di vedere la tua faccia in ogni istante di questa follia, e tornare a casa, e non sentirti sotto la pelle come una dannata malattia, e non pensare che c'è una piccola parte di me che vuole tutto questo, e si sente soffocare al pensiero di vedere l'alba domani, e tornare ad essere la persona che era” sospirò lasciando scorrere le calde lacrime di resa che aveva trattenuto fino a quel momento “non sono più quella persona, ed è tutta colpa tua...” ansimava. Non si era accorta di aver percorso interamente la stanza a grandi passi, gesticolando, imprecando, muovendosi come un animale in gabbia. Le sue sbarre, Rose Weasley, le stava sradicando una ad una.
Incubus le arrivò alle spalle, non tanto vicino da toccarla, ma abbastanza da assicurarsi che sentisse su di sé la sua presenza
"Posso essere tutto quello che vuoi” sussurrò al suo orecchio sfiorando la pelle dietro il collo “posso essere il tuo eroe tormentato, il tuo martire, il tuo paria, qualsiasi cosa” le fece scivolare la mano sul ventre, attirandola a sé, imperioso e crudele, come sempre “Potrei addirittura pentirmi e chiedere pietà, inginocchiarmi di fronte ad un potere che non riconosco” le affondò il viso fra i capelli inspirando profondamente “implorare e piangere per una giustizia in cui non credo, Rose Weasley e rinunciare ad ogni mio proposito da qui all'eternità. Potrei essere quello che tu desideri, quello che va bene per te e per nutrire la tua coscienza rancida e piena di falle, ma non sarebbe altrettanto...appagante" intrecciò le dita ai suoi capelli, costringendola a ripiegare il capo all'indietro, e a voltarsi, così da non poter vedere altro che le iridi intarsiate di pagliuzze dei suoi occhi, così da non lasciarle altro margine di manovra che il suo corpo, anche solo per restare in piedi. Si avvicinò fino quasi a sfiorarle le labbra “Ma tu mi vorrai ugualmente Rosie, così tanto da precipitare con me ovunque cadrò. E dovrai diventare un mostro per farlo, esattamente come me...”

Rain down, rain down on me
Look over your hills and be still
The sky above us shoots to kill
Rain down, rain down on me

***

La Sala Grande di Hogwarts era stata il suo incubo così a lungo che non sarebbe mai stato capace di collegarla a nessun dannato momento felice: lì tutti potevano guardarlo dall'alto in basso, di sbieco, sussurrandosi l'un l'altro quanto fallito e patetico fosse, quanto suo padre fosse folle e codardo, e quanto la sua famiglia fosse caduta in basso. Aveva amato i candelabri di Hogwarts sospesi nell'aria, in suo finto soffitto, le cucine, le serre e il campo di Quidditch, aveva perfino trovato confortevole i Sotterranei, che lo facevano sentire protetto e al sicuro, nella penombra, dalle occhiatacce del resto del mondo, ma da quando aveva messo piede in Sala Grande la prima volta e il Cappello Parlante lo aveva assegnato a Serpeverde, non aveva c'era più stato un momento in cui si era sentito davvero a casa.
Beh, forse c'era, ma non valeva.
Durmstrang era brulla e inospitale, le zone limitrofe alle stalle puzzavano costantemente di cavallo, il cielo non aveva mai sorriso da quando era arrivato, costantemente appesantito da nubi che minacciavano una pioggia di fuoco, il gelido inverno aveva fine solo un giorno prima della torrida e irrespirabile estate di vortici di arena rossa e venti caldi capaci di riardere la lingua in gola, ma non aveva mai temuto lo sguardo di  nessuno.
Quella scuola non gli piaceva, la lingua severa e dura, gli insegnanti arcigni, i compagni di classe dai lineamenti così simili fra loro, ma nessuno conosceva Scorpius Malfoy, nessuno sapeva davvero chi lui fosse o cosa significasse vivere nella sua pelle.
Gli mancava Hogwarts, gli mancavano l'aria costantemente umida di marzo e le prime giornate di sole ad aprile, gli sarebbe mancato fare il bagno nel Lago Nero con Zane finiti gli esami, e le nottate sulla torre di Astronomia a fumare spinelli e cantare stonati e sbronzi. Probabilmente anche Stan Picchetto con la sua inespugnabile convinzione di avere un qualche ascendente su di loro avrebbe conservato un certo posto nel modo in cui, di lì a qualche anno, avrebbe rimpianto quegli anni. Li rimpiangeva già, senza che nemmeno fossero trascorsi.
Ma a Durmstrang lui poteva essere chiunque, anche se stesso. E se c'era un modo per mettere fine per sempre alla sua vita scolastica, questo gli sembrava incredibilmente vicino all'anonimato del Castello, arroccato sulla scogliera, il rumore costante delle onde che s'infrangevano sulla parete di roccia frastagliata, l'ululare minaccioso del vento nelle grotte di stalattiti, sotto le fondamenta, che s'inflitrava fra le crepe nel muro. Nessuno, lui era semplicemente un altro Signor Nessuno che si muoveva nei corridoi distrattamente, automaticamente, scambiando qualche parola con gli altri a caso, senza avere la pretesa di farsi degli amici.
Non aveva mai funzionato da quel punto di vista.

Flashback****************************************************************

Era terrificante, pensò Scorpius sollevando il capo verso la donna enorme che sedeva a capotavola. La gente non dovrebbe essere così gigantesca no? Le persone dovrebbero essere alte, basse, magre o robuste, ma non in quel modo.
Eppure lei sorrideva velatamente dietro una frangia severa, castana striata di grigio, e appoggiava lo sguardo su di loro con malcelato divertimento. E una punta di tenerezza, osservò Scorpius dall'alto dei suoi undici anni e una concezione di tenerezza che avrebbe sfidato quella di un cucciolo di Schiopodo Sparacoda. Anche tenera, sì.
Albus Potter era accanto a lui, poco dietro, immerso nella fiumana di parenti e amici che gli arruffavano i capelli, gli davano pacche sulle spalle e buffetti. Si fissava insistentemente le punte delle scarpe, stropicciando i piedi in preda all'ansia. Scorpius sfiorò distrattamente la sua borsa nuova di zecca, la copia di  Quidditch Attraverso i Secoli che pesava come un macigno segandogli la spalla. Avrebbe dovuto restituirgliela, in fondo nemmeno si conoscevano, figurati se erano amici, e lui non era un  mendicante che accettava regali da chissà chi, men che mai da un Potter, traditore della sua specie e del suo sangue, come diceva sempre Draco.
Quel Potter nella fattispecie non sembrava pericoloso, non con tutta la paura che urlavano i suoi occhi verdi abbassati sul pavimento, mentre la vernice delle sue scarpe buone scricchiolava impunemente.
Una donna di mezza età dall'aria ordinata li oltrepassò velocemente, mettendosi alla testa del gruppo, con una pergamena in mano e un paio di occhiali dalla montatura di corno
“Bene bene, ma quanto siete adorabili voi tutti qui eh?!” sorrise, sforzandosi di rendere il loro trapasso un po' meno traumatico. Suo padre l'avrebbe definita una “debole Maganò dal cuore tenero” ma lui non poté fare a meno di trovarla gentile “ora entreremo nella Sala Grande e a turno indosserete il Cappello Parlante, così che possiate essere assegnati a quella che sarà la vostra Casa per i prossimi sette anni ad Hogwarts”   Albus Potter sibilò come un topo in trappola sussurrando qualcosa come “Non Serpeverde” e Scorpius provò uno strano senso di partecipazione. Poteva capirlo meglio di chiunque altro, si trovò a pensare allungando il collo in direzione della donna che stava finendo di spiegare con quale criterio il Cappello avrebbe scelto. Se fosse stato Smistato in una casa diversa da quella di tutta la sua intera famiglia (il traditore Black escluso) Draco gli avrebbe letteralmente fatto sputare tutto il suo sangue puro. Rabbrividì.
Probabilmente il Grande Harry Potter Salvatore del Mondo Magico non avrebbe picchiato suo figlio con il bastone da passeggio a testa di serpente, ma non sarebbe stato troppo contento di sapere che il suo figlio prediletto non avrebbe reso onore alla Casa di Grifondoro.
Avvertì il panico serrargli lo stomaco, e a malapena si accorse che la Professoressa aveva smesso di parlare e
aveva appoggiato la mano rugosa sul portone.
Un attimo poteva sentire solo i bisbigli e i sussurri dei ragazzini del primo anno ammassati contro l'ingresso della Sala Grande, l'attimo dopo fu solo luce accecante, boati roboanti di applausi eccitati e fischi, urla, risate e incitamenti. Avvertì un grande calore, e il desiderio che quelle urla fossero, almeno in minima parte, anche per lui.
Albus Potter si posizionò al suo fianco, la pelle che aveva assunto un ben poco rassicurante colore verdognolo e gli occhi dietro gli occhiali che saettavano da una parte all'altra della stanza senza requie.
“Mio fratello mi uccide se non mi Smistano in Grifondoro” sussurrò tormentandosi le unghie. Scorpius si sforzò di apparire tranquillo, scrollando le spalle
“E' solo un dannato Cappello, non può decidere al posto tuo” avrebbe voluto che fosse vero, con tutto se stesso, avrebbe potuto scegliere veramente la sua strada. Ma a lui non era concesso il beneficio del dubbio, da nessuno.
L'altro sembrò rilassarsi
“Mio padre dice che non è così uno schifo finire in Serpeverde” sospirò “anche Piton era in Serpeverde e...” si voltò verso di lui con espressione scocciata
“Mi piacerebbe stare qui ad ascoltare le meravigliose gesta della tua famiglia Potter, ma vorrei evitare di essere preso in giro a vita da chiunque perché non ho sentito pronunciare il mio nome” biascicò con un occhio rivolto alla pergamena che si srotolava lentamente.
Alla fine la donna bassa e sottile lo chiamò
“Scorpius Hyperion Malfoy” il silenzio scese sulla Sala Grande, lasciandosi dietro solo un sottile filo di bisbigli concitati e increduli. Il vuoto più martellante, proveniva dal tavolo di Serpeverde.
Mosse un passo, un altro, e un altro ancora, avvertendo gli occhi di centinaia di persone bruciargli sulla schiena. Maledisse se stesso per non essersi sistemato i capelli, non aver riassettato la divisa, per non essere la persona che avrebbero voluto. Non era mai la persona che gli altri volevano.
Trattenne il respiro, avvertendo solo il rumore dei pochi passi che lo separavano dal resto della sua vita. Aveva mentito, quel dannato Cappello avrebbe deciso davvero chi sarebbero diventati e come.
Si sedette rigidamente, lentamente, con circospezione, artigliando spasmodicamente lo sgabello di legno un po' traballante, e attese.
Attese che un pezzo di stoffa rattoppata e puzzolente plasmasse il suo futuro. E lui odiava che altri decidessero per lui. Lo odiava da quando suo padre gli faceva ripiegare i vestiti dalla loro Elfa ai piedi del letto, quando gli stringeva il cravattino, lo squadrava, lo misurava e lo pesava con lo sguardo, con disappunto. E avrebbe odiato anche quel dannato Cappello Parlante e le sue considerazioni su quanto indegno e sciocco fosse a pretendere di avere voce in capitolo nelle sue decisioni di lì a sette anni
“Ohhhhhhh, cosa abbiamo qui? Un Malfoy” fece schioccare la lingua, o almeno credeva. I cappelli parlanti hanno la lingua? Nel silenzio rimbombante della sua confusione, il Cappello parve riflettere, entrandogli nella testa, non nello stesso modo di Draco, con la magia, ma semplicemente, senza dolore, sfogliando i suoi pensieri come leggendo un libro, provando un piacere innocente e malizioso, divertito “c'è qualcosa che on va nella tua mente caro mio” mormorò “non riesco a capire” una pausa lunga una vita, poi riprese “sei intelligente, determinato, con una buona dose di tronfio coraggio anche...” mugugnò “mhhh, credi ciecamente in quello che fai, ma non sai davvero qual'è il tuo posto...”
“Non dovresti dirmelo tu amico? Non sei tipo qui per questo?”
“Bene, una sana dose di arroganza, mi piace...” attese ancora, rimaneggiandolo come un calzino bagnato “eppure manca qualcosa...cosa vuoi dal tuo futuro Scorpius Malfoy? Essere ammirato, amato, venerato, o vuoi solo” si zittì nuovamente “oh, capisco...beh, a questo punto...”
“Senti coso, hai idea di cosa voglia dire essere me?” sbottò alla fine, muovendosi nervosamente sullo sgabello, mentre mezzo Mondo Magico lo fissava impaziente
“No, e a quanto vedo qui, sono un Cappello fortunato...”
“Se non finisco in Serpeverde mio padre farà in modo di farmene pentire, e probabilmente tornerà qui a scucirti l'orlo punto per punto” la risata che il cappello fece nel suo orecchio lo convinse quasi a fare lo stesso
“Quello che tuo padre vuole Scorpius Malfoy m'importa meno della moda in fatto di fodere interne per cappelli. Quello che vuoi tu, figliolo, m'interessa già di più” Scorpius sospirò profondamente tormentandosi le mani. Incrociò lo sguardo angosciato di Albus Potter osservarlo, dilaniandosi nell'attesa di conoscere il suo destino. Non avrebbe contrattato, lui, con un pezzo di stoffa vecchio di millenni, ma Scorpius non era mai stato come gli altri bambini, non aveva avuto la scelta di esserlo, e nessuno gli aveva mai dato una scelta. Quel pastrano lurido con uno squarcio pidocchioso per bocca era il primo ad avergli mai chiesto cosa veramente volesse
“Voglio essere libero. Voglio che nessuno mi fissi, e nessuno mi detesti solo perché mio padre è un uomo orribile. Vorrei che si mettesse il cuore in pace e capisse che la Guerra Magica è finita. Vorrei davvero che mia madre non fissasse la parete tutto il giorno senza dire una parola...e vorrei, più di ogni altra cosa nel Mondo Magico, che nessuno mi conoscesse qui, per essere chi voglio” ribatté tutto d'un fiato, senza nemmeno prendere il respiro, soffocandosi con la forza dirompente di quelle parole.
Il Cappello Parlante rimase in un silenzio così totale che Scorpius pensò di aver esaurito tutta la magia che lo animava, ma alla fine parlò, e parlò con una tale solennità da fargli rizzare i capelli severamente tagliati dietro la nuca.
“Non c'è un posto dove tu possa essere quello che vuoi essere, se non tu stesso, Scorpius Malfoy. Non c'è una Casa che ti accoglierà dimenticando chi sei, nessuno lo farà. Ma potrai essere chi vuoi in ogni caso, un faticoso giorno alla volta, semplicemente lottando” Scorpius inspirò mentre il Cappello Parlante lo assegnava alla sua casa e dal tavolo di Serpeverde si levavano deboli mormorii concitati.
Scorpius saltò giù dallo sgabello, dirigendosi a testa alta verso la Tavola della sua Casa, pronto ad non abbandonarla per i successivi sette anni.
Albus Potter gli sorrise debolmente. Mentre gli passava accanto, sussurrò
“Magari stare insieme a Serpeverde non farà così schifo” per un attimo, prima che anche lui si sedesse sotto la stoffa logora del Cappello, Scorpius s'illuse che avesse ragione.
Poi un tonante “Grifondoro!” risuonò nella Sala Grande accompagnato da fischi e urla di gioia, e il piccolo posto felice che aveva cominciato a costruire si fece nuovamente freddo.

But I will hold on
I will hold on hope

Fine Flashback************************************************************

Viktor Krum si avvicinò al suo posto mentre tentava vanamente di separare la brodaglia informe della cena da un pezzo di broccolo malandato e insapore che galleggiava fra le altre verdure.
I suo compagni s'irrigidirono attorno a lui, nell'enorme tavolata a ferro di cavallo che troneggiava nella Sala Grande di Durmstrang.
“Ivana mi ha detto che ti ha visto giocare” borbottò con il suo accento marcatissimo “le piaci...” Scorpius sollevò un sopracciglio sogghignando eloquentemente, ma il Preside non raccolse la sua provocazione nemmeno quella volta. Era meno zotico di quanto apparisse al primo sguardo “Il Quidditch ti aiuterà a farti degli amici”
“Non è che sia esattamente un animale da branco” sentenziò giocherellando con una mollica di pane “la gente tende e a trovarmi fastidioso, chissà perché...”
L'uomo incrociò le braccia al petto, esaminandolo attentamente “Sei spaventato...” decretò alla fine. Il ragazze sollevò la testa dal piatto, di sbieco, aggrottando le sopracciglia
“E da cosa? Dal grande Boccino Cattivo che vuole mangiarmi?” scrollò le spalle “sono solo una dannata palla, una dannata scopa e un dannato campo. Davvero spaventosi, come no” sbuffò infastidito
“E allora gioca, entra in squadra” lo pungolò con severità "Sei dentro Scorpius, fai parte di tutto questo adesso, perchè stai esitando?" serrò le dita attorno al tovagliolo, e avvertì l'aria umida di Hogwarts diventare una secca tormenta, il Lago Nero, placido e popolato di sirene ululare contro la scogliera in un lamento eterno, scavando grotte e canali sotto le fondamenta. Sentì il suo cognome come un boato svanire nel tempo, e sbiadirsi nella labile memoria come qualcosa di affatto importante.
Immaginò di sentirsi chiamare solo amico, senza sguardi affilati e sopracciglia aggrottate. Pensò ai mesi successivi senza la responsabilità di qualcun altro sulle spalle, senza provare cose che non pensava avrebbe mai conosciuto sulla pelle, senza chiedersi costantemente cosa stava succedendo alla sua vita. Pensò di ricominciare davvero da capo, definitivamente, libero dal macigno della sua ascendenza.
Pensò a lei, malgrado tutto, e al mondo in cui si scacciava via i capelli dal viso quando era nervosa, e alle punte delle sue scarpe consumate dall'uso, all'incoscienza con cui lo aveva accolto nella sua vita, sforzandosi fino alla stremo di non rendersene conto.
Non si trattava più di cosa sarebbe stato meglio per lui, di cosa lo avrebbe reso felice. Si trattava di quello che era giusto, e di quello che voleva. D'un tratto, scegliere gli sembrò terrificante, e allo stesso modo terrificantemente naturale.

I begged you to hear me, there’s more than flesh and bones

***

Il frastuono sarebbe stato insopportabile se non fosse stato letteralmente ipnotizzante. Tamburi, flauti, movimenti ritmici e ripetuti si srotolavano nella notte nemmeno troppo fredda di aprile, catturando ogni lampo di luce, ogni riflesso e ogni ombra, succhiando via da lei ogni pensiero, ogni ansia, ogni contraddizione insita in quel suo sangue mescolato a fama che le pesava nel petto ad ogni battito di cuore. Paradossalmente, l'idea di uscire, immergersi nel folto minaccioso della Foresta Proibita per raggiungere il gruppuscolo di case in legno che costituivano la nuova riserva Cherokee, prospettiva che fino a qualche giorno prima sarebbe stata capace di farle serrare le labbra più di Minerva McGranitt, era stata un'idea sua; o meglio, lui le aveva accennato quasi casualmente che quella notte i Cherokee avrebbero festeggiato l'inizio del periodo di raccolta, ma era stata Lily, totalmente e innegabilmente lei a decidere che era arrivato il momento di dismettere i panni di Priscilla Corvonero la Triste e cominciare ad avere davvero 16 anni. E lui l'aveva lasciata fare, sorridendole con quegli intensi occhi innaturalmente gialli e gentili Aveva smesso di tenere il conto delle tazze di legno intagliato colme di liquido caldo e alcolico che le erano passate fra le mani, alla decima. Louis era in piedi, e si dimenava attorno al fuoco come posseduto dalla Tarantallegra, saltando e strisciando come una maledetta anguilla, sotto lo guardo estasiato dell'intera comunità nativa femminile, e perfino maschile. Lily non era una che arrossiva facilmente, ma quella sera aveva visto sguardi capaci di spogliarla senza nemmeno rimanere fissi su di lei; i Cherokee non erano come i ragazzi che aveva conosciuto. Perfino Scorpius Malfoy, al limite autolesionista del loro rapporto, aveva mantenuto con lei un atteggiamento meno allusivo. C'era qualcosa di leggero e vago nel suo sguardo quando la provocava, qualcosa di volatile, di cristallino, mai così ingordo.
Trovò a domandarsi, suo malgrado, se Wahya Show avesse lo stesso ricordo di lui, o se li ricordasse semplicemente nudo, spalmato da qualche parte nell'immensa prateria ai piedi delle Smokey Mountaines, con una sigaretta penzolante fra le labbra e un braccio pigramente appoggiato alla fronte per ripararsi dal sole cocente.
Lily strinse le palpebre fino a intravedere le luci bianche nell'oscurità, e si pizzicò il naso con il pollice e l'indice maledicendo l'undicesima tazza di chissà cosa e la propria immaginazione. Pensare a lui, in qualsiasi modo, in qualsiasi contesto e per qualsiasi ragione era sempre pericoloso, ma così, quasi ubriaca e gettata alla rinfusa in una festa orgiastica di nativi americani che danzavano intorno ad un fuoco mezzi nudi e unticci, era veramente la proverbiale goccia.

Let the dead bury the dead, they will come out in droves
But take the spade from my hands and fill in the holes you’ve made

Quando si concesse di riaprire gli occhi, Scott Warrington le stava sventolando senza troppo entusiasmo una mano davanti al viso
“Ehi, ti sei scollata per un attimo” non sapeva se scollata sarebbe stato il termine esatto, ma sicuramente aveva caldo, un caldo innaturalmente intenso alla bocca dello stomaco, e la testa che sembrava rotolarle da una spalla all'altra in equilibrio precario.
Aveva dei begli occhi, pensò osservando la linea delicata delle sopracciglia che sfumava verso le tempie; grandi occhi azzurri dalle ciglia arcuate che le ricordavano quelli di Jimmy. Ma lui era scuro e mascolino, difficile da guardare, alle volte, con la bellezza trasandata così simile a quella del loro zio Bill, ma potente, intensa, quasi palpabile nell'odore intenso che emanava.
E Scorpiu Malfoy? Che odore aveva Scorpius Malfoy?
Serrò nuovamente le palpebre a voler scacciare il sapore, e l'odore, e l'immagine di lui in controluce nella penombra del Dormitorio, il silenzio ad orchestrare parole mute, e quell'intenso e penetrante profumo di menta come un soffio gelido. Era l'odore di lui che non poteva scacciare. Per quanto lunghi e disordinati fossero i suoi capelli, per quanto stanchi diventassero i suoi occhi, per quanto pallido ed emaciato diventasse, per quanto il suo sorriso s'intaccasse di amarezza e frustrazione, e la sua voce sillabasse tonalità discostanti a ritmo con l'irrigidirsi della sua mandibola, Scorpius Malfoy sapeva di menta. Sapeva di menta nel vagone dell'Espresso per Hogwarts, sapeva di menta quando l'aveva salvata sul campo da Quidditch, e in Infermeria, appena scampato dall'attacco del Dissennatore, di menta e Whisky Incendiario la prima volta che si erano baciati. E così sempre, che dalla sua bocca uscissero parole o semplici respiri, che il suo sguardo significasse tregua o battaglia all'ultimo sangue, che la toccasse, la guardasse, le parlasse o meno, il profumo di menta sovrastava ogni altro senso. La menta bruciava sul palato, trasformava l'ossigeno in un soffio di gelo, permeava ogni cosa, s'impadroniva del suo senso del gusto, della sensibilità delle sue labbra e premeva contro le tempie come una musica assordante. Eppure non c'era sapore che potesse contaminarla, o coprirla. Qualunque cosa usasse per mescolarla e guastarla, la sua lingua sapeva riconoscerla, e riconoscerne l'incorruttibilità. La menta era sempre menta, indipendentemente da che crescesse sulle sponde del Lago Nero o le venisse servita assieme al the.

But plant your hope with good seeds
Don’t cover yourself with thistle and weeds
Rain down, rain down on me
(Thistle & Weeds, Mumford & Sons)

Un ragazzo dai lisci capelli stretti in un nodo alla base della nuca le si sedette accanto, allungando nella sua direzione un'altra coppa dal contenuto dubbio
“L'aquila rossa deve bere, altrimenti non è una festa” aveva il viso ampio, squadrato, affatto bello, non per una semplice questione di canoni estetici, ma proprio per come la percepiva lei: troppo facile, troppo decifrabile, troppo aperta e sincera. Troppo vera. Non c'era un segnale che dovesse cogliere, un afflato di qualcosa che significava qualcos'altro. Era solo un ragazzo dal sorriso aperto e divertito che mostrava chiaro interesse per lei. Non doveva capire cosa davvero pensasse, non avrebbe mai dovuto chiederselo.
Sollevò due dita in segno di resa
“Direi che per 'stanotte l'Aquila Rossa ha bevuto abbastanza” non voleva essere sgarbata, ma quella frase le era uscita come un definitivo Levati dai piedi amico, non è aria e il ragazzo si allontanò semplicemente, un po' ammaccato nell'orgoglio, così naturalmente che Lily poté vedere i suoi pensieri delinearsi sul viso. Semplice, come saper leggere, e altrettanto automatico.
Un capogiro le mozzò il fiato sul limitare di una frase con cui scusarsi, e Lily si prese la testa fra le mani, tentando inutilmente di passare inosservata
“Tutto bene?” Paul Show, con le treccine colorate che danzavano con le fiamme, le poggiò una mano sulla spalla, peggiorando la situazione.
Lily avvertì qualcosa mescolarsi nello stomaco, un dolore stringente, soffocante. Represse un conato, portandosi la mano alla bocca, spiazzata.
“Sì, io devo solo...” cercò un appiglio a tentoni, inutilmente; solo erba e corpi stretti l'uno all'altro, persi nella danza delle fiamme.
Scott le fu alle spalle prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa
“Accidenti” imprecò a bassa voce, sorreggendola mentre si metteva in piedi a fatica. Louis interruppe la sua danza scatenata, e si scambiarono uno sguardo. Fu decisamente strano, inspiegabile, ma l'attimo dopo il ragazzo la guidava fra gli arbusti intrecciati della Foresta Proibita, sorreggendola appena, attento che non inciampasse nel terreno irregolare e nelle felci del sottobosco.
Quando furono abbastanza lontani, Lily s'inginocchio a terra, affondando le mani nel terriccio molle e odoroso.
Chiuse gli occhi, tentando vanamente di respirare con regolarità, lo stomaco che sussultava e il corpo scosso  dagli spasmi della nausea. Aveva la bocca secca e la lingua impastata, ma le vertigini i stavano attenuando
“Non dovreste bere se non reggete l'alcool” commentò il Serpeverde appoggiandosi al tronco di un albero cavo che doveva avere mille anni almeno
“Non ho cinque anni” biascicò Lily dondolando lentamente per recuperare il controllo “se voglio ubriacarmi posso farlo, Maledetto Salazar” l'altro non sembrò offeso dall'epiteto poco carino che aveva appena affibbiato al Fondatore della sua Casa.
Scott sollevò entrambe le palme aperte
“Accidenti se voi Potter siete suscettibili” sghignazzò. Da che lo conosceva, Lily non era mai riuscita  a prevedere una sola delle sue reazioni. Assurdo, pensò, come poteva Louis stare con qualcuno che non gli concedeva un margine di contatto, di familiarità, di alchimia? Non c'era un suo gesto caratteristico che poteva osservare sorridendo, non un modo di dire che potesse ricondurlo ad altri momenti, altri posti, intimi segreti che al resto del mondo sarebbero rimasti per sempre celati. Non c'era quell'intimità di sapere dell'altro cosa stava per dire dopo nemmeno due secondi che aveva iniziato la frase.
Poi ripensò a quello sguardo, all'istante di perfetta comprensione di poco prima, e si sentì una vera idiota patentata. Aveva considerato se stessa una persona sveglia, capace di captare le connessioni, eppure si trovava a fare i conti con i suoi sedici anni, ancora una volta, ancora da svezzare se paragonati al mondo che la circondava. Umiltà, era una parola che da tempo non riusciva a far combaciare con se stessa.
Si piegò sul terreno e buttò fuori ogni maledettissima tazza di brodaglia alcolica che aveva ingurgitato dall'inizio della serata.
Scott Warrington non aprì bocca, limitandosi a impedirle di cadere di faccia nel suo stesso vomito, sorreggendola alla bel e meglio con un braccio, mentre con l'altro le premeva la fronte. Non imprecò, non sussultò, non emise nessun suono finché Lily non si lasciò cadere a terra esausta
“Scusa” mormorò passandosi una mano sporca di terra sulla fronte lucida di sudore freddo. Avvertì chiaramente la traccia di sporco che le si depositava sulla pelle ad ogni millimetro. Non le importava.
L'altro si strinse semplicemente nelle spalle larghe e atletiche da nuotatore, infilando le mani nelle tasche del suo cappotto di alta sartoria
“Ho imparato a ingoiare le stranezze della vostra famiglia come la medicina contro il Morbillo di Drago a cinque anni” ribatté semplicemente “per quanto mi sembri assurda adesso, so che mi farà un gran bene” la vaga eco di un sorriso gli ammorbidì i lineamenti, rendendo la sua aristocratica bellezza più umana e imperfetta, rendendola smagliante. In quell'attimo Lily capì cosa di lui avesse affascinato tanto Louis: Scott era qualcuno di completamente altro da sè, di sorrisi difficili, parole difficili, che difficilmente sembrava voler toccare o farsi toccare da qualcuno, che rendeva ogni cosa una sfida continua. Un'incredibile vittoria era anche solo il sentirlo ridere. Per tutto questo, e per molto altro ancora, ogni suo gesto significava tutto.
Essersi esposto per Lou, aver ammesso la verità di fronte ad Hogwarts, al mondo, a chiunque, non significava solo che lo aveva scelto, ma che solo lui ne valeva davvero la pena. C'era così tanto amore in questo, pensò Lily, nel regalarsi a vicenda intimi attimi di completezza, che Lily avrebbe pianto se solo i suoi liquidi non fossero stati tutti completamente sparsi nella terra smossa della Foresta Proibita.
“Come sta tuo padre?” non era una domanda da fare a qualcuno ad una festa, specialmente a lui, specialmente dopo avergli quasi vomitato sulle scarpe come una povera mentecatta incapace di controllare i movimenti del proprio stomaco, ma Scott Warrington  si strinse semplicemente nelle spalle, calciando distrattamente una pigna secca ai suoi piedi
“E' sempre un incredibile stronzo, ma pare sia una moda da queste parti...” ma qualcosa inghiottì l'attimo dopo la risposta di Lily. Gli occhi dell'altro rotearono impazziti, e cadde a terra, cominciando a dimenarsi convulsamente. Sembrava in preda allo stesso attacco assurdo di Lorcan Lovegood al San Mungo settimane prima. Sembrava qualcosa che presagiva tragedia.
Lily s'inginocchiò al suo fianco, tentando di tenergli bloccate le spalle, che sembravano scivolare via dalla sua presa per cozzare violentemente contro il terreno sotto di lui, e facevano rimbalzare il capo a caso da una parte all'altra in un agghiacciante sbattere di denti incontrollato.
“Louis!” LOUIS!” urlò Lily sdraiandoglisi addosso nella vana speranza che il suo peso potesse arrestare quelle convulsioni sfiancanti; ma il corpo di Scott si muoveva ancora come in preda alla Tarantallegra, e quel rumore terrificante di sbattere di denti, di scricchiolare di ossa, di sofferenza soffiata via dai gemiti soffocati le rimbalzava in  testa come un ritornello martellante.
Nessuno arrivò, nemmeno suo cugino, la sua voce isterica che si perdeva fra i silenzi mai totali della foresta e i tamburi che sembravano voler spaccare in due la terra e Scott Warrington sotto di lei che poteva soffocarsi con la sua stessa lingua da un momento all'altro.
Poi tutto fu immobile, solo il bubolare dei gufi, il frusciare del sottobosco sempre vivo e popolato, il rombo della festa in lontananza che si mescolava al suo respiro affannoso, e Scott Warrington spalancò gli occhi con uno schiocco di mandibole
“Lo so...” sussurrò con più controllo di sé di quanto ne avesse lei “So chi mi ha portato qui” si mise a sedere, sbalzando Lily che gli era ancora accasciata addosso e serrò i pugni attorno al terriccio umido
“Cosa? Cosa significa Scott...stai bene?” gli occhi incredibilmente azzurri dell'altro batterono un paio di volte, con decisa consapevolezza
“So chi mi ha rapito” decretò “e non sono stati i Traghettatori” l'attimo che seguì fu per Lily il più lungo e assieme il più breve di tutta la vita; o per lo meno dell'immediato futuro. Il ragazzo si morse il labbro quasi affranto, e sospirò “Ho idea che quello che sto per dirti non ti piacerà per niente...”

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Angolo della delirante autrice: Buonasera! Eccoci qui con un nuovo più o meno sorprendente capitolo^^ Purtroppo sono in ritardo di quasi una settimana rispetto a quanto sarebbe stato per lo meno d'uopo, ma dedico questo sgorbietto che m'è venuto fuori alla cara Oksy che ha compiuto 17 anni!!! Auguri tesoro!!!! Scusa il ritardo, ma come sai ho il tempismo di un preservativo bucatoXD
Dunque, da dire sul capitolo c'è solo che il libro che sta leggendo Incubus, Paradiso Perduto, è il poema epico di John Milton che narra della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso. Personaggio centrale è Lucifero, che appare quasi come "giustificato" da Milton nel suo tenace tentativo di contrapporsi a lui in nome dell'autoaffermazione. Non so, ditemi voi, ma a me sembrava calzante^^
La canzone è Thistle & Weeds dei Mumford & Sons (un'altra volta, lo so, sono pessima^^) e potete trovarla qui
Come al solito ringrazio tutti voi e anche quelli che passeranno di qui dopo di voi, e in particolar modo la mia motivatrice personale Giuls che, nonostante componga opere magnifiche e non abbia nemmeno il tempo di vivere, trova sempre il modo di pungolarmi e stimolare la mia creatività in ogni modo a lei possibile <3

   
 
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