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Autore: _Padfoot    07/02/2012    5 recensioni
No, era impossibile. Suo padre che gli sorrideva? E da quando? E poi proprio ora, che una porta era scoppiata da sola, come per magia… per… magia? Per magia! Il lampo di comprensione gli fece dimenticare quello che era appena successo, e cominciò a sorridere stupidamente pure lui, ma sua madre si mise a piangere e lo riportò nel mondo reale. Il sorriso scomparve dalle sue labbra così velocemente come era spuntato, e il piccolo Gellert si ritrovò a fissare suo padre, sentendo che il peggio stava per arrivare. Ma non arrivò. Invece, dopo un altro minuto passato in un silenzio rotto solo dai singhiozzi di sua madre, il signor Grindelwald si inginocchiò accanto a lui e abbracciò suo figlio come non aveva mai fatto. “Ora sei degno”, disse solo.
***
La vita e le bugie di Gellert Grindelwald, naturalmente dal suo punto di vista...
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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"Ehm...io....veramente..."
"Anna, lo sai che questo e' colpa tua vero?" si sforzò di sorridere, tentando invano di guardare giù, dove il terreno sembrava sempre più lontano. 
"Non pensavo che sarebbe schizzata in aria!"
"Ok, provo a fare qualcosa" La zittì lui, cercando di concentrarsi su non sapeva bene cosa. Forse, dando dei comandi alla scopa... Provò a trasmettere al manico che aveva in mano tutta ossia volontà di scendere, ma fu abbastanza inutile.
"Sei ridicolo" gli urlò Anna da sotto. Effettivamente, stava fissando la scopa con sguardo truce, come se potesse vederlo.
"Grazie dell'incoraggiamento, se questo e' tutto quello che puoi fare faresti meglio a tornare al castello!" 
"Non c'e' bisogno di essere così acido" si offese lei. La vide salire le scale degli spalti con la coda dell'occhio, troppo timoroso di muovere anche un solo muscolo. Adesso era alla sua stessa altezza, e lo guardava pensierosa.
"Cerca di rilassarti"
"Rilassarmi?! Hai idea di cosa voglia dire stare qui?!"
"Ok, Gellert cerca di stare calmo, sennò non ti posso aiutare"
Giusto, stare calmo. Facile dirlo per lei, che si trovava con i piedi terra e non rischiava di finire spiaccicata al suolo a cavallo di una scopa impazzita. Fece qualche profondo respiro, e girò lentamente la testa, per guardarsi intorno. Non era poi così male il panorama, dovette ammettere a sé stesso. A destra aveva l'imponente castello di Durmstrang, che dominava il paesaggio circostante, che era costituito da morbide colline con l'erba alta mossa dalla perenne brezza fresca. In lontananza si scorgeva il ponte che avevano attraversato con le carrozze, e ancora oltre l'immenso lago da cui era spuntato il vascello. -Che spettacolo.- 
Involontariamente, rilassò il busto, e fece un po' di pressione sul manico. L'effetto fu immediato: la scopa si buttò in picchiata a tutta velocità, dandogli a malapena il tempo di rendersi conto quello che stava succedendo. Sentiva solo il vento freddo arrivargli in viso e fargli lacrimare gli occhi, e vedeva il suolo avvicinarsi in maniera vertiginosa, un po' troppo velocemente per i suoi gusti. Si rendeva appena conto delle grida di Anna, che potevo solo guardarlo cadere da lontano. 
Poi successe tutto troppo velocemente: Gellert tirò in su il manico di scopa, in quello che voleva essere un gesto disperato, che però lo salvò, portandolo a volare verso l'alto con la scopa di Fred. Ecco qual era il segreto, quindi! Doveva solo decidere la direzione e comunicarla con le mani a quello strano bastone, che avrebbe automaticamente seguito i suoi ordini! Provò qualche altra volta, giusto per essere sicuro di non andarsi a schiantare da qualche parte, e cominciò a piacergli. Salì più in alto, poi girò a destra e fece un giro completo del campo di Quiddich a trenta metri di altezza. Scoprì che appiattendosi in avanti con il corpo andava più veloce, mentre se andava indietro con il peso si fermava a mezz'aria. Ed era bellissimo, vedere tutto dall'alto, sentire il vento che ti accarezza il viso. Guardò giù, e scorse Anna che lo fissava sbalordita. Forse era meglio scendere, anche se sarebbe rimasto lì su volentieri. 

"Dai, sbrigati, tra un po' e' ora di cena." la bionda non sapeva se essere contenta, per il fatto che Gellert sapesse volare, o preoccupata, alla prospettiva di dirlo a Fred.
"Non glielo dire"
"Cosa?"
"Non dirgli che so volare. Non dirlo a Fred"
"Hai paura che si arrabbi?"
Lui abbassò lo sguardo. L'avrebbe scoperto comunque, si disse, ma meglio ritardare il momento.

 
All’interno del castello non faceva freddo, ma i camini non erano accesi e non c’era nient’altro a riscaldare l’ambiente. La cena passò silenziosa, nessuno dei tre aveva voglia di parlare della giornata appena trascorsa, che non era andata esattamente bene. Fred era ancora di pessimo umore, Anna era preoccupata per lui e Gellert aveva paura che l’amico scoprisse quello che era successo dopo che se n’era andato dal campo, quindi nessuno dei tre aprì bocca per parlare. Ad un certo punto passò la vicepreside per comunicare a tutti i ragazzi di primo anno che l’indomani mattina sarebbero stati svegliati da una campana, e sarebbero dovuti subito scendere a colazione, dopo avrebbero ricevuto gli orari delle lezioni. Ascoltando le sue parole, Gellert si rese conto che mano a mano che il tempo passava diventava sempre più eccitato, e già ora non stava più nella pelle. Avrebbe passato di sicuro una notte insonne a pensare al giorno dopo.
“Ragazzi, mi raccomando, vi aspetto fuori dalla porta del vostro dormitorio domattina, non voglio perdervi un’altra volta”
“Già, e io non voglio cadere di nuovo dalle scale per colpa di quello stupido folletto.” Aggiunse Fred.
“Dai su, andiamo” e con un sonoro sbadiglio, il biondo cominciò a salire le scale insieme al resto degli studenti.
 
                                                                        ***

“Quindi, tu sai volare, eh?”
“Mmh…”
“No caro, voglio una risposta ben precisa”
“Dai su…”
“Lo sai che non è bello mentire agli amici?”
“Ma che cavolo…!” Gellert fece un salto sul letto, rischiando di cadere. Si guardò intorno, ma non vide niente di strano. Se l’era forse sognato?
“Spitz! Esci subito di qui!” il folletto comparve nel suo campo visivo.
“Shhh! Non vorrai svegliare gli altri!”
“Perché mi hai svegliato? Che ore sono? Cosa…”
“Quante domande, ragazzo mio, sii paziente!”
Si ributtò sul letto, premendosi il cuscino sul viso. Com’era morbido…
“Svegliatiiii, che c’è qualcosa per te!”
“Adesso?!”
Rinunciò definitivamente al letto, ormai era sveglio, e prestò un po’ più di attenzione all’ambiente intorno a sé, nonostante la vista ancora appannata. Si sfregò gli occhi con il dorso della mano, ma l’unico risultato fu quello di farsi male per averlo fatto con troppa foga. Niente da fare, era ancora mezzo addormentato.
La stanza era ancora semibuia, rischiarata un po’ da qualche raggio di luce solitario che era riuscito a superare la barriera delle tende. I suoi compagni stavano ancora dormendo beatamente, immuni a tutto il baccano che aveva fatto il volsetto. Già, il volsetto.
Lo stava guardando incuriosito, sospeso in aria all’altezza dei suoi occhi.
“Se mi hai svegliato solo per rimproverarmi…”
“No, non solo per quello” ammise la creatura con voce squillante, “ma anche per quello
“Non sei stato molto chiaro”
Per tutta risposta, indicò la finestra con il suo braccio minuto. Solo allora, uno strano ticchettio attirò la sua attenzione. Si alzò velocemente, cercando di fare meno rumore possibile, e raggiunse le tende. Scostò con una mano il pesante velluto bordeaux, e si ritrovò davanti un enorme gufo grigio, dall’aria abbastanza scocciata.
“Ellor!” era il gufo di suo padre. Strano, due giorni e già gli mandava una lettera. Probabilmente aveva dimenticato qualcosa.
Aprì subito la finestra, facendo entrare una folata di aria fredda che gli arrivò in pieno viso. fece entrare l’animale e richiuse subito, pregando che nessuno si fosse svegliato. Il gufo cominciò subito a graffiarlo con quei pochi artigli che aveva, facendolo gemere; non gli era mai stato troppo simpatico. Appena prese la lettera, quello volò fino alla finestra, cominciando a picchiare sul vetro e  costringendo il ragazzo a riaprirgliela.
“Non c’era bisogno di essere così scorbutici!” mormorò tra sé, andandosi a sedere.
“Che c’è scritto?” Era ricomparso Spitz.
“Sono affari miei”
“Ma ti ho detto io del gufo!” rispose quello indignato.
“Stà zitto un attimo, o sarai tu a svegliare qualcuno”
Gellert contemplò per qualche secondo lo stemma dei Grindelwald impresso sulla ceralacca prima di romperlo per aprire la lettera. Riconobbe subito la calligrafia precisa di suo padre.
 
Caro Gellert,
spero tu stia bene. Ti scrivo per comunicarti una cosa che avrei dovuto dirti di persona, ma che purtroppo mi sono dimenticato. Mi raccomando, non far leggere a nessuno questa lettera, è di vitale importanza.
Confido nel fatto che tu non sia stato così poco accorto da dire a qualcuno di tua madre, perché sarebbe un problema alquanto grave.
 
Gellert spalancò gli occhi, preoccupato. Ecco che si presentavano già i primi problemi.
 
Se l’hai fatto, ti prego di rimediare, facendo dimenticare, con un incantesimo di memoria, a chiunque sappia il tuo segreto. Io e il Preside abbiamo fatto un accordo, e solo lui sa cosa è successo veramente. Di lui ti puoi fidare, ma se chiunque altro ti dovesse chiedere qualsiasi cosa, tu dì che tua madre è morta a seguito della tua nascita, sarà abbastanza credibile. Non ti ricordi nulla di lei, sai solo che era una maga molto intelligente e colta. Non rivelare altro, mostrati addolorato a parlare dell’argomento se necessario, ma parlane il meno possibile! Se hai letto questa lettera, rispediscila indietro con il mio gufo.
Con affetto,
 
Gregory Grindelwald
 
Lacrime di rabbia ed indignazione cominciarono a scivolare sulle sue guance. “Morta a seguito della sua nascita”?! “Una maga molto intelligente e colta”?! E suo padre si aspettava che lui praticasse un incantesimo di memoria sui suoi amici, solo per un suo errore? No, se lo poteva scordare. Una goccia arrivò sul foglio, rendendo illeggibile qualche parola. Gellert strinse i pugni, cercando di calmarsi. Era ancora un argomento delicato, quello di sua madre, e non gli piaceva affatto che venisse trattato con così tanta leggerezza.
Cominciò a comprendere. Per questo era stato ammesso a Durmstrang, perché suo padre, mago importante, ricco ed influente, aveva fatto accordi con il preside, che comunque non avrebbe potuto rifiutare. O magari erano amici, e ci avevano pure riso sopra. Per un attimo provò odio verso quell’ometto che gli aveva trasmesso tanta sicurezza, ma poi si disse che non ne sapeva niente, e non poteva esserne sicuro. Comunque, il Preside, qualsiasi cosa avesse fatto o non fatto, gli stava molto meno simpatico di prima.
La campana che suonò la sveglia gli fece fare un balzo in avanti. Si asciugò in fretta il viso ormai completamente bagnato, e cominciò a cambiarsi, dando le spalle al letto su cui Fred stava ancora sonnecchiando. Quando l’amico si era alzato, lui era già in uniforme, e si stava strofinando gli occhi facendo finta di sbadigliare.
“Mmh…Gell? Per Merlino, sei già vestito! Aspettami eh”
“Si Fred, non mi muovo di qui”
Fu pronto solo quando quasi tutti gli altri studenti erano già usciti, evidentemente non era una persona così mattiniera. Camminò lentamente fino al suo letto, sul quale crollò con un gesto teatrale.
“Gell, ho sonno, fai qualcosa”
“Non conosco nessuna bevanda che possa fare qualcosa, mi dispiace” sorrise lui.
“Incantesimo?”
“Neanche”
“Mmh… con tutto quello che sai, non ti viene in mente niente?? Sei inutile” Detto questo, si rigirò su un fianco e si premette in viso il cuscino, proprio come aveva fatto lui poco prima. Gellert allora si alzò in piedi con aria risoluta, cercando di convincere sé stesso ad affrontare al meglio quella prima vera giornata di scuola.
“Dai alzati, Anna ci ucciderà, starà aspettando da mezz’ora”
“Mmh”
“Sono pienamente d’accordo con te, ma dobbiamo andare”
“Mmh”
“Che conversazione intelligente, faccio prima a parlare da solo! Su, vuoi fare la stessa scena di ieri??”
Memore della mattinata precedente, Fred scattò in piedi. Nel farlo, urtò la lettera ancora poggiata sul letto, che cadde a terra con un fruscio.
“Questa cosa…?” Gellert fece per raccoglierla, ma l’amico fu più veloce.
“Cos’è, la lettera della tua fidanzata?” disse con aria scherzosa, “Caro Gellert, spero…” continuò a leggere il resto senza parlare, e mano a mano che andava avanti il suo sguardo si faceva sempre più crucciato. Quando alzò gli occhi, la sua fronte aveva tre nuove pieghe.
“Gell…”
“Lascia stare. Non ti farò un incantesimo di memoria, non ti preoccupare”
“No, aspetta.”
“Non c’è niente da dire”
“Si invece!”
“Bene, allora parla tu, perché io non ho niente da commentare!” perfetto, aveva cominciato ad alzare la voce.
 “Gell, era tuo padre quello?”
“Mi sembra ovvio” fece qualche passo verso la porta, ma Frederich lo bloccò, prendendolo per le spalle in modo da poterlo guardare negli occhi.
“Ehi. Ti giuro che non dirò… che non diremo niente a nessuno, e sappi che se vuoi parlare con me lo puoi fare, intesi? Non importa quello che dice tuo padre. Cioè, si, importa, quindi se qualcun altro ti chiede di lei, tu fa come ti dice, ma a me e ad Anna ormai l’hai detto, quindi con noi puoi parlare, ok?”
Gellert lo guardò. Senza rendersene conto, l’amico gli aveva levato un peso enorme di dosso,  che gravava su di lui già da un po’. Sì, avrebbe fatto così; si sentì in colpa per non avergli detto del volo.
“Va bene, ho capito” ostentò un mezzo sorriso, “Vado a rimandargli la lettera, tu intanto vai a fare colazione. Se vuoi puoi dirlo ad Anna” e così dicendo uscì dal dormitorio, lasciando Fred da solo al centro della stanza.
 
Appena uscito dalla porta, Gellert si ritrovò Anna davanti, con le mani sui fianchi e la sua espressione scocciata.
“Avete finito? No sai, gli altri sono già scesi tutti a colazione. Tra dieci minuti saremo in ritardo.”
“Tu aspetta Fred, io vi raggiungo dopo, è urgente!” rispose lui in fretta, correndo su per una rampa di scale, e lasciando la sua amica lì impalata. Se non si era sbagliato, quella avrebbe dovuto essere la strada per la guferia, o comunque la stanza dove tenevano tutti i volatili del castello.
Dopo un po’ di tempo e altrettante scale, si ritrovò di fronte ad una porticina in legno con una scritta dorata sopra, che diceva “VOLATILI DI DURMSTRANG”. Era quella.
Varcò la soglia, e quello che vide lo lasciò a bocca aperta.
Era una stanza enorme, più grande del loro dormitorio, con una grossa cupola di vetro in cima, oltre la quale si poteva vedere il cielo, di colore celeste e senza nuvole quel giorno. All’interno, era divisa in più piani, non adatti alle dimensioni dell’uomo, ma evidentemente a quelle degli animali. Ad altezze diverse erano appollaiati diversi tipi di volatili, e non solo gufi e civette, ma anche aquile, falchi e moltissimi animali sconosciuti al ragazzo. Erano tutti bellissimi, con un loro fascino particolare, ed emettevano i versi più strani. Gellert avrebbe passato lì l’intera giornata, solo per guardarli.
Individuò la sezione delle civette, cercandone una in particolare con gli occhi. Non fu difficile trovarla, dato che era l’unica nera, in mezzo a tante grigie, marroni e qualche bianca.
Appena lo vide, spiegò le ali e gli volò in spalla, contenta. Emi sembrava trovarsi bene tra i suoi simili, ma le era mancato il suo padrone; cominciò a mordicchiarlo su un orecchio.
“Ehi, bella, come stai? Ti sono mancato, eh?” chiese lui, accarezzandola. “Ho bisogno di un favore. Devi portare questa a mio padre” disse, e le fece vedere la lettera tutta spiegazzata.
Non fu molto contenta di sapere il destinatario, ma la prese comunque nel becco, e si alzò in volo per portare a termine il suo compito.
Gellert la guardò uscire da una finestrella, e diventare sempre più piccola mano a mano che si allontanava. Sorrise, pensando a quanto era contento di averla con sé.
 



NdA: scusate, capitolo di transizione, non è successo niente di particolare, ma il prossimo è già scritto per metà, quindi non ci metterò molto a pubblicarlo :) so che volete lo smistamento, ma non ci vorrà tanto, promesso!
Un bacio,
Pad (:
P.S. A chi piacciono i 30 stm? ho appena scritto una one-shot con una loro canzone, se volete andate a vedere;)
 
  
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