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Autore: martasdfghjkl    07/02/2012    0 recensioni
Delusioni, occasioni perse e sventure di tutti i generi continuano ad abbattersi sulla vita di Cassie e a sgretolare lentamente la sua autostima. Ma d'improvviso, a causa di un incontro a dir poco inaspettato, la situazione cambia, la sua vita riacquista velocemente un senso e tutto ciò che un tempo le pareva banale, stupido o sbagliato assume un significato importante.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Presi la borsa di scatto, come se impaurita e la strinsi al petto; non riuscivo a smettere di guardarlo, insomma, era lui, lui in persona, lui e il suo sorriso che mette allegria, lui e i suoi occhi in cui ti puoi perdere con fin troppa facilità. 
"Sei ancora viva?" mi chiese con un tono intenerito, non risposi. Non riuscivo a far uscire nemmeno una parola dalla mia (tremolante) bocca, troppa agitazione, troppa delusione, troppo stupore e troppa soddisfazione tutto unito in un unico mix infernale, che tutto ciò che riusciva a farmi fare era tacere e tremare ad intervalli regolari di trenta secondi, come se il suo sguardo riuscisse a controllare addirittura la mia agitazioni. "Tutto bene?" chiese ancora. 
"Sì", risposi con un tono fiacco e spento, quasi addormentato, era proprio vero, quando vedi una persona così importante per te tutto ciò che è intorno scompare, e quel briciolo di coscienza che rimane attivo nel tuo cervello è talmente insufficiente che basta giusto a mantenere le gambe salde su loro stesse.
 "Vuoi qualcosa da bere? Sembri molto stanca".
No, non sono stanca, sono solo indebolita, anche se non so da cosa. Forse dal suo sguardo, forse dal freddo, forse perché non mi sono ancora resa conto della possibilità che mi sto giocando. Feci un cenno di approvazione con la testa, lui ridacchiò per un momento, poi mise il braccio sulla mia spalla come per cercare di trasmettermi un po' del suo calore attraverso quel leggero contatto fisico.
 Mi guidò con quello stesso braccio verso l'entrata del bar, mi disse di sedermi, di aspettare due secondi e che sarebbe tornato. Un odore dolciastro avvolse la stanza, era come di una di quelle torte buone, di quelle vere che si mangiano quando si è piccoli, di quelle che ci prepara la nonna da mangiare come colazione, merenda e sì, anche dessert a fine cena. Dopo pochi minuti, mentre io mi gustavo quel dolce profumo, rientrò dalla misteriosa porta sul retro Shannon, con un sorriso ancora più grande di prima dicendo "risolto, ho un po' di tempo, hai fame?" sorrisi, quanta tenerezza c'era in quel volto?
Prese la sedia dal tavolo di fianco al mio, la fece strusciare sul pavimento causando quel fastidioso rumore acuto, che io a malapena notai talmente distratta da quel sorriso. Si sedette con una delicatezza totalmente contrapposta alla "cattiveria" con la quale si prese la sedia; chiamò il cameriere alzando la mano e facendo un po' di rumore con le posate, giochicchiandoci come si fa da bambini, incastrandole tra di loro finché non rimangono bloccate. 
Appena vide il cameriere avvicinarsi chiese a che cosa appartenesse questo odore, e che ne voleva un pezzo a prescindere, "anzi, due", uno anche per me; si era accorto di come annusavo l'aria mentre l'aspettavo. Ci furono lunghi minuti di silenzio, quasi interminabili, sembrava che il tempo ci andasse contro, come se non volesse che ci alzassimo da quella tavola, ma che rimanessimo lì per tutto il tempo possibile, per tutta una vita anche, il tempo necessario per spegnere quel sorriso. Ovvero? Impossibile saperlo. "Come ti chiami?", "Cassie", risposi, "Cassie". Un po' incerta come ogni volta, un po' più sicura rispetto ad ogni volta. Ancora silenzio. Ciò che ci salvò da questo lungo momento d'imbarazzo fu il cameriere, che con le occhiaie sorridenti ci portò due piatti pieni di torta, decorati con una salsa dolce sconosciuta, che guardando la faccia del cameriere, neanche lui sapeva cosa fosse. 
Mangiammo in silenzio, ma era un silenzio diverso da quello di prima, perché nonostante il silenzio sorridevamo, ogni tanto scoppiavamo addirittura a ridere da quanto eravamo imbarazzati in quegli istanti, eppure nessuno dei due voleva andarsene, eppure nessuno dei due voleva aprir bocca, nessuno, nessuno voleva rovinare quello strano momento tanto dolce quanto insensato. "Shannon ti chiamano alla console!" si sentì improvvisamente dalla cucina, doveva essere di nuovo il cameriere, che più che cameriere era un porta di collegamento alternativa, altro che quella sul retro. "Quando posso rivederti?" mi chiede guardando verso il piatto vuoto. "Quando vuoi" risposi, guardando le sue mani che si accarezzavano a vicenda, come in ansia per la risposta, o magari solo per la fretta. Sorrise, "allora Buonanotte Cassie". Uscì dalla solita porta sul retro. Chiusi gli occhi per sentire il suo odore svanire. Mi alzai, presi la mia roba e uscii dal locale. 
  
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