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Autore: Rostislav    08/02/2012    1 recensioni
A volte scrivere vuol dire raccontare la noia quotidiana. A volte scrivere vuol dire annoiare il lettore. A volte scrivere vuol dire non aver paura di usare termini semplici. A volte scrivere vuol dire scrivere e basta.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni mattina vengo svegliato dal cane dei vicini. Un maledetto bastardino vecchio, ma che sembra ancora ben lontano dalla morte. Ogni mattino, dopo il cane, mi raggiunge una telefonata e ogni giorno qualcuno mi chiede la data d'uscita del mio prossimo lavoro. Come se fossi un indovino. Che cazzo ne posso sapere io. Di solito le storie o mi vengono tutte d'un fiato oppure pian piano, estirpandole dalla radice dei pensieri. Rebecca è ancora al letto, a dormire. Beata lei, dopo una sana scopata si addormenta e non pensa più a niente, mentre io devo andare a racimolare del denaro nelle varie case editrici. Redattore, scrittore, opinionista, moderatore. Quanti lavori faccio? Solo dio lo sa e solo lui sa che la paga che ricevo non compensa nemmeno un decimo del tempo che spendo a leggere e scrivere le stronzate su internet, ma è il mondo. Non posso nemmeno definirmi un totale reietto, in quanto non lo sono e credo che lo diventerò mai. Sarò sempre un sempliciotto che vuole divertirsi con la sua via e con quella altrui, una persona da evitare, ma non un reietto. I reietti sono quelli che restano a casa e bere e a non fare niente tutto il giorno, magari andando a puntare qualcosa sulla corsa dei cavalli. Perdigiorno senza rimedio, ecco cosa sono, ma infondo, se la passano meglio di me.

Esco da casa e mi dirigo verso la stazione degli autobus, perché con lo stipendio che prendo, una macchina sarebbe un vero suicidio e non potrei permettermi di mangiare. Il pullman è come al solito in ritardo e cosi il mio biglietto perde qualche decina di minuti di validità. Eccolo, grigio di polvere e pieno di gente da far sembrare l'interno un locale di Kebab. L'odore delle ascelle altrui è cosi forte che per non chiudere il naso mi conviene fare una semplice e sana scoreggia, ma non le so farlo a comando, dannato il mio organismo. Ognuno ha una faccia più o meno strana, falliti che vivono senza un vero motivo e senza un ambizione. Ma chi lo sa, forse ora stanno pensando la stessa cosa di me, infondo, non riesco a leggere nel pensiero. Scendo dal bus e mi dirigo verso il vecchio edificio della redazione del giornale, che paga sempre meno e sempre più raramente, ma cosa non si fa per vivere? Il tipo alla reception è proprio brutto come la morte e mi viene difficile pensare che questa gente ha un vero lavoro e una vita sociale. Il direttore è ancora peggio, intrattabile vecchio senza riguardo per nessuno.

“Buongiorno Greg, cosa sei venuto a fare qui?”

“A prendere la mia paga.”

“Ah, i pochi spicci che ti sei guadagnato.” disse in tono sprezzante mentre estraeva il portafogli e mi porgeva trenta dollari “Eccoteli, i tuoi bei soldoni.”

“Ma che stai dicendo? Dovrebbero essere settanta dollari e non trenta!”

“Beh, ti ricordi la riunione a cui non partecipasti? Abbiamo fatto la colletta per andare al ristorante tutti assieme e naturalmente essendo tu parte del team, hai contribuito.” il suo sorriso giallastro stampato in faccia era una delle immagini più brutte della vita, peggio che vedere le emorroidi di un vecchio.

“Ma vai a farti fottere tu e il tuo giornalino. Considerami fuori da questa merda!!!” dissi prendendo i soldi e uscendo dal suo ufficio. Il vecchio lercio aveva ancora qualcosa da dire, ma non lo fece. All'uscita l'altra faccia da scimmia mi guardò in un modo minaccioso, ma il cane che abbaia non morde.

Decisi allora che sarebbe l'ora di prendere un bel po' da bere e immergermi in quelle che io chiamavo le poesie d'amore. Il supermercato per i poveri, con tutti i prodotti contraffatti e poco sicuri. Cosa importa della sicurezza dei prodotti però, quando la giornata sembra andare di male in peggio e quando la vita stessa sembra una roulette russa?

Tornai a casa già sbronzo, ed erano solo le quattro di pomeriggio. Rebecca stava guardando qualche stupida soap opera che piace tanto a lei, e che io odio con tutto me stesso. Sedendomi al mio posto vicino alla scrivania stappai una bottiglia di whisky, un bel Johhny Walker contraffatto. Il sapore assomigliava al sapone mischiato con il whisky, roba creata probabilmente per ammazzare i topi o altri animali nocivi.

Quando si è ubriachi, le parole volano come se fossero uccelli, che dopo aver ritrovato la propria libertà, hanno deciso di donarmene un po'. Nascono cosi le storie migliori, con quei personaggi cosi comuni da far annoiare il lettore dopo due parole, cosi banali e prevedibili da poter dire “Hey, ma ora dirà questo, quello e quello.”. Sono storie scritte in momenti di un esasperato bisogno di solitudine. Ad esempio, tu stai leggendo la mia storia e se ti sembra banale, scontata e prevedibile, allora sono riuscito nel mio intento.  

   
 
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