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Autore: Melanto    09/02/2012    7 recensioni
Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Alla disperata ricerca del Principe scomparso, mentre nel cielo rosseggia un'alba che odora di guerra. Una lotta contro il tempo per ritrovare la Chiave Elementale, prima che finisca nelle mani del Nero, e salvare il pianeta.
Siete pronti a partire?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementia Esalogy'
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ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 12: I Briganti di Ghoia (parte IV)

Ghoia, Dogato di Tha Cerròs – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-occidentali

Haruko era stata molto precisa nelle sue indicazioni e infatti non gli fu difficile riuscire a trovare il vecchio villaggio dei briganti e il sentiero.
Mamoru superò il groviglio di sterpi e rovi che si erano aggrappati ai tronchi degli alberi, creando una tenda invalicabile che però non sarebbe riuscita a fermarlo poiché Haruko gli aveva spiegato come sollevarla.
Dall’altra parte, dopo alcuni metri percorsi alla luce di un globo di fuoco, sbucò nella radura dei denti di golkorhas. La casa era proprio lì. Silenziosa, dal tetto spiovente, affacciata verso Sud-Ovest. La striscia di montagne appartenenti al Nohro non si riusciva a vedere; quella notte era troppo buia e senza luna. Le stelle non erano abbastanza.
Si avvicinò adagio, gli occhi si poggiavano dove la fiamma arrivava a illuminare: i due scalini, il portico, il dondolo. All’interno sembrava tutto spento, quasi non ci fosse nessuno, ma la porta di ingresso era solo socchiusa e Mamoru seppe che Yuzo era ancora lì, in quella casa che era la sua, ma che non aveva mai creduto di avere.
La Fiamma mosse piano l’uscio e il buio del salotto venne rischiarato dal fuoco. Il divano, al centro, puntava al camino spento, poi c’erano una libreria, un tavolo. Altre porte conducevano nei diversi ambienti.
Camminò adagio, ma il suo peso fece scricchiolare il legno sotto i piedi. Se ne disinteressò quando scorse il grande quadro sopra la cappa. Levò la mano e il fuoco fece luce.
Un uomo, una donna. In quei volti riconobbe gli stessi disegnati sui manifesti dei ricercati.
Quindi, il neonato che lei stringeva tra le braccia doveva essere il volante.
Lo sguardo di Mamoru si addolcì e le labbra si piegarono in un sorriso. Anche se solo in dipinto, Yuzo aveva ancora un ricordo in cui erano tutti e tre insieme. Era poco, lo sapeva anche lui, ma avrebbe dovuto imprimerselo a fondo nella memoria, marchiarlo, per non perderlo mai.
I suoi occhi rimasero aggrappati al sorriso di Arya in cui, inconfondibile, riconobbe ancora e con più forza quello del volante.
Volse lo sguardo e vide un leggero bagliore provenire da sotto la porta socchiusa di una delle camere.
Con un gesto leggero, Mamoru spense il piccolo fuoco e si avvicinò alla stanza. Il buio rischiarato solo da quella luce debole e incerta.
Sospinse l’uscio con due dita e questo si aprì senza fare rumore.
Nella semioscurità non scorse nessuno, ma solo il mobilio. Una culla, delle sagome in legno le cui ombre rimbalzavano contro le pareti, un mobile basso.
La camera di un neonato.
Mamoru deglutì e avvertì amarezza scivolare nella gola assieme alla saliva.
Tlin.
Quel tintinnio gli fece volgere il capo.
Tlin tlin tlan.
Yuzo restava seduto su una sedia a dondolo che oscillava lentamente. Lo sguardo fisso sulla giostrina piena di ninnoli appesa sopra la sua testa. Con un dito la faceva ruotare adagio e ogni movimento era un suono sottile che si spegneva nel gelo della camera.
A Mamoru sembrò improvvisamente distante, perduto in chissà quali pensieri che lo spingevano a fondo, gli tenevano la testa sotto la superficie di quel dolore che era denso e non gli permetteva di risalire, di tornare a respirare. Lo volevano affogare.
Sospirando a labbra strette lo raggiunse, fermandosi al suo fianco.
“Avevo detto che ti avrei aspettato alla locanda, ma volevo sapere se era tutto a posto. E’ stata Haruko a dirmi come arrivare qui.”
“Papà ha costruito questa casa da solo, lo sai?” Yuzo lo ignorò, imprigionato nell’infinito rincorrersi di uccellini e campanelli a forma di fiore, lo stesso che il mercante gli aveva regalato, lo stesso che era intrecciato in una ghirlanda posta sul luogo dove suo padre era morto. “Ha rifiutato anche l’aiuto del nonno. Io non saprei mettere in fila nemmeno tre mattoni.” Esalò un sorriso che di divertimento non aveva nulla, nemmeno la forma.
Mamoru non rispose, l’occhio gli cadde su quella che pensò dovesse essere una delle due scimitarre di Bashaar. Dolore.
“Però, i mobili li ha fatti lui. Il nonno, dico. Ha costruito la culla, la cassapanca, la giostra…” Strinse il bracciolo, dondolandosi un po’ più forte. “Questa sedia.”
Tlin tlan tlan.
“Haruko… zia Haruko mi ha raccontato che la mamma si sedeva qui o sotto al portico e mi teneva in braccio per farmi addormentare… Mi dondolava, piano piano.” La smorfia che gli curvava le labbra assunse una piega più vera e affettuosa, ma tremava un po’. Poi scomparve, incapace di trattenerla. “Mamma… pensavo non avrei mai pronunciato questa parola. Pensavo non avrei mai conosciuto il suo nome.” Espirò. “Pensavo male.” Le dita scivolarono lungo le figure della giostra e si abbandonarono sul bracciolo. “Per me, Alastra era stata quanto di più simile a una madre avessi mai potuto desiderare. Certo, è una scuola, una cosa, come può… essere paragonata a una madre vera?” Scosse il capo, il sorriso fece di nuovo capolino, ma era ironico, sprezzante. “Te l’avevo detto che era stata molto più di una città per me(1). Mi ha accolto e mi ha cresciuto. Come potevo vederla come fosse stata solo un insieme di blocchi di marmo messi gli uni sugli altri? Come potevo?” Chiuse gli occhi, nel continuo dondolare della sedia; il sopracciglio che saettava verso l’alto. “Mentre loro…”
Le iridi tornarono a balenare nella luce tremolante della candela ormai quasi del tutto consunta che restava appoggiata nell’angolino più distante della stanza. La cera si era riversata sul ripiano e qualche goccia era caduta al suolo.
Nel nocciola dei suoi occhi, Mamoru scorse un senso di colpa così forte che se ne sentì opprimere egli stesso, quasi fosse stato il proprio. Strisciava come una serpe, allungava le spire per avvolgere completamente il volante e tutto ciò che gli era intorno. Colava dagli occhi, colava dal cuore, veniva vomitato attraverso le parole. Il tono duro stonava così tanto col suo volto.
“Li ho odiati. Sempre. Da quando ho cominciato a capire che anche io avevo dei genitori, da qualche parte. Odiarli è stato così naturale tanto quanto convincersi di non esser mai contato nulla per loro. Credere che non fossero mai esistiti? Ancora più semplice. Cancellarli, relegarli in fondo all’anima perché finissero per scomparire da soli, come i ricordi inutili. Tutto naturale, tutto lineare. Non sapevo di aver dato vita a un incantesimo di Autocontrollo.” Scrollò le spalle. “Perché avrei dovuto dare loro una possibilità o il beneficio del dubbio? Per soffrire di nuovo qualora mi avessero davvero detto di non avermi mai amato?”
L’odio parlava al posto del volante, ringhiando ogni frase come fosse stato una bestia inferocita, poi tornò ad acquietarsi, a chiudersi su sé stesso per cercare riparo nella bontà che viveva nel cuore del suo ospite. Non c’era controllo nelle sue emozioni, come il vento che spirava senza sosta e senza una direzione. Impossibile da trattenere o afferrare. La sua forma mutava alla velocità del pensiero e tutto quello che si poteva fare era lasciarsene travolgere, ma Mamoru non voleva essere solo uno spettatore distante, voleva afferrarlo, voleva ghermire quella trottola di emozioni che girava di continuo.
“Che vigliacco” soffiò via Yuzo in un respiro, lo sguardo di nuovo vacuo e perduto.
“Quando si è così piccoli, crediamo che l’odio sia tutto quello che ci è rimasto. Riesce a trasformare in rabbia il dolore che sembra non fare più male, sembra quasi scomparire. E quando cresci si fortifica assieme a te, siete un tutt’uno.” Mamoru si avvicinò ancora di un passo, adesso gli sarebbe bastato allungare una mano per toccarlo. Osservò il suo profilo immobile.
Quando si tratteneva così a lungo il rancore, si dovevano affrontare delle tappe obbligate una volta che veniva liberato; le emozioni sballate rientravano in queste tappe e lui sarebbe stato pronto a controllarle per impedire che facessero cadere la trottola, che facessero cadere Yuzo.
“So che significa aggrapparsi all’odio. Credere che nel rancore possa esserci l’unica strada per andare avanti. Eri un bambino ed eri ferito. Non potevi sapere che, per quanto confidiamo di poterla affrontare e superare, la sofferenza resta sempre lì. Anche io l’ho imparato solo col tempo. Non devi sentirti in colpa per questo.” Gli avvolse la spalla con la mano in una presa salda che avrebbe voluto trasmettergli tutto il suo supporto, la sua vicinanza. Voleva dire: ‘io sono al tuo fianco, non avere paura’, ma in quel momento Yuzo non riusciva a sentire nemmeno la parte di sé che cercava di tornare a galla.
“Ma ora non sono più un bambino. Perché non sono riuscito a capire? Perché non ho voluto almeno provare?” Non attese una risposta, scosse il capo. “Dovremmo rientrare a Ghoia.”
Mamoru sbuffò un leggero sorriso. “Non c’è fretta. Se preferisci, possiamo dormire qui. Torneremo domattina.” Lo lasciò andare e fece per allontanarsi, quando si sentì fermare per un braccio.
La Fiamma si volse; Yuzo lo aveva trattenuto, ma lo sguardo era rimasto arenato lontano.
“Io… ho fallito, vero?” domandò a mezza voce. “Come persona e come Elemento. Erano i miei genitori e li ho detestati per una vita intera.” Gli tremava la mano.
Dal tono spezzato, Mamoru capì che la trottola stava oscillando troppo, sarebbe caduta, avrebbe roteato in un ultimo guizzo al suolo e poi sarebbe rimasta lì, abbandonata e immobile.
“E la gente vicino Sendai… Avrei dovuto proteggerli… avrei dovuto proteggere anche i miei amici e invece ti ho ferito mentre loro… li ho uccisi. Non passa giorno che non ci pensi. Ogni notte sono lì. Nei miei incubi.” Il tremore si trasmise a tutto il corpo. Di colpo faceva così freddo. I brividi si accavallavano sotto la pelle.
Erano mesi che si portava dietro quel peso. Come tutto ciò che lo faceva soffrire, si era tenuto dentro ogni cosa, nascondendola agli occhi degli altri o facendola apparire meno dolorosa di quello che era.
“Ho provato a farmene una ragione, avevo detto a Yoshiko che sarei diventato una persona più forte, ma… ma era solo un’illusione. Non ci riesco. Penso solo che sono morti e che c’è gente che soffre per colpa mia. Gente che non ha più una casa, che ha visto morire la propria famiglia, che ha perso un figlio, un amico, la persona che amava. E so che non mi perdoneranno. Nessuno mi perdonerà. Mai.” La sedia smise di oscillare quando Yuzo si chinò in avanti, prendendosi la testa tra le mani. “Quando tornerò ad Alastra mi faranno affrontare una commissione disciplinare; non potrò restare, non dopo quello che ho fatto. Nemmeno lì, in quello che è stato il mio nido, mi perdoneranno. Nemmeno mio padre. Ho deluso tutti. Tutti quelli che mi hanno dato il loro affetto e la loro fiducia. Come farò? Come potrò scusarmi con chi ormai non c’è più e rimediare ai miei errori? Come farò? Come? Mi odieranno… mi odieranno per sempre… i miei padri, mia madre… tutti…”
Mamoru si inginocchiò davanti a lui. Con decisione allontanò le mani per prendergli il viso e costringerlo a guardarlo negli occhi. Trovò i suoi pieni di lacrime, terrorizzati.
La trottola oscillava da un lato e dall’altro, come il ramo spezzato, pronto a cadere per un soffio di vento più forte.
“Yuzo! No, Yuzo!”
“Non ce la faccio… io non ce la faccio.”
“Sì che ce la fai! Ascoltami!”
“È come se il dolore mi scavasse dentro e strappasse il cuore, un pezzo alla volta. Il senso di colpa mi sta uccidendo.”
“Non parlare così!”
“Ma è così che mi sento…”
Mamoru strinse le labbra. Nei suoi occhi poteva leggere che stava dicendo il vero. Poteva capire, capire fino in fondo ogni cosa, ogni suo pensiero perché non c’era più nulla di nascosto. Yuzo, ora, era un libro di cui poteva sfogliare le pagine con una semplicità inaudita. Ma quelle pagine colavano inchiostro che macchiava le dita, si infilava sotto la pelle e ti restava attaccato. Diveniva parte di te.
Per Mamoru, Yuzo lo era già una parte di sé. Gli era entrato dentro in un attimo e ora che lo vedeva così distrutto sentiva come se stessero distruggendo anche lui.
Fece scivolare le mani lungo le guance, affondandole nei corti capelli scuri, e poi le fece tornare indietro. Aggrottò le sopracciglia, in un misto di rabbia e impotenza, mentre Yuzo lo guardava come fosse stato l’ultima cosa preziosa a essergli rimasta e in procinto di perdere anche quella.
Il volante si aggrappò ai suoi polsi per non affondare; lo supplicò.
“Perdonami… almeno tu, perdonami…” Chinò il capo, mentre le lacrime arrivavano alle labbra, bagnandole di sale. “…perdonatemi…”
“Io, Hajime e Teppei non dobbiamo perdonarti nulla, perché non hai fatto niente. La colpa non è tua e sarò disposto a ripetertelo fino a che non te ne convincerai, sarò disposto a venire ad Alastra per dirlo a chicchessia, per dirlo a tutte le commissioni di questo mondo!”
La decisione della Fiamma non era discutibile. Lo avrebbe fatto, se fosse stato necessario. Avrebbe attraversato Elementia per farsi valere e far valere l’innocenza del volante.
Mamoru lo costrinse a guardarlo di nuovo. “E se il dolore è troppo grande allora dividilo con noi, ti aiuteremo a portarlo avanti perché siamo tuoi amici. Perché sono tuo amico.” E quello non avrebbe mai dovuto metterlo in dubbio.
Adagio, tra i sensi di colpa, tra il dolore e la rabbia, anche la paura si fece strada. Emerse dall’oscurità delle ombre, ultima rimasta in fondo alle macerie di una barriera abbattuta e a Mamoru sembrò di capire ogni cosa, ogni ingranaggio che aveva mosso tutto, che aveva creato la muraglia, che l’aveva resa solida e spessa. In quell’istante si maledì per non esserci arrivato prima.
“Non lasciarmi solo…”

“La solitudine non mi spaventa.”
“A me sì, per questo mi circondo di legàmi.”(2)

Perché non l’aveva capito in quel preciso istante?
L’abbandono. L’abbandono era ciò che Yuzo temeva più di tutto e tutti. Svegliarsi al mattino e non avere nessuno accanto; nessun amico, nessun parente, nessuno che potesse aiutarlo a ricordare chi fosse e quello che faceva. Nessuna identità, che tornava a sbiadire fino a essere dimenticata. Tornare a divenire un figlio senza genitori, lasciato tra estranei come un pacco.
Perché era stato così cieco da non vederlo?
Mutò in fuoco tutta la sua fermezza e le conseguenze persero importanza. Orgoglio e paure erano già lontani dietro le spalle per pensare a cosa fare per non ferire nuovamente sé stessi. Ferirsi, se era per Yuzo, non era importante.
“Ti giuro che fino a che avrò vita e respirerò, resterò al tuo fianco. Ti aiuterò a ritrovarti ogni volta che ti perderai, e ogni volta che cadrai ti tenderò la mano per alzarti di nuovo.”
Il volante lo guardò con gli occhi grandi, spalancati su quelle parole che sembravano l’ancora cui aggrapparsi per non sparire nel nulla, per mantenersi a galla e tirare fuori la testa. Per continuare a respirare.
Le lacrime gli impedirono di tenere aperte le palpebre, ma stavolta non si oppose. Si aggrappò a quella promessa di salvezza con tutto sé stesso e Mamoru lo accolse, lo strinse più forte che poté, fermò la trottola e caddero insieme, al suolo, ma la Fiamma gli fece da scudo con tutto il suo corpo. Quello che a Sendai non era riuscito a fare.
Anche se era solo un altro passo tra i tanti che Yuzo avrebbe dovuto compiere per uscire dalle macerie del dolore, Mamoru lasciò che si nascondesse dentro di lui per piangere per tutto il tempo che sarebbe stato necessario, fermarsi e poi piangere ancora perché le lacrime sapevano tornare anche quando si era convinti di averle versate tutte. Ma lui sarebbe rimasto lì, per asciugarle.
La sedia a dondolo oscillava, vuota.

Michael OrtegaIt’s hard to say goodbye
(Instrumental – solo piano)


Gli occhi si aprirono con una certa fatica e tutt’attorno regnava una silenziosa oscurità. Da qualche parte, forse nel salotto, crepitava il fuoco del camino mentre la candela, che prima a stento illuminava la stanza, doveva essere stata spenta da molto.
Yuzo si tirò a sedere di scatto e la coperta gli cadde dalle spalle. Era intontito ma si rese conto di essere ancora nella sua casa natale. Doveva essere tardi.
Abbassò lo sguardo sulla coperta che non ricordava di essersi poggiato addosso. Non ricordava nemmeno di essersi addormentato, a dire la verità.
Mamoru. Doveva essere stato Mamoru.

“Ti giuro che fino a che avrò vita e respirerò, resterò al tuo fianco.”

Inspirò a fondo, chiudendo gli occhi nel tentativo di trovare la giusta lucidità per muoversi. Il corpo era così pesante, svuotato da ogni energia e forza, tanto che addirittura alzarsi si rivelò un’impresa. Con lentezza raccolse la coperta e la ripiegò con cura, appoggiandola sulla sedia. La coperta verde di quando era piccolo.
Tutto il resto era immerso nell’oscurità, solo la luce, filtrante dalla stanza attigua, riusciva a far indovinare qualche sagoma. Yuzo girò piano su sé stesso, scrutò il buio, ascoltò il silenzio e di nuovo, come prima di addormentarsi, un brivido di freddo lo fece stringere nelle braccia. Tra le forme cercò la sagoma di Dolore. La vide appoggiata contro il muro, accanto alla sedia a dondolo. La fissò per un lungo momento prima di prenderla.
Non poteva restare ancora in quella casa. In città, Hajime e Teppei avrebbero finito col preoccuparsi.
Inspirò di nuovo, cercando in quel gesto continuo e familiare, vitale, una sorta di calma interiore, ma il suo equilibrio era andato in pezzi assieme all’incantesimo di Autocontrollo. Provò a erigerne uno, ma non ci riuscì. Si concentrò, strinse gli occhi, cercò di fermare il flusso emotivo delle proprie percezioni e dei propri poteri, cercò di bloccare il dolore, di rinchiuderlo in uno spazio irrisorio ma questo era incontenibile e lui dovette arrendersi. Boccheggiò per lo sforzo compiuto e pensò che se Magister Nozaki avesse potuto vederlo, avrebbe finito col rimproverarlo. Ma i Magister, il Master, l’intera scuola non erano lì, non potevano sostenerlo.
La mano corse a toccare l’orecchino in cerca di rassicurazione, ma nemmeno quel gesto, che per anni lo aveva aiutato a superare i momenti difficili, riuscì, per la prima volta, a dargli ciò di cui aveva bisogno e la sensazione di freddo si fece più forte.
Yuzo aggrottò le sopracciglia, passandosi una mano sul viso. L’espressione divenne contrita.
In quel preciso istante gli parve di non essere altro che un bambino sperduto che non sapeva che fare, non sapeva che dire né come agire. Aveva perduto tutte le sue certezze.
Con forza ingoiò le lacrime che sentiva nuovamente aggrapparsi alla gola e lasciò la stanza.
Nel salotto, trovò Mamoru seduto nel divano davanti al camino. Addormentato.

“Ti aiuterò a ritrovarti ogni volta che ti perderai e ogni volta che cadrai, ti tenderò la mano per alzarti di nuovo.”

Fermo sulla porta, Yuzo rimase a fissare il suo profilo. Il capo reclinato contro la testiera, i capelli liberi che seguivano percorsi astratti. Aveva l’espressione severa anche mentre dormiva e con una mano teneva fermo, contro il petto, un libro aperto.
Era stato convinto che fosse tornato in città e invece era rimasto con lui.
Al suo fianco.
Aveva detto di non avere più certezze, però forse… forse una… ancora…
“Resterai?” mormorò nel crepitare della fiamma che divorava il legno. “Mi aiuterai?”
Qualcosa bruciò sotto la pelle, si diramò nel corpo. Scacciò i brividi e il freddo. Mutò in calore.
Il rapporto che aveva con Mamoru non l’aveva con nessun altro.
Era iniziato in maniera strana e altrettanto stranamente aveva preso a evolversi, seguendo percorsi che non conosceva, imprevedibili. Aveva cominciato a capirlo quando si trovavano a Sundhara e poi a Sendai era diventato evidente come il giorno. Avevano smesso di aggredirsi, e se si pungolavano era solo per il piacere di farlo. Perché lo trovavano entrambi divertente.
A Rhanka avevano iniziato a scoprire le carte dei rispettivi fardelli. A Dhyla, Mamoru era stato messo a nudo e ora… ora era lui a ritrovarsi nudo sotto il suo sguardo.
Nessuno dei due aveva giudicato l’altro per le proprie scelte di vita, ma entrambi si erano prodigati per dividere le angosce e alleviare le sofferenze.
Per quanto non avesse mai lasciato Alastra, non era così stupido da non capire che il loro legame era diverso da tutti quelli che aveva avuto finora.
Voleva bene ai suoi compagni di scuola, a suo padre, ad Hajime e Teppei, ma con Mamoru non era la stessa cosa. Voleva bene anche a lui, certo, ma era differente, in un modo che però non sapeva spiegare.
Era necessità.
Seppur con chiunque altro avrebbe potuto farsi bastare la ‘vicinanza di spirito’, con Mamoru non sarebbe stata sufficiente: era una persona che avrebbe voluto fisicamente accanto, una persona che avrebbe voluto vedere al mattino appena sveglio, alla quale chiedere consigli, con la quale confrontarsi, alla quale offrire la spalla se ne avesse avuto bisogno. La persona contro cui avrebbe anche potuto dormire senza fare incubi e senza pensare quanto lontana fosse stata casa, perché in fondo non faceva poi così male, anzi, sembrava più vicina.
Mamoru aveva la sua fiducia incondizionata.
Non era lo stesso legame che aveva con gli altri.
E allora?
Cos’era quello?
Cos’erano loro?
Come faceva a ritrovare sé stesso nel suo sguardo quando tutto, nella vita reale, sembrava mandarlo fuori strada?
Senza fare rumore Yuzo si avvicinò al divano. Dolore venne appoggiata contro il bracciolo.
Piano fece scivolare il volume dalla presa del compagno, che non oppose resistenza. Lo richiuse e guardò la copertina.
‘Le erbe curative del Dogato di Tha Cerròs’
Era di sua madre.
Un sorriso riuscì a sciogliere la sconfitta che regnava sul volto, mentre faceva scorrere piano le dita su quella copertina rigida e accuratamente lavorata.
Gli occhi si sollevarono al quadro che lo osservava dall’alto del camino. Cercò lo sguardo dipinto di Arya, la sua espressione dolce, felice, il suo sorriso. Seguì le onde bionde dei capelli che cadevano sulle spalle e sugli abiti.
Si lasciò scivolare sul divano con lentezza, cercando di scoprire, in quello sguardo, la strada che avrebbe dovuto prendere, ma non trovò altro che vernice su tela. Doveva imparare a camminare con le proprie gambe.
Sorrise, ancora, ma le sopracciglia si aggottarono.
“Eri così bella…” Il mormorio scivolò dalle labbra coperto dallo scoppiettare delle braci. “…così… bella…”
Prima che serrasse tutto dietro l’incantesimo di Autocontrollo, per dimenticare la loro esistenza, aveva passato notti intere a immaginarla, a sognarla. E ogni volta era sempre stata diversa. Non avrebbe mai creduto di poterla vedere davvero, un giorno, totalmente differente da qualsiasi fantasia. E il modo in cui lo teneva in braccio, lo stringeva contro di sé lo fece sentire importante per un solo e intenso momento. Speciale.
Avrebbe tanto voluto ricordarne il calore.
Poi il sorriso si sciolse come cera quando spostò lo sguardo.
Bashaar sembrava giudicarlo.
I suoi occhi erano fissi, verde scuro, quasi vivi attraverso il dipinto.
La somiglianza riusciva ancora a sconvolgerlo; era come guardarsi allo specchio e fare i conti con sé stesso. Un riflesso duro, severo.
Anche se l’uomo aveva un’espressione pacifica e appagata, gli occhi parevano dire tutt’altro.
Yuzo non riuscì a sostenere il suo sguardo e lo abbassò, sentendosi quasi rimproverato.
“Sei deluso?”
Il loro aspetto poteva ingannare gli occhi inesperti, ma in fondo al cuore non c’erano persone più diverse. I loro caratteri puntavano in direzioni opposte e lui si sentì messo alla gogna.
Strinse con forza il volume, mantenendo lo sguardo fermo sulla copertina senza più avere il coraggio di sollevarlo.
Con un gesto deciso, che voleva nascondere la frustrazione, Yuzo si alzò e ripose nuovamente il libro nella piccola scaffalatura assieme ad altri volumi, tutti di sua madre. Li fissò pur senza vederli, appoggiandosi al legno del mobile alla ricerca di un sostegno.
“Io credo sia preoccupato.”
La voce di Mamoru suonò bassa e calda come il fuoco del camino.
Yuzo si volse di scatto e vide un braccio allungarsi sul bordo della spalliera del divano.
“Non volevo svegliarti…”
“Non dormivo.”
Lui spostò il peso sull’altro piede e si girò a guardare la finestra e l’oscurità oltre i vetri. Lì attorno immaginò il campo di denti di golkorhas dai pappi bianchi, pronti a volare via al più tenue filo di vento.
“Dovremmo spegnere il camino e tornare a Ghoia.”
“Ti ho detto che, se vuoi, possiamo dormire qui.”
Scosse il capo. “No. Hajime e Teppei saranno in pensiero.”
Questa volta, Mamoru si alzò. Fissò la schiena di Yuzo e la mano appoggiata sul vetro. Gli sembrò che tentasse strenuamente di recuperare il controllo di sé e delle proprie emozioni, ma i risultati non erano paragonabili a quando usava il suo incantesimo preferito.
Girò attorno al divano con passo lento.
“Arya…” Yuzo lo fermò che gli era ormai alle spalle. “Si chiamava Arya… Non trovi che sia una strana coincidenza?”
“Sì.”
“Se non fosse stata un’Erborista, probabilmente non sarei mai riuscito a diventare un Elemento. Pensavo anche a questo.” Il volante sospirò. “Ho ereditato da lei la predisposizione alla magia. Se non l’avessi avuta, quel giorno, a Mizukoshi, non sarei mai stato in grado di sollevare la piuma e il Console non mi avrebbe portato con sé e adottato.” Le dita scivolavano sulla superficie liscia, perdendosi sotto al tessuto delle tendine tirate al lato. Tracciavano percorsi invisibili che avevano catturato gli occhi del giovane. Le strade da percorrere, le scelte da prendere. Aveva bisogno di sentirsi dire ‘cosa’ fare. Stava impazzendo. “Chissà come sarebbe stata la mia vita se non fossi andato ad Alastra. Chissà come sarebbe stata… se loro fossero ancora vivi…”
Mamoru inarcò un sopracciglio nell’udire la voce che si faceva più sussurrata. “E’ così importante, per te, saperlo?”
Yuzo si riscosse e chiuse la mano in pugno. Scrollò le spalle e tentò di dissimulare il reale interesse. “Oh, no. Certo che no. Solo che… mi domandavo chi sarei stato, cosa sarei stato… come. Magari a quest’ora non sarei così stupido.” Ridacchiò, ma alla Fiamma non sfuggì la nota di nervosismo che tradì la sua voce. “Forse è un bene che mio padre, quello vero, non possa vedermi. Lui era forte…” Gli occhi del dipinto glielo avevano detto a chiare lettere. Il tono si inasprì. “Non certo come me. Credo si sarebbe vergognato di avere un figlio così vigliacco ed egoista che non ha mai voluto dar loro nemmeno una possibilità solo perché… perché…” sussultò, odiandosi anche per quello, per quelle le lacrime che arrivarono, di nuovo, a bagnargli la guancia. “Oggi deve andare proprio così, maledizione! Non ho nemmeno un po’ di spina dorsale! Non gli somiglio per niente, proprio per niente, Mamoru! E’ solo nell’aspetto che siamo uguali, ma poi nella sostanza lui resta leone e io...” Con rabbia si passò una mano sul viso, masticando le parole. “Ma perché non si fermano?!”
La Fiamma scosse il capo. Nel vetro riusciva a scorgere un accenno del suo riflesso e il modo in cui deformava le labbra per lo sforzo di trattenersi.
“Perché non si può.”
“Prima potevo!” Yuzo si volse di scatto. Era frustrato, ferito. Aveva gli occhi rossi e il bagliore del fuoco faceva brillare la scia delle lacrime che lui si ostinava a cancellare appena venivano giù.
“Prima non è adesso.”
“Rivoglio il mio controllo!” Il volante sembrava quasi supplicarlo, come se davvero lui avesse potuto fare qualcosa. Ma non c’era nulla che avrebbe potuto fare.
“Se non riesci a usarlo, significa che non è ancora il momento. Quanto odio hai accumulato? Devi lasciarlo andare.”
“Ma io lo lascio andare! E’ solo che… che queste maledette non…” Le mani sul viso scorsero frenetiche, ma più Yuzo tentava di asciugarsi gli occhi, più le lacrime accorrevano copiose, rendendo rabbiosi i suoi gesti.
Mamoru gli afferrò i polsi con decisione, costringendolo a fermarsi. Lo attirò a sé e lo strinse, bloccandolo tra le sue braccia. “Ehi… basta …”
“Fermale.” Il volante lo mormorò aggrappandosi a lui. “Se io non posso, puoi farlo tu?”
“No. Devi lasciare andare anche loro.”
“Perché?”
“Perché sono lacrime di dolore. Più ti ostinerai a trattenerle, più soffrirai.”
“Perché deve fare così male?”
Mamoru sorrise. La mano scorreva lenta lungo la schiena nel tentativo di calmarlo e fargli capire che non doveva combattere poiché se davvero voleva indietro il controllo che non riusciva più a imporsi, allora doveva prima liberarsi di tutto ciò che aveva accumulato. Tutti i sentimenti negativi che aveva compresso e tenuto nascosti, erano loro i veri responsabili della sua sofferenza.
“Non lo so. Anche io me lo sono chiesto per anni, ma col tempo ho capito che la risposta non ha tutta questa importanza: farà male comunque. Però di una cosa sono sicuro, Yuzo: i tuoi genitori, ovunque siano, sono fieri di te. E lo saranno sempre.”

Da quando erano rientrati alla locanda di Haruko, Yuzo non aveva spiccicato mezza parola.
In silenzio, gli Elementi avevano cenato tutti insieme, ma il volante si era limitato a rigirare quello che aveva nel piatto, mandando giù solo qualche boccone.
Hajime aveva rivolto un paio di occhiate indagatrici a Mamoru che si era limitato a scuotere il capo per fargli capire che non era stato facile e che era meglio lasciarlo tranquillo, almeno per quella sera. Il Tritone aveva annuito.
Al tavolo avevano ricevuto la visita dell’ostessa che li aveva serviti con cortesia e, prima di ritirarsi, aveva appoggiato una mano sulla spalla di Yuzo, rivolgendogli un sorriso. Il volante aveva risposto con un altro sorriso, che era però lontano da quelli che elargiva solitamente; doveva ancora abituarsi all’idea di avere una parente diretta.
Anche ora che la cena era finita e alcune persone, quelle che formavano il gruppo della Resistenza, erano riunite attorno a loro per decidere quali sarebbero state le contromisure che avrebbero preso per affrontare l’arrivo del Delegato e dei suoi uomini, Yuzo continuava a restare in silenzio.
Lo sguardo si alzava di tanto in tanto, ma non riusciva a reggere quelli che gli altri gli rivolgevano in cerca, magari, di qualche sua parola, consiglio. Ordine. Sembravano quasi aspettarsi che prendesse il posto che un tempo era stato di suo padre e li guidasse contro Van Saal. Ma lui non sapeva cosa avrebbe dovuto fare, non aveva mai avuto lo spirito del comandante e faticava ancora ad accettare tutto quello che aveva saputo. Le notizie restavano bloccate nello stomaco, come un pasto mal digerito, e si sentiva opprimere dalle loro aspettative.
Aveva paura.
Paura di avvicinarsi ancora di più a quella figura così rispettata da tutti, ma da lui così distante. Sconosciuta.
Bashaar.
Suo padre.
Il volante guardò di sottecchi Mamoru per un istante. Restava lì, seduto al suo fianco e non si era mosso nemmeno per un momento. Ascoltava le parole degli uomini, dava pareri insieme ad Hajime e Teppei su come avrebbero dovuto disporre le difese, ma, più che altro, consigliava a tutti di non preoccuparsi perché c’erano loro e con i loro poteri non avrebbero mai permesso che a soffrire fosse stata ancora la già martoriata gente di quella città.
D’un tratto, la porta della locanda si spalancò di colpo e una voce concitata si levò su tutte.
Dov’è?! Dov’è, per tutte le Dee! Devo vederlo! Fatemelo vedere!”
Era agitata e profonda, quasi tonante. Passi trascinati e poi il rumore duro di un bastone che veniva picchiato al suolo mostrarono tutta la necessità che animava l’ultimo arrivato.
A nulla valsero i tentativi di un paio di uomini di calmarlo.
“Sta’ buono, vecchio Zed-”
“Taci, fottuto sbarbatello che non sei altro! Haruko! Haruko!”
La donna sospirò con una certa rassegnazione, ma il suo viso mostrava un’espressione sorridente. Quell’uomo era arrivato come una furia, però sembrava non esserci nulla di cui preoccuparsi.
Yuzo era sussultato per lo schianto della porta di ingresso della locanda. Si era leggermente ritratto sulla sedia, quasi avesse voluto nascondersi e restare in disparte a guardare cosa sarebbe accaduto. Ma non era da solo e quando sentì la mano di Mamoru poggiarsi sul braccio riuscì a rilassarsi almeno un po’. Era con lui, sarebbe andato tutto bene.
“Zedečka!” chiamò sua zia. “Siamo qui, nella sala grande!”
I rumori sul legno si fecero più veloci e la voce più vicina.
Tra le figure che gli coprivano la visuale, Yuzo riuscì a filtrarne una grossa come una montagna. Un occhio coperto da una benda e una gamba che non era altro che zavorra trascinata.
“Dov’è?! Levatevi dai piedi, dannazione! Fatemi largo!”
Yuzo vide le persone spostarsi velocemente e in quel momento comprese che quel vecchio furente stava cercando proprio lui. Era arrivato da chissà dove solo per vederlo.
Quando emerse tra gli altri, poté finalmente scorgerlo nella sua interezza. Era alto, sì, come gli era sembrato di carpire, e il corpo massiccio portava ancora il ricordo di una grande forza fisica.
Aveva i capelli ingrigiti in maniera irregolare, biondicci, coperti da una bandana. Il volto era rugoso, bruciato dal fuoco, invecchiato precocemente. Il segno di tre sfregi gli tagliava interamente una guancia, su cui basette e baffi formavano un tutt’uno, e poi scendeva verso il collo, ma non se ne vedeva la fine.
Non avrebbe dovuto avere più di sessant’anni.
Quando si trovarono faccia a faccia, lo sconosciuto si fermò di colpo. La bocca si aprì adagio e l’occhio rimasto buono si fece enorme. Boccheggiò, letteralmente.
Il volante s’accorse che lo guardava come fosse stato un miracolo, un fantasma, un ricordo vivente.
Fissando quell’iride azzurro slavato percepì dolore e sconcerto che si mischiavano a qualcosa di simile alla gioia e al sollievo.
“Lui è Zedečka Hansen(3).” La voce di Haruko lo fece voltare, la donna sorrideva. “E’ il terzo sopravvissuto. L’ultimo.”
L’ultimo brigante.
L’ultimo rimasto in vita tra i compagni di suo padre.
Haruko gliene aveva parlato quando si trovavano nella casa e adesso era lì, davanti a lui.
Ora capiva perché lo guardava con quel misto di sensazioni che non sapevano trovare parole.
Yuzo toccò appena le dita di Mamoru facendogli intendere che poteva lasciarlo, che andava tutto bene, e la Fiamma sciolse la presa in silenzio.
Voleva avvicinarsi, così il volante si alzò adagio, mentre l’altro rimaneva immobile a fissarlo dritto negli occhi.
Mosse qualche passo e si fermò solo quando gli fu davanti, ma rimase in silenzio, non sapendo che dire. E, forse, non c’era bisogno di dire nulla.
Yuzo scorse l’occhio sano riempirsi di lacrime, mentre le labbra screpolate venivano strette e tese. Le rughe s’accentuarono ai lati della bocca e la palpebra venne serrata. Stava pressando tutte le emozioni con uno sforzo sovrumano che il volante poteva comprendere. Quanto dovevano avere sofferto suo padre e sua madre, la gente di quella città, lo riusciva a vedere e capire, provare, solo in quel momento, solo guardando quanto Zedečka fosse sconvolto anche soltanto ad averlo di fronte.
L’uomo lasciò cadere il bastone e gli prese saldamente le spalle.
“Io lo sapevo… sapevo che le Dee non ci avrebbero abbandonato! Non potevano essere state così crudeli da voltarci ancora le spalle. E sapevo… sapevo che un giorno ti avrebbero rimandato da noi… lo sapevo! Non è un caso se sei arrivato qui.”
In quella stretta salda e disperata, Yuzo si rese conto di non essere in grado di smentire le sue parole.
Non era un caso.
Forse non lo era davvero.
Il suo ritorno era già stato scritto da prima che partisse per Alastra, gli eventi avevano concorso a farlo arrivare proprio a Ghoia, che il Principe aveva solo attraversato nel suo lungo viaggio. Così come erano arrivati proprio a Dhyla, così come avevano salvato Sundhara e così via.
Tutto si incastrava, come gli anelli di una infinita catena.
Mentre le lacrime avevano preso a scorrere tra le pieghe del viso, l’ultimo brigante sciolse l’espressione di sofferenza in un sorriso sereno. Le sopracciglia si aggrottarono e la presa si fece più affettuosa e meno disperata.
“Haruko, tira fuori una bottiglia di quel tuo liquore speciale. Io e questo ragazzo abbiamo un sacco di cose di cui parlare.”

 


[1]: discorso affrontato durante il Capitolo 10: Il compleanno di Teppei (parte II)

[2]: discorso affrontato durante il Capitolo 7: Il villaggio di Yoshiko (parte I)

[3]HANSEN: il vichingo allenatore nordico della Svezia :3 Da principio, sarebbe dovuto essere un personaggio inventato di nome "Zedečka". Poi però mi sono ricordata di quell'allenatore che, toh!, era perfetto per il ruolo! °-° Si somigliavano pure d'aspetto (cioè, in teoria la prima versione di Zed doveva essere mooooolto più bassa di Bash. XD Ora, invece, la supera)! E così, visto che Hansen nel manga non ha un nome... ho fatto 1+1 XD Lo so che Zedečka non è molto svedese (LOL), ma insomma, chissene frega XD. *rotola via ridendo* Non potevo cambiarglielo, era il nome che il pg aveva scelto :3


…Il Giardino Elementale…



E giusto per restare in linea con le involontarie similitudini RobinHooddiane: ecco a voi anche Little John! XDDD *ride tantissimo*
E pensare che prima che decidessi di affidare ad Hansen il ruolo di Zed, quest'ultimo doveva essere basso e tarchiato. XD Tarchiato è rimasto, ma è diventato un gigantone!XDDD
Orbene, credo che in questo capitolo ci sia proprio lo scoglio più grande della psicologia Yuzita (XD), e cioè l'abbandono/solitudine. Ma per fortuna che c'è Mamoru, no? X3
Questo capitolo mi è servito molto anche per far cominciare a porre dei particolari quesiti a Yuzo. Perché se è vero che Mamoru ha capito cosa prova per il volante, quest'ultimo naviga ancora in acque incerte. Dovevo cominciare a fargli prendere un po' di coscienza delle differenze nel rapporto che lo lega alla Fiamma, piuttosto che agli altri compagni. Ovvio, così come è stato per Mamoru, anche per Yucciolo ci vorrà un pochino di tempo per fare 2+2 XD
XD Non pretendevate mica che fosse tutto subito, eh?! *MWAHAHAHAHAHHA*
Nel frattempo, giusto per farvi ridere, c'è un piccolo aneddoto legato alla parte ambientata nel cimitero dei briganti che non vi ho raccontato la volta scorsa (XD il capitolo era già lungo così, non volevo stressarvi con altre chiacchiere). Allora, il tutto risale a un sacco di tempo fa, e badate bene che quella parte io l'ho scritta molto prima di tutto il resto; ancor prima del capitolo sei! XDDD
Dunque, si era in quel di MSN con Maki-chan e si discuteva di cose utilissime alla comunità tutta (ma si dice 'faggetA' o 'faggetO'? Abbiamo deciso che: la Foresta di faggi è la FAGGETA, il Bosco di faggi è il FAGGETO). Il discorso era nato perché avevo bisogno di informazioni sulla possibilità di trovare muschi e felci in determinati tipi di foreste (per la descrizione della location riguardo al Cimitero dei Briganti): e se c'erano con le conifere e se c'erano con le decidue, e Maki che mi diceva 'sì/no' a seconda delle sue rimembranze.
Ed è stato proprio in quel momento che Maki ha esclamato:

Maki:
"Ma sì, basta che non sballi latitudine per le piante e via. Non mi mettere il baobab in Lapponia, intendo!"
Melanto:
"No, figurati!"
Maki:
"Ed improvvisamente, Yuzo si trovò ai piedi di un baobab enorme... Yuzo: 'Cazzo, troppe canne!' "
Melanto:
"ROTFL XD"

Non potevo non condividerla con voi, questa perla di genialità XD

Ringrazio ancora infinitamente i Santi e Martiri che continuano a seguirmi in questa lunga avventura! :3


PS: le musiche di Ortega sono MERAVIGLIOSE! °-°



Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

- Elementia: Fanart

Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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