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Autore: shotmedown    10/02/2012    3 recensioni
No, lei non ci credeva più. Inutile negarlo, c'era qualcosa che non andava nella sua vita, e non poteva far altro che crogiolarsi nella sua ignoranza; un giorno, forse, qualcuno le avrebbe fatto capire quanto contasse, e le avrebbe donato un mondo fatto di sicurezza e passione, ma per ora, si limitava a partire, ad andare lontano. Boston le stava stretta, Montréal era la libertà.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cinque amici e un paio di chitarre.'
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 The broken locks were a warning, you got inside my head.
I tried my best to be guarded, I'm an open book instead.

Lifehouse, Broken












"Buongiorno." 
La hostess si offrì di portarmi dell'acqua; doveva aver notato il gonfiore dei miei occhi e aver sentito la stanchezza. Magari su quell'aereo avrei potuto dormire un po', anche se c'era neanche mezz'ora di viaggio fino a Montréal. Leah era partita due giorni prima di me, dandomi il tempo di recarmi all'agenzia immobiliare per mettere di nuovo l'appartamento sul mercato e concedendomi la possibilità di minacciare il Boston Globe; non che possedessi poi tutto quel carisma, ma l'avvicinarsi di una probabile denuncia li avrebbe fatti ricredere sul mio carattere. Quella notte, non avevo dormito affatto. Subito dopo essere tornata da una piccola festicciola di addio data da Rocio avevo preparato le valige e avevo rimesso a posto la casa, lasciandola esattamente come l'avevo trovata due mesi e mezzo prima. Socchiusi gli occhi qualche istante, ma sentii improvvisamente qualcuno tamburellare sul mio braccio. 
"Siamo arrivati." Sussurrò dolcemente una donna, sorridendo. Dovevo essere crollata. Tuttavia, quel pisolino mi era servito a recuperare un po' di forze, necessarie a caricare le valige e chiamare un taxi. In quella città, era difficile, assai complicato riuscire a trovare qualcuno disponibile. Lentamente oltrepassai la hall e mi diressi alle porte scorrevoli, che si aprirono così velocemente che neanche me ne resi conto. Fortunatamente, riuscii a trovare un tassista disposto ad accompagnarmi fin sotto casa: evidentemente gli facevo pena. Caricò le valige e mi aprì la portiera per farmi salire, chiedendomi poi quale fosse il nome della strada. Nel pronunciarlo provai un profondo senso di beatitudine. 
"Rue La Moyne." 
Cercai di non prendere nuovamente sonno, o un risveglio improvviso come quello di prima mi avrebbe distrutto i nervi definitivamente. 
"E' americana?" Chiese improvvisamente il tassista. 
"Oh, er...sì." 
"Come mai qui in Canada?" Feci spallucce, ritenendo quella risposta troppo ovvia. Almeno per me.
"Ci abito da tre anni." Non avevo molta voglia di parlare e l'uomo doveva essersene accorto, perché dopo un cenno di assenso, guidò in silenzio. Quando entrammo in città, ritrovai energia. Leah sarebbe stata felice di vedermi arrivare così in anticipo. Non gliene avevo parlato per non costringerla a provvedere alla cena, al passaggio in aeroporto e alla mia stanza; si sarebbe fatta in quattro sapendo che stato tornando, ed era meglio che così non fosse. Il taxi si fermò proprio in corrispondenza del nostro appartamento e mi aiutò a scaricare i bagagli. Gli consegnai i soldi e gli diedi una cospicua mancia, sperando, in cuor mio, di non essere costretta a prendere nuovamente uno. Guardai l'auto allontanarsi, per poi decidermi a chiamare la mia amica. 
"Sei troppo pigra! Sono qui già da trenta secondi e nessuno viene ad aprirmi." La rimproverai, sarcastica. Non disse nulla, ma in un minuto esatto me la trovai addosso. "Ti prego, ho le ossa a pezzi..." La implorai, ma non volle sentire ragioni. 
"Jack, prendila in braccio, io porto le valige." 
"Cosa?!" Inveii. Prima ancora che potessi ribellarmi, Jack mi prese alla stregua di un sacco di patate e mi portò fin sopra il pianerottolo. Tutto il tempo ebbi una paura matta di cadere. Mi intimò di non aprire la porta fino a quando non fosse stato lui a dirmelo; com'era ovvio che fosse, trovai il tutto molto sospetto, ma gli obbedii. Entrambi temevamo l'ira di Leah. Mi misi a sedere su di un gradino e attesi che i due tornassero con i miei bagagli, e quando li intravidi, erano spossati. Mi proposi di aiutarli, ma me lo impedirono gridando in modo disumano un 'No!'. Leah mi spinse ad entrare, e quando aprii la porta mi dovetti ricredere sulle feste a sorpresa. C'erano David, Chuck, Jeff, Sebastien, un paio di ragazze che avevo conosciuto due anni prima, ora nostre vicine di casa e al mio seguito Leah e Jack. Nonostante Chuck, Jeff e Seb non mi conoscessero, vennero ad abbracciarmi. 
"Effettivamente ci siamo visti una volta sola, ma sapere che hai sopportato Powell tutto questo tempo fa di te una persona degna di stima." Affermò Seb, presentandosi ufficialmente. Doveva essere il chitarrista; aprendo il cassetto sigillato della memoria, passai alla rassegna tutti i componenti, ricordando alla perfezione il loro ruolo. La mia amica si diresse in cucina a prendere l'ultima sorpresa: una torta alle fragole. Ne divorai avidamente una fetta, sentendo tutta la stanchezza scomparire definitivamente. Andai a sedermi sul divano accanto a David, che mi scoccò un bacio sulla tempia.
"Non amo molto le relazioni a distanza..." Affermò, sorridendo. 
"Mi sei mancato molto." Finsi, reggendogli il gioco. Sorseggiai una Red Bull, per poi tornare alla nostra conversazione. Nonostante non volessi aprire quell'argomento, fui costretta a render conto alla mia curiosità. "Lui dov'è?" 
"In studio, come sempre." Annuii, guardando Leah. Mi rivolse un sorriso di comprensione, dopodiché tornò alla sua conversazione con Seb. Lo sguardo assassino di Jack la diceva lunga sul suo passato. Aveva sempre dovuto combattere con il fantasma del chitarrista, di cui la mia amica era follemente innamorata. "C'è una cosa che devo dirti, Sam." Mi voltai verso David, che evitava il mio sguardo. 
"Cosa c'è?" Dissi, cercando di utilizzare un tono che non lo facesse sentire sotto interrogatorio.
"C'è un motivo per cui Pierre..." fissò i suoi occhi nei miei, facendomi spaventare. "C'è un motivo per cui Pierre quella sera ha mollato tutto."
"E quale sarebbe?" Esitò a rispondere, temendo che qualcuno potesse sentirci. Così gli chiesi di seguirmi fin sul terrazzo, dove ero solita passate le serate con il suo amico. La primavera ancora esitava a farsi sentire. 
"Vedi, quando siamo tornati dal nostro 'tour', lui ha aspettato qualche giorno prima di venire qui." Annuii, esortandolo a continuare. "Leah gli ha detto che te n'eri andata e lui è andato su tutte le furie." 
"E' stato un fraintendimento, allora?" Chiesi, certa delle mie parole. Il bassista si limitò ad assentire. Tuttavia, per me non cambiava nulla. "Gli ho detto cosa provavo, e lui se n'è andato, Dave. Avrebbe dovuto parlarne con me." 
"Conosci Pierre. Quando si tratta di trasformare in parola ciò che sente, è un disastro." 
"Lo so. Ecco perché non ti ho riferito altro che ciò che ha fatto. Se n'è andato. La cosa non è difficile solo per lui."
"Perché non gli parli?" Mi alzai e sollevai la finestra dalla quale eravamo usciti. 
"Lo hai detto tu: a parole non è bravo." 
 
Pierre p.o.v
Do...Sol...No, non funzionava. Mi stavo giusto chiedendo dove fossero andati a finire i ragazzi. 
I'm coming home, to an empty room, my head's spinning on a Saturday afternoon. There was a time when I had it all. I can still remember but I'm barely hangin' on.
Non riuscivo a continuare quella che doveva essere una nuova canzone. Avevo ritrovato l'ispirazione appena tornato da Boston, ma non ero riuscito ad andare oltre, limitandomi a chiudere quel pezzo nella cassetta delle canzoni mai completate. La matita mi scivolò dalle mani e nel riprenderla feci cadere in terra la mia chitarra. Era un casino senza la band al completo. Mi alzai dal divanetto e salutai i tecnici, pronto a tornare a casa. Presi la chiavi dalla tasca della giacca, ma nel farlo afferrai il cellulare, trovando un sms di Sebastien. 
'Sei un completo idiota. Mi chiedo proprio come farai ad andare avanti costretto a vederla tutti i giorni.' Mi chiesi a cosa si stesse riferendo, ma non trovando risposta decisi di richiamarlo. Quando mi rispose, udii delle risate di sottofondo e una voce molto, troppo familiare. Jack. Chiesi al mio amico cosa ci facessero a casa di Leah, e la risposta che mi diede fu abbastanza esaustiva. 
  
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