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Autore: MichaelJimRaven    11/02/2012    0 recensioni
Una temattica che aspetta tutti, prima o poi. In questo mio piccolo racconto, c'è la mia personale visione della cosa.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL PASSAGGIO


La neve è sempre bella, specie quando non sei in auto. Passeggiare tra il silenzio irreale ed ovattato che essa crea è come trovarsi all'interno di una nuvola. Sarà anche un’immagine parecchio usata, ma non si può negare che sia decisamente calzante.
La piazza di Treviso non cambia mai da almeno 20 anni: da quando ci ho messo piede, coscientemente, la prima volta, da solo.
Amo la mia piccola città: adoro il suo svilupparsi all'interno delle mura, imprigionata maternamente da Sile e Cagan che ne rigano le fondamenta, accarezzandola.
Mi piace e mi è sempre piaciuta.
A misura d'uomo. Non le manca nulla, se non un po’ di ideali migliori nei cuori di chi la popola. I Trevigiani sono effettivamente noiosi, stereotipati e fintamente cittadini. Provinciali imborghesiti, superficiali e bigotti.
Peccato.
Non mi sono mai curato oltremodo di loro, troppo preso a bearmi delle piccole vie del centro, dei numerosi bar e dei negozi che amo, come la libreria Canova, la Fumetteria, L'Abc Informatica (iniziato a frequentare da poco), il vecchio negozio di Vinili, dove il profumo della musica si fonde con quello dei ricordi. Stagnante e denso, riesce sempre a tenermi sul filo di una realtà che sembra volermi sfuggire di mano.
Qui ho preso il mio primo disco. Qui ho conosciuto la mia prima ragazza. Qui ho anche passato il mio primo Capodanno da solo, lontano dagli occhi severi ma tolleranti dei miei vecchi.
Il Calmaggiore affollato è sempre uno spettacolo. Non sarà la tipica via centrale di una megalopoli, ma nei suoi duecento metri scarsi di vita sono racchiuse meraviglie che solo chi ha calpestato i suoi ciottoli può ricordare e capire.
Ho 34 anni e mi sto avviando verso l'incontro che mi cambierà la vita e che, in parte, già lo ha fatto.
Piazza della Vittoria si apre davanti a me, ma non è la mia meta. Non è il suo monumento che deve assistere al mio incontro. No. Nemmeno via Roma, con il teatro ed il vecchio Cinema Corso.
I miei piedi si dirigono sapienti verso l'isola della pescheria, proprio dietro alla chiesa di San Francesco.
Curioso: Assisi… Mi ricorda una persona che avrei preferito non prendesse le direzioni svasate di chi non ha capito nulla di te. Ma ciò non cambia la mia opinione su di lei. Sarebbe un ottima persona se non frequentasse pagliacce e clown e si rendesse conto di non essere Dio.
Il cambio della pavimentazione, da lineare a irregolare, distoglie i miei pensieri dalla vecchia Umbria per riportarmi nel mio piccolo regno. Re consapevole di non avere potere alcuno sul mio reame, se non quello di poterla gestire con la memoria visiva.
Seduti davanti a me, in una delle numerose panche che circondano l'isola, un uomo ed un ragazzo mi aspettano, guardandomi sereni. A occhio e croce si sono appena scambiati qualche battuta sulla mia mise : montgomery, camicia, jeans e stivali . Ovviamente i capelli pettinati all'indietro… e la stempiatura che decide di guadagnare terreno ogni giorno che passa.
"Sono così buffo?" chiedo al ragazzo, che si alza in piedi e mi osserva come per soppesarmi. Ha i capelli lunghi, tenuti fermi da un cerchietto nero che quasi non si nota. Profondi occhi marroni, nascosti dietro le lenti tonde di un paio di occhiali da sole che però non ne celano l'intensità. Indossa un lupetto celeste a girocollo ed un paio di Levi's grigi, anfibi militari ed un cappotto blu con il colletto alzato.
"Non sei buffo… sei solo in ritardo. Ti stavamo aspettando da un po'. Dove sei stato?"
"Sarà stato a girovagare per Treviso, come sempre Gli piace farlo..." disse l'uomo, rivolgendomi lo sguardo tipico di chi la sa lunga e ha avuto tante esperienze nella sua vita da far apparire dei poppanti anche persone più anziane di lui.
"Si, è vero... ho allungato un po'. Il mio lavoro non mi lascia molto tempo per venire qui a godermi la città... ma tanto sono cose che già sapete… anzi… che tu, vecchio, sai".

"Non chiamarmi vecchio... ho solo pochi anni più di te." mi risponde l'uomo, alzandosi a sua volta.
Indossa anche lui un cappotto, ma nero. È totalmente rasato, con il pizzetto folto e un paio di occhiali neri, larghi, che gli conferiscono l'aria di un professore. È fisicamente massiccio, ma non grasso: solamente "allenato". Sotto al cappotto, una camicia bianca cela a malapena la maglietta nera che lo ripara dal freddo di gennaio.
"Hai ragione, scusami. Posso offrirvi qualcosa, ragazzi?" chiedo spiccio, indicando loro "Muscoli", il bar dell'isola.
"Perché no? Ho proprio voglia di una buona birra!" il ragazzo si avvia a passo svelto dentro il locale, lasciando me e l'uomo ad osservarci.
"Che dici, Max, entriamo... o aspettiamo che il pivello si ubriachi senza di noi?" mi dice, cedendomi il passo e posandomi una paterna mano sulla spalla.
"No, certo. Andiamo!"
Pochi passi ed eravamo tutti e tre all'interno. Il ragazzo aveva già ordinato e preso un tavolo.
Ci sediamo subito, togliendo i nostri soprabiti e posandoli quasi all'unisono sulla staffa della propria sedia.
"Immagino che non sia stato facile vederci per te, oggi. Vero, Max?"
L'uomo aveva puntato il suo sguardo subito sul mio, attaccandomi subito con la più ovvia delle domande.
"Credo non lo sarebbe per nessuno. Non credi?" mi affretto a dire, guardandolo di rimando, i gomiti appoggiati al tavolo.
" A me non creerebbe problemi... in fin dei conti..."
"Zitto, pivello. Tu parlerai FORSE per ultimo!"
Guardo di traverso l'uomo. Troppo dura la sua parola. Il ragazzo si scosta quasi impaurito, incollandosi allo schienale della sua sedia.
"Non mi sento pronto... ma so che devo farlo. Ormai è ora che io mi decida... vero?"
Alle mie parole, calme e pacate, il ragazzo sussulta. La sua baldanza di poco fa, sembra vacillare.
"…Co...come?" dice, guardandomi atterrito.
"Sì... è tempo che si decida a fare questo passo. E sai che chi ci rimetterà di più sarai tu, pivello!"
Rido. L'uomo usa esattamente il modo di apostrofare i ragazzetti che io stesso uso. È divertente la cosa.
Quasi abbacchiato, il ragazzo prende la sua birra e ne trae un profondo sorso.
È la volta del mio sussulto.
Quel gesto naturale mi blocca. La mia testa rimane fissa verso i lunghi capelli del ragazzo che mi osserva, rassegnato. Un moto di calore mi riempie lo stomaco mentre cerco di voltarmi verso l'uomo.
"È giusto. Non posso più nascondermi dietro alle ragazzate, no? Oramai... sono GRANDE." dico con la voce appena tremante.
"Diciamo che sarebbe ora che tu ti rendessi conto che non puoi essere un eterno adolescente, Max!"
"Si, è vero... sarebbe ora. Ma non mi sento pronto ad abbandonare il mio modo di essere. Non mi va di diventare un’icona responsabile e veterana..."
"Cazzate. Lo sai anche tu che oramai non puoi più permetterti certe cose. Risulteresti ridicolo!"
Incalza l'uomo, senza curarsi di ferirmi al fianco con ogni sua parola.
Mi volto verso il ragazzo. Lo osservo. È duro dirgli quel che sto per dire, ma la verità è che l'uomo ha ragione.
"Trentaquattro anni non sono pochi, eh pivello? Ci siamo divertiti, no?" inizio, sentendo da me la poca convinzione del mio tono di voce che a poco a poco si rompe.
"Perché non possiamo continuare a farlo, Max? Io non voglio che ci separiamo!"
Il ragazzo si alza in piedi, istintivo come è sempre stato. Serra i pugni, mentre dice quel che mi deve dire.
"Non è giusto che sia sempre io a rimetterci. Ogni anno! Ogni volta che ci incontriamo… voi… voi fate sparire una parte di me! Mi ha stancato questa cosa! Non è colpa mia se… se... se..."
"Se sei il passato?" dice l'uomo, causando l'effetto di un pugno sullo stomaco sia a me che al ragazzo.
"Cazzo, ma non sai proprio essere più delicato? Porco cane, se devo diventare così, mi fai passare la voglia di accettare il mio destino!"
"Non fare l pivello anche tu, Max. Già ci sei così. È solo una formalità quella di essere "diplomatici". Alcune volte crea illusioni e peggiora le cose.”
L'uomo ha ragione. Ogni anno, al nostro incontro, succedeva sempre lo stesso. Il discorso partiva e io cercavo sempre di rendere meno brutto al ragazzo il fatto che ci stavamo lentamente separando.
"Non me ne frega niente se sono il passato. Io mi sento ancora vivo. Lui non mi lascerà sparire! Lo sai!" la voce rotta del me stesso di quasi vent'anni prima combatteva strenuamente contro l'assoluta certezza del me stesso più grande.
"Frena, ragazzo. Lasciami parlare con l'uomo. Ok? Intanto esci... e fatti un giro. Torna qui quando ti sarai calmato.”
Non dice nulla. Si alza dalla sedia e prende in malo modo il suo cappotto, uscendo dall'osteria incavolato come un figlio al quale è stato negato il motorino dal padre.
"Veniamo a noi, Max…" inizia nuovamente l'uomo. "Sono 10 anni che ci incontriamo. Quando troverai il coraggio di dirglielo? Non puoi tenerlo in stallo in eterno, ti pare?"
"Hai ragione. Quest'anno va fatto. L'ho mandato fuori apposta. È più facile per me accettarti se non vedo lui. Il passo da me a te e' breve. Ma da lui a te… ci sono tutto IO di mezzo.”
L'uomo sorride. Il Tullamore che ha davanti è il segno del cambiamento.
Coca cola, birra e Whisky.
Le mie tre età del bere.
"Cosa gli dirai?" dice mentre ne sorseggia un po', reclinando per un secondo la testa leggermente all'indietro, come per farlo scivolare meglio lungo la sua gola.
"Ho preparato il mio discorso... ma usciamo, dai. Mi sono rotto di tenere il sedere incollato alla sedia."
"Prego, caro… fai strada."
Ci alziamo, rivestendoci dei nostri cappotti. Pago il conto, mentre l'oste mi osserva. Vedere un uomo ordinare tre cose e berne solo una dev'essere oltremodo particolare.
Evidentemente lui non ricorda più il suo "passaggio".
Fuori del locale, il ragazzo chiacchiera con una bella mora, sulla ventina. Più grande di lui, ma già lo so. In fin dei conti, lo conosco bene.
"Per me e' giunta l'ora, Max. Me ne vado. Se decidi di fare il salto, stasera, non ci vedremo più, se non allo specchio." mi dice, osservandomi perplesso.
"È quello che ho intenzione di fare, vecchio. Puoi andare. Penso io al ragazzo."
Mentre termino la mia frase, gli porgo la mano che stringe con un sorriso tirato. Il suo sguardo si sposta da me al ragazzo ed il sorriso che mi regala l'uomo mi fa capire che non potrò MAI fregarlo. Sono dieci anni che ci provo.
Si aggiusta il bavero del suo cappotto e mi dà una pacca sulla spalla. Si gira, guardandosi intorno beato. Anche lui ama Treviso e ha a cuore il ragazzo. Si volta verso l'isola e dopo pochi passi svanisce .
Lo guardo sparire, mentre il mio sorriso è ancora ben stampato sul mio viso.
Giro il mio sguardo in direzione del ragazzo, avvicinandomi a passi veloci verso di lui che ha appena baciato la ragazza. Mascalzone.
"Senti un po', Dongiovanni… potevi almeno pagare il conto, no?"
"Ma come… Non… non toccava a lui?"
"Se… lui! E quando mai? Ho pagato io, come sempre."
Rimane a fissarmi. È preoccupato. Abbassa lo sguardo, fingendo di controllarsi i lacci degli anfibi, mentre mi parla.
"Allora... siamo arrivati alla fine? Mi lasci definitivamente?"
La sua voce è rassegnata. La conosco molto bene. In fin dei conti, ha ragione: lui è quello destinato a sparire per primo, come io sarò il prossimo dopo di lui. Dopo l'uomo, arriverà il vecchio. E io sarò la parte più debole. Diventerò quello che il ragazzo è ora: un ricordo.
"No… l' ho fregato anche quest'anno… se così si può dire. È troppo furbo per non capire che farò una gran fatica ad abbandonarti, pivello!"
La testa del ragazzo si alza di scatto, incredulo. I suoi... i MIEI occhi mi guardano, ritrovandosi nei loro stessi di 15 anni dopo.
"Ti voglio troppo bene per mollarti ora, pivello. Ho ancora troppo da ricordare per farti sparire. Mi dispiace per te, ma l'anno prossimo sarai ancora qui... e pagherai TU il conto della birra! Ok?"
Non termino nemmeno la frase. Le braccia del ragazzo mi stringono così forte da farmi cadere il cellulare che tenevo in mano.
"Ehi! Ehi! Ehi! Non farmi pentire della cosa, ok? Ho 34 anni. Ti tengo ancora con me, ma vedi di rimanere controllato! Non posso più fare certe figure, ok? E ora sparisci!! Lasciami provare a giocare all' "adulto" per un paio d'ore!!"
Mi guarda, mentre mi scioglie dal suo abbraccio per prendere per mano la ragazza mora che solo io riesco a vedere.
"Ci vediamo a casa. Non fare tardi, ok?"
"Certo... tu non l'hai MAI fatto!"
Rido. Mi conosce anche lui troppo bene. Si volta e sparisce dietro l'angolo della Pescheria.
Raccolgo il cellulare che, cadendo, pare abbia scattato una foto.
Una bella foto di un abbraccio tra due amici.
E che amici... Fratelli? ... No. Molto di più.
Aspetta, uomo. Ti sto raggiungendo. Per ora, però, aspetta! Voglio ancora troppo bene al ragazzo.
  
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