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Autore: Margaret Moonstone    11/02/2012    2 recensioni
Morte disse: "Specchio specchio delle mie brame, chi è la più potente del reame?". Quello rispose: "Ahimè padrona, tu sei forte, ma qualcuno lo è più di te... Amore."
E fu così che Morte cercava, Amore scappava, Dio assisteva, e venne fuori un Pandemonio. E Pandemonio generò le creature che persino Morte teme, tutti temono...tutti tranne Amore.
Una storia fantastica di avventura,mistero,passioni,bugie e soprattutto...Amore.
Buona lettura!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II
 
La trovò il giardiniere, all’alba, accasciata sul corpo di Isabel.
Disse che sembrava posseduta: tremava, gridava frasi sconnesse e piangeva probabilmente da tutta la notte.
 
La trascinarono via a forza, le diedero uno strano intruglio che il medico aveva definito “sedativo” , e la costrinsero a stare chiusa in camera finché non si fosse ripresa.
Ma come poteva starsene con le mani in mano quando della sua migliore amica non rimaneva che una macchia nera di sangue nel cortile?
 
Isabel era l’unica persona con cui aveva instaurato un legame profondo da quando era successa quella cosa che la aveva riportata sulla terra. Già… 
ora che Gabriel era tornato- Gabriel era tornato…!-  tutte le sue certezze erano crollate, non riusciva a capacitarsi di nulla.
 
Innanzitutto chi aveva ucciso Isabel –Isabel…al solo pensiero le veniva la nausea- e perché?
E poi…a cosa era dovuto il prodigio dell’improvviso ritorno della sua vista? Era forse legato al morso del vampiro? Il vampiro… perché non era morta, perché non si era trasformata anche lei in una rediviva? Perché aveva avuto la sensazione di trovarsi di fronte a Gabriel mentre l’essere al quale era al cospetto non era altro che un non-morto?
Già, perché il pensiero che fosse stato Gabriel a morderla non voleva nemmeno prenderlo in considerazione…
 
Mille domande le affollavano la mente confusa mentre , seduta sul grande letto a baldacchino, si rigirava tra le mani una piuma nera.
L’aveva trovata tra i capelli di Isabel, gliela aveva tolta con delicatezza e poi si era scordata di averla in mano, così se l’era portata dietro fino in camera,  e ora continuava a  stuzzicarla per scaricare la tensione.
 
All’improvviso, fissandola, un brivido la scosse: quella era una piuma di colombo… nera… !
No. Non poteva essere. Era tutto un sogno, basta, non voleva più pensare a quella storia, voleva continuare a vivere nel suo guscio di annoiata nostalgia, come aveva fatto fino a quel momento.
Sei proprio sicura, Beatrìce, di voler vivere per sempre nella nostalgia?
 
No, no che non era sicura. Sapeva benissimo di cosa aveva bisogno, di chi aveva bisogno per continuare a vivere, ora più che mai.
 
Beatrìce aveva appena sedici anni quando, insieme al suo ragazzo, morì per mano  di una banda di persone che si definivano “spiritisti”, un gruppo di ciarlatani disperati in cerca di creduloni a cui spillare soldi. Solo uno di loro faceva sul serio, e Bea lo conosceva bene. Era un amico di famiglia (ai tempi lontani in cui aveva avuto una famiglia…), un uomo da cui tutti cercavano di tenersi alla larga. Correva voce infatti  di donne da lui sedotte che erano poi misteriosamente scomparse, e tornavano alla vita dopo anni per rapire i sacerdoti e ucciderli nei modi più truci; altri, invece, sostenevano di averlo visto più volte al cimitero in piena notte, con una bellissima fanciulla bionda il cui corpo avvenente emanava una luce propria. Erano tutte dicerie, sì, ma Bea aveva sempre saputo che c’era qualcosa di stano attorno alla figura dell’uomo, fin dal giorno in cui l’aveva visto la prima volta, e lui l’aveva fissata a lungo con lo sguardo carico di disprezzo e apprensione.
Quella sera, quella maledetta sera, i suoi sospetti avevano avuto conferma.
 Erano successe cose strane, quella sera, la maggior parte delle quali non le aveva ancora comprese. Ricordava solo lo sguardo di lui in fin di vita, carico di odio, mentre si contorceva come posseduto da uno spirito oscuro, e lanciava su lei e il fidanzato, Gabriel Sincloude, la sua ultima maledizione.
 Del periodo immediatamente successivo alla sua morte Bea non ricordava niente, era buio totale; quello che era successo dopo, invece, le era ben presente.
Si era ritrovata in mezzo a un’immensa distesa di quella che pareva essere neve, ma era di un colore diverso, nuovo, imparagonabile a qualsiasi altro colore conosciuto sulla terra.
Aveva camminato a lungo spinta da un desiderio sconosciuto, sempre nella stessa direzione, e per la prima volta aveva avuto la concezione del Nulla.
Dopo giorni, o forse anni, o forse dopo un istante, era impossibile da stabilire, si era trovata davanti  se stessa, morta, sdraiata in mezzo a quella sostanza dal colore strano che solo in quel momento aveva compreso essere Luce.
 Aveva pianto a lungo, fino a che una fanciulla l’aveva presa per mano, e portata con sé in un luogo meraviglioso, pieno di creature angeliche e il cui infinito potere era annientato da una Luce che costantemente splendeva su di esse.
Aveva trascorso lì molto tempo, finché un giorno (se così si poteva chiamare) aveva scorto in lontananza Gabriel, il suo Amore, venirle incontro.
 Era nudo, come lei del resto, e disperato, glielo si leggeva nello sguardo. Si erano abbracciati, baciati, nell’inconscia consapevolezza che quello che provavano l’uno per l’altra era sbagliato, ma non potevano farne a meno.
Avevano fatto l’Amore.
Per la prima volta, nel luogo peggiore che potessero scegliere.
 E dopo, si erano ritrovati in una nebbia scura, orribile, densa di volti spaesati che li fissavano. E sopra di loro una Luce, dolorosa, che li attraeva verso di sé e più si avvicinavano, più si sentivano male.
Un uomo, vestito di stracci ma dal corpo perfetto li aveva raggiunti, e aveva gridato loro “Peccatori! Ciò che avete osato è troppo anche per il Signore, l’amore che provate l’uno per l’altra non merita né il Paradiso né l’Inferno!”.
Poi il buio. Non riusciva a muoversi né a parlare mentre, nel Buio, vedeva Gabriel mutarsi lentamente in un uccello, e volare via leggiadro sbattendo le ampie ali rivestite di soffici piume nere.
Non l’aveva rivisto mai più.
Ma tutte le notti lo aveva sognato, volare maestoso per tornare da lei, un’umana.
Un Angelo bandito dal cielo costretto a vivere per sempre nell’ombra di una vita ormai consumata ma troppo ricca di ricordi per poter essere lasciata andare.
 
-“Beatrìce!!”
Non sapeva quanto avesse dormito, ricordava solo di essersi sdraiata e aver sprofondato la testa nel cuscino, per tentare di soffocare i pensieri dolorosi.
 
La piuma. Non c’era più. Dove diav…
 
-“Beatrìce!!”  Madre Anastasia, la suora che da sempre si occupava delle faccende pratiche di corte, nonché dell’educazione più che severa delle giovani dame, fece irruzione nella stanza spalancando rumorosamente la porta. “Che ci fai lì sul letto? Vestiti, tra mezz’ora si va al rosario per la povera Isabel…Gesù mio, come sei conciata?? Forza, avrai tempo dopo per i piagnucolii …”
 
                                                                                   *   *   *
 
Beartìce odiava le funzioni. Nonostante le toccasse andare in chiesa ogni domenica, non si era mai abituata a tutti quei crocefissi, raffigurazioni, statue di cui, anche se non li vedeva, avvertiva la presenza e l’influenza dolorosa.
Ora era terribile. Faceva il possibile per tenere lo sguardo basso e respirava profondamente, ma non poté fare a meno di portare gli occhi al maestoso altare dietro il quale un giovane prete dall’aria goffa faceva il suo dovere. E fu allora che vide, in una delle prime file, un uomo dall’aspetto magnifico, con folti capelli corvini e occhi neri, che la fissava, tra i capi chini delle vecchie dame che pregavano sommessamente.
Quando incrociò il suo sguardo, l’uomo si voltò, dopo averle rivolto uno strano sorriso.
                                                                                   *   *   *
 
Faceva freddo fuori dalla chiesa, ma non si sarebbe mossa finché non avesse visto uscire l’uomo misterioso.
Quando quello arrivò, ella si alzò e gli si fece incontro. Prima che la ragazza potesse rivolgergli la parola, lui si inchinò e si presentò: “Thomas Altière, vedovo da ieri sera della dolce Isabel Davids.”
 
Era troppo impegnata a fissarlo con un misto fra sorpresa e orrore, per accorgersi della piuma nera che gli sbucò dal taschino della giacca.
 
 
Ciao a tutti!! Allora, molti degli interrogativi della scorsa volta sono stati svelati e… ne sono arrivati di nuovi! Siete un po’curiosi?? Anche se per ora non sono in molti a seguire la storia, cercherò di portarla avanti meglio che posso… ovviamente anche grazie ai vostri pareri, che sarebbero molto preziosi ;)!
Grazie alla prossima!
*..lady Black Rose..*
  
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