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Autore: nowaryesreggae    11/02/2012    0 recensioni
Un ambiente malfamato, povertà e violenza attraversano il quartiere di Anne ogni giorno. Ma l'incontro con un trio di ragazzi sporchi fuori e puliti dentro cambierà più di una vita.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando non vuoi che un giorno temuto arrivi, le ore scorrono con il doppio della velocità. E così mi ritrovai spaesata, l'indomani mattina, quando credevo d'aver appena adagiato il volto sul cuscino e invece il sole era già alto nel cielo. Erano già lì quei raggi maledetti, che aprivano il sipario su quella che si prospettava la serata più brutta della mia vita. M'alzai scontrosa come non mai, controvoglia. Senza Shannon, con Jared che girava per casa in boxer, e si sentiva ispirato dall'aria gelida che fendeva la sua seminudità. Gli risi in faccia, e lui rispose di tutto tono che non capivo la vera essenza dell'arte. Dopo qualche minuto chiesi istintivamente di Tomo, che a quanto pare si era ricongiunto con una ragazza a cui era rimasto avvinghiato tutta la sera della festa. E la domanda arrivò spontanea, come una coltellata tra le costole. E Shannon? Occhi gelidi rispose con un semplice “ ha detto che andava a comprarsi qualcosa per stasera”. Le mie ultime difese crollarono sul pavimento. Non potevo continuare a fingere, non dovevo. Ma l'avrebbero saputo dopo gli altri, al mio rientro con gli occhi gonfi di pianto e l'umiliazione impastata sulla pelle. L'avrebbero saputo in ritardo rispetto al mondo, rispetto al mio mondo. Per un secondo me lo immaginai vestirsi lentamente, spruzzarsi il profumo ed aggiustarsi i capelli. Essere indeciso e ricominciare tutto da capo. Stringersi la testa tra le mani, in atto di disperazione. Spalancare l'armadio e raccogliere vestiti alla rinfusa. Aspettando di trovarsi di fronte chissà quale bella ragazza, con le labbra rosso sangue e la pelle bianca come la neve. E invece no, avrebbe trovato me. Con la mia vigliaccheria e la mia paura. Mi vergognavo semplicemente di quello che avevo fatto. E non ci sarebbe stata nessuna maschera con me, nulla a nascondere la mia stupidità. Sarei stata solo io. E con che coraggio l'avrei guardato in faccia, poi?Con quale?Rimasi tutto il pomeriggio a letto, costretta da un dolore invisibile e lancinante. Rimasi nella mia disperazione silenziosa. Poi scattarono le sei, e vidi ancora nudità quasi integrali girare per casa. M'alzai e ficcai una gonna nera e un maglioncino rosso nella borsa. Infilai le calze sotto ai jeans, i trucchi erano già nella sacca. Mi sarei cambiata al volo in garage. Scappai senza nemmeno salutare, metter su scuse. Tolsi i jeans e la felpa, in giardino e misi su gonna e maglia alla meno peggio, con foga, con paura. Un filo di rossetto rosso, ancora. I capelli raccolti come quella sera. Gli occhi disegnati. I tacchi alti. La mia dignità appesa ad un filo. Il mio stomaco in trappola e le mie gambe legate l'un l'altra da mille fili invisibili. Spensi il cellulare, tutto doveva essere il più perfetto possibile nella sua imperfezione. Il cielo minacciava pioggia, ma non avevo nessun tipo d'ombrello per ripararmi da qualunque tipo di tempesta. Che fosse stata quella sopra il mio naso o quella che stava per scatenarsi in quegli occhi in cui ero ormai incapace di specchiarmi. Il taxi giallo si fermò a pochi centimetri da me. Erano le sei e mezza. Non so perché avevo voglia d'arrivare in anticipo, ma seguii il mio istinto. Il mio fottuto bastardo istinto. Ancora una volta, e per quanto poi non mi era dato saperlo.

 

 

 

Erano le otto già, quando scesi da quell'aggeggio giallo che sembrava una prigione. C'era traffico ed il cielo era ormai gonfio, gonfio sull'orlo di scoppiare a piangere. Chissà che non l'avremmo fatto assieme nel giro di poco tempo. Volti sconosciuti, rassicuranti o spaventosi mi sfilavano davanti. Ma l'unico che desideravo incontrare, anche se arrabbiato, anche se amareggiato, deluso, sorpreso era un altro. E girovagai inutilmente nel luogo dell'appuntamento per quella che sembrò un'eternità. Un tuono fortissimo m'annunciò che almeno una delle due tempeste era sopra di me, e che l'altra era vicina. Riconobbi la sua moto bianca proprio a pochi metri da me, tirata a lucido. Non distinguevo bene la sua figura, ma indossai repentinamente la maschera. La confessione sarebbe stata una cosa assai lenta e dolorosa, non volevo lo scoprisse così, di fretta. Feci finta di nulla ma m'accorsi che mi notò, dall'altro lato della strada. Ma non accennò neanche ad un saluto. Lui, sapeva? Lui m'aveva scoperto nei miei silenzi e nelle mie assenze, nei miei rossori e nelle mie timidezze? Ora era così vicino che credetti di morire. L'istinto era di chiedere scusa, ma appena fu abbastanza vicino da intasarmi il cervello non pensai a niente, a me , a quello che avevo fatto, alle sue aspettative. A niente. S'avvicinò scivolando, aveva addosso il mio profumo preferito. Quello senza note di dolcezza femminile, quello del suo bagnoschiuma sempre aperto nella doccia. Lo fissai attraverso quel ridicolo pezzo di stoffa, come a voler continuare a nascondere la verità. Per me era ormai giunta la fine. Un secondo tuono annunciò l'arrivo della pioggia, che delicatamente sciolse il rossetto sulle mie labbra e scompose i miei capelli tirati da parte. Mentre lui era perfetto pure in tutto quel fradiciume, a me l'acqua mi portava via l'incantesimo, l'illusione di essere diversa. E il mio vestito da principessa si scioglieva e tornava ad essere il mio ridicolo vestitino da serva. Ad un certo punto il dolore fu così forte e si mischiò così tanto con l'acqua che scrosciava che mi tolsi di dosso quell'inutile aggeggio. Rimasi io, io che lo fissavo con gli occhi bagnati. Bagnati come me, i miei vestiti e tutto quello che ci circondava. Non ero capace ad allungare una mano verso di lui, mentre quella notte m'era sembrato tutto semplice, tutto così naturale. Ma no, non ero protetta. Ero io, messa a nudo da quel temporale che stava lavando via le mie illusioni. Feci per andarmene. Ma mi trattenne, senza dire nemmeno una parola. Mi prese il polso, ma con dolcezza. Non con rabbia o rancore.

Perché l'hai fatto?”

Perché avevo paura di affrontarti, guardarti. Shannon io avevo paura di non essere abbastanza, che te ne saresti fregato. Che m'avresti riso in faccia, riempiendomi di battute sprezzanti di fronte agli altri. Perché ammettilo, non sono abbastanza. Lo ero quella sera, con una maschera. Con qualcosa che non ero davvero io.” Scoppiai a piangere, allo stesso ritmo della pioggia.

Amare è innanzitutto avere paura, Anne. E sappi che io ne ho avuta, ne ho adesso e sempre ne avrò. Ma non sarà mai così tanta da permettermi di tirarmi indietro, non stavolta almeno.”

Le sue parole mi stordirono come un pugno in faccia, lo fissai senza far nulla.

E giuro solennemente che oggi, in questo freddo giorno d'inverno sotto la pioggia scrosciante io voglio baciare Anne e non la maschera che s'è costruita addosso. Il tuo profumo non l'ho mai dimenticato dalla sera che m'ha colpito come un cazzotto, come pensavi che non l'avrei riconosciuto?”

Lo abbracciai come non avevo mai fatto in vita mia. Lo baciai come se il mondo non ci fosse, come se il mondo fosse la sua bocca e la sua testa leggermente piegata per trovare la mia. Come se non ci fossero state altre parole che le sue, altre braccia che quelle che mi cingevano e mi facevano di nuovo sentire a casa. Sentii il cuore esplodere, ridursi in cenere e poi rinascere dalle sue stesse polveri. Sentii le paure sciogliersi come neve al sole, scorrere via lungo le strade umide. Aprii gli occhi e trovai i suoi, trovai il mondo e l'universo e i paralleli, i meridiani, l'Equatore, la stella polare, la luna e i satelliti. Trovai i miei polmoni logorati dall'emozione, il suo respiro misto al mio. Non era deluso o amareggiato. Era felice, ed io lo ero con lui. Eravamo felici assieme, come identità a sé stante, come due pezzi che avevano trovato l'incastro solo assieme.

  
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