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Autore: Nebula216    11/02/2012    1 recensioni
"[...] -Sembri nostra madre.-
Esordì Hassan appoggiato allo stipite della porta. La prima luce della luna illuminava la sua pelle dorata, rendendola più chiara e opaca di quello che era alla luce del sole: le vesti erano ricoperte di polvere, probabilmente perché qualche cavallo non aveva voluto farsi prendere. Risi, togliendogli dai capelli un filo di paglia.
-E tu sembri un puledro conciato in questo modo. Chi ha fatto storie adesso? Shetan? Hani? Ayman?-
Mio fratello scostò lo sguardo, imbronciato.
-…Farah Dihba.-
Sussurrò a denti stretti e facendomi scoppiare, non volontariamente, in una risata allegra [...]"
Prima FF su Assassin's Creed, spero vi piaccia.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Roberto di Sable
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3:Sabbia rossa
 

Mi svegliai all’improvviso, nel cuore della notte, madida di sudore a causa di un incubo… l’ennesimo in quelle settimane.
 
“Stavo galoppando su Farah Dihba, lungo la strada che da Damasco portava alla casa della mia famiglia: non distava molto, eppure mi sembrava un viaggio senza fine, non riuscivo mai a scorgere i recinti dei cavalli, non mi giungeva alle narici il fumo della fucina o del pranzo sul fuoco.
Il mio stomaco era chiuso in una stretta ferrea, la presa sinistra e maligna della Paura lo aveva totalmente avvolto nella sua mano scheletrica. Avevo fermato la giumenta all’imbocco di una strada, sollevandomi sulle staffe e guardando, da sotto il telo che portavo per proteggere la testa dal sole, il paesaggio circostante: soltanto sassi e sabbia. Spaventata, avevo nuovamente spronato la cavalla baia, incitandola con dolci sussurri e scusandomi per quella corsa senza fine: non capivo perché non potessi tornare a casa mia, non riuscivo a trovare una risposta adatta.
Mentre mi interrogavo su questo, ad un tratto, Farah Dihba si impennò improvvisamente, costringendomi a tenermi al suo collo per non cadere.
-Farah Dihba buona! Che ti pren…!?-
Non riuscii a finire la frase che vidi la sabbia davanti a me bagnarsi all’improvviso di rosso: la giumenta si agitò sul posto, costringendomi a farla allontanare il più velocemente possibile da quello strano fenomeno; galoppammo in una gola sterrata, con la speranza nel cuore di evadere da quella situazione sinistra…
Ma la nostra fuga era vana…
Qualsiasi cosa, dalla sabbia ai cespugli secchi, si stava tingendo e bagnando di rosso…
Persino la mia veste.
Col fiatone e gli occhi ben chiusi, mi lasciai guidare dalla corsa sicura e veloce della giumenta, supplicando mio padre o mio fratello di soccorrermi da quell’incubo: sussurravo una preghiera che, purtroppo, soltanto Farah Dihba e il silenzioso deserto potevano accoglierla.
Ad un tratto, gli zoccoli della mia cavalcatura iniziarono ad infrangere quello che sembrava uno specchio d’acqua cristallina: appena aprii gli occhi, non potei evitare di urlare, vedendo il paesaggio circostante...
Quella non era acqua…
Era sangue… sangue ancora caldo che sgorgava da cadaveri disposti attorno al lago.
Lanciai un grido di terrore, mentre la mia giumenta si impennava, facendomi finire nello specchio d’acqua vermiglia, lasciandomi lì; più provavo a risalire, e più mi sentivo affondare.
Più cercavo l’aria, più la bocca ingeriva quella linfa vitale che, in precedenza, era stata di quegli uomini, donne e bambini massacrati.”
 
A quel punto mi svegliavo, colta dal respiro affannato e dai sudori freddi: avevo paura a chiudere le palpebre, avevo paura di rivedere ciò che, purtroppo, dovevo affrontare ogni notte.
Un nemico che, per mia sfortuna, non aveva un corpo solido, un avversario che si annidava nella mia mente… come poterlo sconfiggere?
Sospirando, mi alzai dal letto, versando dell’acqua in una tinozza lignea e bagnandomi la faccia con vigore: dovevo dimenticarmi definitivamente di quell’incubo, non poteva andare avanti così.
Non potevo sopportare altro.
Non avrei sopportato altro.
Mi sedetti, quasi rassegnata, sul letto, osservando i primi raggi dell’alba scacciare le tenebre della notte e avvolgere, con le loro sfumature dorate, il paesaggio circostante in un caldo e confortevole abbraccio…
Lo stesso che Hassan mi regalò a sorpresa.
Sobbalzai per lo spavento, guardandolo con finta aria di rimprovero.
-Hassan!-
Lui accennò un sorriso innocente, mentre si sistemava meglio una maglia leggera sbracciata che, nel sonno, gli si era slacciata all’altezza del petto.
-Scusami, non volevo spaventarti. Come mai la mia sorellina è già sveglia?-
Sospirai, guardando il sole sorgere dalla piccola finestra della mia stanza.
-Ho avuto un incubo…-
-Lo stesso della settimana precedente?-
Annuii, lasciando che le braccia sicure e forti di mio fratello mi stringessero a sé: avevo paura, non riuscivo più a chiudere occhio, non riuscivo più a passare una notte tranquilla. Mi mancava il sonno sereno, mi mancavano i sogni, quelli belli, che avevano sempre accompagnato il mio riposo: fantasie su un mio possibile matrimonio, su un’ipotetica famiglia che avrei potuto costruire… su ciò che riservava per me il futuro.
Di solito non davo troppo peso ai sogni, eppure, in quelle settimane, mi ero ritrovata a pensare che, forse, quell’incubo avesse un significato più profondo… ma quale?
Sconsolata per la mia mancanza di risposte, mi strinsi fra le braccia di Hassan, come se fossi tornata una bambina piccola, lasciando che mi consolasse come solo un fratello maggiore poteva fare.
-Tranquilla Sharifa… è solo un incubo.-
-Lo so Hassan… però…-
-Ehi, non spaventarti va bene? Io e papà siamo qui.-
Mi strinse a sé, nel tentativo di trasmettermi una parte della sua sicurezza, per donarmi una briciola della sua calma… per rendermi più forte di quello che, purtroppo, non ero. Se dovevo trovare una sola parola che mi descrivesse totalmente, questa era “debole”: mi spaventavo per poco, non riuscivo a superare un ostacolo come un incubo, mi facevo condizionare da ogni singolo avvenimento… come altro potevo definirmi? Non sapevo nemmeno questo.
Hassan, per sbaglio, mi tirò una ciocca di capelli, di quella chioma color mogano che mi arrivava, per lunghezza, fino al sedere: non potei soffocare l’esclamazione di dolore, sebbene sapessi che non l’aveva fatto apposta.
-AHIO!-
-Scusami sorellina!-
Disse con un sorriso divertito dipinto sul volto, mentre io mi scostai i capelli sulla spalla sinistra, per evitare altri piccoli incidenti di questo genere: averli così lunghi non era un vantaggio, certo, però mi piacevano, erano una mia caratteristica… qualcosa che mi distingueva dalle altre ragazze della mia età; papà diceva che li avevo ereditati da mia madre, così come gli occhi. Non l’avevo mai vista… era morta pochi giorni dopo la mia nascita.
Sospirai, appoggiando la testa sulla spalla di Hassan ed osservando il sole illuminare ogni singolo anfratto della zona, una visione che mi rilassò la mente e il corpo.
-E’ un piccolo miracolo che si ripete ogni giorno.-
Esordì in un sussurro mio fratello e regalandomi, con quella frase, un sorriso accennato.
-Pensa se il sole non dovesse splendere più alto nel cielo… finirebbe tutto nel caos. Le piante, gli animali e gli esseri umani impazzirebbero.-
Mi vennero i brividi.
-Non è un pensiero allegro Hassan, non mi stai tirando su il morale sappilo.-
-Scusami.-
Replicò, baciandomi sulla testa con fare fraterno.
-Perdonato.-
Riuscii a dire, prima di sentire mio padre chiamarci per quella nuova giornata di lavoro: loro avrebbero dovuto lavorare qui, mio padre nella fucina e mio fratello con i cavalli, mentre io dovevo recarmi a Damasco per svolgere alcune mansioni. Quando Hassan uscì dalla mia stanza, indossai una veste color ametista chiara, aggiungendoci un velo quasi bianco per proteggere la testa dal sole che, più tardi, sarebbe diventato insopportabile.
Ascoltai le raccomandazioni di mio padre, avvertimenti che ormai conoscevo a menadito, per poi dileguarmi nelle scuderie ed uscirne in sella a Farah Dihba, pronta per una passeggiata verso la città. Alternai momenti di passo ad altri di trotto, godendomi quella prima brezza che, lievemente, mi carezzava il volto: presto sarebbe diventata rovente e insopportabile, dovevo beneficiare di quel venticello divino; appena vidi le mura di Damasco feci partire al trotto la bella baia con uno schiocco di lingua e una lieve pressione delle gambe attorno al costato.
Tempo di superare il portone principale che trovai le prime donne occupate a comprare frutta e tessuti al mercato: alcune di loro mi salutarono, accoglienza che ricambiai con un sorriso e un gesto della mano. Fermai Farah Dihba e scesi, per poi legarla a una staccionata vicina all’uscita della città.
-Sharifa! Oh, come stai tesoro? Ma guardati… sempre più bella ogni giorno che passa!-
Mi disse una donna che conoscevo bene: Adila, moglie di uno dei migliori mercanti di stoffe di quelle mura. Le sorrisi, ricambiando l’abbraccio che mi regalò, una stretta dolce e vigorosa, quasi protettiva… forse così dovevano essere le braccia di una madre, mi ritrovai a pensare improvvisamente: un pensiero troppo malinconico per una giornata felice e serena com’era quella. Scossi la testa, appena in tempo per accennare un sorriso quando mi fece girare su me stessa.
-Sempre stupenda, e i capelli sempre più lunghi! Ahhh, potessi tornar giovane.-
-Adila, non sei vecchia.-
-In confronto a te sì Sharifa… sei una cara ragazza… bella, dolce, gentile… a quando il matrimonio?-
La domanda improvvisa mi fece assumere un colorito purpureo niente male, oltre al fatto che i miei occhi si erano sgranati in maniera smisurata.
-ADILA!-
La vidi ridere di cuore, mentre due dei suoi figli, Jamal di cinque anni e Bashir di quattro, giocavano a rincorrersi tra la gente. Accennai un sorriso a vederli così allegri e pieni di vita, quando il mio occhio cadde sulla cinta di Tamir, mercante di armi che, un tempo, collaborava con mio padre: era un simbolo che mai in quella città avevo visto, un pezzo di stoffa del quale nessuno avrebbe sospettato.
Non feci in tempo a domandare niente alla donna, dato che i suoi due figli mi abbracciarono contemporaneamente le gambe, bisticciando fra di loro con furia.
-No Bashir, sono arrivato prima io!-
-Bugiardo! Sono io il più veloce! Vero Sharifa?-
Mi domandò speranzoso il bambino di quattro anni, guardandomi con occhi pieni di gioia; sorrisi, scompigliando amorevolmente la zazzera di ciuffi neri che si ritrovavano in testa e regalando loro un bacio sulla fronte.
-Siete arrivati insieme, come sempre. Scusatemi adesso, devo svolgere delle mansioni per mio padre.-
-Il vecchio Rashid se la cava sempre? E Hassan? Che fa quel bel giovane nonché tuo fratello?-
Mi chiese Adila mentre recuperava i panni che doveva lavare.
-Hassan sta bene, un po’ ammaccato per le cadute da cavallo ma è intero.-
Dissi sorridendo, prima di salutare la famiglia felice ed entrare nel cuore del mercato, dove, sapevo, avrei passato la maggior parte della mattinata.
Stanca per le commissioni e la calura sempre più forte, uscii dalle mura di Damasco, cullata dalla dolce andatura di Farah Dihba, occupata a masticare il morso e scacciare le mosche con la coda; le carezzai il collo, capendo quanto anche lei stesse patendo il caldo.
-Tranquilla bella, appena arriviamo a casa potrai bere quant…-
Il grido stridulo di un uccello mi gelò sulla sella, reazione che fece innervosire la mia cavalcatura. Alzai, tremante, la testa, vedendo un cumulo di avvoltoi in volo proprio sopra la terra della mia famiglia…
Pessimo presagio.
Terrorizzata, diedi un colpo di talloni alla baia, la quale partì direttamente al galoppo, quasi sfiorando con la pancia il terreno arido; non avrei mai voluto farle compiere quello sforzo con quel caldo, ma un’angoscia sempre più opprimente mi stava stritolando il petto.
Quando arrivai ai primi recinti dei cavalli, il cuore perse un battito: le stalle erano state distrutte, così come i recinti e la fucina di mio padre. Soltanto uno stallone grigio con criniera e coda nere venne verso di me al trotto, fermandosi vicino a Farah Dihba per brucare quel poco fieno che si era salvato: era Amir, l'orgoglio della scuderia secondo mio padre.
-No…-
Scesi velocemente dalla sella, calmando i cavalli e correndo, atterrita, verso l’entrata di quel piccolo rifugio per il mio unico genitore.
-PAPA’!-
Urlai quando entrai, prima di coprirmi la bocca con la mano: Rashid stava steso in un lago di sangue, ormai privo di vita. Una spada conficcata nello stomaco gli aveva strappato barbaramente l’anima, come uno sciacallo fa con la carcassa di una pecora smarrita; la faccia, contratta in un’ultima smorfia di dolore, mi impedì di respirare normalmente, facendomi salire fino alla bocca un conato di vomito.
Uscii, rigettando in un angolo ciò che ormai non riuscivo più a trattenere: mio padre era stato ucciso, qualcuno lo aveva eliminato da questo mondo.
Non avrei più sentito il suo abbraccio, non avrei più sentito la sua voce…
Non avrei vissuto niente di tutto questo.
Con gli occhi umidi, mi voltai, vedendo il sangue colare sulla sabbia, tingendo ogni singolo granello del terreno, così come le lacrime stavano facendo sul mio volto.
-Hassan…-
Mi ritrovai a chiamare in un sussurro, prima di alzarmi da terra e correre in quello che restava della nostra casa: i mobili erano stati rovesciati, quello non era più il nido sicuro nel quale ero cresciuta, bensì la testimonianza amara e sinistra dell’atto violento compiuto in mia assenza.
Mi inginocchiai a terra, riversando tutte le lacrime che i miei occhi non volevano più trattenere: la mia anima stava uscendo, goccia dopo goccia, mi stavo svuotando di tutti i ricordi legati a quel pezzo di terra… i ricordi di una vita intera.
-HASSAN DOVE SEI!?-
Urlai, nella speranza di vederlo spuntare da qualsiasi parte… inutilmente.
Non potevo più stare in quel posto, non potevo più vivere dentro quelle mura: mi sarei uccisa con le mie stesse mani. Mi guardai intorno, vedendo la punta di una spada: non mi interessava di chi fosse, non mi importava affatto.
Trattenendo le lacrime, mi tolsi il velo che portavo sulla testa, lasciando liberi i capelli color mogano; soltanto dopo afferrai, senza la minima esitazione, il pezzo di metallo affilato, percependo le sue schegge ferirmi il palmo della mano, la pelle pronta a cedere alla lama.
Avevo deciso…
Chi aveva fatto questo doveva pagare: che fosse uomo o donna, straniero o cittadino. 


Angolo autrice: Sharifa ha ricevuto una batosta bella e buona. Cosa accadrà? Dov'è finito Hassan? E soprattutto... (Voce fuori campo: Diavolo autrice sembri la voce narrante di Super Quark!!)(Me: O.o, è vero XD). Vabbè, vi lascio con un bacione e con la speranza che anche questo chappy vi sia piaciuto!
Bacioni!
Nebula216


   
 
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