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Autore: Alice Morgan    12/02/2012    4 recensioni
La diciassettenne Ariel Green non ha mai creduto di essere una ragazza normale. Perché Ariel, dopo la perdita del padre, è venuta in possesso di un potere terribile ed oscuro: percepire la morte imminente di chi le sta a fianco. Per le vie sporche e strette che si srotolano dal centro cittadino, negli ospedali e persino sui mezzi pubblici … ogni volta che qualcuno sta per morire, lei lo sente. E non può fare nulla per fermarlo. Fino a quando, un giorno, un terribile presentimento fa tremare ogni singola cellula del suo corpo e la lascia senza fiato. Per la prima volta la Morte non sembra cercare nessuno. Perché, questa volta, la Morte vuole lei.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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© 2012 Alice Morgan. Tutti i diritti riservati.

Capitolo 3 – seconda parte
Blaterando assurdità

 

Vivere nei cuori che lasciamo dietro di noi non è morire.
T. Campbell

 

Il tiepido respiro che le spostava a ritmo regolare alcune ciocche di capelli dal viso, faceva sprofondare Ariel in una pace interiore che non provava da tempo. Era così raro sentirsi così, che volle crogiolarsi nel sonno finché una causa superiore non l’avrebbe costretta ad alzarsi. Il materasso non le era mai sembrato così morbido come in quel frangente ed immersa in quell’inaspettata tranquillità, ci impiegò decisamente più del dovuto ad identificare l’origine del calore che le inondava il volto.
Aprì gli occhi, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco l’immagine che le si parava davanti.
C’era qualcosa di estremamente sbagliato nello scenario che riusciva a visualizzare: un mix di colori indistinti la circondava, impedendole di riconoscere il luogo su cui stava distesa.
Un bagliore verdastro catturò la sua attenzione. Andava e veniva, ricordandole vagamente i segnali ad intermittenza degli SOS.
Nonostante il carattere indeciso di quella strana luce, notò la presenza di una costante piuttosto particolare: due profondi crateri grigi sovrastavano la scena e sembrava stessero … ammiccando?!
Aspetta un attimo, da quando i colori ti fanno l’occhiolino?
Un senso di vertigine investì Ariel, quando si rese conto che ciò che aveva davanti non era altro che un enorme paio di occhi. E distavano dal suo naso la bellezza di massimo tre centimetri.
Senza riflettere, afferrò la prima cosa che il suo braccio riuscì a pescare e la scaraventò sull’individuo che le stava di fronte, urlando in preda ad un attacco di panico.
«Ahi!», esclamò la voce familiare di qualcuno, mentre con un tonfo sordo la sveglia della ragazza lo urtava in testa. «Che cavolo fai?».
Con un colpo di reni Ariel prese lo slancio in avanti, tenendo stretto con una mano il cuscino a mo’ di scudo e acchiappando con l’altra l’abatjour verde smeraldo sul suo comodino. Lanciò quest’ultima con una violenza spropositata addosso ad un Mitch sconvolto e confuso. La lampada si frantumò a contatto con la schiena del ragazzo.
Preda di un istinto incontrollabile, gli buttò addosso anche il cuscino e approfittò del caos per scappare. Scesa dal letto, però, scivolò sulla montagna di vestiti ai suoi piedi e finì a terra con un’imprecazione.
Si puntellò con il gomito sul pavimento e tentò di rialzarsi, ma due grandi mani dalla presa salda le impedirono di muoversi, facendole pressione sulle spalle.
«Calma!», disse il Genio. «Sono io. Soltanto io!».
Il fiato ormai divenuto pesante, cercò di parlare, ma tutto quello che riuscì a produrre fu un suono strozzato, simile a quello di una cornacchia. Tossì forte per liberarsi del groppo in gola.
«Ehi!», fece il ragazzo. «Va tutto bene».
Con un gesto estremamente tenero, che ricordava ad Ariel quei pochi e rarissimi momenti in cui sua mamma decideva di fare la dolce con lei, le accarezzò la testa. I suoi movimenti, però, erano così impacciati e imbarazzati che la ragazza, a sua volta, finì per sentirsi a disagio e dovette allontanargli la mano con uno schiaffetto.
Il Genio, quasi rispondesse a un comando silenzioso, si tirò indietro, l’espressione del volto impassibile.
«Mi … hai … spaventata!», riuscì a snocciolare infine Ariel.
«Non mi pare di essere così brutto».
«Ti avevo detto di … non entrare in … camera mia!», ribatté, senza badare all’ironia del ragazzo.
Con calma, si rimise in piedi e osservò per la prima volta da che si era svegliata la sua stanza. A regnare nella camera c’era – tralasciando il caos onnipresente – una luce flebile e soffusa che riusciva ad illuminare a stento l’ambiente. «Perché è così buio qua dentro?», chiese.
Mitch assunse un’aria colpevole, ma sì limitò ad osservarsi le punte dei piedi, ignorando bellamente la domanda.
Un presentimento poco piacevole attraversò la mente di Ariel.
Si fece spazio in mezzo a tutti i fogli e i vestiti sparsi sul pavimento e si piegò a raccogliere la sveglia che aveva lanciato addosso al ragazzo poco prima. Le lancette segnavano le quattro e mezza del mattino.
Dovette pizzicarsi il braccio per impedirsi di buttargliela in testa di nuovo.
«Ti rendi minimamente conto di che ore sono?!», urlò, cercando di assumere l’espressione più arrabbiata che riusciva a trovare. Il sonno non le permetteva di coordinare correttamente i muscoli del corpo, compresi quelli facciali, impedendole persino di aggrottare la fronte in modo naturale.«Si può sapere perché mi hai svegliata?».
«Ieri mi sono dimenticato di chiederti una cosa», ammise il ragazzo, cercando, per quanto possibile, di evitare lo sguardo furioso di lei.
«Sarebbe?».
«Il tuo nome», rispose Mitch, mentre le sue gote si tingevano di un rosa tenue. «Voglio sapere il tuo nome».
Con un certo senso di meraviglia, la ragazza dovette riconoscere di essersi completamente scordata di presentarsi.  Stavolta, toccò a lei arrossire.«Ariel», disse. «Ariel Green», aggiunse, senza un motivo ben preciso.
Il ragazzo annuì e le sorrise. «Ho pensato che non vedessi l’ora di scoprire qualcosa in più su di me. Insomma, chi non vorrebbe?».
«Non è un buon motivo per farmi alzare alle quattro e mezza del mattino. E, tra parentesi, sei un esaltato».
«No, sono soltanto mattutino», le rispose Mitch, un ghigno divertito sul volto, quasi stesse pensando a qualcosa di estremamente esilarante, ma non potesse dire esattamente di cosa si trattasse. «E, credimi, ci vorrà parecchio tempo per spiegarti tutto».
Ariel non desiderava altro che ritornare a letto, dimenticare quel breve scambio di battute e riprendere a dormire. La cieca curiosità che, però, nutriva nei confronti di quello strano ragazzo non l’avrebbe lasciata riposare, ne era certa. Non ora che aveva la possibilità di capire qualcosa, almeno.
«Ti avverto, ti conviene rivelarmi qualcosa di sostanzioso. Tu sarai abituato ad alzarti così presto, io no». E, in quella, si voltò avviandosi in cucina.«Seguimi».

 

***

 
Si accomodarono rispettivamente ai lati opposti del piccolo tavolino quadrato di legno scuro. La ragazza teneva le braccia allacciate al petto, come se si volesse proteggere da un eventuale attacco, mentre l’altro si tendeva in avanti e appoggiava i gomiti sul ripiano con finta nonchalance.
«Spara», cominciò Ariel.
«Forse sarebbe meglio se tu iniziassi col farmi qualche domanda».
La ragazza ci pensò un po’ su. Aveva in mente un trilione di cose da chiedergli e non aveva idea da dove cominciare. Alla fine optò per quella che le sembrava fosse la questione più ovvia. «Cos’è esattamente un Genio? Ha a che fare con quello della lampada?».
Mitch le fece un cenno d’assenso e assunse un’espressione insolitamente seria. «Noi Geni siamo creature antiche», spiegò. «Risaliamo ai tempi della creazione dell’uomo ed è per lui che siamo nati: nostro compito è proteggerlo e mettere la nostra vita in gioco per la sua salvaguardia. La storia della lampada ci riguarda relativamente: ogni Genio si incarna in un oggetto e lì vi rimane finché non viene invocato. Possiamo utilizzare come giaciglio qualsiasi cosa. Alcuni di noi, addirittura, prendono possesso degli animali, anche se farlo è molto difficile. L’unica eccezione è rappresentata dagli esseri umani: non ci possiamo servire di loro in alcun modo. Non per andare in letargo, almeno».
«Quindi», lo interruppe Ariel, «anche tu, prima che ti invocassi, “riposavi” dentro qualcosa?».
«Sì», rispose Mitch. «Il mio spirito era un tutt’uno con le pareti delle Grotte. Ogni roccia o spuntone che hai visto, beh, ero io».
Oh. Mio. Dio.
Improvvisamente tutte le strane storie che giravano sul conto di quel luogo non sembravano così insensate: c’era davvero qualcosa lì dentro.
Se solo lo venisse a sapere quel vecchio pazzo di Sam, pensò Ariel.
Deglutì, mentre cercava di assimilare ed accettare quella nuova informazione: era assurdamente considerevole la quantità di cose di cui non fosse a conoscenza.
«Perché sei così stupito del fatto che io sia riuscita a invocarti?», chiese, spinta ormai da un interesse incalzante. Una vocina nella sua testa le suggeriva che la domanda avrebbe avuto un certo peso all’interno della conversazione e, che, per certi versi, Mitch non aspettasse altro che sentirsela porre.
«Vedi, ci sono solo due cose che occorrono per invocare un Genio. Essere a conoscenza del suo giaciglio, è la prima. Ora, premesso che tu avessi saputo delle Grotte e di cosa realmente nascondessero all’interno, non avresti potuto in ogni caso soddisfare la seconda condizione.
«Che sarebbe?», domandò Ariel, più di una punta di malcelata curiosità nella voce.
«Realizzare di star invocando effettivamente un Genio. Mi spiego meglio: non serve solo chiedere aiuto, è necessario conoscere a chi lo si sta chiedendo. E, a quanto ho capito, tu non avevi nemmeno idea di cose fosse un Genio fino a pochi minuti fa».
«Esatto!», esclamò la ragazza. «Com’è possibile, quindi?».
«Non lo so», ammise Mitch. «Ma ho tutta l’intenzione di scoprirlo».
Ariel incrociò il suo sguardo grigio e, per l’ennesima volta, venne risucchiata in quella spirale coinvolgente e rassicurante. Quegli occhi esercitavano un effetto terapeutico su di lei e sui suoi pensieri cupi, quasi fossero in grado di farli sparire.
«Come ci riesci?».
«A fare cosa?».
«A farmi sentire così tranquilla», disse la ragazza, per poi maledirsi in silenzio un secondo dopo. Devo imparare a mettere dei filtri tra quello che mi passa per la testa e quello che mi esce dalla bocca. «Sì, insomma … è strano», mormorò, sentendosi il doppio in imbarazzo.
«Sei la mia protetta», fece lui, senza scomporsi. «Sono in sintonia con le tue emozioni e tu con le mie. Il fatto che tu ti senta così è solo un bene, credimi».
«In che senso?».
«Significa che ti stai fidando di me».
Oh, perfetto. Chi, se non io, può fidarsi di uno che va blaterando assurdità il 99% del suo tempo e l’altro 1% lo passa ad ipnotizzarmi?
Un forte prurito alle mani la distolse dalle sue riflessioni. Si osservò con aria critica: i tagli che aveva riportato durante la fuga stavano iniziando a rimarginarsi e, là, dove prima c’era il sangue, adesso spiccavano delle odiosissime e fastidiosissime croste rossastre.
«Come ti sei procurata quelle ferite?», domandò il Genio, incuriosito dall’espressione sofferente della ragazza.
«Sono caduta un paio di volte mentre correvo», rispose lei, arrossendo un po’ mentre realizzava di aver appena ammesso di essere estremamente goffa.
«Dove?».
«Sono quasi certa di essere scivolata sulla ghiaia del sentiero», disse, facendo mente locale. «E una volta nella Grotta, sì».
Ebbe appena il tempo di domandarsi il perché di tutto quell’interesse per delle stupide sbucciature, che Mitch si alzò dalla sedia con un salto, facendola sobbalzare. «Ti sei ferita nella Grotta?», urlò, cogliendo la ragazza completamente di sorpresa e facendo accelerare i battiti del suo cuore a velocità spropositata.
E adesso cosa gli prende?
«S-sì», balbettò, mentre la fronte del ragazzo si corrugava in un’espressione di puro stupore. «È per caso vietato cadere in presenza di un Genio?»,domandò, in preda alla confusione.
Quello rise di gusto, il suono della sua voce reso terrificante da una nota di gelido sarcasmo.
«Temo che spetti a me farti una domanda, adesso», disse in un tono che fece rizzare i capelli ad Ariel. «Che cosa ti ha spinto ad inoltrarti in mezzo ai boschi?».
La ragazza ammutolì, il cervello che setacciava le sinapsi alla ricerca di qualcosa da dire che avesse un minimo di senso.
«I-io … io stavo scappando, sì, stavo correndo e le Grotte mi sono sembrate un buon rifugio … io …».
Sparava parole a raffica, senza rendersi minimamente conto della portata di ciò che diceva, mentre un forte senso di vertigine la percorreva da capo a piedi. Non aveva alcuna voglia di parlare del suo potere, né di spiegare a Mitch il perché fosse scappata non appena il suo istinto gliel’avesse suggerito. C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel rivelare il suo segreto. Qualcosa che le faceva tenere la bocca chiusa.
«Voglio sapere da cosa stavi scappando», specificò lui, gli occhi che sprigionavano scintille abbaglianti.
La ragazza strizzò le palpebre, intralciando l’incontro del suo sguardo con quello di lui: non avrebbe retto a lungo la pressione di quelle iridi.
«Ariel», la chiamò. «Apri gli occhi, devi dirmi perché fuggivi».
Due grandi mani la presero per le spalle, scuotendola forte. «Ariel!».
Fece in tempo a pensare a quanto fosse bello il suo nome pronunciato da quella voce supplicante, che le sensazioni del Genio la investirono come un carro armato. Un disarticolato alternarsi di terrore, aspettativa e sprazzi di speranza fluì in lei, con la stessa semplicità dello scorrere del sangue. Ecco cosa intendeva dire Mitch quando parlava di sintonia tra le emozioni: poteva percepire quello che provava lui nello stesso modo in cui avvertiva i suoi stessi sbalzi d’umore. Improvvisamente, sentì il dovere di dirgli la verità.
«Qualcuno voleva uccidermi!», urlò, stanca di sopportare tutti quei sentimenti e tappandosi le orecchie, quasi potesse mettere fine a quello scrosciare ininterrotto di voci miti. «Scappavo dalla Morte!».
Silenzio.
Se si fosse concentrata, avrebbe potuto captare il suono del frusciare delle foglie sulla strada.
Aprì gli occhi, titubante: si sarebbe aspettata di vedere il volto di Mitch attraversato da stupore, sorpresa, magari un accenno di ilarità, ma nonterrore. Perché quegli occhi grigi che l’avevano tanto messa in agitazione, adesso sembravano essere colti da una qualche sottospecie di spasmo interiore. Il ragazzo barcollò indietro, facendo cadere la sedia dietro di lui. Pareva sul punto di avere un infarto.
«Mitch!», fece Ariel, tendendo le mani verso di lui, ma quello le si allontanò con un rapido scatto.
«Oh, mio Dio», sussurrò, in preda a qualche riflessione di cui, molto probabilmente, non voleva rendere partecipe la ragazza.
«Lo sapevo che non te lo dovevo dire!», esclamò l’altra, mentre gli occhi iniziavano a pizzicarle forte. Per qualche insano motivo, la strana reazione del ragazzo la feriva nel profondo. Io mi confido e lui mi tratta neanche avessi la lebbra!
«Oh, mio Dio», ripeté Mitch, quasi fosse in trance. «Tu sei l’electa».
 
Note dell’autore:
Scusatemi per il ritardo nella pubblicazione! In questo periodo sono molto impegnata e il tempo per scrivere e correggere manca sempre :( Perdonatemi!
Che dire di questa parte? Ho cercato di rispondere alle domande che mi sono state fatte sulla figura del Genio. Spero che le risposte siano state esaurienti. Ovviamente, le cose da scoprire sono ancora moltissime, ma credo di avervi tolto qualche dubbio con questo capitolo ^^
Se avete voglia, lasciate una recensione. Mi fa sempre piacere sapere cosa pensate.

  
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