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Autore: Darik    13/02/2012    2 recensioni
Dopo l'arrivo del nuovo pilota, giungeranno molti cambiamenti per i piloti di Evangelion.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Rewriting of Evangelion'
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2° Capitolo

Due uomini, vestiti con abiti neri simili a dei frac e con delle maschere bianche sul volto, chinarono profondamente il capo non appena la videro.

“Milady, il principe la sta aspettando”.

Scostarono le tende, svelando la presenza di un palchetto avente quattro posti, e solo uno era occupato.

La giovane lady fissò distrattamente il palcoscenico, ancora coperto dal sipario.

Tutti i posti a sedere di quel teatro all’italiana erano occupati da gente di alto lignaggio, le cui figure trasudavano dignità e altezzosità.

Persino quando mormoravano, lo facevano in maniera molto composta, senza attirare minimamente l’attenzione.

La fanciulla si sedette affianco al suo unico vicino, un bel giovane con fluenti capelli castani e occhi alquanto penetranti.

Indossava un abito molto elegante e vagamente militare: aveva una lunga giacca rossa, con bottoni e spalline dorate, pantaloni neri con una striscia d’oro sui fianchi, una cintura che reggeva una lunga e sottile spada, stivali di cuoio.

Il giovane si volse verso la sua ospite. “Da tanto tempo la aspettavo, ma cara”.

Prese una delle sue candide mani tra le proprie e ne baciò delicatamente il dorso.

“Anche se il suo invito mi ha molto lusingata, spero di non offenderla rivelandole che non mi sento molto a mio agio in vostra presenza, principe Lamperouge”, rispose lei con una certa freddezza.

Il principe non si scompose minimamente per quella risposta. “Devo ammettere che la mia persona non è in grado di attirare le sue graziose attenzioni. Ma sapevo che non sarebbe mai mancata a questa rappresentazione. E’ considerata una delle più strabilianti nel suo genere, dotata di sfaccettature introspettive capaci di svelare verità di cui nemmeno il più saggio è a conoscenza”.

La vide inarcare lievemente un sopracciglio. “Non ho mai sostenuto di possedere la saggezza e la verità assolute”.

“A maggior ragione, allora, deve assistere a quest’opera. Spero che la troverà illuminante, come desidero”.

Le luci calarono, il lieve e insistente mormorio degli spettatori cessò si spense e il sipario si aprì.

****

Asuka fissava con poco interesse il banco vuoto di Shinji, mentre il giovane era un momento in bagno.

Mana invece leggeva un libro.

Ormai l’intervallo stava per finire, i pranzi erano stati consumati, e i pettegolezzi cominciavano lentamente a spegnersi.

Quando Shinji rientrò, Asuka deglutì, si alzò di scatto, si diresse con decisione verso di lui, che a quella vista s’irrigidì: Asuka si fermò proprio davanti al ragazzo, fissandolo con occhi di fuoco.

“A-Asuka… cosa c’è?”

“Stamattina”, esordì in modo telegrafico, “in lavatrice, quella stupida di Misato ha messo della roba con i colori che stingono, e ha rovinato diversi miei vestiti. Oggi pomeriggio vado a comprarne di nuovi. Devi venire con me”.

“Eh? E perché?”

“Perché devo valutare gli acquisti in base alle tue reazioni. Se avrai reazioni da porco, allora vuol dire che quell’abito non devo prenderlo”.

Shinji si grattò dietro la testa e tentò di distogliere lo sguardo. “Ma… ma io non lo so… oggi pomeriggio avrei un impegno…”

“Davvero?”. Asuka si avvicinò ancora fino a mettersi faccia a faccia. “Con chi?”

Mana arrivò silenziosamente alle spalle della Second Children. “Ci sono problemi?”

“Ma te li fai una buona volta gli affari tuoi?!”, sbraitò Asuka voltandosi infuriata verso di lei.

“Ho solo chiesto se c’era qualche problema” replicò l’altra provando a tenerle testa.

“Sei tu il problema!”, esclamò Asuka mettendole una mano in faccia e spingendola con forza. Mana cadde in malo modo su uno dei banchi vicini.

Gli occhi dei presenti si puntarono su di loro.

“Asuka! Sei impazzita?!”, gridò Shinji scostandola abbastanza bruscamente per soccorrere Mana.

Asuka strinse i pugni talmente forte che le nocche divennero bianche, e se ne andò.

Si diresse verso una scalinata, dalla quale stavano arrivando due ragazzi.

“Toglietevi dai piedi!”, urlò Asuka spingendoli via proprio mentre stavano per mettere piede sull’ultimo gradino, e a causa della spinta e della loro posizione, finirono per perdere l’equilibrio e ruzzolare giù per le scale.

Il destino volle che anche Toji stesse salendo le scale in quel momento, col risultato che fu travolto dai due e insieme con loro, cadde fino alla fine della scala.

Furono prontamente soccorsi da alcuni insegnanti, che chiamarono l’infermiera scolastica.

Alla fine i due ragazzi se la cavarono con solo qualche livido.

Toji, invece, ne uscì con la gamba rotta e avrebbe dovuto portare il gesso per un mese.

Tutto questo Asuka lo seppe solo a casa, verso l’ora di pranzo: nonostante quello che aveva combinato, non si era fermata neppure un attimo, era uscita da scuola e tornata al suo appartamento.

Informarla fu compito di Misato, dopo che fu a sua volta avvisata dai professori, scandalizzati per il comportamento della loro alunna.


“Ti rendi conto di cosa hai fatto?! Ed è stata già una fortuna che Suzuhara si sia rotto solo una gamba! Le cadute dalle scale possono essere letali! Non ti sei neppure fermata per prestare soccorso! Questa è roba da sospensione per mesi! Che cosa avevi per la testa?!”

Asuka, con ancora indosso la divisa scolastica, non degnò né di uno sguardo né di una risposta la sua alterata tutrice, e continuò a fissare un punto indefinito del soggiorno.

Misato sbatté un piede per terra. “Cavolo! Mi ricordi Shinji nei primi tempi in cui è venuto qui, anzi, sei peggio! Lui almeno diceva sempre ‘sì’, tu fai scena muta!”

Il cellulare della donna squillò. “Pronto? Ah, sei tu, Shinji. Lo so che sono in ritardo per i test di sincronia. Scommetto che Ritsuko ha già cominciato il discorsetto sulle mie mancanze. Dille che arrivo tra poco. Asuka è con me. Mana e Rei sono già lì? Bene, ci vediamo alla base”.

Non appena chiuse il telefonino, udì la porta d’ingresso aprirsi e subito dopo chiudersi.

“Ma cosa… Asuka!”

La ragazza con tutta calma se ne era andata, Misato la rincorse e la bloccò afferrandola per un braccio. “Ferma lì, signorina. Dove credi di andare? Devo accompagnarti alla base per i test di sincronia”.

“Dimmi, mi servono veramente? Sono la migliore, lo sanno tutti. Io e lo 02 siamo una cosa sola, non ho bisogno di fare alcun test”, rispose Asuka senza neppure voltarsi.

“Asuka”, insisté Misato.

Infine, notando il suo totale disinteresse, lasciò che se ne andasse.

“Che tipo”, commentò il maggiore rientrando nell’appartamento.

****

Maaya stava finendo di pulire alcuni tavoli.

La giornata era andata discretamente, ormai aveva messo insieme un gruzzoletto abbastanza consistente, ed essendo il pomeriggio successivo il suo turno di riposo, avrebbe potuto divertirsi un po’.

Tanto più che il giorno prima le era capitato inaspettatamente tra le mani qualcosa di davvero intrigante.

Improvvisamente sentì una sirena d’allarme in lontananza, la ragazza corse fuori e vide un immenso oggetto sferico, di colore nero e bianco, che fluttuava silenzioso sopra la città.

“Addio turno di riposo”.

****

Il telefono prese a suonare e una donna, impegnata nelle pulizie di casa, con calma andò a rispondere.

“Pronto? Oh, Mana, tesoro. Come andiamo? E’ successo qualcosa? Solitamente telefoni tutti i sabati”.

“Avevo solo voglia di sentire la voce di una persona cara, mamma”, rispose Mana tenendo la cornetta con entrambe le mani.

“C’è qualcosa che non va?”

Qualche attimo di silenzio. “No, penso che sia solo un lieve attacco di nostalgia”.

Parlottarono del più e del meno per qualche minuto, poi Mana riattaccò con la mente già rivolta al sabato successivo.

Un istante dopo aver messo giù la cornetta, anche lei cadde in ginocchio, si strinse tra le braccia e iniziò a tremare.

“Non pensare al rosso, non pensare al rosso!”

Fu tutto inutile, si portò una mano sulla bocca, l’altra sullo stomaco e corse in bagno, preda di conati. Non uscì niente, aveva già buttato tutto fuori quel pomeriggio alla base.

“Mio Dio, il sangue, quanto sangue, un oceano… Ma che accidenti sono questi Evangelion?!”


Asuka rientrò nel suo appartamento e si buttò sul divano del soggiorno.

Guardò l’orologio digitale attaccato alla parete: ci volevano ancora cinque ore perché finisse quell’interminabile giornata.

Accese la televisione, facendo lo zapping e cercando i telegiornali.

“Mpf, non dicono niente. E pensare che per ripulire la città da quella brodaglia nera e sanguinolenta ci vorranno diversi giorni”. La bocca della giovane si piegò in un sorriso spento, poi andò a farsi una doccia.

Di solito era una sensazione molto piacevole per lei quella dell’acqua fredda che scorreva lungo la sua bella e morbida pelle.

Eppure altri pensieri la distraevano. “Davanti alla capsula non ho potuto, c’erano Misato e la novellina. E nella camera d’ospedale c’era quella lì, Miss ‘Bene, sono contenta per te’. Ma gli farò vedere io al signorino se sono pazza!”

****

Tre giorni dopo la distruzione del 12° Angelo, Shinji era tornato a casa dal centro ospedaliero della base Nerv.

Insieme con lui sembrava essere tornata la tranquillità, relativa comunque alla loro situazione.

Il ragazzo aveva anche ripreso le sue mansioni di cuoco, preoccupandosi pure di rimettere in ordine la casa, che dopo solo pochi giorni senza di lui, già rischiava di ritrasformarsi in un porcile.

Essendo stato dimesso da poco, al ragazzo erano stati concessi alcuni giorni di riposo dalla scuola.

Anche Asuka, nonostante o meglio per merito del suo status di pilota, si era beccata solo qualche giorno di sospensione per l’incidente a scuola.

Misato, invece, era presente perché aveva il turno di notte.

Quindi, dopo la colazione, avevano passato la mattinata insieme, senza problemi.

Mentre Shinji dava gli ultimi ritocchi alle pietanze, un grido risuonò per la casa e dopo pochi secondi, Asuka piombò nella cucina mostrando una maglietta rossa attraversata da strisciate blu.

“Guardate qui! Un disastro! I vestiti che si erano salvati l’altra volta si sono scambiati i colori!”

“Cavolo, i miei abiti!”, esclamò Misato correndo con Asuka nel bagno dove stava la lavatrice.

Shinji rimase imperterrito a guardare. “Be, tanto io di vestiti ho solo la divisa scolastica più altri due abiti per uscire, mentre per casa uso solo qualche vecchia maglietta e pantaloncino. In una giornata mi rifaccio il guardaroba”.

Ma le cose non sarebbero state così facili per lui, perché in cucina ritornò Asuka: appariva calma, però il suo sguardo faceva intendere come dentro di lei stesse per esplodere un vulcano. Shinji, davanti a quegli occhi, si sentì diventare piccolo, piccolo. Come al solito.

“Stavolta la colpa è tua!”, esclamò Asuka puntandogli contro un dito. “Sei tu che hai caricato la lavatrice!”

“S-sì, però ti assicuro che ho fatto attenzione a non mettere insieme vestiti che potevano scambiarsi i colori, proprio pensando a cosa era successo l’altro giorno”.

“E chi se ne frega! Il danno è fatto! Come pensi di rimediare?!”

Shinji sembrò restare sbigottito. “Ehi… non starai mica pensando che io…”

Un ghigno sadico si disegnò sul volto di Asuka. “Esatto, bamboccio. Dovrai ricomprare il guardaroba con i tuoi soldi! Pensavo di sfruttare Misato, ma lei si appellerebbe al suo essere adulta”.

“Ma stai scherzando!? Pensi che io abbia abbastanza soldi da ricomprare i vostri vestiti?!”

“No, solo i miei, di quelli di Misato non m’importa. Quella donna ha già il suo stipendio per ricomprarseli”.

Shinji era sempre più incredulo. “E… e poi... come faccio con i miei vestiti?!”

“Tsk, quegli straccetti che indossi si comprano a dieci yen in qualunque supermercato. Dopo pranzo, andremo subito a rifare il mio guardaroba”.

“Non se ne parla!”

“Senti, mammoletta: i vestiti si sono ritrovati con i colori scambiati? Rispondi sì o no”.

“Ehm… sì”.

“E chi aveva messo la lavatrice?”

“Uhm… io”.

“Quindi di chi è la colpa?”

Shinji si strinse nelle spalle. “Mia. Va bene, d'accordo, oggi pomeriggio andremo a fare shopping”.

“Ottimo. Vai a prendere il tuo portafogli, così stabilirò cosa potrò prendere subito e cosa invece ti dovrà essere addebitato”.

Asuka col braccio gli indicò la sua camera, Shinji andò rassegnato, però dopo qualche minuto, ritornò alquanto agitato. “Non… non trovo il portafogli!”

“Cheee??!! Vuoi fare il furbo?!”, rispose scandalizzata l’altra.

“Non mi permetterei mai”.

I due ritornarono nella stanza di Shinji, guardarono dappertutto e il portafogli non si trovava.

Asuka diede un pugno in testa al suo coinquilino.

“Ahio! Perché mi hai picchiato?!”, piagnucolò il ragazzo mettendosi le mani sulla testa.

“Perché per colpa tua dovrò usare i miei soldi per comprarmi il guardaroba”.


Era una coppia che poteva dare facilmente nell’occhio: lei avanzava quasi con passo di marcia, la decisione fatta persona, mentre lui era invece la personificazione della rassegnazione, ed era tirato per una mano.

D’altronde il ragazzo era anche costretto a portare quattro buste alquanto grosse.

“Ecco, lì va bene!”, indicò la ragazza puntando il dito verso un negozio.

“Ma Asuka, mi sembra che tra pantaloni, camice e magliette, tu abbia speso già abbastanza”.

“Shinji, stai zitto! Uno come te non potrà mai capire quanto gli abiti siano fondamentali per una donna!”

Asuka lo trascinò nel negozio, cominciò a contemplare le giacche, ne scelse una bianca e schioccò le dita.

“Lo so, sono il tuo manichino”, sospirò Shinji a malincuore.

La ragazza controllò su di lui la taglia dell’abito, trovandolo adatto, pagò e poi rifilò un calcio negli stinchi al suo servo tuttofare, che sopportò in silenzio: in fondo era solo il decimo calcio che gli dava perché doveva essere lei a pagare.

Una volta ripreso il cammino, era sempre Asuka a scegliere la direzione, sembrava quasi che seguisse un itinerario già deciso.

Dopo un bel po’, Shinji cominciò a trovare stranamente familiare il paesaggio.

Si guardò intorno e quindi non si avvide che Asuka si era fermata, andandole a sbattere dietro.

Risultato: un nuovo calcio negli stinchi da parte della ragazza, che aveva puntato una gelateria.

“Dopo tutto questo camminare sento caldo. Andiamo in questa gelateria”, ordinò, e Shinji fu spinto dentro e costretto a sedersi a un tavolino insieme con lei.

Quando arrivò il cameriere per prendere l’ordinazione, notò Shinji ed esclamò: “Ehilà ragazzino, di nuovo qui? Però, vedo che hai cambiato accompagnatrice, ma è carina quanto l’altra. Sei un vero dongiovanni, eh?”

“No, lei… ouch… è solo un’amica e… uhi… neppure l’altra era la mia… ahi… fidanzata”, rispose Shinji, che disperò all’idea di aver perso il portafogli: infatti, come avrebbe potuto comprare la cosa che più desiderava in quel momento, in altre parole un parastinchi?

Il cameriere fece una faccia strana, prese le ordinazioni e se ne andò.

“Quanto odio la servitù che fa commenti”, mormorò Asuka scura in volto.

Shinji incassò senza fiatare.

“Come vedi”, disse Asuka con orgoglio, “sto dirigendo tutto alla perfezione, nonostante gli intralci che tu come al solito provochi. Non si può non lodare la mia capacità organizzativa e il mio decisionismo”.

"Certo...”, assentì con perplessità Shinji.

“Cosa?! Mi credi forse pazza?!”

La risposta fu decisa: “Assolutamente no!”

Proprio allora arrivarono i gelati, che furono consumati rapidamente in un silenzio quasi tombale, e giunto il momento di pagare, Shinji si aspettò un calcio che invece non arrivò.

“In fondo il gelato è stato un’idea mia”, spiegò la ragazza pagando, per poi portare via lo schiavetto.

Nel loro peregrinare, arrivarono vicino a un cinema e Asuka vi si fermò a contemplare le locandine dei film proiettati.

Però Shinji rabbrividì: “Oh no, una maratona di film horror! Perfetti per non dormire la notte”.

“Andiamo più avanti!”, comandò Asuka, facendo tirare un sospiro di sollievo al suo accompagnatore.

Anche qui Shinji fu notato dal responsabile della biglietteria, il quale gli fece un cenno di saluto, ricambiato.

Proseguendo nel cammino, Shinji iniziò a trovare pure quella zona molto familiare, e gli divenne ancora più familiare quando udì nell’aria una musica allegra: “E’ il parco giochi!”, esclamò, e come per incanto apparvero una ruota panoramica e delle giostre.

“Forza, andiamoci!”, ordinò la su aguzzina.

“Eh? Vuoi andare al parco giochi? Non ci sei già stata? Misato mi ha raccontato che ci sei andata con un amico della capoclasse”.

Asuka mugugnò qualcosa, poi rispose: “Una cosa è andarci con un peso morto, un’altra cosa andarci con lo schiavetto. Muoviamoci!”

All’ingresso, Shinji venne salutato dal custode, e pure quest’ultimo fece commenti sul fatto che si fosse presentato in compagnia di un’altra bella ragazza.

Il Third Children, pilota della potentissima unità Evangelion 01, desiderò ancora un parastinchi.

Dopo aver fatto un giro per il parco, Shinji si fermò a contemplare con un sorriso la ruota panoramica.

“Voglio andare sulla ruota. Spicciati!”, esclamò Asuka dopo averlo osservato.

“Subito!”, rispose Shinji cercando di nascondere la sua contentezza.

Una volta dentro la cabina, cominciando il nuovo giro, ammirò il panorama, un paesaggio che continuava ad affascinarlo come durante le sue precedenti visite al parco.

Il sole stava ormai calando sulla città più avveniristica del mondo, con tutti i suoi palazzi di acciaio, in parte adibiti ad abitazione e per il resto alla custodia di armi e altri congegni per gli Evangelion.

Visti dall’alto, sembravano tutte costruzioni prive di vite e in fondo, data la loro natura ultratecnologica e militare, erano assai diversi dai palazzi delle altre città.

Eppure, aguzzando la vista, era possibile anche da lì vedere delle persone impegnate nelle loro svariate attività quotidiane.

Da quei finestrini era possibile vedere un intero mondo, quasi in miniatura.

Shinji lo guardava con grande divertimento, quasi estasiato, arrivando a poggiare le mani sul vetro per avvicinarsi e scrutare meglio.

Eppure per qualche momento guardò anche in direzione di Asuka: si era addormentata, con la testa appoggiata sulla parete affianco al suo sedile; con l’aggiunta della luce morente del sole, la ragazza era davvero uno splendore.

Shinji arrossì, picchiettandosi in testa, e tornò a guardare il panorama.

“Grazie, Asuka”.


I due rientrarono, ed era Asuka che portava le buste.

“Ti meriteresti un’altra serie di calci. Mi hai fatto portare le buste”, si stava lamentando.

“Scusa, ma la decisione di portarle è stata tua”, ribatté Shinji.

“Solo perché tu, così mollaccione, eri talmente stanco da essere caduto in avanti come un baccalà, e mi hai fatto pietà”.

“Non sono caduto, sono inciampato, anche se non so in cosa”.

“Tsk, solo adesso ti ricordi di avere un orgoglio, visto che cerchi delle scuse? Portami le buste in camera e poi fila a farti un bagno, che puzzi!”, disse lanciandogli le buste, e Shinji le afferrò al volo con scarsa grazia.

La ragazza andò in cucina a bere qualcosa e qualcuno le mise improvvisamente la mano su una spalla non appena ebbe preso un bicchiere.

“Buuu!”, gridò quel qualcuno, Asuka sobbalzò e fece cadere il bicchiere, preso subito al volo dalla persona che l’aveva spaventata.

“Mi… Misato?! Accidenti a te, mi hai fatto prendere un colpo!”

La padrona di casa la guardò divertita, e sfoderò un sorriso malizioso. “Allora, com’è andata?”

“Andata cosa?”

“La giornata con Shinji, ovvio”.

“Be, l’ho maltrattato abbastanza. Posso ritenermi soddisfatta”.

Misato andò a sedersi davanti al tavolo della cucina. “Sono contenta per te. Hai fatto il tuo primo passo verso il mondo degli adulti, anche se l’hai fatto a modo tuo”.

Asuka squadrò la sua tutrice. “Mi sembra di leggere un doppio senso nelle tue parole”.

“Il fatto è che, poco dopo che siete usciti, ho ricevuto una telefonata…”, Misato roteò gli occhi, “…e mi sono state riferite alcune cose”.

Asuka arrossì. “Quella… quella maledetta quattrocchi!”

L'altra non le badò. “E allora tutto ha cominciato a quadrare. Al primo incidente della lavatrice ci ho creduto, perché conosco la mia sbadataggine. Però il secondo era strano, solitamente Shinji a queste cose ci sta attento. Allora ho pensato che qualcuno potrebbe benissimo aver sabotato il suo lavoro domestico mentre era affaccendato in altre cose. Dopo, controllando i vestiti scambiati, ho notato che i suoi sono persi del tutto, i tuoi e i miei invece hanno subito lievi danni, diciamo che se ne sono persi due su dieci. Infine, a seguito di quella telefonata, ho frugato nella tua camera e guarda cosa ho trovato sotto il tuo materasso”.

Misato tirò fuori un portafogli. “Allora io e quella persona abbiamo attuato una sorta di inseguimento a distanza. E’ stato molto divertente vedere tu che camuffavi le tue intenzioni e Shinji, con la sua ingenuità, che ci cascava appieno”.

“Non avevate il diritto!”, urlò Asuka.

“Io ce l’avevo eccome, dato che sono la vostra tutrice, e ce l’aveva pure la quattrocchi, perché se non sbaglio questo tuo piano l’hai elaborato insieme con lei il giorno precedente l’arrivo del 12° Angelo, che ti ha costretto a rimandare”.

“Era solo per vendicarmi. Perché... perché sì!”

Misato tirò fuori un sorriso sornione. “Adesso ti stupirò con le mie doti da veggente: sono sicura che tu hai comprato solo roba unisex, quindi se la potrà mettere anche Shinji, poi tu non li vorrai più quegli abiti perché ci hai ripensato e li trovi brutti. Inoltre sono sicura che quando lui, fortuitamente, ritroverà il portafogli e ti vorrà restituire i soldi, tu sfodererai la tua grande misericordia e dirai che non deve pagarti, dato che quegli abiti se li metterà lui”.

Asuka, che non sapeva più se arrabbiarsi o imbarazzarsi, corse in camera sua.

“Eh, che bambini tutti e due. Certo che è stato un appuntamento ben strano, con un itinerario scelto in base ad un pedinamento”, terminò Misato aprendo una lattina di birra.


I boschi intorno a Neo-Tokyo 3 diventavano deserti di notte. La città era stata concepita, ufficialmente, non solo come futura capitale del Giappone, ma anche come oasi ecologica, perciò se di giorno, a determinati orari, era possibile passeggiarci, di notte era severamente vietato: sorveglianti pattugliavano i confini dell’oasi. Mentre il voler rispettare l’ambiente aveva proibito l’inserimento di luci o sensori all’interno dell’area, che quindi una volta calato il sole diventava un oscuro deserto di cui animali e piante erano gli unici padroni.

Un luogo dunque perfetto per la persona che, seduta sul ramo di un albero, contemplava il panorama notturno della città.

Una figura che un attimo dopo fu affiancata da un’altra.

“Sei in ritardo”, disse la persona seduta.

Il nuovo arrivato rimase in piedi e tirò fuori una risatina infantile. “Hihihihi! Ho avuto un piccolo contrattempo, ma è già stato risolto. E tu, hai adempiuto il tuo compito?”

La prima persona tirò fuori una piccola custodia in metallo e gliela porse. “L’attacco dell’11° Angelo è stato provvidenziale per noi. Cioè, avrei fatto tutto anche senza, ma quell’intervento mi ha facilitato l’infiltrazione nel Terminal Dogma. C’era pure un cliente inaspettato.”

“Chi?”

“Nessuno che sia rilevante”.

“Comunque ti comunico che il fratellone si è risvegliato e ha già cominciato la sua parte. Ora il piano procederà a pieno ritmo”.

“Pensi che non lo sapessi?”

“Hihihihi! Lo so che lo sapevi. Volevo solo metterti in guardia”.

“Non abbiamo più niente da dirci”, concluse la figura seduta dileguandosi nella notte.

Anche il suo interlocutore, dopo un’ultima risatina, si dileguò.

Il giorno dopo fu ritrovato il corpo di una guardia dell’oasi ecologica.

Le indagini conclusero che era precipitata accidentalmente in uno dei crepacci presenti nella zona.


Nel suo appartamento, Mana tirò fuori la sua piccola scatola.

Era piena di foto della sua famiglia. Foto diverse da quelle nell’appartamento. Quelle erano le foto dei momenti speciali.

La ragazza strinse con forza quella scatola.

Poi si guardò intorno, osservò quell’appartamento così silenzioso.

Mana iniziò a sbattere con forza un pugno contro il pavimento.

“Che ragazzo bastardo! Maledetto bastardo!”

  
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