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Autore: Luna_R    21/09/2006    1 recensioni
Sono le sette e trenta di mattina, il suono di una sveglia, irrompe nel silenzio di un appartamento assopito.
Una ragazza si sveglia, poggia rumorosamente la sua mano sulla sveglia, e maledicendo il giorno già alle porte, si dirige in bagno.
E intanto non sa, che non sarà, un giorno come tutti gli altri..
*********
-“E tu, chi sei?!”-
-“Nel mio paese, colui che salva una vita ad un uomo, fa sua quella vita. Ecco, ora la mia vita ti appartiene.”-
Non so chi fosse, non so perché evadeva sempre dalle mie domande, ma provai un tale senso di protezione nei suoi confronti, che non potei far altro che portarlo via con me.
“Ricordati di me”, solo una storia d’amore, dimenticata o nascosta, nei meandri della mente invecchiata o distratta.
Ma pur sempre una storia d’amore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«

 

 

 

 

aawaa RICHTING SORTILEGIUM aawaa

 

                       (vero e proprio sortilegio)

 

Chap n.14

 

 

Sono sicura, d’aver lasciato il ciondolo con la chiave a Victor; eppure, or ora, non riesco a spiegarmi come sia finito nella mia tasca.

Mah.

Non ho tempo per pensare, devo correre in albergo, fare di corsa le valigie e tornare a dov’ero, prima che il ciclone Victor mi travolgesse.

La chiave magari, la restituirò a Frank.

 

Sono ancora un po’ scossa, gli occhi mi bruciano e dentro ho  come una sensazione di vuoto.

Non riesco a darmi una spiegazione, ma capita spesso, quando si perde una persona cara.

Quando Simone se ne è andato da casa, lo stomaco mi è bruciato per una settimana intera;

se lo perdessi per una vita intera, non oserei immaginare come ne risentirei.

Adesso, ho troppa voglia di vederlo.

 

 

-“Prego, prego signora si sposti da questa parte.”-.

 

Un agente di polizia, mi scorta al di là della strada che stavo percorrendo.

 

-“Cosa è accaduto?!”-.

-“Il ponte che collega le due estremità della città ha ceduto signora. E’ pericoloso rimanere.”-.

-“Senta ma il mio hotel è dall’altra parte, io devo ripartire, come farò?!”-.

-“Penseremo a farle ricapitare i bagagli in un altro alloggio.”-.

-“Io non ho, un altro alloggio.”-.

-“Signora, non ho tempo da perdere, mi scusi.”-.

 

Ecco, in questo preciso momento, vorrei sprofondare in un abisso nero.

Mi guardo intorno, c’è deliro, traffico, confusione; l’amabile tranquillità e i sorrisi di questo paese sembrano stati cancellati d’un sol colpo.

Non so cosa fare, non so dove andare, perché…

Mi volto e cammino svelta.

Cammino, così senza meta, in balia dell’umore, del destino.

E piango, sono fragile, sono scossa.

Io che dovrei essere su un aereo, io che adesso sento l’impellente bisogno di tornare a casa.

Voglio la mia casa, il mio caos cittadino. Il mio Simone.

 

Una cancellata di bronzo, blocca il passo.

Non so dire dove sono, è un posto della città che ancora non ho mai visitato.

Il motivo per cui mi sono fermata qui, proprio non saprei spiegarlo.

C’è un odore di lavanda qui.

Sarà questo il motivo.

Mi ricorda i giorni passati qui.

E piango ancora. Il ricordo di Victor bussa dolcemente nei miei pensieri.

Mi manca tanto. Mi manca già.

Se fosse qui, lui saprebbe cosa fare.

Con la sua ironia, le sue battute fuori dal mondo. Con la sua calma e razionalità, il suo proteggermi e volermi bene, senza condizioni.

Mi sento morire dalla malinconia, ma poi penso che adesso è fra le braccia della sua Betty.

Non sarà mai stato più felice.

Ed allora, sono felice con lui.

 

Come è bella questa villa.

E’ sontuosa, ma di una finezza unica; passo al di sotto di un arcata che annuncia il portone d’entrata, ci sono fiori profumati, e rampicanti che rendono ancor più fascinoso questo luogo.

Mi sembra il giardino dei misteri, che da piccolina sognavo con le mie compagne di colleggio, quando cercavamo di ricreare con la fantasia, quello che non avevamo.

Mi sembra di sognare ad occhi aperti, ancora adesso.

Mi porto avanti, sembra sia disabitata.

Le rampicanti, coprono una targa; la scopro, lasciandomi andare nella mia curiosità bambina.

 

Lavandel hause

 

Casa della lavanda.

Mi piace!

Sorrido, poi ho un flash; questo odore significa di più, molto di più.

Mi infilo le mani in tasca.

La chiave di Victor, mi riempie la mano.

La infilo nella toppa del portone; dapprima tentenno sorridendo un po’ dalla vergogna, poi giro con un gesto secco.

E  la chiave gira. Apre.

Il cancello si sposta dinnanzi ai miei occhi, cigolando; tremo dall’emozione e dalla paura.

Deglutisco, poi incredula, mi porto al di là del giardino; i miei occhi ora sono lì, puntati nel cielo alto e viola di tramonto, che sorridono a lui, al suo giochetto beffardo, ma grati del momento di felicità di cui lui, gli ha fatto dono.

 

-“Grazie Victor…”-.

 

Ed è esattamente come lo immaginavo, questo immenso e composto guardino; lavanda appena sbocciata, violacea e viva, cespugli di gardenie e fronde d’alberi di salici piangenti.

Davvero un sogno.

Sfioro appena quell’erba soffice, incolta ma perfetta nella sua imperfezione; in un baleno, attraverso il giardino e sono dinnanzi alla porta d’entrata.

Il cuore palpita forte, ma non esito, infilo la chiave e magicamente si apre davanti a me, un salone degno delle migliori case regali.

Entro estasiata, non so bene perché sono qui, ma mi godo la meraviglia.

Le pareti sono la prima cosa che risaltano ai miei occhi; una spessa carta color rubino le adorna, è articolata e sontuosa, ma la sua straordinaria bellezza risiede nei dipinti attaccativi su.

Una mano esperta ha calcato i volti di quelle persone, perché altrimenti non si spiega come mai sembrino così vivi e reali.

Riconosco Elisabeth, nella giovane fanciulla riccia.

Una raffigurazione della sua bellezza acerba, di gioventù.

Il salone termina con una grande scala centrale, innalzata centralmente nella casa.

Salgo. Non ho meta.

Si aprono diverse stanze, dove primeggiano altri dipinti, mobili antichi e di fattura pregiata, tende di una stoffa a me sconosciuta.

Per un attimo chiudo gli occhi, e cerco d’immaginare la vita trascorsa in quelle stanze; vedo l’ombra di una donna, che cammina austera in quella casa, mandando avanti i lavori della servitù, inseguendo indisciplinati bambini che giocano a saltare dalle scale.

Questa casa avrebbe molto di cui parlare.

 

Li riapro, entro a caso in una delle ultime stanza sul fondo di un corridoio stretto, fermandomi.

Questa, è l’unica stanza spoglia.

C’è un solo cassettone di legno ed una scrivania con i cassettini.

Quel cassettone mi chiama, ed io non so perché gli ho risposto subito; dentro, riposti ordinatamente, ci sono degli indumenti usurati, di non so dire con esattezza di quale epoca siano, ma certamente antica ed alcune scatole.

Sposto i vestiti ed apro le scatole.

Plichi di lettere, fasciati con dei nastri, si ritrovano nella mia mano.

Mi accomodo in terra, con le lettere poggiate sulle gambe.

Sento il bisogno di leggerle.

Sono poesie, mano scritti e qualcosa di vagamente simile a cantilene.

Mi rialzo, prendo uno dei vestiti, lo accarezzo, sentendolo mio.

Lo indosso senza chiedermi come mai, sento solo che lo voglio addosso.

E’ un abito bianco, semplice, con chiusura a fascia sotto al petto.

Io ed Elisabeth abbiamo la stessa taglia.

Sorrido, poi come una bambina giro su me stessa facendo svolazzare il pizzo della gonna dell’abito.

Mi sento stranamente felice.

 

-“C’e qualcuno?!”-.

 

Una voce irrompe dalla quiete del corridoio.

Per un attimo ho paura e vergogna di me.

Cerco di nascondermi, poi mi porto verso l’uscita, cercando di non fare rumore.

La sagoma di un uomo, si avvicina minacciosamente al corridoio dov’è la mia stanza; ho paura, ma l’istinto di scappare è più forte di tutto.

Schizzo via, trovandomi faccia a faccia con quell’uomo.

 

-“Sibilla, sei tu?!”-.

 

Ho gli occhi un po’ annebbiati, mi sforzo di guardalo bene e finalmente riconosco in lui una faccia amica.

 

-“Oh, Frank!”-.

-“Cara, tutto bene?! Sembri spaventata a morte!”-.

-“Oh sto bene…- Mi guardo per un attimo, avvampo di vergogna-“ perdonami se ho fatto irruzione qui, senza permesso ma… mi è successa una cosa irreale e…”-.

-“Sibilla calmati mio Dio! Ti farai venire un infarto!”-.

-“Frank, ho bisogno di sedermi un attimo.”-.

-“Sì, lo penso anche io.”-.

 

Mi ha presa sotto braccio, portandomi nel soggiorno.

Ha scaldato dell’acqua servendoci del the.

Mi spiega con la sua solita tranquillità, che gli capita spesso di ritornare in questa casa, per tenere curato il giardino.

 

-“E’ una villa molto bella.”-.

-“Era di mio padre. La fece costruire apposta per mia madre. Sai, lei amava la lavanda e mio padre amava lei. Questo era il monumento del suo amore.”-.

-“Doveva amarla davvero tanto allora.”-.

 

Frank non risponde, guarda basso il pavimento.

 

-“Oh cielo! Sono stata indelicata, scusami Frank sono un vero disastro.”-. Mi alzo di scatto, portandomi verso l’uscita. Mi sento un idiota, una vera idiota.

Lui si alza con me, afferrandomi per un braccio.

-“Non devi preoccupartene. So che non l’hai fatto apposta.”-.

 

Mi sorride, è un bell’uomo.

Un bellissimo uomo. E’ attraente, ed il suo sorriso cela un non so cosa di misterioso.

 

-“Dove l’hai trovato questo?!”-. Mi sfiora il colletto dell’abito.

-“In un cassettone, in una delle stanze sul fondo.”-.

-“Mia madre non faceva mai entrare nessuno in quella stanza.”-. Sorride divertito, prendendomi per mano e conducendomi ci nuovamente.

 

-“Se c’è qualcosa che ti piace, puoi prenderlo se vuoi.”-. Mi dice, appena entrati.

-“Oh no, non voglio abusare ancora della tua gentilezza.”-. Mi spoglio di quelle vesta, ripiegando delicatamente quell’abito per non sciuparlo. –“Però c’è ancora qualcosa che puoi fare per me…”-.

-“Cosa?!”-. Mi fissa, con i suoi profondi occhi blu.

-“Dirmi la verità, per esempio.”-.

-“Cosa vuoi sapere. Sii più precisa.”-.

-“Voglio sapere Frank, conoscere. Perché vedi io ho conosciuto un uomo straordinario ed ho compreso i suoi insegnamenti, ma perché quell’uomo ha voluto che io fossi qui oggi, proprio non lo so.”-.

-“Vediamo se posso aiutarti…”-.

 

Mi ha presa nuovamente per mano, facendomi sedere in terra e porgendomi alcuni scritti.

 

-“Vedi questi?! Sono formule, druidi, incantesimi.”-.

-“Adesso sono io, a non capire dove vuoi arrivare.”-.

-“Elisabeth la rossa. Elisabeth dai ribelli capelli rosso tiziano, si diceva fosse figlia di una zingara, allevata nella alcova di maghe e fattucchiere, prima d’essere abbandonata in orfanotrofio. Da bambino non capivo perché la mia mamma perdeva innumerevole tempo a chiudersi in questa stanza, finche un giorno non la spiai; aveva i capelli legati e difronte a lei innumerevoli monili d’oro disposti su di un tavolo. C’erano candele tutto intorno, ed incensi che creavano un fumo denso e scuro. E lei, parlava un lingua a me incompresa.

Quel giorno, capii che i discorsi dei grandi su mia madre, non erano poi così sballati.”-.

-“Il fatto che una donna abbia amato i riti esoterici, non significa che fosse una maga, Frank.”-.

-“E’ quello che ho creduto anche io, finche non siete sopraggiunti tu e Victor.”-.

-“Cioè?!”-.

-“Leggi questo.”-. Mi porge un quaderno, ricamato sul fronte e ingiallito dal tempo.

-“E’ il suo diario… non credo sia giusto.”-. Lo sfoglio distrattamente, per poi riconsegnarglielo.

-“Parla della sua vita, i suoi pensieri più profondi. E c’è Victor. Il loro incantesimo d’amore e il loro rito per non spezzarlo mai.”-.

-“Cosa centra Victor?!”-.

-“Lei lo ha tenuto con sé, per sempre. Un pomeriggio, passato ad annoiarci non sapevamo che fare, così cita lei, gli ho tolto una goccia di sangue in segno del suo amore e ne ho fatto la nostra pozione d’amore. Così, resteremo sempre uniti, ovunque andremmo. Nessuno può dividerci, sebbene il tempo e lo spazio ci sono nemici, ma io sono sua e lui sarà per sempre mio. Il sangue chiama sangue.”-.

 

Rabbrividisco, eppure tutto ciò che ho vissuto fino a qui, non dovrebbe farmi essere scettica.

Conto davvero i brividi, che pervadono la mia pelle.

 

-“E’ assurdo Frank.”-.

-“Non lo è Sibilla, mi sono reso conto che l’ho sempre saputo.”-.

 

Lo guardo enigmatico, cercando di leggere nelle sue parole.

 

-“Pensare che avevo avuto sempre dinnanzi agli occhi, quel ciondolo che portava al collo. Ignoravo che dentro vi fosse l’essenza del loro amore, la chiave di tutto.”-.

 

Il sangue chiama sangue, questa frase ribatte nella mia testa incessantemente.

D’improvviso, tutto mi sembra più chiaro.

Come un raggio di sole, sparato nel cielo tempestoso.

Frank, in tutta la sua vita ha cercato molto più che la sua Elisabeth.

 

-“Frank... non dirmi che tu…”-.

-“Sono figlio suo, Sibilla.”-. Mi stringe le spalle, mi guarda disperato-“ Quando ti ho vista bussare alla mia porta e fare il suo nome, ho temuto di morire in un secondo”-.

-“Tu, sapevi tutto?!”-.

-“Non poteva che essere così, Sibilla.”-.

 

Sono davvero scioccata.

Senza parole.

Ma come potrebbero mai riempire il caos nella mia testa, due sciocche e insulse parole?

Frank è il figlio naturale di Victor, ed Elisabeth quando partì sapeva di essere incinta; sigillare il legame suo con quello di Vic, era l’unico modo per far sì di farlo tornare a se.

Si sarebbe gridato allo scandalo, l’avrebbero messa alla gogna ancor prima che per le sue fattezze così poco convenzionali.

E forse, si sarebbe data colpa proprio a quei suoi ricci, capelli rossi.

 

-“Ero convinto che tu sapessi, ma dovevo capirlo dal nostro primo incontro in ambulatorio, che non era così.”-.

-“Victor mi ha tenuta all’oscuro di tutto.”-.

-“Neanche lui sapeva.”-.

-“Neanche lui?!”-.

-“E’ stato qui tempo fa. Quando mi ha visto, gli è gelato il sangue nelle vene.”-.

 

Povero Victor.

Una vita intera a correre dietro ad un amore, ignaro di dover coglierne poi anche i frutti.

Per un attimo provo tristezza; sarei voluta essergli accanto in quel momento.

Ma forse, non ho nulla da rimproverarmi, mi ha tenuta fuori per proteggermi anche stavolta, il mio povero dolce Vic.

 

-“Questa storia è così assurda, sovrannaturale, io non credo di aver sentito mai tanto in tutta la mia vita!”- Lo guardo un po’ troppo sovreccitata, ma la foga è tanta –“ e credimi, la mia vita è paragonabile ad una telenovela!”-.

Riesco anche a sorridere e sciogliere le tensioni.

Lui si associa alla mia risata, lasciandosi distendere cullato da finta serenità.

 

-“Avanti, chiedimelo pure.”-. Lo sto fissando da un po’, arrossisco al pensiero che mi abbia scoperto, letto dentro.

-“Insomma un uomo come te, figlio di due persone un po’ speciali… mi stavo chiedendo se…”-.

-“Sai Sibilla, chiamarla magia non mi è mai piaciuto troppo. Mi ritengo una persona speciale sì, proprio come hai detto tu.”-.

-“Ed io che pensavo fosse pazza, la gente che andava farneticando certe cose…”-.

-“Io non posso raccontarti che se mi gettassi giù da un palazzo di dieci piani, magicamente mi spunterebbero le ali, ma che riesco a sentire le persone, ciò che hanno dentro nel loro profondo e nella loro intimità, questo sì.”-.

-“Proprio come tuo padre.”-. Sorrido, che “potere” fantastico ha ereditato quest’uomo.

-“Noi potremmo fare molto insieme, cara Sibilla.”-. Mi stringe teneramente la mano nella sua.

-“Noi?!”-. Mi scanso, so che non vuole essere invadente, ma non riesco ad evitarlo.

-“Sì io e te.”-. Sorride, vagamente imbarazzato.

-“No Frank. Questo è il tuo destino, la tua vita. Io non centro nulla con questo mondo, ho la mia vita che mi attende.”-.

-“Quindi, tu te ne andrai?!”-.

-“Sì, devo mettere in pratica gli insegnamenti di tuo padre, ma lontano da qui.”-.

-“Perdonami, sono stato invadente e…”-.

-“Cosa?! Cosa… tu mi hai aiutato tantissimo invece. Tuo padre lo ha fatto, tua madre, io vi sarò grata in eterno per questo. Prima d’arrivare qui ero uno straccio, una persona senza un anima, vuota dentro. Mi avete aiutata a colorare la mia intimità, dare un senso a tutto quello che mi circonda e il coraggio, d’osare.”-.

 

Quelle furono le ultime parole che scambiammo, in quella casa.

Frank mi aiutò a recuperare i miei bagagli e prenotarmi un taxi per tornare finalmente a casa.

 

-“Ah, Frank!”-. Mi sfilo le chiavi di tasca, facendole penzolare alla sua vista.

-“Tienile. Sono anche tue adesso. Nel mio paese, vige il culto dell’ospitalità, così ogni volta che vorrai rifugiarti qui, saprai dove andare.”-.

 

Lo guardo commossa, trattenendo appena le lacrime.

Sono stata bene qui. Davvero bene.

Ma a ogni modo, c’è il futuro che mi chiama, ed io non voglio farlo aspettare.

 

-“Rispondi … rispondi amore mio…”-.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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