«-(¯`v´¯)--« RICORDATI DI ME «-(¯`v´¯)--«
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RICHTING
SORTILEGIUM aawaa
(vero e proprio sortilegio)
Chap n.14
Sono
sicura, d’aver lasciato il ciondolo con la chiave a Victor; eppure, or
ora, non riesco a spiegarmi come sia finito nella mia tasca.
Mah.
Non
ho tempo per pensare, devo correre in albergo, fare di corsa le valigie e
tornare a dov’ero, prima che il ciclone Victor mi travolgesse.
La
chiave magari, la restituirò a Frank.
Sono
ancora un po’ scossa, gli occhi mi bruciano e dentro ho come una sensazione di vuoto.
Non
riesco a darmi una spiegazione, ma capita spesso, quando si perde una persona
cara.
Quando
Simone se ne è andato da casa, lo stomaco mi è bruciato per una
settimana intera;
se lo perdessi per una vita intera, non oserei immaginare
come ne risentirei.
Adesso,
ho troppa voglia di vederlo.
-“Prego,
prego signora si sposti da questa parte.”-.
Un
agente di polizia, mi scorta al di là della strada che stavo
percorrendo.
-“Cosa
è accaduto?!”-.
-“Il
ponte che collega le due estremità della
città ha ceduto signora. E’ pericoloso rimanere.”-.
-“Senta ma il mio hotel è dall’altra parte, io
devo ripartire, come farò?!”-.
-“Penseremo
a farle ricapitare i bagagli in un altro alloggio.”-.
-“Io
non ho, un altro alloggio.”-.
-“Signora,
non ho tempo da perdere, mi scusi.”-.
Ecco,
in questo preciso momento, vorrei sprofondare in un abisso nero.
Mi
guardo intorno, c’è deliro, traffico, confusione; l’amabile
tranquillità e i sorrisi di questo paese sembrano stati cancellati
d’un sol colpo.
Non
so cosa fare, non so dove andare, perché…
Mi
volto e cammino svelta.
Cammino,
così senza meta, in balia dell’umore, del destino.
E
piango, sono fragile, sono scossa.
Io
che dovrei essere su un aereo, io che adesso sento l’impellente bisogno
di tornare a casa.
Voglio
la mia casa, il mio caos cittadino. Il mio Simone.
Una
cancellata di bronzo, blocca il passo.
Non
so dire dove sono, è un posto della città che ancora non ho mai
visitato.
Il
motivo per cui mi sono fermata qui, proprio non saprei
spiegarlo.
C’è
un odore di lavanda qui.
Sarà
questo il motivo.
Mi
ricorda i giorni passati qui.
E
piango ancora. Il ricordo di Victor bussa dolcemente nei miei pensieri.
Mi
manca tanto. Mi manca già.
Se
fosse qui, lui saprebbe cosa fare.
Con
la sua ironia, le sue battute fuori dal mondo. Con la
sua calma e razionalità, il suo proteggermi e volermi bene, senza
condizioni.
Mi
sento morire dalla malinconia, ma poi penso che adesso è fra le braccia
della sua Betty.
Non
sarà mai stato più felice.
Ed
allora, sono felice con lui.
Come
è bella questa villa.
E’
sontuosa, ma di una finezza unica; passo al di sotto di un
arcata che annuncia il portone d’entrata, ci sono fiori profumati,
e rampicanti che rendono ancor più fascinoso questo luogo.
Mi
sembra il giardino dei misteri, che da piccolina sognavo con le mie compagne di
colleggio, quando cercavamo di ricreare con la
fantasia, quello che non avevamo.
Mi
sembra di sognare ad occhi aperti, ancora adesso.
Mi
porto avanti, sembra sia disabitata.
Le rampicanti, coprono una targa; la scopro,
lasciandomi andare nella mia curiosità bambina.
“Lavandel hause”
Casa
della lavanda.
Mi
piace!
Sorrido,
poi ho un flash; questo odore significa di più, molto di più.
Mi
infilo le mani in tasca.
La
chiave di Victor, mi riempie la mano.
La
infilo nella toppa del portone; dapprima tentenno sorridendo un po’ dalla
vergogna, poi giro con un gesto secco.
E la chiave gira.
Apre.
Il
cancello si sposta dinnanzi ai miei occhi, cigolando; tremo dall’emozione
e dalla paura.
Deglutisco,
poi incredula, mi porto al di là del giardino; i miei occhi ora sono
lì, puntati nel cielo alto e viola di tramonto, che sorridono a lui, al
suo giochetto beffardo, ma grati del momento di
felicità di cui lui, gli ha fatto dono.
-“Grazie Victor…”-.
Ed
è esattamente come lo immaginavo, questo immenso e composto guardino; lavanda appena sbocciata, violacea e viva,
cespugli di gardenie e fronde d’alberi di salici piangenti.
Davvero
un sogno.
Sfioro
appena quell’erba soffice, incolta ma perfetta
nella sua imperfezione; in un baleno, attraverso il giardino e sono dinnanzi
alla porta d’entrata.
Il
cuore palpita forte, ma non esito, infilo la chiave e magicamente si apre
davanti a me, un salone degno delle migliori case regali.
Entro
estasiata, non so bene perché sono qui, ma mi godo la meraviglia.
Le
pareti sono la prima cosa che risaltano ai miei occhi; una spessa carta color
rubino le adorna, è articolata e sontuosa, ma
la sua straordinaria bellezza risiede nei dipinti attaccativi su.
Una
mano esperta ha calcato i volti di quelle persone, perché altrimenti non
si spiega come mai sembrino così vivi e reali.
Riconosco
Elisabeth, nella giovane fanciulla riccia.
Una
raffigurazione della sua bellezza acerba, di gioventù.
Il
salone termina con una grande scala centrale, innalzata centralmente nella
casa.
Salgo.
Non ho meta.
Si
aprono diverse stanze, dove primeggiano altri dipinti, mobili antichi e di
fattura pregiata, tende di una stoffa a me sconosciuta.
Per
un attimo chiudo gli occhi, e cerco d’immaginare la vita trascorsa in
quelle stanze; vedo l’ombra di una donna, che cammina austera in quella
casa, mandando avanti i lavori della servitù, inseguendo indisciplinati
bambini che giocano a saltare dalle scale.
Questa
casa avrebbe molto di cui parlare.
Li
riapro, entro a caso in una delle ultime stanza sul
fondo di un corridoio stretto, fermandomi.
Questa,
è l’unica stanza spoglia.
C’è
un solo cassettone di legno ed una scrivania con i cassettini.
Quel
cassettone mi chiama, ed io non so perché gli ho risposto subito;
dentro, riposti ordinatamente, ci sono degli indumenti usurati, di non so dire
con esattezza di quale epoca siano, ma certamente antica ed
alcune scatole.
Sposto
i vestiti ed apro le scatole.
Plichi
di lettere, fasciati con dei nastri, si ritrovano nella mia mano.
Mi
accomodo in terra, con le lettere poggiate sulle gambe.
Sento
il bisogno di leggerle.
Sono
poesie, mano scritti e qualcosa di vagamente simile a
cantilene.
Mi
rialzo, prendo uno dei vestiti, lo accarezzo, sentendolo mio.
Lo
indosso senza chiedermi come mai, sento solo che lo voglio addosso.
E’
un abito bianco, semplice, con chiusura a fascia sotto al petto.
Io ed Elisabeth abbiamo la stessa taglia.
Sorrido,
poi come una bambina giro su me stessa facendo svolazzare il pizzo della gonna
dell’abito.
Mi
sento stranamente felice.
-“C’e
qualcuno?!”-.
Una
voce irrompe dalla quiete del corridoio.
Per
un attimo ho paura e vergogna di me.
Cerco
di nascondermi, poi mi porto verso l’uscita, cercando di non fare rumore.
La
sagoma di un uomo, si avvicina minacciosamente al corridoio dov’è
la mia stanza; ho paura, ma l’istinto di scappare è più
forte di tutto.
Schizzo
via, trovandomi faccia a faccia con quell’uomo.
-“Sibilla,
sei tu?!”-.
Ho
gli occhi un po’ annebbiati, mi sforzo di guardalo
bene e finalmente riconosco in lui una faccia amica.
-“Oh,
Frank!”-.
-“Cara,
tutto bene?! Sembri spaventata a morte!”-.
-“Oh
sto bene…- Mi guardo per un attimo, avvampo di vergogna-“ perdonami
se ho fatto irruzione qui, senza permesso ma… mi
è successa una cosa irreale e…”-.
-“Sibilla
calmati mio Dio! Ti farai venire un infarto!”-.
-“Frank, ho bisogno di sedermi un attimo.”-.
-“Sì,
lo penso anche io.”-.
Mi
ha presa sotto braccio, portandomi nel soggiorno.
Ha
scaldato dell’acqua servendoci del the.
Mi
spiega con la sua solita tranquillità, che gli capita spesso di
ritornare in questa casa, per tenere curato il giardino.
-“E’
una villa molto bella.”-.
-“Era
di mio padre. La fece costruire apposta per mia madre. Sai, lei amava la
lavanda e mio padre amava lei. Questo era il monumento del suo amore.”-.
-“Doveva
amarla davvero tanto allora.”-.
Frank non risponde, guarda basso il
pavimento.
-“Oh
cielo! Sono stata indelicata, scusami Frank sono un
vero disastro.”-. Mi alzo di scatto, portandomi
verso l’uscita. Mi sento un idiota, una vera idiota.
Lui
si alza con me, afferrandomi per un braccio.
-“Non
devi preoccupartene. So che non l’hai fatto apposta.”-.
Mi
sorride, è un bell’uomo.
Un
bellissimo uomo. E’ attraente, ed il suo sorriso cela un non so cosa di
misterioso.
-“Dove
l’hai trovato questo?!”-. Mi sfiora il
colletto dell’abito.
-“In
un cassettone, in una delle stanze sul fondo.”-.
-“Mia
madre non faceva mai entrare nessuno in quella stanza.”-. Sorride divertito, prendendomi per mano e conducendomi
ci nuovamente.
-“Se
c’è qualcosa che ti piace, puoi prenderlo se vuoi.”-. Mi dice, appena entrati.
-“Oh
no, non voglio abusare ancora della tua gentilezza.”-.
Mi spoglio di quelle vesta, ripiegando delicatamente quell’abito
per non sciuparlo. –“Però c’è ancora qualcosa
che puoi fare per me…”-.
-“Cosa?!”-.
Mi fissa, con i suoi profondi occhi blu.
-“Dirmi
la verità, per esempio.”-.
-“Cosa
vuoi sapere. Sii più precisa.”-.
-“Voglio
sapere Frank, conoscere. Perché vedi io ho
conosciuto un uomo straordinario ed ho compreso i suoi insegnamenti, ma
perché quell’uomo ha voluto che io fossi
qui oggi, proprio non lo so.”-.
-“Vediamo
se posso aiutarti…”-.
Mi
ha presa nuovamente per mano, facendomi sedere in terra e porgendomi alcuni
scritti.
-“Vedi
questi?! Sono formule, druidi, incantesimi.”-.
-“Adesso
sono io, a non capire dove vuoi arrivare.”-.
-“Elisabeth
la rossa. Elisabeth dai ribelli capelli rosso tiziano, si diceva fosse figlia di una zingara, allevata
nella alcova di maghe e fattucchiere, prima d’essere abbandonata in
orfanotrofio. Da bambino non capivo perché la mia mamma perdeva
innumerevole tempo a chiudersi in questa stanza, finche un giorno non la spiai;
aveva i capelli legati e difronte a lei innumerevoli
monili d’oro disposti su di un tavolo. C’erano candele tutto
intorno, ed incensi che creavano un fumo denso e scuro. E lei, parlava un lingua a me incompresa.
Quel
giorno, capii che i discorsi dei grandi su mia madre, non erano poi così
sballati.”-.
-“Il
fatto che una donna abbia amato i riti esoterici, non significa che fosse una maga, Frank.”-.
-“E’
quello che ho creduto anche io, finche non siete sopraggiunti tu e
Victor.”-.
-“Cioè?!”-.
-“Leggi
questo.”-. Mi porge un quaderno, ricamato sul
fronte e ingiallito dal tempo.
-“E’
il suo diario… non credo sia giusto.”-. Lo
sfoglio distrattamente, per poi riconsegnarglielo.
-“Parla
della sua vita, i suoi pensieri più profondi. E c’è Victor.
Il loro incantesimo d’amore e il loro rito per non spezzarlo mai.”-.
-“Cosa
centra Victor?!”-.
-“Lei
lo ha tenuto con sé, per sempre. Un pomeriggio, passato
ad annoiarci non sapevamo che fare, così
cita lei, gli ho tolto una goccia di sangue in segno del suo amore e ne ho
fatto la nostra pozione d’amore. Così, resteremo sempre uniti,
ovunque andremmo. Nessuno può dividerci, sebbene il tempo e lo spazio ci
sono nemici, ma io sono sua e lui sarà per sempre mio. Il sangue chiama
sangue.”-.
Rabbrividisco,
eppure tutto ciò che ho vissuto fino a qui, non dovrebbe farmi essere
scettica.
Conto
davvero i brividi, che pervadono la mia pelle.
-“E’
assurdo Frank.”-.
-“Non
lo è Sibilla, mi sono reso conto che l’ho sempre saputo.”-.
Lo
guardo enigmatico, cercando di leggere nelle sue parole.
-“Pensare
che avevo avuto sempre dinnanzi agli occhi, quel ciondolo che portava al collo.
Ignoravo che dentro vi fosse l’essenza del loro amore, la chiave di
tutto.”-.
Il
sangue chiama sangue, questa frase ribatte nella mia testa incessantemente.
D’improvviso,
tutto mi sembra più chiaro.
Come
un raggio di sole, sparato nel cielo tempestoso.
Frank, in tutta la sua vita ha cercato molto
più che la sua Elisabeth.
-“Frank... non dirmi che tu…”-.
-“Sono
figlio suo, Sibilla.”-. Mi stringe le spalle,
mi guarda disperato-“ Quando ti ho vista bussare
alla mia porta e fare il suo nome, ho temuto di morire in un secondo”-.
-“Tu,
sapevi tutto?!”-.
-“Non
poteva che essere così, Sibilla.”-.
Sono
davvero scioccata.
Senza
parole.
Ma
come potrebbero mai riempire il caos nella mia testa, due sciocche e insulse
parole?
Frank è il figlio naturale di Victor,
ed Elisabeth quando partì sapeva di essere incinta; sigillare il legame
suo con quello di Vic, era l’unico modo per far
sì di farlo tornare a se.
Si
sarebbe gridato allo scandalo, l’avrebbero messa alla gogna ancor prima
che per le sue fattezze così poco convenzionali.
E
forse, si sarebbe data colpa proprio a quei suoi ricci, capelli rossi.
-“Ero
convinto che tu sapessi, ma dovevo capirlo dal nostro primo incontro in
ambulatorio, che non era così.”-.
-“Victor
mi ha tenuta all’oscuro di tutto.”-.
-“Neanche
lui sapeva.”-.
-“Neanche
lui?!”-.
-“E’
stato qui tempo fa. Quando mi ha visto, gli è gelato il sangue nelle
vene.”-.
Povero
Victor.
Una
vita intera a correre dietro ad un amore, ignaro di dover coglierne poi anche i
frutti.
Per
un attimo provo tristezza; sarei voluta essergli accanto in quel momento.
Ma
forse, non ho nulla da rimproverarmi, mi ha tenuta fuori per proteggermi anche
stavolta, il mio povero dolce Vic.
-“Questa
storia è così assurda, sovrannaturale, io non credo di aver
sentito mai tanto in tutta la mia vita!”- Lo guardo un po’ troppo
sovreccitata, ma la foga è tanta –“ e credimi, la mia vita
è paragonabile ad una telenovela!”-.
Riesco
anche a sorridere e sciogliere le tensioni.
Lui
si associa alla mia risata, lasciandosi distendere cullato da finta
serenità.
-“Avanti,
chiedimelo pure.”-. Lo sto fissando da un
po’, arrossisco al pensiero che mi abbia scoperto,
letto dentro.
-“Insomma
un uomo come te, figlio di due persone un po’ speciali… mi stavo
chiedendo se…”-.
-“Sai
Sibilla, chiamarla magia non mi è mai piaciuto troppo. Mi ritengo una
persona speciale sì, proprio come hai detto tu.”-.
-“Ed
io che pensavo fosse pazza, la gente che andava
farneticando certe cose…”-.
-“Io
non posso raccontarti che se mi gettassi giù da un palazzo di dieci
piani, magicamente mi spunterebbero le ali, ma che riesco a sentire le persone,
ciò che hanno dentro nel loro profondo e nella loro intimità,
questo sì.”-.
-“Proprio
come tuo padre.”-. Sorrido, che
“potere” fantastico ha ereditato quest’uomo.
-“Noi
potremmo fare molto insieme, cara Sibilla.”-.
Mi stringe teneramente la mano nella sua.
-“Noi?!”-.
Mi scanso, so che non vuole essere invadente, ma non riesco ad evitarlo.
-“Sì
io e te.”-. Sorride, vagamente imbarazzato.
-“No
Frank. Questo è il tuo destino, la tua vita.
Io non centro nulla con questo mondo, ho la mia vita che mi attende.”-.
-“Quindi,
tu te ne andrai?!”-.
-“Sì,
devo mettere in pratica gli insegnamenti di tuo padre, ma lontano da
qui.”-.
-“Perdonami,
sono stato invadente e…”-.
-“Cosa?!
Cosa… tu mi hai aiutato tantissimo invece. Tuo padre lo ha fatto, tua
madre, io vi sarò grata in eterno per questo. Prima d’arrivare qui ero uno straccio, una persona senza un anima, vuota
dentro. Mi avete aiutata a colorare la mia intimità, dare un senso a
tutto quello che mi circonda e il coraggio, d’osare.”-.
Quelle
furono le ultime parole che scambiammo, in quella casa.
Frank mi aiutò a recuperare i miei
bagagli e prenotarmi un taxi per tornare finalmente a casa.
-“Ah,
Frank!”-. Mi sfilo le chiavi di tasca,
facendole penzolare alla sua vista.
-“Tienile.
Sono anche tue adesso. Nel mio paese, vige il culto
dell’ospitalità, così ogni volta che vorrai rifugiarti qui,
saprai dove andare.”-.
Lo
guardo commossa, trattenendo appena le lacrime.
Sono
stata bene qui. Davvero bene.
Ma
a ogni modo, c’è il futuro che mi chiama, ed io non voglio farlo
aspettare.
-“Rispondi … rispondi amore
mio…”-.