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Autore: Doralice    13/02/2012    6 recensioni
Piccola, azzurra aleggia
una farfalla, il vento la agita,
un brivido di madreperla
scintilla, tremola, trapassa.
Così nello sfavillio d'un momento,
così nel fugace alitare,
vidi la felicità farmi un cenno
scintillare, tremolare, trapassare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Mpreg, Tematiche delicate
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Due

~

Di come una mente aperta non sempre sia sufficiente


La vita è proprio strana.

Ti mette in mano carte

che puoi leggere solo dopo averle giocate

o solo dopo che altri le giocano per te.

Christiaan Barnard –



Ventiquattro sterline e sei penny. –

Sherlock pagò e afferrò il sacchetto di carta che la commessa gli porgeva. Ignorando la sua espressione falsamente disinteressata, salutò e uscì a grandi falcate dalla farmacia.

Che sollievo. Il sacchetto stretto tra le dita gelide, respirò a pieni polmoni l'aria fredda mentre faceva ritorno a casa. Meglio lo smog londinese che il nauseabondo tanfo di medicinali che impregnava l'aria là dentro. Aveva seriamente rischiato di vomitare sul bancone.

In quei frenetici giorni, un'ipotesi inaspettata e altrimenti del tutto implausibile s'era gradualmente tramutata in idea concreta, se non in certezza. Sherlock aveva lasciato che si facesse strada nella propria coscienza come un tarlo lento e paziente, rinforzato ogni giorno dal nutrimento che egli stesso gli dava. Nutrimento costituito da un preciso corollario di sintomi, tutti inequivocabilmente ricollegabili ad un'unica, lampante causa.

Dopo tre settimane, comprese che una risposta – non certo la risposta definitiva, ma per lo meno un'abbozzo di vaga risposta – poteva averla soltanto in un modo.

Si augurò solo di poter evitare le domande di John. Fortunatamente, in quei giorni era impegnato con una nuova fiamma – Amanda la logopedista. Per cui con ogni probabilità non si sarebbe accorto di niente. Dopotutto, non si era accorto di niente fino ad allora, perché mai avrebbe dovuto adesso?

Mentre rimetteva piede al 221B e si chiudeva la porta alle spalle, Sherlock lottò per un momento con l'illogico fastidio che quell'ultima constatazione gli dava. Ma fu solo un momento, per l'appunto. Lui non aveva bisogno di John. Non aveva bisogno di nessuno.


John era un medico. E prima ancora era andato al college. Il caratteristico rumore che fa una persona quando da di stomaco non era difficile da identificare, per lui.

Stirò le labbra e si accigliò per il disappunto quando, dalla soglia del bagno, vide Sherlock piegato sulla tazza. Stava cacciando fuori anche l'anima. Con tutte le volte che aveva preteso il suo aiuto per delle colossali idiozie, proprio adesso che aveva – letteralmente – bisogno di una mano, non s'era degnato di chiamarlo.

Cosa ci fai qui? – rantolò tra un conato e l'altro quando sentì la sua mano reggergli la fronte.

John gli passò un braccio sotto l'ascella a sostenerlo: – Cambio di programma. –

Amanda gli aveva dato buca. Sherlock alzò lo sguardo su di lui e, con suo sommo fastidio, John scoprì che anche così, sporco di vomito e pallido come uno straccio e barcollante, riusciva a dargli ad intendere che poteva dedurre anche il numero di scarpe dell'istruttore di ginnastica per il quale Amanda l'aveva scaricato.

John distolse lo sguardo e continuò a sostenerlo mentre lui finiva di rigettare. Lo aiutò poi a rimettersi in piedi, visto che le gambe non lo reggevano granché. Abbassò la tavoletta e ce lo fece sedere sopra. Sherlock si lasciò andare contro lo parete, esausto. A John non piaceva per niente quel pallore su cui spiccavano le occhiaie violacee. Bagnò un asciugamano con dell'acqua fredda e glielo passò sulla faccia.

Non c'è... bisogno. – biasciò con ben poca efficacia.

John grugnì un secco “Mhm”. Ma ringraziare, per una volta, era troppo faticoso? “Grazie, John, perché nonostante io dimostri puntualmente di essere un coglione, tu ci sei sempre per me”.

Con un sospiro frustrato, gettò a terra l'asciugamano sporco. E quello cos'era? John s'irrigidì e batté le ciglia, perplesso. Lo raccolse e, sì, era definitivamente un test di gravidanza.

E questo a chi l'hai rubato? – fece rigirandoselo tra le dita.

Sherlock si aggrappò al lavandino, facendo leva per alzarsi. Aprì rubinetto e tuffò la testa sotto il getto freddo.

È mio. – gorgogliò dopo aver sputato una boccata d'acqua.

John sbuffò una risata, il sopracciglio scetticamente inarcato. Chissà per quale assurdo esperimento gli serviva? Niente di serio, quello era certo, visto che aveva trovato lo stick abbandonato sul pavimento.

È sbagliato. – constatò un po' scioccamente, scotendo la testa davanti a quell'improbabile doppia lineetta rossa.

Aprì il cestino per buttarvelo dentro. E tirò indietro il capo per la sorpresa. Ma quanti ne aveva fatti?

Tutti sbagliati. – si chinò a frugarci in mezzo – Che cos'è, una ricerca sulla fallibilità dei test di gravidanza? –

John. –

...nove, dieci, undici dodici. Sì, aveva contato bene: erano dodici test.

Dove hai trovato l'urina per fare dodici test?! –

John. –

Gesù... spero che tu non sia andato nella farmacia qua di fronte. – considerò richiudendo il cestino e alzandosi, gli occhi fissi sgranati sul coperchio chiuso – La ragazza alla cassa è carina e pensavo di chiederle di uscire, ma... –

John. –

Cosa? – sospirò alzando lo sguardo verso lo specchio.

Sherlock lo fissava serio attraverso il riflesso.

Non sono sbagliati. –

La testa di John si abbassò lentamente, le sue sopracciglia si inarcarono fin quasi all'attaccatura dei capelli. Non aveva la minima idea di cosa avesse preso, ma doveva essere qualcosa di forte. Una serie di impronunciabili nomi e formule riemersero dall'angolo in cui li aveva accatastati da tempo e che era sicuro di aver dimenticato nonappena dato l'esame di farmacologia. Comunque, se Sherlock era arrivato a questo punto, doveva intervenire e doveva farlo subito.

D'accordo. – disse con calma.

Ignorò la sua espressione d'esasperazione e lo prese per un braccio, portandolo con ferma gentilezza fuori dal bagno.

Sei disidratato. – sentenziò – Devi bere. Ma prima mangia qualcosa di secco, per la nausea. –

John, ti ricordi Baskerville? – gli chiese.

Lo condusse in soggiorno e lo fece sedere su una poltrona. Andò quindi a cercare qualcosa da fargli mangiare.

Certo. – rispose dalla cucina.

Ricordi cosa ha detto la dottoressa Stapleton? – lo sentì dire.

Non ricordo nemmeno che faccia ha la dottoressa Stapleton. – ribatté seccato.

John frugava ovunque: possibile che in quella cucina ci fosse qualsiasi cosa, in particolare roba di origine illegale, tranne del cibo?

– “Qui facciamo un po' di tutto. Se una cosa la si può pensare, c'è qualcuno che la sta facendo”. – recitò Sherlock.

E finalmente John trovò qualcosa: del pane. Poteva andare. Preparò anche un bicchiere d'acqua.

È questo che ha detto. – concluse Sherlock, guardandolo dalla poltrona mentre lui tornava dalla cucina.

Davvero? – fece porgendogli il pane, scrutando con occhio clinico il suo aspetto – Ecco, mangia. –

Lui fece una smorfia disgustata e allontanò la sua mano, mugugnando un infantile “Non lo voglio”.

John alzò gli occhi al cielo e con infinita pazienza insisté: – Vomiterai ancora... mangialo. –

Sherlock gli prense di mano il pane e lo addentò con poca convinzione, la smorfia ora tramutata in broncio.

Evidentemente stava lavorando ad un progetto per rendere fattibile la gravidanza maschile e in qualche modo io devo essere venuto a contatto con gli intrugli che stava sperimentando sulle sue cavie. –

Ma di cosa stava parlando? Ah, già. Quella dottoressa di Baskerville. Sforzandosi di non apparire troppo derisorio – dopotutto Sherlock era malato, o comunque stava male, insomma era un suo paziente – John annuì.

Evidentemente. –

Oh, al diavolo!

Insomma, che altro può essere? Hai dato di stomaco un paio di volte... è l'ovvio sintomo di una gravidanza ai primi stadi. Voglio dire, perché mai dovrebbe trattarsi di un noioso virus intestinale o di una banale intossicazione alimentare? Dopotutto, tu sei Sherlock Holmes. Anche il comune atto di vomitare, per te, deve avere cause uniche e misteriose. –

Notevole prova di sarcasmo, John. – Sherlock mandò giù il boccone che stava masticando e gli scoccò un'occhiata di sufficienza – Hai finito? Se permetti, adesso t'illustrerei la mia situazione. –

Trattenendo una risatina, John si accomodò sulla poltrona davanti a lui, pronto a godersi lo spettacolo.

Non ho dato di stomaco “un paio di volte”, sono tre settimane che sto piegato sulla tazza. Tre, John. Un po' troppe per un'intossicazione, non credi? E troppo poche per un virus. – gli spiegò concitato.

John si limitò a fare un vago “Mhm” e spinse con una mano il bicchiere verso di lui. Sherlock lo buttò giù con un unico sorso.

E ho la nausea ogni mattina. – riprese immediatamente – E nonostante questo, ho una fame che divorerei con gusto persino il polpettone della mensa del St Barth. –

John assunse un'espressione seria e si sporse verso di lui: – Quello del giovedì? Con lo sformato di patate come contorno? –

Quello. – annuì gravemente.

Be', questo è grave. – John si umettò le labbra e saettò gli occhi qua e là, fingendosi assai preoccupato – Sono decisamente voglie. E probabilmente aspetti due gemelli. –

Il volto di Sherlock si pietrificò in una maschera di profonda offesa.

John, per l'amor del cielo, fai uno sforzo e apri quella tua piatta mente da soldatino! Eliminando l'impossibile... –

Ah, no, Sherlock! – alzò le mani – Mi spiace, stavolta non attacca. Ad aprire troppo la mente si rischia di far cascare fuori il cervello.

Vuoi per lo meno provare ad essere serio, per un momento? – ribatté petulante – Che mi dici della costante sonnolenza? –

John si avvicinò e gli prese il polso.

Non sono mai stato così serio. – borbottò, gli occhi fissi all'orologio per contare i battiti. Aveva una leggera aritmia.

La sonnolenza potrebbe forse avere a che fare con il fatto che, invece delle otto ore canoniche, ne dormi, di norma, a malapena tre? – suggerì ironico, prendendogli il volto tra le mani e abbassando le palpebre inferiori con i pollici, controllando l'irrorazione del sangue – Dobbiamo chiamare Baskerville, chiedere se quelle tossine hanno effetti collaterali a lungo termine. –

Chiamare Baskerville! – Sherlock lo afferrò per le mani, allontanandole, e si alzò con aria baldanzosa.

Mosse un dito contro di lui: – Questa è la prima cosa intelligente che dici, John. –

E scappò in camera sua, ostentando un'energia improvvisa nonché ingiustificata.

Lo prenderò come un complimento. – sbuffò correndogli dietro – Cosa stai facendo? –

Sherlock non si era premurato di chiudere la porta e si stava cambiando dietro l'anta aperta dell'armadio.

Mi vesto. –

Lo vedo. – John distolse lo sguardo, inspiegabilmente imbarazzato.

Insomma, era un medico, quanta gente nuda aveva visto? Per non parlare delle docce comunitarie ai tempi dell'esercito.

Per andare dove? – decise di chiedergli mentre riemergeva finalmente vestito – Sherlock, sei malato. Dovresti... –

Dovrei andare a farmi visitare nel più avanzato centro di ricerca del Regno Unito. – concluse garrulo, schizzando fuori dalla stanza come una trottola impazzita, facendolo arrancare dietro di lui – Era questo che volevi suggerire, giusto? –

Giusto. Precisamente. – esalò John, scrollando stancamente le spalle e seguendolo di sotto.

Afferrò il cappotto e se lo infilò con gesti secchi.

Guido io. –


Eccoti qua, Jacqui. – mormorò Sherlock, lo sguardo illuminato.

Il profilo completo della dottoressa su Linkedin. Facile.

Aspetta, – obiettò John – e se informa i suoi capi? –

Sherlock roteò gli occhi verso di lui mentre il pollice componeva veloce il numero di cellulare.

Rischiando di perdere il lavoro ed essere radiata dall'albo per aver causato un incidente di tale portata e la conseguente catastrofica fuga di notizie? Lo escludo. –

Mhm. Già. –

Sherlock selezionò il vivavoce e agganciò il cellulare in un vano del cruscotto.

Fai parlare me. – avvertì John, che rispose con un “È tutta tua”.

Tuu-Tuu squillò per un po'.

Pronto? –

Dottoressa Stapleton. – si annunciò cordiale.

Signor Holmes? È un piacere sentirla. –

Sherlock alzò le sopracciglia in un comico ammiccamento. Dubitava fortemente che, una volta informata su quando stava succedendo, il suo entusiasmo si sarebbe mantenuto inalterato.

Cosa posso fare per lei? –

Per caso negli ultimi tempi le è capitato di lavorare ad un progetto sulla gravidanza maschile? –

Silenzio.

Dottoressa? – la richiamò, senza riuscire a reprimere una nota comica nella voce – Jacqui? –

Usa sempre tutta questa diplomazia?

Le labbra di Sherlock si piegarono in un sorrisino: – Me ne faccio un vanto. –

John volse la testa al finestrino e borbottò qualcosa a mezzabocca, dimenandosi sul sedile. La comunione di sentimenti che aveva con la dottoressa gli avrebbe certamente creato dei problemi, considerò adocchiandolo.

Non posso parlarne al telefono. –

Comprensibile. Per questo sto venendo a Baskerville. –

Aspetti... adesso? –

Se Maometto non va alla montagna... –

Fra quanto sarà qui? –

La aspetto per pranzo, dottoressa. – Sherlock si sporse dal sedile con aria soddisfatta e prese il cellulare – A presto. –

Lei ricambiò il saluto – gli parve di sentire una nota di disperazione nella voce – e chiuse la chiamata.

Non riuscì – né aveva la minima voglia – di trattenersi, per cui lo disse e basta, e anche con somma soddisfazione.

Come puoi constare, John... –

Sì, sì. – lo interruppe annuendo con aria contrariata, lo sguardo accigliato fisso sulla strada che si dipanava dritta davanti a loro – Sta certamente sperimentando... roba sulla... gravidanza... –

Sherlock lo guardò divertito: – Cosa c'è? –

Mi fa strano, va bene? – ammise John, levando una mano dal volante.

Come se ci fosse bisogno enfatizzare il disagio che gli provoca tutto questo. Era abbastanza buffo. E tenero, sì, Sherlock si concesse di pensare che era anche tenero.

Mandiamo uomini sulla Luna, – obiettò tranquillamente, giusto per studiare la sua reazione – creiamo energia scindendo l'atomo... –

È diverso. – disse fermamente.

Hai ragione. Gli animali non hanno lo shuttle, né le testate atomiche. L'intersessualità per lo meno è presente in alcune specie. – gli fece notare.

– “Alcune specie”, hai detto bene. – ribatté lui, le mani ora strette entrambe convulsamente sul volante – In quella umana, no. –

Non fare il borghese reazionario, adesso. – lo rimproverò.

Io non faccio...! – John si morse la lingua – Ti ricordo che mia sorella è lesbica e si è pure sposata con una donna. Sono l'ultima persona al mondo che... –

Era davvero troppo, troppo tenero. “Stupidamente tenero” era una definizione che rendeva abbastanza bene l'idea. Quasi ne soffriva, Sherlock, di causare tutta quell'agitazione nel suo povero, sentimentale John.

John, non c'è bisogno che ti giustifichi. È del tutto normale. – lo rassicurò – Ognuno di noi ha dei limiti e sarebbe impensabile accettare di buon grado qualcosa che nemmeno ci siamo mai immaginati potesse accadere. –

John gli lanciò un'occhiata in tralice, con un'espressione che sapeva di confusione, e mosse appena le labbra. Ma dovette ripensarci, perché non disse niente. Salvo poi ruotare appena la testa, come a rivalutare l'idea.

Non è che non l'ho mai immaginato. – se ne uscì.

Parlava lentamente, come se avesse paura di quello che lui stesso stava dicendo, quasi lo stesse realizzando in quell'esatto momento.

È solo... insomma, era una cosa che faceva parte di... un lontano futuro utopico. Sai, assieme ai viaggi a curvatura e alle spade laser e agli androidi delle colonie extramondo. –

Correzione: niente “come se” o “quasi”. Quell'aria adorabilmente confusa gli confermava che John stava tentando di aprire la sua piccola mente e, nonostante tutto, Sherlock ebbe la capacità di apprezzare il suo sforzo.

Tre citazioni in un colpo solo, John. Sei proprio un nerd. –

John gli rivolse uno sguardo compiaciuto e annuì.

Grazie. –


Neanche due minuti che erano entrati nella zona senza campo. Le casse sputavano degli sfrigolii senza senso e le dita di John presero a tamburellare nervosamente sul volante. Spostò una mano a regolare la radio, ma niente. La spense. E non avevano nemmeno portato dei CD, come poté constatare frugando nel cassetto del cruscotto.

Non ci voleva: mancava ancora più di un'ora a Baskerville ed era stanco e impensierito. Aveva bisogno di distrarsi.

Sherlock. –

Un grugnito.

Stai dormendo? –

Un altro grugnito, un po' più forte del primo.

Si stiracchiò sul sedile: – Adesso non più. –

Scusa. – borbottò.

Dimmi che non mi hai svegliato per poi chiedermi scusa perché mi hai svegliato. –

John sospirò, deglutì e sospirò ancora. Aveva come la sensazione di aver fatto una gran cazzata.

Stavo pensando... –

Mhm? –

Se fosse... – si schiarì la voce – Dando per assunto che sia vero... –

È vero. –

La sensazione di aver fatto una cazzata si acuì notevolmente. Iniziava a mancargli lo sfrigolio della radio che non prendeva.

Teniamoci il dubbio finché la Stapleton non ci da qualche conferma, vuoi? – suggerì cautamente, più rivolto a sé stesso che a lui.

Come preferisci. – sospirò Sherlock – “Se fosse vero che sono incinto”...? –

Se fosse vero... – John soffiò via l'aria e si concentrò sull'interessantissima linea bianca che divideva la statale in due corsie – Chi è... uhm... il fortunato papà? –

Io. –

John alzò gli occhi al cielo.

Hai capito cosa intendo. – disse irritato.

Ma certo. – Sherlock lo guardò scotendo la testa comicamente – È troppo spassoso prenderti in giro, John. –

Oh! Ah, ah. Divertente. – replicò offeso.

E notando che quell'idiota non si decideva a dargli una risposta, incalzò: – Allora? –

Lì a fianco, poté sentirlo distintamente, John. Sherlock prese un profondo respiro. E quando rilasciò l'aria, fu consapevole del suo sguardo addosso. C'era una tensione tutta nuova, adesso, dentro quell'auto.

John si decise dopo un'eternità a voltarsi casualmente a guardarlo, con l'espressione ingenua di chi proprio non comprendere questa reiterata assenza di risposte. “Allora” avrebbe dovuto comunicare il suo sguardo. Ma questa comunicazione non verbale venne stroncata dall'espressione di Sherlock.

Venne stroncato anche altro. Tipo il fiato di John e la sua capacità di mettere a fuoco la strada davanti a sé. Succede, quando il tuo cervello viene assalito da immagini e sensazioni che forse non sono solo gli echi di strani sogni influenzati da tossine e quindi... e quindi...

E quindi John inchiodò. Cosa che non parve minimamente scalfire Sherlock.

Non sei divertente. – annaspò, le mani aggrappate al volante e il respiro mozzo.

Io non ho detto niente. –

Eh, no! L'aria innocente non attaccava. Non con lui, non in quel momento, non su quel discorso.

Oh, sì che hai detto qualcosa! – John gli puntò un dito accusatore alla fronte – L'hai fatto con le sopracciglia. –

Davvero? E che cosa ti hanno detto? –

John ingranò la marcia. O almeno ci provò, perché non fece che grattare. Con una smorfia in volto, insisté e infine la ebbe vinta sul cambio. Ripartì.

John, che cosa ti hanno detto le mie sopracciglia? –

Se gli avesse dato un pugno sarebbe stato poco ortodosso? Va bene che forse era incinto, ma quando è troppo è troppo!

Io non c'entro in questa faccenda. – dichiarò, sentendosi immediatamente ridicolo e patetico e un altra dozzina di aggettivi umilianti di questo genere.

Oh! – Sherlock rise – La storia più vecchia del mondo. –

Lo vide imbronciarsi e portarsi una mano al ventre: – Piccolo, il papà non ci vuole... dovrò mantenerti da solo. –

John strinse gli occhi, la bocca aperta per lo sdegno.

La finisci? – sibilò.

Il volto di Sherlock si aprì in un sorriso diabolico.

Mi sto divertendo un mondo! – dichiarò inarcando le sopracciglia.

Io no. – ringhiò John, sull'orlo di una crisi di nervi – Perché non vuoi dirmi... –

Perché lo sai già. –

Ecco, ecco cos'era che lo faceva uscire di testa di lui. Quella sua allucinante capacità di passare da uno stato emotivo all'altro, tenendoti costantemente sulla corda. Quella frase lapidaria, lanciata così, dopo quelle ultime battute, era stata una doccia fredda per John.

Lo sai già, John. – ribadì con il tono di chi, seccato, si trova a dover spiegare per l'ennesima volta un concetto lapalissiano ad un alunno particolarmente tordo – Ma continui scioccamente a sperare che tutto questo sia solo un'allucinazione, che da un momento all'altro ti risveglierai nel tuo letto e con sollievo potrai dirti “Ah, meno male, erano solo gli effetti collaterali delle progetto HOUND”. –

Analisi perfetta, doveva ammetterlo. Ma la povera, bistrattata coscienza del dottor John Hamish Waston, non si sentiva ancora pronta per questo.

Cosa... che vuoi dire? Io non so un bel niente! –

Era patetico nel suo pigolare quelle insignificanti pseudo-difese, e lo sapeva. Si sentiva addosso tutta la riprovazione di Sherlock, ingigantita nondimeno dalla propria. Ma che altro poteva fare?

La seconda notte a Baskerville. –

BOOM!

La bomba deflagrò nel petto di John, facendo a pezzetti ogni sua più piccola certezza.

Lui sapeva, aveva sempre saputo, ricordava ogni cosa. Sherlock ricordava ogni cosa. Ogni cosa. Era tutto così maledettamente confuso. Frammenti sconnessi di quella notte gli aggredirono le sinapsi, contribuendo a peggiorare la situazione, mescolando, senza soluzione di continuità, vergogna e piacere e incredulità e... e perché? Perché? Perché?! Si poteva sapere solo perché lui lo ricordava come un sogno?!

Allora non... non era...? – John batté freneticamente le palpebre nello sforzo di far uscire le parole – Credevo che fosse un sogno. –

Un sogno? –

La voce di Sherlock era chiara e ferma.

Sì, Sherlock, un sogno. – già era difficile articolare delle parole di senso compiuto, ci mancava solo che dovesse ripetersi – Perdonami se la mia ristretta mente da borghese reazionario non riesce ad accettare senza traumi l'idea che noi... –

Interessante che tu abbia scelto di definirlo proprio “sogno”. –

Scusa? –

John si azzardò a guardarlo. Pessima, pessima mossa.

Le parole sono importanti, John. – disse, gli occhi fissi nei suoi a sondare profondità che nemmeno John era consapevole di avere – Non lo capirai mai troppo presto. –

John distolse lo sguardo, tentò di chiudersi.

Non capisco a cosa ti riferisci. –

Ed era scioccamente sincero nel suo spudorato mentire.

Carino. Un cliché più elegante e meno abusato di “Non so di cosa parli”. –

La radio aveva ripreso campo. Non parlarono più per il resto del viaggio.

   
 
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