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Autore: Kristah    14/02/2012    1 recensioni
Questa è la storia di una ragazza. Kristah, che si è presa una cotta per il suo amico Daniel.
Sarà una storia composta da sette capitoli più un incipit. Un eventuale Epilogo alla fine di tutto.
Ogni capitolo (Incipit escluso) tratteranno un giorno della settimana. Partendo da Lunedì 9 febbraio, terminando il giorno di San Valentino, Sabato 14 Febbraio, per questo saranno capitoli abbastanza lunghi, perché tratteranno di una giornata intera, senza alcuno stacco.
Forma utilizzata: Terza persona, che segue la protagonista.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era lunedì mattina, e la sveglia di Kristah suonò puntuale, sei e trenta. Si decise a scendere dal letto, solo perché sentiva l’odore del caffè che sua madre aveva preparato. Scese le scale, facendo attenzione a non svegliare Adam e Chris, i suoi due fratelli gemelli di sette anni. Arrivò in cucina e si versò il caffè, si sedette sul divano e accese la TV; cercò di seguire una delle tante repliche di Buffy l’Ammazza vampiri, mentre sua madre preparava la colazione ai gemelli.

“Kristah! Mi hai capito?”, le chiese la madre guardandola con la mano sul fianco. Kristah scosse la testa e si voltò: “No, che hai detto?”
“Che oggi pomeriggio devi passare a prendere i gemelli. Non dimenticarlo.”Inutile discutere, avrebbe lasciato le prove mezz’ora prima, per andare a prendere Chris e Adam. Kristah annuì “Sì, capo, alle quattro e trenta davanti alla scuola”, poi si alzò, mise la tazza nella lavastoviglie e risalì di sopra, per prepararsi.
Alle sette scese, puntuale. Indossava un paio di Levi’s aderenti, sotto una felpa da ragazzo grigia scura. Si guardò allo specchio della sua camera, spruzzò il profumo e prese la cartella. “Mamma, esco!”
“Fa’ la brava!”, le disse sua madre. Kristah alzò gli occhi al cielo “Sto andando a scuola, non in giro con i miei amici a farmi le canne”, le ribadì ridendo. “Non dovevi uscire?”
“Agli ordini capo!”, chiuse la porta e sentì squillare il telefono. Numero sconosciuto. Sapeva già di chi si trattava, e non poteva non rispondere. “Kristah! Sbrigati, cazzo! Il pullman non aspetta te!”, sentì i suoi ragazzi urlare. “Sì, cari, sto arrivando. Ci siamo tutti?”, chiese svoltando l’angolo e arrivando alla fermata. Chiuse la chiamata e Matteo guardò il suo telefono, quasi sbalordito. “Mi … Mi ha chiuso il telefono in faccia! Io non ci credo!” “Ma ‘giorno anche a te, Teo!”, gli disse Kristah ridendo. Il pullman, intanto, stava arrivando e Kristah tirò fuori il suo abbonamento dalla tasca, lo mostrò all’autista salendo, e trovò posto sulle gambe di Teo, che intanto si lamentava: “Tu”, le disse indicandola: “Tu precludi le mie possibilità di trovare una ragazza, sei sempre seduta su di me!”
“Scusa, ma sai com’è, io sono follemente innamorata di te!”
Avrebbe tanto voluto dirle a Daniel, quelle parole, ma sapeva già che lui non avrebbe ricambiato. Rubò la cuffia dell’I-pod di Teo e si appoggiò alla sua spalla, ascoltando una vecchia canzone dei Good Charlotte. Chiuse gli occhi ed entrò nella sua fantasia più ricorrente: Daniel che le dava un bacio a San Valentino, ma del resto mancavano pochi giorni a quella inutile festa; passato quel giorno, la sua dolcezza e il suo romanticismo sarebbero tornati nella norma.

Arrivarono a scuola e scesero dal bus, ridendo come al solito delle cazzate senza senso che sparavano Marco e Luca. Daniel arrivò, come al solito, dieci minuti prima delle otto, sgommando con la sua Ducati. Luca e Marco si guardarono: “Daniel è arrivato!”, dissero, proprio mentre lui entrava nell’atrio della scuola, togliendosi il casco. Si avvicinò a loro e li salutò, uno per uno, senza soffermarsi troppo su Kristah, che stava rispondendo ad un SMS di Katia, la sua migliore amica, che stava arrivando in macchina, scortata dal suo neopatentato e superfigo fratello Giorgio. Daniel si passò una mano tra i capelli e poi schioccò le dita davanti al viso di Kristah, “Buongiorno, principessa!”.
Perché si era presa una cotta per lui? Nonostante si fossero promessi di non cadere nel tranello dell’amore, perché? “Giorno, D.!” gli rispose lei, mentre riceveva un bacio sulla guancia. Voleva sprofondare; voleva che la terra sotto ai suoi piedi si aprisse e la inghiottisse.
Fortunatamente la campanella suonò, così Marco e Luca la fiancheggiarono, e dissero: “Sciò, sciò, Daniel! Ora è tutta nostra! Via, vai nella tua classe, divertiti a fare il piccolo chimico, che a risolvere i problemi economici che gravano sul mondo ci pensiamo noi!”

Entrarono in classe, tutti e tre ridendo, perché Daniel li aveva minacciati, come sempre. Kristah appoggiò la sua cartella sul banco, con un tonfo sordo; e poi venne abbracciata da Katia, che aveva i capelli castani spettinati. “Uhm … Vieni dalla Dakar?” le chiese Kristah, mentre la sua amica si sdraiava sui tre banchi in mezzo alla classe. “Penso che mio fratello sia un po’ ritardato, sai?”. Kristah aprì la bocca per dire qualcosa che difendesse Giorgio, ma Katia la precedette: “E’ una domanda retorica, Kristah, non devi rispondere per forza” “Delle Torri, scendi da quei banchi! Non sei mica al mare, e non ti stai abbronzando grazie alla luce delle lampade al neon! E ti risparmio la nota solo perché è lunedì!”. Katia scese dai banchi e Kristah si sedette accanto a Marco, che però era ancora fuori a  fumare. “Perché io vedo la cartella di Matelda, ma non vedo lui? Me lo vuoi spiegare, Ambrosini?”, chiese il professore di economia a Kristah. Lei si alzò e disse: “Glielo vado a chiamare”, uscì dalla classe e andò sul retro della scuola, dove c’erano Marco, Luca e Giulia, una compagna di classe di Daniel che ridevano. Luca era stato più furbo di Marco; non aveva lasciato la cartella in classe, così poteva fingere di aver perso il pullman. “Perché Matelda non è in classe?”, chiese Kristah, imitando la voce del professore. “Perché si è chiuso in bagno a spararsi una …”, ma Luca non face in tempo a finire la sua frase, perché la Vans di Marco gli assestò un calcio negli stinchi. “Cazzo! Marco, sei scemo?”, ma invece di rispondergli, Marco sorrise e gettò la sigaretta a terra. “Meglio tornare in classe, prima che il signore delle scritture d’assestamento ci uccida! Cià Giù. Ehi, vieni giù all’intervallo?” chiese a Giulia, che stava salendo le scale esterne, per tornare nella sua classe. Lei scosse la testa “Penso di no, dopo l’intervallo ho una verifica! Ciao ragazzi!” concluse mentre saliva le scale. “Ciao!” ricevette in risposta dai tre, che rientrarono in classe, mentre il prof. faceva l’appello. “L’hai trovato Ambro … Oh, ma è arrivato anche il signor Fucci!”
“Sì, ho avuto problemi a parcheggiare la Morte Nera di Star Wars … Sa com’è!”
“Senti, Fucci, sono già incazzato, non aggravare la situazione”
“Scusi, prof.”, disse Luca sedendosi al suo posto, davanti a Marco e Kristah.

Le due ore di economia passarono velocemente, soprattutto perché erano stati costretti a fare un esercizio, che Marco e Kristah finirono in un’ora e mezza. Così, mentre Luca si metteva le mani nei capelli per la disperazione, Kristah e Marco conversarono un po’.
“Allora, che hai fatto sabato?” le chiese lui.
“Dovevo uscire con Katia, ma sono stata costretta a fare la babysitter, perché mia madre doveva lavorare.”
“Scusa, ma tua sorella?”
“È ancora in Messico, quindi tocca a me curare Adam e Chris. Ma tu invece, che hai fatto?”
“Sono uscito e siamo andati all’Irish Pub qui vicino, ma niente di che. Più che altro mi hanno messo in punizione.”
“Rientrato tardi?”, Marco annuì. “Sai com’è mio padre. Sempre fissato con il coprifuoco. Sono tornato sette minuti dopo! Sette!”, le sussurrò, per evitare che il prof li sentisse. “Per quanto?”
“Un mese senza uscire il sabato sera. E in più non posso provare con la band per due settimane”; Marco era il batterista di un gruppo che si esibiva nei pub nelle vicinanze del loro paese. “E come l’hanno presa?” “Al solito, sai … se non c’è uno, non si prova” terminò lui, prima che il prof facesse scadere il tempo e se ne uscì dalla classe, non appena era suonata la campanella.
La professoressa di tedesco entrò, e fortunatamente, si mise a spiegare i verbi di posizione, così Kristah si rilassò un po’ e quando sentì la campanella dell’intervallo suonare, impiegò qualche secondo per rendersi conto che la lezione era terminata.

Daniel entrò in classe mentre Kristah metteva il suo libro di tedesco nell’armadio. “Principessa!”, esclamò mentre le cingeva la vita con le braccia. Profumava di vaniglia, mischiato all’odore della candeggina del camice da chimico che indossava. Tutti sembravano degli stupidi con quei camici bianchi, ma non lui. Kristah si girò e lo abbracciò “Daniel!”. Si chiese nuovamente come mai si era presa una cotta proprio per lui. Il ragazzo meno indicato per lei! Prima di cadere in qualche argomento poco raccomandabile, i ragazzi e l’imminente festa di San Valentino, Kristah decise di prendere in mano la situazione. “L’ora dopo non hai un verifica o qualcosa?” gli chiese, mentre lo vedeva aprire la bocca sbalordito. “Oddio, ma sei della CIA, per caso?” Kristah scosse la testa divertita. “No, non sono come quell’idiota della mia compagna di classe, che camperà poco meno di vent’anni, tanto impicciona com’è! L’ha detto stamattina Giulia, mentre andavo a recuperare Marco, che era fuori a fumare.”
“Sì, comunque ho un test di chimica.”, disse Daniel alzando gli occhi al cielo. Kristah rise e prese il suo portafoglio, lo sventolò davanti agli occhi di Daniel e disse: “Io ho una fame da lupi. Quindi vado al bar a prendere una focaccia, mi accompagni o ti devo pregare?”, senza farselo ripetere due volte, erano già nel seminterrato della scuola, in fila alla cassa del bar, per acquistare una focaccia decisamente insalubre e oleosa. Dopo aver comprato la focaccia, Kristah e Daniel uscirono nel cortile, dove trovarono i ragazzi che parlavano allegramente e finivano le loro sigarette. Non appena Teo vide la merenda di Kristah le fu addosso, aprì la bocca e le fece capire a gesti che ne voleva un morso. “No. Perché dovrei nutrirti?” gli chiese, sorridendo e sottraendo la focaccia dalle sue grinfie. “Ah! Ambrosini, dammi un morso della tua focaccia! Ho una fame cane, cazzo!” alla fine Kristah cedette, e non appena Teo morse la focaccia, facendone fuori quasi la metà, la campanella  suonò. “Mh!”, disse Teo, dando un bacio sulla guancia a Kristah e tornando in classe, mentre alzava il pollice per ringraziarla. “Beh, forse è meglio se torno in classe, perché le mie verifiche non si fanno da sole!”, le disse Daniel, mentre si incamminavano per il corridoio. “E io devo correre in palestra, perché non si può fare una partita a pallavolo senza una giocatrice!”.

Kristah entrò in classe, prese la sua borsa con il cambio e la sacca di Marco, che aveva, come ogni settimana, scordato di prendere. Uscì dal retro della scuola e si incamminò in palestra. Marco e Luca la stavano aspettando fuori, sotto il portico. “Nevicherà”, le disse Marco, mentre prendeva la sua sacca e si incamminava per lo spogliatoio maschile. “E noi resteremo sotto la neve” gli rispose Kristah, raggiungendo Katia nello spogliatoio delle ragazze. La partita di pallavolo passò come tutte quelle precedenti, non era una partita di pallavolo giocata come si doveva, se Kristah non si buttava per terra per recuperare una palla e si faceva male. Così era stato, anche quella lezione. Si era ritrovata in braccio a Marco, mentre la portava in infermeria. “Dio, ma Kristah, sei un danno!” le disse sorridendole, mentre l’appoggiava sul lettino bianco, e attendevano l’infermiera. “Ma almeno abbiamo vinto”, gli disse lei, mentre si guardava la caviglia. Era diventata viola e gonfia. –E ora come spiego a mia madre questo?- pensò Kristah, mentre si massaggiava la caviglia e guardava fuori dalla finestra. “Marco! Sta nevicando sul serio!” esclamò poi, vedendo i fiocchi di neve cadere e attaccarsi all’asfalto. “Attacca?” le chiese lui, mentre si sporgeva per guardare anche lui fuori dalla finestra. “Certo che attacca!” rispose loro Luca, che aveva portato la borsa di Kristah in infermeria e aveva preso un pacco di ghiaccio istantaneo e lo porgeva a Kristah. Si passò una mano tra i capelli, che erano diventati bianchi. “Oh, oh, oh! Buon Natale!!” disse Marco, spingendo il suo amico fuori dall’infermeria. “Kristah, noi andiamo, altrimenti quella demente della prof di geografia ci fa la ramanzina!”
“No, aspettatemi, vengo anche io! Tanto l’infermiera non c’è mai” disse Kristah alzando le spalle e scendendo dal lettino, appoggiando la caviglia sana al pavimento. Marco la prese in braccio di nuovo, nonostante le proteste vane della ragazza.

Non appena furono fuori dall’infermeria, Kristah pregò di sprofondare di nuovo. Questa volta non era perché aveva visto Daniel, ma perché aveva visto Davide, il suo ex, che forse andrebbe definito molto più che un ex. Il ragazzo che le aveva spezzato il cuore, dopo averle messo le corna con quella ragazza dai facili costumi della sua compagna di classe Ilaria. Non si erano più parlati, soprattutto perché Daniel lo aveva preso a pugni in discoteca, l’ultima volta che lui aveva provato a parlare a Kristah, ed era stato un miracolo se il suo amico non era finito in cella per una notte. Kristah strinse le braccia intorno al collo di Marco, e lui si accorse che c’era qualcosa che non andava. “Kristah?” le sussurrò all’orecchio, mentre la sentiva respirare profondamente. Davide le aveva lanciato una delle sua occhiate solite. Una di quelle occhiate che diceva chiaramente: “sei solo una delle tante”. Kristah sussurrò in risposta al suo amico: “Diciamo che vorrei scendere da qui e uccidere Davide con le mie stesse mani, anche se è passato un po’ di tempo”. Erano passati due mesi da quando loro due avevano rotto una storia durata poco più di quattro mesi, ma non era la storia che faceva male, quanto l’imbarazzo che ancora provava Kristah, quando si ricordava come lui l’aveva lasciata. Avrebbe fatto meno male un SMS. L’aveva invitata ad una festa, per poi farsi beccare a letto con Ilaria, nella camera degli ospiti della casa di lui. Una cosa positiva era stata la sua mancanza di scuse. Non aveva tentato in nessun modo di scusarsi per quello che aveva fatto; non aveva usato la solita cazzata: “Dio mio, non sapevo cosa stavo facendo, ero ubriaco fradicio, e sono finito a letto con lei, così”.
Era uscito dalla camera indossando solo i boxer e davanti a tutti le aveva detto chiaramente, forse un po’ troppo chiaramente: “Amore, non mi soddisfi. È stato bello finché è durato”, poi si era girato ed era tornato a letto con Ilaria.
Kristah era affondata nei ricordi, e Luca intanto si era messo dietro di lei, per evitare di farle vedere Davide.

Tornarono in classe un quarto d’ora dopo l’inizio della lezione, e la professoressa, bassa, tarchiata e grassa, che sembrava Roz di Monsters&Co della Disney, quella lumacona con gli occhiali da gatto, ecco, quella lì, esatto. Beh, comunque; la professoressa di geografia non li degnò nemmeno di uno sguardo, continuò a spiegare la sua inutile lezione sull’economia dei paesi in via di sviluppo. Kristah si sedette al suo posto, e sentì il telefono vibrare. –Dio, chi diamine è, ora?- si chiese, mentre lo metteva davanti all’astuccio per non farsi vedere dalla prof. Era Daniel “Mi hanno detto che ti sei rotta, è vero?”
Kristah si ritrovò a sorridere, e mentre la prof continuava la sua spiegazione, senza badare ai ragazzi che erano su Facebook con il loro telefono. Kristah rispose a Daniel: “Non mi sono rotta, mi sono semplicemente slogata una caviglia, niente di che.”
“Quindi suppongo che oggi alle prove non ci sarai?”
“Come potrei mai perdermi lo spettacolo dell’anno? Ho lavorato duro per avere quella parte, non sarà una partita di pallavolo a portarmela via! :)”
“Anche perché saremmo noi a non lasciarti andare via così facilmente! :)”
La loro conversazione continuò così per tutta l’ora di geografia. Fortunatamente ora mancava solo l’ora di religione, la più leggera di tutte.

Marco prese la sua cartella e la salutò.  “Ti devo aspettare alla fermata per darti una mano?” le chiese, molto gentilmente. “No, grazie Marco. Mica voglio che tu ti prenda l’influenza per colpa mia. Sta nevicando di brutto!”
“Mi raccomando. Dì a Daniel di non fare il figo e di andare piano quando andrete alle prove. Se ti rompe, poi ci penso io a sistemarlo, il signor Casella!”
“Va bene, va bene! Però adesso vai, Marco o ti perdi il pullman!”
“Ciao ragazzi!” dissero in coro tutti quelli che non facevano religione.
“Ciao!” ricevettero come risposta da quelli che restavano in classe un’altra ora.
La lezione di religione passò con un acceso dibattito tra Katia e il professore, una discussione che riguardava gli esseri sovrannaturali. Era stata una cosa tipo: “Prof, ma i vampiri, i lupi mannari, le streghe, i folletti e le fate esistono?” Il povero prof si era trovato a rispondere ad una domanda a cui nessuno, e dico NESSUNO aveva mai risposto seriamente. Così Katia e il professore avevano discusso sulla possibile esistenza di questi esseri.
Intanto la caviglia di Kristah era tornata normale, come tutte le settimane. Non le faceva più male e si era sgonfiata. –Meno male!- pensò lei.
Al suono della campanella Kristah era uscita quasi di corsa, per scendere al bar dove la stava aspettando Daniel. Katia fu costretta a correrle dietro, per riuscire a non farsi sfuggire l’amica. “Ehi Kristah! Ma dove corri?”
“Non so se hanno rinviato le prove! Medea non ha il mio numero di telefono, ha quello di Daniel, e se le hanno rinviate devo correre a prendere i gemelli, perché non so nemmeno se li hanno mandati a casa, per via della neve!” le urlò Kristah scendendo le scale per il seminterrato.

BOM!


Si trovò per terra, con il sedere dolorante, lei e Daniel si erano investiti a vicenda, e Katia se la stava ridendo allegramente. “Dio, ma dove correvi, principessa?” le chiese lui. “Da te, genio del male!” esclamò lei, scoppiando a ridere e tirandosi su. Intanto il vicepreside era sulla rampa di scale e li guardava severo. “Ambrosini, Casella e Delle Torri, volete venire a farmi visita nel mio ufficio, per caso?”
“Certo che no, professore, scusi. Togliamo subito il disturbo!”, e così dicendo, in coro come le vecchiette in chiesa la domenica mattina, Kristah, Daniel e Katia andarono nell’atrio. “Allora”, cominciò Daniel “le prove mi hanno scritto che sono rinviate” –Ottimo- pensò Kristah, si rese conto quasi immediatamente che avrebbe dovuto controllare se i suoi fratelli fossero usciti prima a causa della neve, che ormai aveva imbiancato le strade. “Devo proprio andare a vedere se la scuola di Chris e Adam è stata chiusa. Sarei dovuta essere lì già da un quarto d’ora!”, si voltò, ma Daniel le prese la mano. “Aspetta, Kristah. Ti … Ti ci porto io. È lontana dal capolinea del bus.”, gli disse rassicurante. “Ha ragione, dovresti andare”, la convinse Katia, che non aveva la minima idea di quello che provava l’amica quando vedeva Daniel. Il cuore che accelerava senza controllo, i pensieri che scalpitavano senza sosta. Era come se non fosse in sé. Nessuno lo sapeva, e nessuno avrebbe dovuto saperlo. Kristah si concentrò per rispondere in modo affermativo alla proposta di Daniel, senza guardare troppo le loro mani. “Okay, d’accordo. Mi raccomando Katia, appena sei a casa, mandami un messaggio, sai che sto in pensiero”
“Sì, mamma!” le rispose Katia mentre usciva dalla scuola e si avviava alla fermata del bus.

Kristah e Daniel, invece, uscirono nella neve, che raggiungeva le loro caviglie, ormai, e si diressero nel parcheggio degli studenti, decisamente imbiancato. Videro un paio di ragazzi di quinta che cercavano di far accendere la loro macchina, senza molto successo. Daniel accompagnò Kristah alla sua Ducati rossa fiammante, anche se la ragazza c’era salita decisamente tante e tante volte, su quella moto; che l’aveva portata a casa sana e salva, dopo una delle serate alcoliche in discoteca. La ragazza tornò al presente, infilandosi il casco che le offriva l’amico. “Allora, sei pronta?” le chiese lui, non appena Kristah fu salita sulla sella e non appena si aggrappò a Daniel con le braccia. Fortunatamente c’era il casco, altrimenti avrebbe seppellito la sua testa nel suo giubbotto antivento, inspirando l’odore di vaniglia che non lo abbandonava mai. In una decina di minuti erano arrivati davanti alla scuola dei fratelli di Kristah. Lei smontò dalla moto, restituendo il casco a Daniel, che intanto si era sfilato il suo. “Grazie mille, Daniel”, gli disse lei, mentre recuperava la sua cartella. Un tempo lo avrebbe salutato con un bacio sulla guancia, per il quale lui si sarebbe lamentato ridendo, perché lei gli aveva lasciato l’impronta delle sue labbra piene di lucidalabbra; ma farlo, con quel paesaggio, così perfetto per il bacio che si aspettava Kristah, sarebbe stato una pugnalata nello stomaco. Lui ci aveva fatto caso, ma non aveva detto nulla. – Chissà perché? – si chiese Kristah, ma non aveva tempo per pensarci, si girò e si avviò verso l’ingresso della scuola dei suoi fratelli. “Kristah!” le gridò Daniel. – oddio! ODDIO! – iniziò a pensare Kristah, perdendo il controllo. Si girò mentre il suo cuore scalpitava e la minacciava di uscirle dal petto. “Sì?” chiese timidamente. Voleva che lui smontasse dalla sua moto per darle un bacio, proprio come nei film, invece le speranze di Kristah erano vane. “Mandami un messaggio quando sei arrivata a casa. Sai che mi preoccupo anche io”
“Certo!”, disse lei, sorridendo e voltandosi nuovamente. Quando sentì le sua labbra curvarsi in un sorriso timido iniziò a pensare – DIO! Perché sto sorridendo? – stava morendo dentro. Era come se la speranza, che nonostante tutto era rimasta accesa fino a quel momento, si fosse spenta. Tutto d’un colpo.

Chiuse gli occhi, e rivolse il suo viso al cielo. Le lacrime cominciarono a scorrere lentamente. Una alla volta. E ogni lacrima era un ricordo felice che l’abbandonava. Ogni lacrima che rigava la sua guancia, faceva malissimo. Decise che piangere era una cosa vana. Doveva essere forte. Purtroppo ora non c’era Alina, sua sorella maggiore, la ragazza che più capiva tutto quello che Kristah provava. Entrò nella scuola dei fratelli e li trovò seduti nell’atrio a giocare a carte con la maestra. Si asciugò le lacrime con le maniche della maglia, per poi sorridere ai fratelli: “Ragazzi, cosa facciamo? Andiamo a casa?” chiese, quasi più alla maestra, che le sorrise e annuì. “Abbiamo preferito chiudere la scuola, per evitare un blocco totale questo pomeriggio” le spiegò l’insegnante, mentre i suoi fratelli prendevano le giacche e le cartelle e si avviavano verso l’uscita. “Ciao! Ciao Rosa!!” esclamarono in coro, uscendo dalla scuola, rivolgendosi alla maestra, mentre Kristah la salutò con un sorriso.
Si avviarono a casa, evitando accuratamente di non cadere, mentre i gemelli le raccontavano cosa avevano fatto durante la loro giornata. “E la maestra Rosa ci ha fatti uscire tutti per giocare con la neve!” le dissero in coro, mentre lei li ascoltava divertita. Arrivarono davanti alla porta di casa, che Kristah aprì senza difficoltà. “Chris, Adam! Prima di entrare in casa, levatevi le scarpe, e lasciate la cartella qui, altrimenti mamma s’arrabbia!”, li ammonì Kristah, per evitare che i gemelli corressero in casa come dei diavoletti e bagnassero tutto. Fortunatamente gli obbedirono. Il telefono si mise a vibrare. – Chi è ora? – si chiese Kristah, mentre lo estraeva dalla tasca. Mamma. –Okay, tipico – pensò mentre rispondeva alla chiamata della madre che urlò il suo nome per intero. “Kristah Isabella Denise Ambrosini! La scuola dei tuoi fratelli è stata chiusa per la neve! Voglio sperare che tu non sia in giro a fare l’idiota mentre i tuoi fratelli sono al freddo e al gelo!”, se c’era un cosa in cui la madre di Kristah era brava, era, senza ombra di dubbio, quella di farla sentire in colpa per qualcosa che non aveva fatto che riguardasse i suoi fratelli. “Madre” le disse lei con il sorriso sulle labbra. “Sono andata a prenderli non appena uscita da scuola. Stavano giocando nell’atrio con la maestra. Non erano al freddo e al gelo. Non viviamo in Alaska, per Dio!” concluse lei, sentendo che la madre si tranquillizzava. “Mh, bene. Non tradisci mai la mia fiducia”, sentiva un ma in arrivo. “Stasera sono costretta a lavorare fino a tardi, quindi puoi ordinare cinese oppure indiano, oppure una pizza. Niente amici a casa. Nessuno”
“Certo mamma!”, perché lei era veramente convinta che avrebbe invitato qualche ragazzo mentre i suoi fratelli erano in casa. Perché sua madre non sapeva cosa faceva mentre i gemelli erano al campo estivo tutto il giorno, e Alina era in giro a fare shopping con le amiche. “Va bene. Bacio. Mi fido di te. Ciao!”
“Ciao mamma”, le disse Kristah, sorridendo al telefono, chiudendo la chiamata. Lo aveva appena appoggiato sul mobile dell’ingresso che già si era rimesso a vibrare. – Dio, ma chi è? – pensava fosse di nuovo sua madre, che si era dimenticata di dirle qualcosa d’importante, invece vide il nome di Marco sul display. “Marco?” rispose al telefono incerta. “Ehi, Kristah … Ehm … Sì, sono io”, si sentiva sotto Luca che rideva come un pazzo. “Ma quello è Luca?”, Kristah sentì un tonfo, probabilmente Marco aveva dato a Luca un altro calcio negli stichi. “Sì” le rispose il suo amico con un sospiro “beh, volevo solo sapere se eri arrivata a casa tutta intera”, le confessò Marco. “Assolutamente sì, grazie per l’interessamento!”, poi improvvisamente Luca prese il controllo del telefono di Marco, ma si sentì un altro tonfo; probabilmente il telefono era caduto, e i ragazzi pensarono che si fosse spento, o che, come minimo, Kristah avesse messo giù. Invece la ragazza, che stava per riattaccare, sentì Luca dire all’amico: “Marco, non puoi andare avanti così, cazzo!”
“Luca, non posso presentarmi domattina e dirle, ehi, ciao, ti andrebbe di passare il San Valentino insieme? Perché sono cotto di te!” asserì Marco.
“Sì che puoi! Dio santo, non c’è nulla di difficile!”
“Luca, non posso nemmeno dirle che siamo sotto casa sua, perché io ero preoccupato per lei! NON POSSO!” gridò infine, lasciando probabilmente il telefono ancora a terra. Kristah riappese la chiamata, senza credere alle sue orecchie.

Finì di sistemare le sue cose e quelle dei gemelli in fretta e furia, poi accese la TV: “Christopher, Adam! Venite giù a vedere la TV, io devo parlare con Katia” e i ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, di solito era la sorella che aveva il controllo sulla televisione del soggiorno, uno schermo piatto quarantadue pollici in alta definizione; ma quel giorno doveva assolutamente parlare seriamente con Katia. Salì le scale di corsa, prese il telefono e urlò: “Se avete bisogno di qualcosa venite in camera mia! Okay?”
“Sì, sì!” le risposero i fratelli, probabilmente già assorbiti dai loro cartoni animati. Compose il numero di casa della sua amica, che rispose all’istante. “Se sei della televendita, io sono la donna delle pulizie, mi hanno detto di rispondere che non mi interessa”, stava per riappendere, mentre Kristah urlò: “No! KATIA! Sono io!”
“Oh, Kristah?” le chiese l’amica, prendendo il telefono. “Lo so, non ti ho mandato un messaggio ma sono senza soldi, ti prego non uccidermi.”
Kristah si buttò sul suo letto a due piazzo e si girò, fino a mettersi a pancia in giù. “Katia, ti devo parlare. Ho saputo una cosa importante. Molto, molto importante!” le disse tutto d’un fiato Kristah.
“Oddio, che è successo? Si tratta di Davide? Perché Luca prima m’ha detto che lo avete incrociato in corridoio e …”, ma Kristah la fermò.
“No, non si tratta di Davide. Si tratta di Marco. Ho sentito una cosa che non avrei dovuto sentire” “Racconta, non farmi stare sulle spine, Ambrosini!”, le ragazze si chiamavano per cognome solo quando erano serie, e dovevano dirsi delle cose importanti.
“Prima mi ha chiamato Marco, e mi ha chiesto se ero arrivata a casa sana e salva. No, non dire nulla, ne parliamo appena ho finito. C’era anche Luca, che se la rideva, ad un tratto Luca ha preso il telefono di Marco, e lo ha fatto cadere, e loro pensavano che la conversazione si fosse interrotta, perché poi Luca incitava Marco a dirmi che io gli piaccio. Ma non si può. Non si può proprio fare” “Wow. Cioè, tu piaci a Marco. Però no, questa cosa proprio non si può fare”, le confermò Katia. “Uscite nella stessa compagnia, e in più siete compagni di classe. No. È addirittura un doppio no! Perché poi quando vi lascerete … Non si può!” continuò a farfugliare l’amica. “Grazie, lo so anche io che non si può! Ma ora?” le chiese insicura.
“Io dico che devi fingere di non aver sentito nulla. Sarebbe peggio per tutti se loro scoprissero che hai sentito. Tanto domani a scuola non si va”
“È chiusa?” chiese Kristah speranzosa.
“No, non c’è ancora nessuna voce, ma adesso faranno il giro dei rappresentanti di classe i rappresentanti d’istituto”
“Ma se si sbrigano come l’anno scorso, però. Facciamo in tempo a crepare!”, le ricordò Kristah. Perché l’anno precedente i rappresentati d’istituto si erano dimenticati di avvertire tutti che la loro scuola era chiusa, sempre a causa della neve.
“Lo sai com’erano quelli dell’anno scorso. C’era la Milani che rompeva le palle a tutti!”, esclamò Katia. Perché lei odiava proprio Francesca Milani, che aveva la loro stessa età, ma che si credeva una figa solo perché era stata ammessa alla lista dei rappresentanti d’istituto. Le era sempre piaciuto comandare sulle persone, e quale occasione migliore se non fare la comandina con altri duemila studenti, che l’ascoltavano e la veneravano come fosse una dea? Era alta almeno uno e ottanta, bionda con gli occhi azzurri. Qualcuno l’aveva soprannominata addirittura “L’Ariana”, quando aveva sentito questo soprannome aveva dato un soprannome a tutti. TUTTI i duemila studenti della scuola. Non ne aveva risparmiato nemmeno uno. Nessuno era passato inosservato, nemmeno Katia e Kristah, che avevano ricevuto in ordine i soprannomi di: Katapulta Katia, a causa di una rovinosa caduta con il ghiaccio durante il rigido inverno, e Bella Swan, per il suo secondo nome, che preferiva evitare accuratamente.
“Kristah, c’è mio padre che mi rompe, ha bisogno del telefono per dire che domani non andrà al lavoro, che fai, ci sentiamo su Facebook?” Kristah scosse la testa, e poi si ricordò che Katia non poteva vederla. “No, devo controllare che Chris e Adam non escano senza giacca. Ho comunque il telefono acceso, se hai bisogno”, le disse.
“Okay, allora ci sentiamo per telefono. Ciao Kristah”
“Ciao ciao Katia!”, le disse l’amica, chiudendo la telefonata.

Kristah vestì per bene i suoi fratelli e prese il giaccone e la macchina fotografica. Le piaceva la neve, e fotografare Chris e Adam mentre facevano un pupazzo di neve, era davvero una cosa a cui non poteva resistere. Ma dopo solo una decina di minuti, erano Chris e Adam a passarsi la macchina fotografica, mentre fotografavano la sorella, intenta a fare gli angeli nella neve. Passarono un’ora abbondante fuori in giardino, e Kristah dimenticò le lacrime versate per Daniel un paio di ore prima e la telefonata di Marco. Rientrarono perché erano bagnati fradici, dalla punta dei capelli, alla punta dei calzettoni in lana che aveva cucito la nonna per loro. In casa Kristah sentì il telefono vibrare, pregando che non fosse sua madre si tolse di fretta i guanti e lo prese in mano, guardando il display. Daniel. Anche se era il ragazzo per cui aveva un cotta, poteva aspettare senza problemi. Infatti tolse le giacche ai suoi fratelli e li spedì nel bagno al piano di sopra. “L’acqua la sapete regolare da soli, vero ragazzi?” “Sì, Kristah!”, ricevette come risposta, in coro dai suoi due fratelli. Alla fine gli voleva bene. Lei si svestì e andò in camera sua, per caricare le foto sul computer e metterle su Facebook. In meno di cinque minuti, aveva finito tutto, ed era scesa di sotto a controllare il telefono. Daniel la stava chiamando di nuovo, questa volta rispose: “Daniel!”, gli rispose con un sorriso.
“Mi avevi promesso che mi avresti mandato un messaggio non appena fossi arrivata a casa”, le disse lui, con la voce cupa, sembrava quasi incazzato. “Sì, sì, lo so. è che sono uscita a giocare con Chris e Adam e ho scordato il telefono in casa, scusa!” “Okay, tutto a posto, non è mica successa la fine del mondo”, le sembrava quasi che stesse sorridendo. Abbastanza strano, perché due secondi prima era quasi incazzato nero, e ora sembrava sereno e tranquillo. – Bah, ragazzi. E poi dicono che sono le donne quelle strane! – pensò Kristah, mentre salutava Daniel e saliva in camera sua. Ricaricò la pagina di Facebook e trovò un paio di “mi piace” ad un suo primo piano che aveva fatto Adam. Si vedevano i capelli marroni che le contornavano la testa, quasi fluttuassero sulla neve candida, la pelle chiara che era diventata di un rosso acceso sulle gote per via del freddo e gli occhi marroni, dello stesso colore dei capelli, che sorridevano insieme alla bocca, che era spalancata per via della risata che era uscita quando Adam le era salito in groppa urlando: “CHEEESE!!”. Luca aveva commentato con la solita bambinata dei peni invisibili che si facevano sentire a casa Ambrosini. –Luca! Domani se andiamo a scuola di riempio la faccia di neve e di schiaffi! – commentò Kristah. I suoi fratelli erano usciti dal bagno, e lei andò a farsi la doccia. “Mi raccomando ragazzi, non toccate il mio telefono. Giocate con il computer, ma non il telefono!” l’avevano sempre ascoltata, alla fine non erano delle vere e proprie pesti.
Si ricordava ancora di quando la loro madre gli aveva detto che era incinta di due gemelli. Lei e Alina si erano guardate negli occhi e avevano detto, in coro: “FRED E GEORGE, MAMMA!”, ma alla fine la madre aveva optato per due nomi più “classici”, non voleva assolutamente chiamare i suoi figli come i protagonisti della saga di Harry Potter. Avevano fatto una litigata enorme, i quattro. Madre e padre optavano per i più comuni Christopher Andrea e Adam Francesco; mentre Alina e Kristah volevano i nomi Fred e George, se non per primi, almeno per secondi. Avevano ceduto solo perché Alina e Kristah le avevano fatto presente di avere entrambe tre nomi, “Sarebbe quindi ingiusto, madre, se i nostri fratelli non avessero tre nomi” aveva detto Alina. Quindi, il nome definitivo dei gemelli era: Christopher Fred Andrea e Adam George Francesco.
In effetti la storia del triplo nome era nata per l’indecisione dei loro genitori. Il loro padre voleva dare a sua figlia un nome italiano, mentre alla loro madre piacevano i nomi stranieri in generale. Per questo motivo, tutti e quattro i figli avevano tre nomi. Alina Roberta Charlene; Kristah Isabella Denise; Adam George Francesco e Christopher Fred Andrea. Per fortuna, diciamo così, il padre all’anagrafe aveva voluto separare i nomi con le virgole, per evitare una tortura ai figli ogni volta che avrebbero dovuto firmare. I loro secondi e terzi nomi erano solo per “bellezza”.

Kristah terminò la sua doccia e si asciugò con cura i capelli, mentre sentiva i suoi fratellini cantare la canzone delle follie dell’imperatore. Un motivetto che le entrò in testa, tanto da iniziare a canticchiarlo: “Novantanove scimmie saltavano sul letto, una cadde a terra e si ruppe il cervelletto”, andò avanti a cantare, fino a quando non uscì dal bagno e i suoi fratelli fecero partire “Wake me up when september ends” dei Green Day. “Voi si che avete ottimo gusto in fatto di musica!” gli disse Kristah. “Kristah! Kristah!” si lamentarono Adam e Chris. “Sì?” gli chiese sedendosi sul letto. “Possiamo guardare un film? Possiamo possiamo possiamo?”. Erano troppo teneri quando facevano così, ed era impossibile resistergli, e loro lo sapevano. “Che film?” gli chiese, ormai rassegnata la sorella. I due gemelli si guardarono e poi dissero, all’unisono: “Harry Potter e il Calice di Fuoco!” Kristah alzò gli occhi al cielo, ma acconsentì. Chiuse il suo portatile e scese di sotto con i fratelli, iniziò a preparare i pop-corn, e poi chiese loro quale cibo preferissero. “PIZZA!”, le risposero. Così chiamo la pizzeria e ordinò due pizze margherita. E passarono la loro serata sdraiati sul divano a mangiare pizza e bere coca cola, fino alla fine del film, alle dieci e venti. “Forza ragazzi, a letto!”, disse Kristah, chiudendo bene la porta d’ingresso e accompagnando i gemelli a letto, diede loro il bacio della buonanotte e si chiuse in camera sua, per chattare con Katia e qualche sua amica.
“Allora, domani la scuola è ufficialmente chiusa” le scrisse Katia in chat. Kristah annuì e sorrise.
“Bene, bene, bene. E domani allora che si fa?” le rispose l’amica.
Il loro botta e risposta andò avanti fino a mezzanotte e dieci, quando finalmente si decisero. La mattina, o meglio dopo nove ore, sarebbero andate in centro a prendere una cioccolata calda, per poi fare un giro al parco, dove avrebbero sicuramente incontrato qualcuno. Kristah chiuse il portatile e si addormentò immediatamente, e non sentì nemmeno la madre rientrare in casa. 

Note dell'autrice: 
Salve salvino (molto alla Flanders), se sei arrivato/a fino a qui. Complimenti. Spero non ti sia addormentato/a sulla tastiera! 
Comunque. Se hai un account qui, su EFP, perché non lasci una piccola recensione? Giusto per farmi sapere cosa pensi della mia "piccola" storia. 
Comunque (di nuovo), vi inviterei a leggere questa storia, con la stessa canzone di sottofondo che avevo io quando l'ho scritta. My Happy Ending, di Avril Lavigne ( http://www.youtube.com/watch?v=VFGbSWP-G-o ) e Wish you were here (http://www.youtube.com/watch?v=pXu8slfJK0w ), altrimenti, fate come volete. 
PS: Giuro che dopo questo ho finito. Mi sono presa la briga di dare un volto alla mia protagonista. Kristah per me è un po' come Ashley Rickards (http://img.poptower.com/pic-55530/ashley-rickards.jpg?d=600

Un bacio, Kristah.

  
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