Those thoughts I can’t deny
L’anno
scorso, per San Valentino, Liam gli ha regalato due cose. Un bacio -un cioccolatino,
ragazze dalle menti perverse, tranquille- e una frase.
Erano a
casa di Louis, Harry era uscito per far visita alla sua ragazza del
momento e
Zayn e Niall erano spariti dalla circolazione per fare Dio-solo-sa-cosa
-e
Louis se lo era immaginato, cosa, ma non lo aveva detto
ad alta voce perché è un
po’ strano,
immaginare i tuoi due amici a fare certe cose e,
anche se non sembra,
anche lui ha il senso del pudore, da qualche parte.
E
così,
erano da soli in casa. A Louis frullava da un po’ di tempo in
mente l’idea che
Liam sarebbe dovuto essere altrove, quel giorno; da Danielle, o dalla
sua ex,
magari, o da qualcun’altra, insomma, dappertutto, ma non lì
con lui.
Ma Liam aveva lo sguardo strano -lo
perché è uno lo sguardo, è sempre
stato uno, ed è quello sguardo che Liam usa quando ha deciso
di fare una cosa
ma se ne vergogna, non gli sembra giusto o qualsiasi altra sega mentale
si
faccia nella sua mente con quello sguardo sulla
faccia- e Louis non se
la sentiva di fare domande che probabilmente avrebbero fatto scattare
la bomba
-una bomba di nome Liam-la furia-Payne, che nasce in poche, speciali
occasioni.
Insomma, anche Louis ha un po’ di coscienza, in
qualche anfratto della sua
mente, e non aveva intenzione di morire giovane, aveva tante
cose da fare,
ancora.
E
così
erano seduti al tavolo in cucina, a bersi un tè. Louis
guardava Liam e Liam
guardava le sue mani -le mani di Liam, invece, non guardavano Louis, ed
era un
peccato, perché sarebbe stato un triangolo perfetto. Le
lancette dell’orologio
da parete sembravano aver deciso di improvvisare un concerto live e
anche il
frigorifero pareva voler fare la sua parte, animandosi ogni tanto e
gorgogliando con rumori distinguibilissimi -perché
c’era silenzio, ce n’era
troppo e tutto sembrava amplificato ventordicimila volte. Poi
Liam,
finalmente, aveva parlato.
«Devo
dirti una cosa, Louis» aveva cominciato, appoggiando la tazza
preferita di
Harry -quella nera, con Topolino, della serie
dimostro-tre-anni-e-me-ne-vanto-
sul tavolo e alzando finalmente lo sguardo. Le mani avevano preso a
torturarsi,
forse gelose del fatto che Liam avesse direzionato le sue attenzioni
verso
qualcun altro.
«Certo,
ti
ascolto» aveva garantito Louis, perché era davvero
palese che Liam
morisse dalla voglia di confidarsi con qualcuno che lo ascoltasse e gli
dicesse
che andava tutto bene -o qualsiasi cosa volesse sentirsi dire, il
piccolo e
insicuro Payne.
Per un
attimo ancora Liam era rimasto in silenzio. Si era alzato, aveva fatto
un po’
Giro-tondo intorno al tavolo e si era riseduto, sospirando come fanno i
medici
nei film prima di avvisare i parenti di un paziente che il loro caro ha
sciaguratamente smesso di respirare. Poi aveva vuotato il sacco -e che
sacco!
«Sono
gay».
Ecco, ora
una persona normale avrebbe sospirato, l’avrebbe guardato
negli occhi e gli
avrebbe detto che non c’era niente di male in questo, che
erano cose che
capitavano e che la sua vita poteva essere meravigliosa lo stesso. Una
persona
con qualche problema in più, invece, l’avrebbe
guardato disgustato e gli
avrebbe intimato di stargli alla larga, definendolo feccia,
abominio
o qualche altra cazzata prelevata direttamente dal Vocabolario
dell’Omofobo
Perfetto -ma Louis non era molto certo che ne esistesse uno. Louis,
invece -che
di problemi ne aveva molti più di qualcuno-, aveva preferito
una scena più
drammatica, con un po’ di tè andato di traverso e
il rischio di un attacco
cardiaco -e a quel punto il sospiro di Liam-il medico dispiaciuto-Payne
sarebbe
stato azzeccatissimo. Poi era serenissimamente scoppiato a ridere.
«Ne
sei
sicuro?» aveva chiesto, perché era davvero strano,
avere addirittura tre
gay come amici -alla faccia di tutte le battutine idiote che aveva
fatto quando
anche Zayn aveva attraversato il suo momento della confessione. Liam
aveva
sospirato di nuovo, solo che allora era sembrato più un toro
mezzo
incazzato/mezzo rassegnato dal dover entrare di nuovo in pista e
affrontare il
prossimo, suicida di un torero pazzo -Louis se l’era ripetuto
un po’ in testa:
prossimo suicida di un torero pazzo, prossimo suicida di un torero
pazzo,
prossimosuicidadiuntoreropazzo.
«No,
non
proprio» aveva confessato Liam, e poi era arrossito, tutto
d’un colpo, come il
semaforo rosso dei pedoni quando tu sei proprio sul punto di mettere il
piede
giù dal marciapiedi per attraversare la strada -ed era stato
strano, perché era
apparso più dispiaciuto dal fatto di non essere
sicuro di essere gay,
che da quello vero e proprio di esserlo.
Louis
aveva grugnito un verso pensieroso, si era scolato le ultime gocce di
tè
rimaste nella tazza -quelle gentili che non gli erano finite tutto
d’un colpo
in gola facendolo tossire come un dannato- e poi si era alzato in piedi.
«Che
cosa
vuoi fare?» gli aveva chiesto Liam, con il tono da
«Ehi, non mi prendere a
pugni, mi piace la mia faccia così
com’è, senza bisogno di ritocchi». Louis
aveva sbuffato con forza.
«Te
lo
faccio capire. Avanti, alzati» gli aveva intimato e Liam
aveva ubbidito di
scatto, quasi sotto la sedia ci fosse stato un meccanismo che alle
parole di
Louis gli aveva trasmesso una potente scossa alle natiche -una
potente
scossa alle natiche, Louis c’aveva pensato un
po’ e whoa!, poteva
applicare questa genialata sotto al letto di Styles, la mattina, per
farlo
alzare.
E
così
Louis si era avvicinato, gli aveva posato una mano sulla guancia.
«Non...»
aveva provato Liam, ma Louis l’aveva zittito, scuotendo piano
la testa. Aveva
accarezzato la guancia liscia di Payne, era sceso al collo, poi
più in giù.
«Fa
effetto?» aveva chiesto Louis, mentre si piegava e lasciava
un bacio umido sul
collo dell’amico. Liam non aveva risposto, ma i battiti
frenetici del suo cuore
-che Louis sentiva attraverso la maglietta di cotone- avevano parlato
per lui.
Si era avvicinato di più al suo corpo, gli aveva passato una
mano tra i
capelli, sulla nuca, mentre l’altra scendeva sempre
più giù. Si era fermato
sull’orlo dei jeans scuri, aveva esitato, mentre con la
lingua tracciava una
lenta scia sulla pelle infiammata del più piccolo. E poi,
semplicemente, lo
aveva accarezzato -e sì, ragazze pervertite che non vedevate
l’ora, ora
potete pensare male quanto volete.
«Hm,
sì.
Direi che fa effetto» si era risposto da solo, ridacchiando
sulla pelle liscia
del collo di Liam. E Liam si era allontanato di scatto, rosso come una
fragola
-a Louis piacciono, le fragole, sono fragolose. Aveva cercato di dire
qualcosa,
balbettando come un idiota -un idiota rosso come un fragola fragolosa,
con il
principio di un’erezione nei pantaloni e la nuova,
incredibile scoperta di
essere gay: un bel quadretto, insomma- e poi l’aveva spinto
contro la tavola.
Louis aveva sentito il bordo del mobile premere contro la schiena
mentre rideva
e le labbra di Liam si avvicinavano alle sue. L’aveva
guardato negli occhi, in
quegli occhi marroni che l’avevano sempre fatto sentire un
po’ un idiota -erano
due idioti, alla fine, Louis l’aveva sempre saputo.
«Il
mio
piccolo amico gay» aveva mormorato il più grande,
abbassando lo sguardo sulle
labbra secche dell’altro. E Liam, con uno sbuffo scocciato e
imbarazzato -e
eccitato, e sorpreso, e un sacco di altre cose che, dai, Louis non
sarebbe mai
riuscito a leggere, Liam non era mica un libro e comunque lui non era
mai stato
appassionato di letture-, piuttosto che zittirlo con le parole aveva
usato un
altro, efficacissimo metodo. Louis non si era mica
lamentato, eh.
Quest’anno
Liam gli ha regalato due cose, per San Valentino. Una sega -e no,
non è
assolutamente quello che pensate, depravati senza vergogna: Louis ha
avuto il
capriccio di voler costruire una sedia e così Liam
l’ha semplicemente
attrezzato a dovere- e tre parole. Tre parole che dette in italiano
sembrano
quasi storpiarne il significato, renderlo troppo,
ma che in inglese sono
semplici, scorrevoli, facili da far rotolare sulla lingua e fuori dalle
labbra.
«I
love
you» gli ha detto, arrossendo filo
all’inverosimile, e Louis è orgoglioso
di sé, mentre gli salta al collo e gli scocca un bacio
giocoso sulle labbra,
perché è riuscito a far crescere il suo piccolo
amico gay -e perché, hm,
Liam è arrossito di nuovo come una fragola e questa volta
Louis vuole proprio
mordergli la guancia per conoscerne il sapore.
Dovevo
fare qualcosa per San Valentino! E non perché mi
piaccia questa festa -non mi fa né caldo né
freddo, in realtà- ma perché... boh,
ispira, San Valentino, in questi casi :P
Allora,
eccoci qui. Una Lilo. Che posso dire? Sono appena
tornata da una disastrata gita con la mia classe, ho un freddo della
madonna e
questa shot mi piace -tanto per cambiare. Ho avuto il mio momento
follia e
penso di aver espresso i pensieri di Louis meglio di come avessi fatto
nella
scorsa OS.
La
canzone, che questa volta consiglio di
ascoltare, è questa
-e
non proprio perché la OS sia ispirata, più
perché a me sembra qualcosa che c’entri
(non ha senso, ma capitemi insomma u.u). Niente fatti realmente
accaduti a cui
ispirarmi, questa volta.
Sono
di fretta -devo ancora finire i compiti- quindi
concludo qui. Ringrazio infinitamente le persone
che hanno aggiunto a
seguite/preferite/ricordate la raccolta, chi ha solo letto e
soprattutto chi ha
recensito. Vi amo ragazze <3
Un
bacio, corro a fare geometria
_ki_