Ahem
… questa Shot partecipa al contest “St.
Valentine Day” indetto da _Loveless_ e Bloody_Alice97. Il
genere romantico non
è proprio il mio genere, ma io ci ho provato.
Pairing:
Shindou\Kirino
Rating:
Giallo
Parole:
2797 (non uccidetemi, comunque sono nel
limite indicato …)
13
Febbraio, 02.30 A.M.
<<
Shindou Takuto, sei un idiota >>
La
severa voce di Kirino Ranmaru penetrò come un trapano nel
cervello
di Shindou, facendogli rimbombare la testa come un tamburo. Non che il
ragazzo
dai capelli rosa avesse urlato, ovviamente: il problema era che il
pianista, in
quel momento, si trovava in una situazione di estrema
sensibilità.
Per
essere più precisi, aveva bevuto fino a sentirsi male.
La
causa di quell’avventato gesto era stata la festa organizzata
da
Hamano: festa che si era brutalmente conclusa quando metà
degli invitati aveva
cominciato a dare di stomaco e a non capire più niente, dal
tanto che avevano tracannato
alcol.
Hamano,
infatti, aveva dato fondo a tutti i suoi risparmi (e anche a
quelli di Hayami), per comprare da mangiare, ma soprattutto da bere,
per la
festa: e se la bevanda più forte era stato lo Champagne,
come quantità aveva
decisamente esagerato.
Così
come aveva esagerato Shindou, costretto dai compagni a bere fino
a sentirsi male. Il ragazzo, assolutamente non abituato a quel genere
di festa,
per timore di offendere gli amici aveva accettato tutto quello che gli
avevano
dato, senza farsi domande, e si era preso una sbornia con i fiocchi:
aveva
cominciato a cantare (tra l’altro, senza stonare affatto), a
prendere a calci i
cuscini, e ad abbracciare Kirino baciandolo sulle guance, con grande
imbarazzo
del diretto interessato.
Non
che al ragazzo dagli occhi azzurri, da secoli innamorato del
pianista, dispiacesse, e infatti all’inizio aveva ricambiato
scherzosamente,
salvo poi rendersi conto della gravità delle condizioni in
cui versava l’amico
quando questi aveva cominciato a toccarlo in modo sconveniente. A quel
punto,
Ranmaru aveva trascinato di forza Takuto a casa sua, costringendolo sul
divano.
<<
Davvero, Shindou. Hai esagerato. E non mi
riferisco solamente al bere >> Kirino
rincarò la dose, poggiando sul tavolino di
fianco il divano una tazza di tè fumante. Takuto
fissò l’amico con occhi persi:
forse era conseguenza della sbornia, oppure il ragazzo stava
intensamente
pensando. In ogni caso, Ranmaru distolse il volto, poiché
quello sguardo lo
inquietava, e prese dalla vicina poltrona una coperta.
<<
Meglio andare a dormire. Ecco, copriti ...
Shindou?>> iniziò,
ma s’interruppe di colpo quando Takuto si lanciò
in avanti, quasi cadendo dal
divano, e gli afferrò il polso. Ranmaru,
anch’egli non perfettamente sobrio, cercò di
divincolarsi, ma la stretta
dell’amico era troppo forte. Quest’ultimo
usò il corpo di Kirino per alzarsi,
ma barcollò pericolosamente, lasciando la presa: il ragazzo
dai capelli rosa lo
afferrò per le spalle, cercando di tenerlo dritto, ma le sue
gambe non ressero,
e i due caddero a terra. Kirino gemette dal dolore quando la sua
schiena
impattò contro il tappeto, schiacciata a terra dal peso di
Takuto.
<< Shindou, sei sicuro
di sta - … >>
Un
bacio, tutt’altro che casto, interruppe Ranmaru. Il
difensore spalancò gli azzurri occhi, e cercò di
spingere via il suo capitano,
senza successo: il suo corpo, infatti, era completamente prigioniero
sotto
quello di Takuto, più piazzato dell’amico, e le
sue braccia erano bloccate
dalla ferrea morsa delle mani del giovane pianista.
<<
Ranmaru .... Ti amo >>
Takuto
staccò le labbra da
quelle del difensore il tempo necessario per sussurrare queste tre
parole, che
s’abbatterono con forza su Ranmaru. Il ragazzo dai capelli
rosa, tuttavia, non
fece in tempo a rispondere, che già si trovò
intrappolato in un altro
passionale bacio. Kirino rimase passivo, mentre il suo cervello
lavorava a
mille, il suo cuore sembrava volergli scoppiare nel petto, e il suo
stomaco
faceva le capriole.
Shindou
era ubriaco
fradicio, su questo non c’era il minimo dubbio. Era
probabile, dunque, che non
pensasse veramente ciò che aveva appena rivelato. Questa
possibilità fu come un
macigno sul cuore di Ranmaru: sì, era possibile che Takuto
non lo amasse, che
lo considerasse solo come amico, che quei baci fossero dettati
solamente dallo
stato in cui si trovava, e non da un reale sentimento.
Restava
il fatto, però,
che lui, Kirino Ranmaru, amava davvero il suo
amico, e una parte del suo
essere, influenzata dall’alcol, gioiva sotto il tocco delle
labbra del giovane
pianista, una parte del suo essere che lo incitava a rispondere, ad
esprimere
tutti quei sentimenti che aveva così faticosamente celato
per sei lunghi anni,
sin dalle Scuole Medie.
<<
Non è giusto. Shindou sta male, non dovrei
approfittarne >>,
pensò il ragazzo dagli
occhi azzurri, cercando di nuovo di respingere l’amico, di
allontanarlo, di
fermarlo. Si divincolò, ma non era abbastanza forte, e
l’alcol stava
cominciando a fargli effetto: la testa gli girava, e ogni minuto che
passava si
sentiva sempre più debole, sempre più stanco
… Eppure, non doveva cedere.
<<
Takuto … ti prego … >>, mormorò
il ragazzo, ma Shindou non lo sentì, oppure lo
ignorò. Calde lacrime iniziarono
a scorrere lungo il volto di Kirino, mentre le mani del giovane
pianista si
infilavano sotto la sua camicia, accarezzandogli la pelle liscia,
mentre le sue
labbra scivolavano lungo il suo collo. Gemette, il difensore, quando
sentì il
corpo di Takuto premere sul suo, quando sentì le sue fredde
labbra sulla pelle.
Gemette, e lanciò un disperato sguardo all’amico.
<<
Takuto … >>,
mormorò
ancora, e improvvisamente si rese i conto che, in effetti, non voleva
che
Shindou si fermasse. Così, Kirino circondò il
corpo dell’amico con le braccia,
stringendolo a sé, mentre le mani del giovane pianista
scivolavano sempre più
in basso …
14
Febbraio, 10.00 A.M.
Kirino
si svegliò il giorno dopo nel suo
letto, rabbrividendo. Aveva fatto un sogno stranissimo: era solo,
immerso
nell’oscurità, incapace di muoversi. Solo una
pallida luce illuminava quel
buio, proveniente da una porta lontana, una pallida luce che si
condensò in una
figura umana: un ragazzo, luminoso, con mossi capelli, che gli tendeva
la mano.
Ma Ranmaru non poteva muoversi, e il ragazzo di luce iniziò
ad indietreggiare,
a tornare verso quella porta che celava un mondo nuovo, un mondo di
luce. Egli
varcò la soglia, e la porta si richiuse, facendo sprofondare
Ranmaru nelle
tenebre.
Sbadigliando,
e chiedendosi perché sentisse
così freddo e così male, e che diamine
significasse quell’incubo, il difensore
s’alzò a fatica, soffocando un gemito di dolore, e
spalancò la finestra della
sua camera. Solo quando la fredda aria di febbraio lo
investì, però, il ragazzo
realizzò di non avere nulla indosso. Perplesso,
sbatté più volte le palpebre,
cercando di capire perché fosse andato a letto senza
vestiti, anzi, cercando di
capire quando fosse andato a letto. La sera prima
era sicuramente andato
alla festa di Hamano. Poi era tornato a casa relativamente presto,
perché …
Shindou era stato male. E quindi lui l’aveva portato a casa
sua, approfittando
del fatto che i suoi genitori fossero assenti per lavoro. Eppure, non
ricordava
di essere andato a letto, dopo. No, non era andato a letto,
perché Shindou …
<<
Cazzo >>,
pensò il difensore,
che improvvisamente si ricordò ogni cosa: Shindou ubriaco,
Shindou che lo
baciava, Shindou che lo toccava, la sua resa, dolore, poi una
sensazione di
piacere indescrivibile.
C’era
una sola spiegazione plausibile per
il suo essere andato a letto nudo, e per il suo sentire male dovunque.
Una
spiegazione terribile, ma al contempo eccitante.
Preda
di un lacerante conflitto interiore,
mentre cercava di decidere se quello che era successo la notte fosse
una cosa
positiva o una cosa negativa (ma la sua mente premeva per la prima
opzione),
Ranmaru indossò in tutta fretta la vestaglia, appesa
all’appendiabiti, e si
fiondò in salotto, cercando con gli occhi Shindou.
Il
salotto, però, era deserto, e l’unica
prova della presenza di Takuto era un foglio di carta, appoggiato sulla
coperta
accuratamente piegata e posta sul divano. Kirino si lanciò
sulla lettera,
afferrandola e cominciando a leggerla, così velocemente che,
una volta giunto
alla fine, dovette ricominciare la lettura da capo.
Kirino
Ranmaru,
mi
dispiace molto per quello che è
accaduto tra di noi. No, la parola dispiacere non inizia nemmeno a
descrivere
come mi sento in questo momento. Sono mortificato, Kirino, per la mia
debolezza. Non avrei mai dovuto cedere alle mie emozioni, non avrei mai
dovuto
forzarti contro la tua volontà. Non ci sono giustificazioni
per l’errore che ho
commesso, e capirò se deciderai di privarmi della tua
amicizia. Sei stato il
migliore amico che potessi mai desiderare, ma, ti confesso, durante gli
ultimi
anni la tua amicizia non mi è più bastata. Volevo
altro, volevo il tuo amore,
volevo farti mio, perché ti ho sempre amato e desiderato,
non come semplice
amico. Ciò che è accaduto tra di noi è
stato un mio imperdonabile errore. Per
questo motivo ho deciso d’accettare la borsa di studio
offertami dalla Royal
Academy of Music di Londra. Sto per partire. Spero che, un giorno,
riuscirai a
perdonarmi.
Le
mie più sincere e profonde scuse,
Shindou Takuto
Kirino
rimase per un istante a guardare la
lettera, troppo stupefatto per muoversi, e si riscosse solamente quando
l’orologio a pendolo della cucina batté dieci
colpi. In quel momento, il difensore
capì cosa doveva fare. Era finalmente giunto il momento di
confessare ogni cosa
a Takuto, di dire quelle parole che per troppo tempo aveva rinnegato,
aveva
ignorato, per timore delle conseguenze, per timore di perdere quella
persona
che era amico, fratello, sostegno, conforto.
Doveva
fermarlo, prima che sparisse per
sempre. Come nel sogno.
Ora
che aveva trovato la luce, non sarebbe
di nuovo caduto nelle tenebre.
Così,
indossò in fretta e furia i primi
vestiti che trovò, e si lanciò fuori, nella
fredda nebbia del 14 Febbraio: il
giorno di San Valentino.
“
Ultima chiamata per i signori passeggeri del volo BA006. Il volo
BA006, destinazione Londra, Heathrow, partirà alle ore 11.00
dal Terminal 2. Ultima
chiamata per i signori passeggeri. “
Un
lungo sospiro, e Shindou Takuto si alzò,
caricandosi in spalla lo zaino e accodandosi in fondo alla fila davanti
l’imbarco. Il suo sguardo era risoluto, eppure continuava a
lanciare intense
occhiate alle sue spalle, quasi come se stesse aspettando qualcuno.
“
Non verrà. Rassegnati: la tua idiozia ha rovinato tutto
“,
pensò
amaramente il giovane pianista, ricordando le sue imperdonabili azioni,
la sua
grande colpa. Dopo quella notte, non si meritava più nulla
da Kirino, non dopo
che aveva tradito la sua fiducia, che l’aveva forzato. Non
era degno, Shindou
Takuto, dell’amicizia di Kirino, non dopo quello che aveva
fatto, non dopo che
aveva ignorato i suoi lamenti, le sue preghiere, le sue lacrime. Lacrime causate dal suo migliore
amico, da colui che
aveva giurato di proteggerlo, sempre. Shindou avrebbe fatto ogni cosa
per
proteggere Ranmaru, non avrebbe perdonato chi lo avesse offeso. Nemmeno
sé
stesso.
Non
era degno di stare al suo fianco.
<<
Shindou! Aspetta! >>
L’urlo
alle sue spalle lo
paralizzò: conosceva bene quella voce, ma non poteva essere.
Non dopo quella
notte. Era la sua immaginazione, concluse: la sua mente, preda dei
sensi di
colpa, gli stava giocando brutti scherzi. Non sarebbe venuto. Non si
meritava
che venisse. Non avrebbe nemmeno dovuto scrivergli quella lettera, ma
non
poteva lasciare il suo migliore amico senza dargli spiegazioni. Non
poteva
ferirlo ancora.
<<
Takuto! Fermati subito!>>
Shindou
trattenne il
respiro. Possibile …?
Fu
più forte di lui. Si
voltò, e lo vide: scarmigliato, arrossato, ansimante per la
corsa, mal vestito,
una silenziosa preghiera nei suoi lucidi occhi azzurri, occhi che
avevano
bloccato Takuto sul posto. Che diamine stava aspettando? Doveva andare,
o
avrebbe perso l’aereo! Non poteva restare, non dopo quello
che era successo!
Come osava anche solo guardarlo?
Muoviti.
Ora.
Doveva
andare. Eppure, gli
fu difficile solamente voltarsi, dare le spalle a
Ranmaru. Lottò per
rimanere impassibile, per trattenere le lacrime, per non mostrare il
suo dolore,
la sua sofferenza. Doveva rimanere saldo, o avrebbe ceduto.
Non
poteva restare.
Mosse
un esitante passo in
avanti, verso il corridoio che portava all’aereo, ma non
poté fare nient’altro,
poiché qualcuno lo aveva abbracciato da dietro, un paio di
esili braccia che si
stringevano con forza al suo stomaco, una calda presenza contro la sua
schiena.
<<
Per favore … non andartene … non abbandonarmi!
>>.
Tremava,
la voce di Kirino, così diversa dalla decisa voce di poco
fa. Così debole,
insicura, disperata.
Doveva
andarsene. Per lui.
<<
Takuto … per favore … non lasciarmi >>.
Ora,
la voce di Ranmaru era rotta dai singhiozzi: singhiozzava, incurante
degli
sconcertati sguardi dei presenti, incurante del suo aspetto, incurante
di ogni
cosa. Non importava cos’era successo tra di loro; nulla
importava, se non
Shindou, la sua luce. Si strinse ancora di più al corpo
dell’altro, immobile,
affondando il viso rigato di lacrime nel suo cappotto, pregando che
Takuto
l’avesse sentito, che capisse cosa quelle
parole significavano davvero,
che non lo lasciasse sprofondare nell’oscurità.
Lentamente,
trattenendo il
fortissimo impulso di voltarsi, ricambiare l’abbraccio,
stringere il difensore
a sé senza mai lasciarlo, le mani di Shindou afferrarono i
polsi di Ranmaru:
con gentilezza, quasi come se temesse di romperle, il giovane pianista
allontanò
le pallide mani di Kirino, e ricominciò a camminare.
Lo
stava facendo soffrire di nuovo.
Ranmaru
spalancò gli
occhi, congelandosi. Se ne stava andando davvero. Lo stava perdendo,
forse per
sempre. Le lacrime fino a quel momento trattenute iniziarono a scorrere
dai
limpidi occhi azzurri del ragazzo, senza freni, senza controllo.
<<
Perché, Shindou? >>, sussurrò,
la voce ora incredibilmente ferma, controllata nonostante le lacrime,
lacrime
che avevano in qualche modo sbloccato il difensore.
<<
Non l’hai ancora capito, razza di idiota? Non hai
bisogno del mio perdono, Takuto. La colpa non è tua
… la colpa è nostra. Quello
che è successo … non hai ancora capito che io ti
amo? >>,
esclamò, e Shindou, per la seconda volta, si
bloccò, le tremanti spalle in
avanti, il capo chino, lottando per trattenere le lacrime.
Kirino
lo amava. Sarebbe
stata una scena perfetta in un film romantico: il ragazzo in procinto
di
andarsene, la ragazza che lo rincorreva, che gli dichiarava il suo
amore, il
classico bacio, e poi il lieto fine. Ma quello non era un film,
bensì la cruda
realtà, una realtà che non ammetteva finali
felici.
<<
Ho giurato di proteggerti, e ho infranto la mia
promessa. Non sono degno >>.
Shindou
sussurrò queste parole, stringendo i denti, chiudendo gli
occhi, senza
voltarsi. Sentì però alle sue spalle Ranmaru
trattenere il fiato, poi esalare
un sospiro di … sollievo?
<<
Lo sei, Shindou. Lo sei sempre stato >>,
mormorò in risposta il difensore, e muovendosi in avanti
prese la mano del
giovane pianista, sorridendo, certo che ogni cosa si sarebbe sistemata,
certo
che la luce sarebbe rimasta nella sua vita.
<<
Mi dispiace, Ranmaru >>,
disse Shindou, sottraendo la mano alla stretta dell’altro, e
costringendosi ad
attraversare l’imbarco, senza mai voltarsi indietro: fu
solamente quando giunse
sull’aereo, e si fu seduto, che il ragazzo finalmente diede
libero sfogo alle
lacrime così faticosamente trattenute, piangendo, esprimendo
così tutti quei
sentimenti che non aveva voluto, o non aveva potuto, dire.
Kirino
rimase imbambolato a fissare il
punto dove Shindou era scomparso, anche dopo che l’imbarco si
fu chiuso:
immobile, senza alcuna vita, senza alcuna luce negli occhi.
Era
davvero andato via, lontano da lui.
L’aveva
perso, aveva perso la sua luce, il
suo sostegno, il suo migliore amico.
La
persona che amava, e che avrebbe sempre
amato.
Non
piangeva più, Kirino Ranmaru, perché
non c’erano più lacrime da versare. Era finita.
Tutto era finito, prima ancora
di essere iniziato.
Il
Sole scelse proprio quel momento per
fare capolino da dietro la spessa coltre di nebbia che copriva la
città: i suoi
pallidi raggi attraversarono le vetrate dell’aeroporto,
illuminando l’arrossato
volto del difensore. Quest’ultimo alzò gli occhi,
fissando la luce, come se la
vedesse per la prima volta.
Un
rombo scosse l’aeroporto, e l’aereo
delle British Airways, diretto a Londra, partì, e dopo
qualche minuto passò
davanti al Sole, scomparendo nel cielo
che lentamente stava tornando limpido. Ranmaru sorrise,
asciugandosi gli
occhi, e capì.
Quella
non era la fine, bensì un nuovo
inizio.
L’avrebbe
aspettato, finché Takuto non
fosse stato pronto. L’avrebbe aspettato, anche in eterno se
necessario. Ma, nel
frattempo, avrebbe vissuto la sua vita, e non sarebbe sprofondato nelle
tenebre. Anche se lontano, la luce, la musica di Shindou sarebbe stata
sempre
presente nel suo cuore, gli avrebbe illuminato la strada.
Così,
Kirino alzò la mano, salutando il
cielo ormai azzurro.
Gli
serviva tempo, ma poi, lo sapeva, sarebbe
tornato. E lui l’avrebbe aspettato.
Era
una frase abusata, ma era vera: le
persone che amiamo non ci lasciano mai veramente, e la musica
che ora il
ragazzo dai capelli rosa sentiva nel petto ne era una prova. La musica
di
Shindou, della loro amicizia, e, chissà, magari anche di
qualcos’altro.
Ma
prima d’ogni altra cosa, Shindou Takuto
rimaneva il suo migliore amico.
Anche
se questo non gli impediva di essere,
a volte, un vero idiota.
L’idiota
che lui, Kirino Ranmaru, avrebbe sempre amato.
Ebbene
si, lo ammetto, sono senza cuore.
Ma a me i finali lieti non piacciono troppo, quindi … In
ogni caso, questa è la
mia prima Shot sul genere romantico/sentimentale, un genere che proprio
non mi
si addice.
Spero
la Shot vada bene, forse è un po’
lunga, e tenete conto che questa è il riassunto della Shot
originale, che era
il doppio. Vabbè, io ci ho provato … mettetemi
già in conto per l’ultimo posto
XD