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Autore: Fiorels    15/02/2012    55 recensioni
“Bè, se cambi idea, questo è il mio numero” ammiccò con un occhiolino a cui risposi semplicemente con un'alzata di sopracciglia.
“Dubito... ma… grazie..” borbottai mentre, goffamente, uscivo dalla stanza senza nemmeno salutarlo come si deve.
Ma in fondo che importanza aveva?
Tanto non avrei rivisto quel ragazzo mai più né tanto meno mi sarebbe servito il suo numero, era quello che pensavo scendendo le scale, inconsapevole di quanto fossi lontana dalla verità.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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adito - cap 1

Vabbè, diciamolo davvero onestamente che io non so proprio cosa dire. Cioè... l'entusiasmo che avete dimostrato per quel primo capitolo, le recensioni, i seguiti, i preferiti... Immagino che stiate andando a fiducia XD E, vabbè, spero che ne valga la pena per voi che leggete e per me che scrivo *-* Non so che dire... davvero.
Questo capitolo è una bella noia ahahaha ma serviva per descrivere un pò la vita di Bella prima di arrivare a quello che sarà il vero tema della storia. Non so se avete notato che non sto linkando canzoni, ed è proprio perché questi capitoli sono stati scritti mesi fa e non ricordo per nulla quali canzoni mi ispirarono e non mi viene naturale mettervi delle canzoni solo perchè ci stanno bene XD Comunque, appena posterò capitoli nuovi di zecca, riprenderò con i suggerimenti musicali.
Okay, detto questo... Vi lascio alla lettura, sperando che arriviate alla fine senza addormentarvi LOL
Ci sentiamo sotto! xx






Capitolo 2
 

Unexpected

 

“Bella! Bella...?”
“Mmmm…” mi lamentai ancorata al sonno.
“Bella, farai tardi.”
“Lasciami dormireeee...” biascicai mentre sentivo già il lenzuolo mancarmi da sopra al corpo.
“Su, svegliati!”
“Mmm… Rose!” esclamai infine alzandomi solo per riprendere possesso del lenzuolo e rituffarmi sul letto.
Sentii la mia amica sospirare e poi sbuffare.
“Si può sapere che hai?”
Feci finta di dormire ma conoscendola era troppo intelligente per credere che avessi ripreso sonno dopo nemmeno due minuti.
“Bella!”
“Non voglio andarci, Rose, non mi va! Quella mi odia, non la sopporto più!”
“Ma chi? Siria?”
“Sì!” confermai uscendo dalla copertura e mettendomi seduta “Lei mi odia ed è perfettamente normale visto che io odio lei ma non capisco perché ce l'abbia tanto con me. E' un mostro. Dal primo giorno di stage mi manda sempre a prenderle il caffè e se le porto un cappuccino dice di aver cambiato idea e di volere il macchiato; se le porto il macchiato vuole il cappuccino...”
“Tu fatti furba e portaglieli entrambi!”
Facile come bere un bicchiere d'acqua in effetti; non ci avevo pensato.
“Non è solo questo il punto. Lei è troppo dura, capisci? Dovrebbe essere un corso di apprendimento e invece lei lo utilizza come programma sfruttiamo-gli-stagisti. L'altro giorno ha fatto piangere una ragazza! Ha detto che l'arte non può nemmeno guardarla perché non ha gli occhi adatti. Ti rendi conto?! Che cazzo vuol dire ‘non hai gli occhi adatti’? Quella poverina... le ha distrutto i sogni in due secondi. E tutti gli altri. E' sempre lì a dare consigli o criticare, ma anche quando deve dire una buona parola non lo fa mai dandoti la soddisfazione di ricevere un complimento” mi resi conto di non aver sputato mezzo secondo quindi fui costretta a prendere fiato.
Rose mi carezzò i capelli.
“Tesoro…” disse quasi con compassione. “E dei tuoi lavori che dice?”
“Magari dicesse qualcosa... Lei sta lì e fissa. A volte per due secondi, altre per venti minuti interi! Mi dà il nervoso! Mi ricorda quando facevo le prime manovre con la macchina e mio padre era lì a fissare! Normale che poi prendevo la staccionata!”
Ero estremamente agitata quella mattina; meglio non avvicinarmisi.
“Okay tesoro, ora rilassati e prendi un bel respiro”
Seguii il consiglio della mia amica e chiusi gli occhi cercando di rilassarmi.
Funzionò, almeno quel poco che bastava per non farmi urlare come un pazza esaurita appena alle nove di mattina.
“Non voglio andarci, Rose. E poi non mi sento nemmeno tanto bene, mi viene da vomitare. Ecco l'effetto che mi fa quella!”
“Tu, invece, ora ti alzi e ci vai. Non solo perché se non finisci lo stage non ti pagano un centesimo, ma anche perché e l'ultimo giorno e devi resistere e far vedere che sei più forte di lei. Mollare ora sarebbe davvero da stupidi.”
Sapevo che aveva ragione e che mi sarei comunque alzata da quel letto, però...
“Ma perché deve mandare sempre me a  prendere il caffè!?” sbottai di nuovo, ignorando i tentativi di Rose che si massaggiò le tempie ad occhi chiusi. “Ci sono altri trenta stagisti oltre me... Bè, ventidue dopo la sfuriata di ieri... E' pazza, Rose! Prima dice di non usare le tempere e poi si lamenta del bianco-nero! E' pazza!”
“Come ogni artista d'altronde” un sorriso ironico indirizzato esclusivamente a me.
“Che vorresti dire?” chiesi già sulle mie.
“Bè...” la sua risposta consistette in una sguardo dall'alto a basso.
“D'accordo, è chiaro. Sono esaurita... Ma non posso farci niente. Quella donna, anzi quella vipera, mi fa davvero salire il sangue al cervello! Perché non mi caccia via se non mi sopporta?”
Strinsi il cuscino e lo lanciai contro l'armadio mentre cacciavo un piccolo urlo liberatorio.
Respirai a fondo ed espirai.
“Okay, mi sono calmata. Scusa Rose, so che hai sentito questa storia duemila volte, è che davvero… non pensavo fosse così. Non vedo l'ora che finisca.”
“Tesoro, mi dispiace molto che sia andata così. Dai, magari la prossima volta andrà meglio..”
Già, ma quale prossima volta? Contavo sullo stage come un mezzo trampolino per farmi conoscere da qualcuno e trovare un lavoretto in qualche mostra, anche come tirocinante. Qualsiasi cosa. Non pretendevo un salario alto, semplicemente fare quello che mi piaceva fare: arte.
Rose era tutt'altra storia. Lei stava già facendo praticantato al reparto neurologia dell'ospedale e presto avrebbe iniziato a fare i turni. Lei sì che stava realizzando quello che voleva. La sua carriera era in avvio, sapeva quello che voleva e quando lo voleva, aveva anche iniziato una mezza relazione con quel tipo che l’aveva invitata alla festa. Non l’avevo ancora conosciuto, nonostante si vedessero da due mesi, perché le piaceva dire che non c’era niente di concreto ancora e non voleva fasciarsi la testa prima ancora di romperla, ma sapevo che sarebbe stata questione di poco prima che le cose diventassero ufficiali. Allora me lo avrebbe presentato e magari avrei saputo di lui qualcosa più del semplice nome, se Emmett può dirsi un nome, e delle sue prestazioni fisiche a letto. Certo, non potevo esattamente permettermi di giudicare. Almeno lei l’aveva, una vita sessuale e pseudo sentimentale. Il mio ultimo rapporto risaliva a quella disastrosa, e solo per certi versi piacevole, sera di due mesi prima. Ci pensai con amarezza mentre guardavo la mia migliore amica e per un millesimo di secondo la invidiai ma in realtà ero davvero felice per lei.
“Dai, alzati, lavati, mettiti qualcosa di fresco, truccati un po' e vieni a fare colazione! Ti ho fatto le frittelle con la cioccolata, in previsione del boom finale!” rise e mi baciò i capelli prima di uscire dalla stanza.
“Muovitiiii!” urlò dalla cucina e non potei non starla a sentire.
Grazie a Dio avevo Rose.
Trenta minuti dopo ero pronta, con un vestitino leggero che mi fasciava il corpo lasciando penetrare anche qualche alito di vento - che non faceva mai male data la perenna afa dell'aria di fine Settembre tipica di Los Angeles - i capelli sciolti sulle spalle e un leggero tocco di fard sulle guance. Niente di più semplice, mi piaceva così.
Con un sorriso sulle labbra che prima non c'era mi preparai ad affrontare la mattinata e in fondo ero felice, non solo per le ottime frittelle di Rose ma anche perché sarebbero state le ultime quattro ore di quella tortura.
Lavorare al bar era quasi più gratificante. Almeno lì c'era Eric che non mancava di farmi sorridere ogni tanto, sebbene le sue avance fossero troppo sfrontate e continuavano ad esserlo nonostante i miei continui rifiuti.
Non che fossi ancora depressa per Jacob, semplicemente non sentivo il bisogno di avere un ragazzo, soprattutto non uno per cui non provavo la minima attrazione fisica. Eric era un amico, un buon amico, e mi serviva un buon amico ogni tanto.
Rose uscì prima di me, augurandomi buona fortuna e dandomi appuntamento per un cinese davanti la TV alle otto, quando lei tornava da lavoro e io dal bar.
Bè, le nostre vite erano parecchio impegnate in effetti ma era l'unico modo per avere un minimo di indipendenza e continuare a pagare l'affitto di quel piccolo appartamento che ci eravamo regalate.
Forse era un po' troppo di lusso per due neo-laureate ancora in procinto di ingranare con le proprie vite ma appena l'avevamo visto era bastato uno scambio di sguardi per capire che sembrava fatto apposta per noi.
Era colorato, ma non con colori sgargianti e accesi da far male agli occhi.
C'era un piccolo salottino con un divano letto di fronte un televisore, scaffali già pieni di libri, una cucina ad angolo, in legno con un piccolo ma grazioso tavolo al centro, ovviamente il bagno e due camere da letto. Ogni camera aveva almeno due finestre e la casa aveva due piccoli terrazzini. Ce n'era anche uno in una delle camere da letto che, dopo una sfida all'ultimo sangue a sasso-carta-forbice, era toccato a me.
Insomma, forse era un po' troppo per noi ma con qualche sforzo ce l'avremmo fatta e ce la stavamo facendo.
Joey, la dolcissima proprietaria dello stabile che avevo scoperto essere una donna solo il giorno in cui eravamo andate a vedere l'appartamento, era stata davvero gentile da abbassarci l'affitto. Solo dopo una telefonata a papà, in cui gli chiedevo come mai non avesse specificato che il suo amico fosse in realtà un'amica, ero venuta a sapere, con conseguente trauma e stato di shock per due giorni, che era in realtà una sua vecchia fiamma.
Assurdo. Ero sempre stata convinta che mio padre fosse stato innamorato solo di mia madre in vita sua e scoprire che anche lui era stato giovane e aveva avuto altre ragazze - con cui, per giunta, era rimasto in contatto - era stata una sorpresa, giustificata unicamente dal fatto che non ci avessi mai pensato prima.
Tuttavia la cosa non creava problemi a nessuno. Papà mi aveva raccontato anche di un paio di favori che le aveva fatto riguardo a qualche eccesso di velocità sulla statale. Erano rimasti in buoni rapporti insomma, ma Joey era felicemente sposata con due bambini, un maschio e una femmina, che avevo visto ogni tanto ed erano adorabili come lei. Mi piaceva lei, davvero. Per qualche istante ero anche arrivata a pensare che forse mio padre sarebbe stato felice più con lei che con mia madre, poi mi colpivo la testa da sola perché in quel caso non sarei stata lì a pensarci visto che non sarei esistita.
Quando finii le frittelle mi sentii terribilmente in colpa perché ne avevo mangiate tre abbuffandomi come un porco e ora ovviamente mi sentivo assurdamente pesante.
Bene, prendere tram e metropolitane così sarebbe stata una vera passeggiata, pensai mentre uscivo dal nostro piccolo paradiso sentendomi nauseata, fisicamente, all'idea di quello che mi aspettava.
 
“SWAN! CAFFE'!”
Perfetto, nemmeno mi aveva visto entrare che già dava ordini.
È l'ultimo giorno, Bella. È l'ultimo giorno, ripetei come un mantra nella mia testa ma la rabbia non mi impedì di farmi furba e, come mi aveva consigliato Rose, andai al bar di fronte - perché ‘quello delle macchinette sa di acqua arrugginita e calcare’ - e ordinai un caffè macchiato e un cappuccino da portare via; nel frattempo ne bevvi uno anche io.
Non potevo affrontare la giornata senza un misero, minuscolo ma necessario caffè.
Quando rientrai, le andai incontro e quasi saltai sul posto quando si voltò di scatto verso di me.
Senza dire nulla le passai il macchiato.
“Non avevo detto che volevo un cappuccino?”
No, non l'hai detto brutta stronza sessualmente frustrata.
Non era il caso che lo dicessi ad alta voce però così mi limitai a passarle il secondo, il suo cappuccino.
“Ecco!” esclamai con una punta di superiorità pensando che almeno l'ultimo giorno potevo permettermelo.
Mi scrutò con sguardo indagatore. I suoi occhi color ghiaccio, i capelli biondo quasi platino, perfettamente lisci, stesso colore rifatto delle sopracciglia, un tailleur che fasciava perfettamente il busto e le gambe magre.
Aveva un bel corpo per avere l'età che aveva.
Mi resi conto di non sapere la sua vera età ma comunque non meno dei quarant'anni.
Siria James era una delle più illustri attiviste nel campo dell'arte e della moda degli ultimi dieci anni, a Los Angeles e anche all'estero.
Si era creata quel suo piccolo impero da sola e a volte non potevo che chiedermi se fosse sempre stata così acida, se fosse stato quello il segreto del suo successo e se ne fosse davvero valsa la pena se poi finiva per entrare in una casa completamente sola.
L'unica cosa che aveva era la sua arte. I suoi dipinti, i suoi progetti d'interni, la linea di vestiti che stava per lanciare sul mercato.
Più volte mi trovavo a controllare il suo anulare, quasi nella speranza, per lei, che qualcuno si fosse fatto avanti, ma niente.
Mi guardò gelida e abbozzò un sorriso indecifrabile.
“Seguimi, Swan.”
E vorrei che non avesse mai detto quelle parole perché furono la rovina della mia mattina. Avrei voluto passare l'ultimo giorno a terminare una mia modesta tela e invece lo passai a fare scanner, mandare fax, fotocopiare e archiviare ogni articolo che era stato scritto su di lei.
Una fiera dell'egocentrismo in pratica.
A fine lavoro fummo riuniti tutti nella grande sala delle conferenze e le lanciai qualche occhiata per capire il motivo; il motivo per cui mi odiava così e per cui si era divertita a rendermi ancora più pesante quell'ultima giornata.
Fu una delle sue assistenti a parlare per lei, ovviamente non sprecava nemmeno il fiato o almeno era quello che credevo finché non fece un passo avanti e prese parola.
“L'arte è il motivo per cui siamo qui. Molti pensano di conoscerla e negano la realtà quando gli si fa notare che non è così. Molti non hanno avuto la forza di andare avanti ed è stata la dimostrazione di quanto magro fosse quello che loro chiamavano amore. Voi siete qui per seguire l'arte ma io non posso aiutarvi, perché nessuno ha aiutato me e infatti questi sono i risultati.”
Com'era? Ah sì, fiera dell'egocentrismo.
“Posso limitarvi ad augurarvi il meglio e a fermarvi subito qui se pensate che questi due mesi siano stati un inferno. Se questo pensiero vi passa per la testa allora non siete tagliati per l'arte.”
Ed eccolo, un pugno allo stomaco, una campanella che avvertiva che ero stata presa in causa. Ma andiamo, lei non poteva sapere della mia insofferenza, senza contare che non era insofferenza per l'arte che continuavo ad amare più dell'aria; era insofferenza per lei e per l'odio che aveva, inspiegabilmente, nei miei confronti.
Seguirono una serie di parole di rito a cui non prestai molta attenzione finché non fummo congedati con una delle sue citazioni preferite. Era proprio sua, l'avevo cercata su Google e mi aveva collegato a una biografia sulla sua vita.
“L'arte non è per tutti e non è per molti; è per pochi eletti che sanno guardarla ad occhi chiusi e ascoltarla col cuore.”
Interrogandomi su quelle parole e su quanto potessero essere vere salutai i miei compagni di corso e insieme a loro raccolsi le cose per uscire da quello che lei stessa aveva definito inferno.
Dio, ma ero io o faceva caldo in quella stanza?
Forse ero io perché gli altri mi sembravano perfettamente a loro agio eppure stavo iniziando a sudare, così tanto che mi sarei volentieri buttata nella fontana lì in piazza.
Pensavo infatti di stare immaginando quando sentii la sua voce chiamarmi, ancora una volta, per la centesima volta nel giro di quattro ore.
“Swan!” ripeté la voce arcigna e acida.
Avrei voluto prendere la mia tracolla e fargliela volare in faccia a mo’ di boomerang ma decisi di comportarmi da persona adulta e mi voltai.
“Sì?”
“L'aspetto Lunedì prossimo” disse senza nemmeno guardarmi negli occhi e controllando, o facendo finta di controllare, qualcosa tra una pila di fogli che aveva in mano.
“Mi scusi?”
“La voglio nel mio stuff di design e arredamento di interni ed esterni.”
Ok, dovevo davvero stare male per immaginare quelle parole che uscivano dalla sua bocca.
Non stava dicendo sul serio.
“Non… non credo di capire…”
“Glielo devo scrivere?”
Strinsi i pugni per sentire le unghie affondare nella pelle e rendermi conto che non stavo sognando.
“Perché?” fu l'unica domanda che mi venne spontanea.
“Lei è brava, ha una bella mente, idee intelligenti e tenacia non indifferente. L'aspetto Lunedì. Sempre che non sia impegnata in altri lavori.”
Oh cazzo.
“Io… io lavoro a un bar nel pomeriggio, tre volte a settimana.”
“Allora quelle mattine e i pomeriggi degli altri due giorni sarà da me. Non si lavora il Sabato e la Domenica, ma sono particolari di cui parleremo Lunedì. Ovviamente è un lavoro che le sarà retribuito ma anche di questo discuteremo a tempo debito. Vuol del tempo per pensarci?”
Dov'erano finiti la scopa, il naso bitorzoluto e il cappello da strega?
Sembrava un'altra persona. Sempre glaciale ma quanto meno con un minimo di modi.
E cosa mi aveva appena chiesto? Se avevo bisogno di tempo per pensarci?
Oddio, ne avevo bisogno?
Forse sì, ma allo stesso tempo sentivo di non poter lasciar passare un solo secondo. Una delle più rinomate artiste della città mi stava offrendo un lavoro nella sua compagnia; certo la odiavo, ma questo era prima di sapere che forse il suo non era odio ma magari solo un briciolo di rispetto per qualcuno che lavorava come piaceva a lei.
Senza contare che nessuno avrebbe potuto impedirmi di alzare le staffe se le condizioni fossero state disumane…
Non ebbi più dubbi.
“No, no. Accetto!” esclamai esaltata e sentii la testa girarmi di botto. Dovetti chiudere gli occhi per il capogiro ma lei non se ne accorse nemmeno.
“Perfetto. A Lunedì allora. Alle nove, puntuale. Non faccia ritardo.”
Rimasi in bilico su me stessa mentre la vedevo allontanarsi e sparire dietro una porta vetrata.
Mi ci vollero almeno cinque minuti per fare mente locale e rendermi conto che avevo, quasi, un lavoro. Un lavoro vero! O almeno, una grande opportunità!
Saltai dall'entusiasmo mentre uscivo dall'edificio e risultò essere una pessima mossa perché mi sentii mancare e fui costretta ad appoggiarmi al muro per non cadere.
Successe tutto in un attimo.
Un secondo sentivo il liquido acido salirmi in gola, un secondo dopo lo stavo riversando nel bidone dei rifiuti accanto a me.
Rigettai ancora un paio di volte fino a sentirmi completamente vuota, nauseata, e bagnata di sudore dalle scapole fino al bacino.
Che cazzo mi stava succedendo?
Sapevo che tre frittelle a prima mattina mi avrebbero fatto male e lo stress accumulato in quelle ore non doveva aver giovato al mio stomaco già provato dalla mattina stessa.
Mi asciugai la bocca e bevvi un po' d'acqua che portavo sempre con me, eppure mi sentivo ancora infuocata, così tanto che non potei fare a meno di dirigermi alla fontana e immergerci la testa.
Quando la rialzai, notai una decina di persone intente a fissarmi curiose, come se fossi pazza; una pazza che si era appena fatta uno shampoo in una fontana pubblica.
Ma in quel momento mi importava poco di quello che pensava la gente. Mi ero rinfrescata, mi sentivo meglio e avevo ancora un pomeriggio di lavoro da affrontare.
 
Quando arrivai al bar alle tre del pomeriggio, dopo un panino al volo in metropolitana, avevo ancora i capelli umidi e Eric, che notava sempre ogni piccola cosa, non mancò di chiedermi cosa avessi fatto.
Gli spiegai brevemente e si offrì, ovviamente, di coprire anche il mio turno ma sapevo che non avrebbe potuto reggere il lavoro di due, inoltre mi sentivo decisamente meglio quindi declinai la sua richiesta e andai nel retro per mettermi l'uniforme.
A fine giornata, dopo quattro ore e mezza a servire i tavoli ed evitare i soliti tipi lascivi che giocavano a biliardo facendo battute di cattivo gusto e giochi di parole sul mettere le palle in buca, presi finalmente la via di casa ma dovetti sforzarmi con tutta me stessa per non chiudere gli occhi in metropolitana.
Forse era il sonno mancato della sera prima, o lo stress accumulato, o semplicemente la stanchezza e l'acidità di stomaco... fatto stava che mi sentivo una vera pezza e ringraziai di avere un'altra settimana prima di iniziare di nuovo a lavorare di mattina, anche se la sola idea mi eccitava e mi impauriva allo stesso tempo.
Eppure nemmeno la paura di non essere all'altezza mi distrasse dalla stanchezza.
Quando entrai, chiamai Rose ma non era ancora rincasata.
Bevvi altra acqua e ciondolai verso il salotto, per poi essere costretta a cambiare direzione e scegliere il bagno, in previsione di una nuova crisi di vomito.
Quando sentii la porta di casa aprirsi e sbattere, ero ancora china sul gabinetto e avevo perso il conto del tempo che c'ero stata.
“Bella!” Rose mi chiamò un paio di volte ma non ebbi la forza di rispondere.
Aspettai che fosse lei stessa a trovarmi in bagno e quando mi vide si chinò su di me, preoccupatissima, reggendomi il viso e chiedendomi cosa fosse successo.
Mi ci volle qualche minuto per riprendermi, stendermi sul pavimento fresco del bagno e spiegarle brevemente la mia giornata.
“Oh, tesoro... mi dispiace. Forse l'impasto delle frittelle non era buono! Dannazione! Eppure non c'era niente di scaduto.”
“Ma no, tranquilla” aprii leggermente gli occhi. “Sono io che sto fusa ultimamente…” dissi mentre lei mi carezzava dolcemente i capelli.
“Com'è andata con la strega?”
“Ah, mi ha offerto un lavoro” ero sicura di averglielo già detto ma fu evidente dalla sua reazione che dovevo averlo solo immaginato.
“COSA?! STAI SCHERZANDO?! E hai intenzione di accettare?”
“Ho già accettato, Rose.”
“COSAAAAAA?” le urla invasero il bagno rimbombandomi nelle orecchie e facendomi lamentare per l'assordante rumore che creavano nella mia testa.
“Rose...”
“Scusa, scusa” disse quasi sottovoce. “Ma… credevo che la odiassi e che ti odiasse...”
“Lo credevo anche io” riaprii gli occhi. “Ma invece ha detto che sono brava, che detto da lei deve essere un bello sforzo...”
“Quindi…? Cioè, accetti e cosa farai?”
“Ah, ancora non lo so. Inizio la settimana prossima ma, qualunque cosa sia, è un'occasione Rose, è un lavoro e lei è così piena di talento, sento che potrei imparare ancora tanto.”
“Che fina ha fatto l’odio di questi sessanta giorni?”
“La odiavo quando credevo che lei odiasse me...” sogghignai e Rose mi guardò ironica ma poi si aprì in un sorriso a sessantaquattro denti.
“Oh, tesoro! Non puoi capire quanto sia felice per te!” si buttò sul pavimento per abbracciarmi e fu impossibile non capire l'affetto sincero che dimostrava al momento.
Restammo sul pavimento a parlare delle nostre giornate forse per un'altra oretta quando Rose si ricordò del cinese che aspettava in cucina.
“Oh, ma forse tu non hai molta fame, vero? Come ti senti?”
“Sai una cosa invece? Un cinese ora mi andrebbe proprio!” esclamai esaltata all'idea.
“Ah… okay... sei sicura?”
“Sì sì!” confermai mentre con una mano mi appoggiavo al lavandino per alzarmi.
Rose aiutò a reggermi mentre riprendevo possesso della vista in seguito a qualche secondo di buio e di giramento di testa, infine andammo in cucina dove aspettava la spesa da essere sistemata.
Mi offrii di dare una mano a metterla in ordine ma lei rifiutò.
“Tanto ci metto due secondi, poi mangiamo!”
Così restai seduta al tavolo della cucina, con la testa china sulla superficie leggermente fredda ad osservare con la coda dell'occhio i movimenti di Rose e a sentirla parlare.
E fu in quell'istante che lo vidi e ogni cosa perse l'attenzione che gli stavo dando… eccetto quel pacco viola, familiare, che era nel mio raggio visivo. Dovetti mettere a fuoco per accertarmi di cosa si trattasse e quando ne fui sicura un improvviso brivido freddo mi attraverso facendomi venire la pelle d'oca, un macigno si posizionò senza preavviso sul mio stomaco mentre un nodo stringeva la gola sempre di più.
Oh cazzo.
Quelli erano assorbenti e io... io non li usavo da più di un mese.
Oh.cazzo.





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Alzi la mano chi l'aveva immaginato u.u
Quelle che non si sono fatte i fatti loro e sono andate a leggere la censuratissima recensione di Cloe allo scorso capitolo, non contano u.u
Ahahaha bene, mi dileguo. Spero che vi sia piaciuto anche solo un quarto di qualsiasi altro capitolo mai scritto da me ahahaha E ci tenevo a ringraziarvi qui per il riscontro non solo al primo capitolo di questa storia (sebbene non fosse nulla di particolare), ma soprattutto all'epilogo di Broken Road.
Ogni vostra parola, anche le virgole, mi ha fatta commuovere in un modo che... non potete averne idea.
Grazie mille, di cuore! :')

   
 
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