Questo capitolo è una bella noia ahahaha ma serviva per
descrivere un pò la vita di Bella prima di arrivare a quello
che
sarà il vero tema della storia. Non so se avete notato che
non
sto linkando canzoni, ed è proprio perché questi
capitoli
sono stati scritti mesi fa e non ricordo per nulla quali canzoni mi
ispirarono e non mi viene naturale mettervi delle canzoni solo
perchè ci stanno bene XD Comunque, appena posterò
capitoli nuovi di zecca, riprenderò con i suggerimenti
musicali.
Okay, detto questo... Vi lascio alla lettura, sperando che arriviate
alla fine senza addormentarvi LOL
Ci sentiamo sotto! xx
Capitolo 2
Unexpected
- “Bella!
Bella...?”
- “Mmmm…”
mi lamentai ancorata al sonno.
- “Bella,
farai tardi.”
- “Lasciami
dormireeee...” biascicai mentre sentivo già il
lenzuolo mancarmi da sopra al
corpo.
- “Su,
svegliati!”
- “Mmm…
Rose!” esclamai infine alzandomi solo per riprendere possesso
del lenzuolo e
rituffarmi sul letto.
- Sentii
la mia amica sospirare e poi sbuffare.
- “Si
può sapere che hai?”
- Feci
finta di dormire ma conoscendola era troppo intelligente per credere
che avessi
ripreso sonno dopo nemmeno due minuti.
- “Bella!”
- “Non
voglio andarci, Rose, non mi va! Quella mi odia, non la sopporto
più!”
- “Ma
chi? Siria?”
- “Sì!”
confermai uscendo dalla copertura e mettendomi seduta “Lei mi
odia ed è
perfettamente normale visto che io odio lei ma non capisco
perché ce l'abbia
tanto con me. E' un mostro. Dal primo giorno di stage mi manda sempre a
prenderle il caffè e se le porto un cappuccino dice di aver
cambiato idea e di
volere il macchiato; se le porto il macchiato vuole il
cappuccino...”
- “Tu
fatti furba e portaglieli entrambi!”
- Facile
come bere un bicchiere d'acqua in effetti; non ci avevo pensato.
- “Non
è solo questo il punto. Lei è troppo dura,
capisci? Dovrebbe essere un corso di
apprendimento e invece lei lo utilizza come programma sfruttiamo-gli-stagisti.
L'altro giorno ha fatto piangere una
ragazza! Ha detto che l'arte non può nemmeno guardarla
perché non ha gli occhi
adatti. Ti rendi conto?! Che cazzo vuol dire ‘non
hai gli occhi adatti’? Quella poverina... le ha
distrutto i
sogni in due secondi. E tutti gli altri. E' sempre lì a dare
consigli o
criticare, ma anche quando deve dire una buona parola non lo fa mai
dandoti la
soddisfazione di ricevere un complimento” mi resi conto di
non aver sputato
mezzo secondo quindi fui costretta a prendere fiato.
- Rose
mi carezzò i capelli.
- “Tesoro…”
disse quasi con compassione. “E dei tuoi lavori che
dice?”
- “Magari
dicesse qualcosa... Lei sta lì e fissa. A volte per due
secondi, altre per
venti minuti interi! Mi dà il nervoso! Mi ricorda quando
facevo le prime
manovre con la macchina e mio padre era lì a fissare!
Normale che poi prendevo
la staccionata!”
- Ero
estremamente agitata quella mattina; meglio non avvicinarmisi.
- “Okay
tesoro, ora rilassati e prendi un bel respiro”
- Seguii
il consiglio della mia amica e chiusi gli occhi cercando di rilassarmi.
- Funzionò,
almeno quel poco che bastava per non farmi urlare come un pazza
esaurita appena
alle nove di mattina.
- “Non
voglio andarci, Rose. E poi non mi sento nemmeno tanto bene, mi viene
da
vomitare. Ecco l'effetto che mi fa quella!”
- “Tu,
invece, ora ti alzi e ci vai. Non solo perché se non finisci
lo stage non ti
pagano un centesimo, ma anche
perché
e l'ultimo giorno e devi resistere e far vedere che sei più
forte di lei.
Mollare ora sarebbe davvero da stupidi.”
- Sapevo
che aveva ragione e che mi sarei comunque alzata da quel letto,
però...
- “Ma
perché deve mandare sempre me a
prendere
il caffè!?” sbottai di nuovo, ignorando i
tentativi di Rose che si massaggiò le
tempie ad occhi chiusi. “Ci sono altri trenta stagisti oltre
me... Bè, ventidue
dopo la sfuriata di ieri... E' pazza, Rose! Prima dice di non usare le
tempere
e poi si lamenta del bianco-nero!
E' pazza!”
- “Come
ogni artista d'altronde” un sorriso ironico indirizzato
esclusivamente a me.
- “Che
vorresti dire?” chiesi già sulle mie.
- “Bè...”
la sua risposta consistette in una sguardo dall'alto a basso.
- “D'accordo,
è chiaro. Sono esaurita...
Ma non
posso farci niente. Quella donna, anzi quella vipera,
mi fa davvero salire il sangue al cervello! Perché non mi
caccia
via se non mi sopporta?”
- Strinsi
il cuscino e lo lanciai contro l'armadio mentre cacciavo un piccolo
urlo
liberatorio.
- Respirai
a fondo ed espirai.
- “Okay,
mi sono calmata. Scusa Rose, so che hai sentito questa storia duemila
volte, è
che davvero… non pensavo fosse così. Non vedo
l'ora che finisca.”
- “Tesoro,
mi dispiace molto che sia andata così. Dai, magari la
prossima volta andrà
meglio..”
- Già,
ma quale prossima volta? Contavo sullo stage come un mezzo trampolino
per farmi
conoscere da qualcuno e trovare un lavoretto in qualche mostra, anche
come
tirocinante. Qualsiasi cosa. Non pretendevo un salario alto,
semplicemente fare
quello che mi piaceva fare: arte.
- Rose
era tutt'altra storia. Lei stava già facendo praticantato al
reparto neurologia
dell'ospedale e presto avrebbe iniziato a fare i turni. Lei
sì che stava
realizzando quello che voleva. La sua carriera era in avvio, sapeva
quello che
voleva e quando lo voleva, aveva anche iniziato una mezza relazione con
quel
tipo che l’aveva invitata alla festa. Non l’avevo
ancora conosciuto, nonostante
si vedessero da due mesi, perché le piaceva dire che non
c’era niente di
concreto ancora e non voleva fasciarsi la testa prima ancora di
romperla, ma
sapevo che sarebbe stata questione di poco prima che le cose
diventassero
ufficiali. Allora me lo avrebbe presentato e magari avrei saputo di lui
qualcosa più del semplice nome, se Emmett può
dirsi un nome, e delle sue
prestazioni fisiche a letto. Certo, non potevo esattamente permettermi
di
giudicare. Almeno lei l’aveva, una vita sessuale e pseudo
sentimentale. Il mio
ultimo rapporto risaliva a quella disastrosa, e solo per certi versi piacevole, sera di due mesi prima. Ci
pensai con amarezza mentre guardavo la mia migliore amica e per un
millesimo di
secondo la invidiai ma in realtà ero davvero felice per lei.
- “Dai,
alzati, lavati, mettiti qualcosa di fresco, truccati un po' e vieni a
fare
colazione! Ti ho fatto le frittelle con la cioccolata, in previsione
del boom
finale!” rise e mi baciò i capelli prima di uscire
dalla stanza.
- “Muovitiiii!”
urlò dalla cucina e non potei non starla a sentire.
- Grazie
a Dio avevo Rose.
- Trenta
minuti dopo ero pronta, con un vestitino leggero che mi fasciava il
corpo
lasciando penetrare anche qualche alito di vento - che non faceva mai
male data
la perenna afa dell'aria di fine Settembre tipica di Los Angeles - i
capelli
sciolti sulle spalle e un leggero tocco di fard sulle guance. Niente di
più
semplice, mi piaceva così.
- Con
un sorriso sulle labbra che prima non c'era mi preparai ad affrontare
la
mattinata e in fondo ero felice, non solo per le ottime frittelle di
Rose ma
anche perché sarebbero state le ultime quattro ore di quella
tortura.
- Lavorare
al bar era quasi più gratificante. Almeno lì
c'era Eric che non mancava di
farmi sorridere ogni tanto, sebbene le sue avance fossero troppo
sfrontate e
continuavano ad esserlo nonostante i miei continui rifiuti.
- Non
che fossi ancora depressa per Jacob, semplicemente non sentivo il
bisogno di
avere un ragazzo, soprattutto non uno per cui non provavo la minima
attrazione
fisica. Eric era un amico, un buon amico, e mi serviva un buon amico
ogni
tanto.
- Rose
uscì prima di me, augurandomi buona fortuna e dandomi
appuntamento per un
cinese davanti la TV alle otto, quando lei tornava da lavoro e io dal
bar.
- Bè,
le nostre vite erano parecchio impegnate in effetti ma era l'unico modo
per
avere un minimo di indipendenza e continuare a pagare l'affitto di quel
piccolo
appartamento che ci eravamo regalate.
- Forse
era un po' troppo di lusso per due neo-laureate ancora in procinto di
ingranare
con le proprie vite ma appena l'avevamo visto era bastato uno scambio
di
sguardi per capire che sembrava fatto apposta per noi.
- Era
colorato, ma non con colori sgargianti e accesi da far male agli occhi.
- C'era
un piccolo salottino con un divano letto di fronte un televisore,
scaffali già
pieni di libri, una cucina ad angolo, in legno con un piccolo ma
grazioso
tavolo al centro, ovviamente il bagno e due camere da letto. Ogni
camera aveva
almeno due finestre e la casa aveva due piccoli terrazzini. Ce n'era
anche uno
in una delle camere da letto che, dopo una sfida all'ultimo sangue a sasso-carta-forbice, era toccato a me.
- Insomma,
forse era un po' troppo per noi ma con qualche sforzo ce l'avremmo
fatta e ce
la stavamo facendo.
- Joey,
la dolcissima proprietaria dello stabile che avevo scoperto essere una
donna
solo il giorno in cui eravamo andate a vedere l'appartamento, era stata
davvero
gentile da abbassarci l'affitto. Solo dopo una telefonata a
papà, in cui gli
chiedevo come mai non avesse specificato che il suo amico
fosse in realtà un'amica,
ero venuta a sapere, con conseguente trauma e stato di shock per due
giorni,
che era in realtà una sua vecchia fiamma.
- Assurdo.
Ero sempre stata convinta che mio padre fosse stato innamorato solo di
mia
madre in vita sua e scoprire che anche lui era stato giovane e aveva
avuto
altre ragazze - con cui, per giunta, era rimasto in contatto - era
stata una
sorpresa, giustificata unicamente dal fatto che non ci avessi mai
pensato
prima.
- Tuttavia
la cosa non creava problemi a nessuno. Papà mi aveva
raccontato anche di un
paio di favori che le aveva fatto riguardo a qualche eccesso di
velocità sulla
statale. Erano rimasti in buoni rapporti insomma, ma Joey era
felicemente
sposata con due bambini, un maschio e una femmina, che avevo visto ogni
tanto
ed erano adorabili come lei. Mi piaceva lei, davvero. Per qualche
istante ero
anche arrivata a pensare che forse mio padre sarebbe stato felice
più con lei
che con mia madre, poi mi colpivo la testa da sola perché in
quel caso non
sarei stata lì a pensarci visto che non sarei esistita.
- Quando
finii le frittelle mi sentii terribilmente in colpa perché
ne avevo mangiate
tre abbuffandomi come un porco e
ora
ovviamente mi sentivo assurdamente pesante.
- Bene,
prendere tram e metropolitane così sarebbe stata una vera
passeggiata, pensai
mentre uscivo dal nostro piccolo paradiso sentendomi nauseata, fisicamente, all'idea di quello che mi
aspettava.
- “SWAN!
CAFFE'!”
- Perfetto,
nemmeno mi aveva visto entrare che già dava ordini.
- È l'ultimo giorno, Bella. È l'ultimo
giorno, ripetei
come un mantra nella mia testa ma la rabbia non mi impedì di
farmi furba e,
come mi aveva consigliato Rose, andai al bar di fronte -
perché ‘quello delle
macchinette sa di acqua arrugginita
e calcare’ - e ordinai un caffè
macchiato e un cappuccino da portare via;
nel frattempo ne bevvi uno anche io.
- Non
potevo affrontare la giornata senza un misero, minuscolo ma necessario
caffè.
- Quando
rientrai, le andai incontro e quasi saltai sul posto quando si
voltò di scatto
verso di me.
- Senza
dire nulla le passai il macchiato.
- “Non
avevo detto che volevo un cappuccino?”
- No,
non l'hai detto brutta stronza sessualmente frustrata.
- Non
era il caso che lo dicessi ad alta voce però così
mi limitai a passarle il
secondo, il suo cappuccino.
- “Ecco!”
esclamai con una punta di superiorità pensando che almeno
l'ultimo giorno
potevo permettermelo.
- Mi
scrutò con sguardo indagatore. I suoi occhi color ghiaccio,
i capelli biondo
quasi platino, perfettamente lisci, stesso colore rifatto delle
sopracciglia,
un tailleur che fasciava perfettamente il busto e le gambe magre.
- Aveva
un bel corpo per avere l'età che aveva.
- Mi
resi conto di non sapere la sua vera età ma comunque non
meno dei quarant'anni.
- Siria
James era una delle più illustri attiviste nel campo
dell'arte e della moda
degli ultimi dieci anni, a Los Angeles e anche all'estero.
- Si
era creata quel suo piccolo impero da sola e a volte non potevo che
chiedermi
se fosse sempre stata così acida, se fosse stato quello il
segreto del suo
successo e se ne fosse davvero valsa la pena se poi finiva per entrare
in una
casa completamente sola.
- L'unica
cosa che aveva era la sua arte. I suoi dipinti, i suoi progetti
d'interni, la
linea di vestiti che stava per lanciare sul mercato.
- Più
volte mi trovavo a controllare il suo anulare, quasi nella speranza,
per lei,
che qualcuno si fosse fatto avanti, ma niente.
- Mi
guardò gelida e abbozzò un sorriso indecifrabile.
- “Seguimi,
Swan.”
- E
vorrei che non avesse mai detto quelle parole perché furono
la rovina della mia
mattina. Avrei voluto passare l'ultimo giorno a terminare una mia
modesta tela
e invece lo passai a fare scanner, mandare fax, fotocopiare e
archiviare ogni
articolo che era stato scritto su di lei.
- Una
fiera dell'egocentrismo in pratica.
- A
fine lavoro fummo riuniti tutti nella grande sala delle conferenze e le
lanciai
qualche occhiata per capire il motivo; il motivo per cui mi odiava
così e per
cui si era divertita a rendermi ancora più pesante
quell'ultima giornata.
- Fu
una delle sue assistenti a parlare per lei, ovviamente non sprecava
nemmeno il
fiato o almeno era quello che credevo finché non fece un
passo avanti e prese
parola.
- “L'arte
è il motivo per cui siamo qui. Molti pensano di conoscerla e
negano la realtà
quando gli si fa notare che non è così. Molti non
hanno avuto la forza di
andare avanti ed è stata la dimostrazione di quanto magro
fosse quello che loro
chiamavano amore. Voi siete qui per seguire l'arte ma io non posso
aiutarvi,
perché nessuno ha aiutato me e infatti questi sono i
risultati.”
- Com'era?
Ah sì, fiera dell'egocentrismo.
- “Posso
limitarvi ad augurarvi il meglio e a fermarvi subito qui se pensate che
questi
due mesi siano stati un inferno. Se questo pensiero vi passa per la
testa allora
non siete tagliati per l'arte.”
- Ed
eccolo, un pugno allo stomaco, una campanella che avvertiva che ero
stata presa
in causa. Ma andiamo, lei non poteva sapere della mia insofferenza,
senza
contare che non era insofferenza per l'arte che continuavo ad amare
più
dell'aria; era insofferenza per lei e per l'odio che aveva,
inspiegabilmente,
nei miei confronti.
- Seguirono
una serie di parole di rito a cui non prestai molta attenzione
finché non fummo
congedati con una delle sue citazioni preferite. Era proprio sua,
l'avevo
cercata su Google e mi aveva collegato a una biografia sulla sua vita.
- “L'arte
non è per tutti e non è per molti; è
per pochi eletti che sanno guardarla ad
occhi chiusi e ascoltarla col cuore.”
- Interrogandomi
su quelle parole e su quanto potessero essere vere salutai i miei
compagni di corso
e insieme a loro raccolsi le cose per uscire da quello che lei stessa
aveva
definito inferno.
- Dio,
ma ero io o faceva caldo in quella stanza?
- Forse
ero io perché gli altri mi sembravano perfettamente a loro
agio eppure stavo
iniziando a sudare, così tanto che mi sarei volentieri
buttata nella fontana lì
in piazza.
- Pensavo
infatti di stare immaginando quando sentii la sua
voce chiamarmi, ancora una volta, per la centesima volta nel
giro di quattro ore.
- “Swan!”
ripeté la voce arcigna e acida.
- Avrei
voluto prendere la mia tracolla e fargliela volare in faccia a
mo’ di boomerang
ma decisi di comportarmi da persona adulta e mi voltai.
- “Sì?”
- “L'aspetto
Lunedì prossimo” disse senza nemmeno guardarmi
negli occhi e controllando, o
facendo finta di controllare, qualcosa tra una pila di fogli che aveva
in mano.
- “Mi
scusi?”
- “La
voglio nel mio stuff di design e arredamento di interni ed
esterni.”
- Ok,
dovevo davvero stare male per immaginare quelle parole che uscivano
dalla sua
bocca.
- Non
stava dicendo sul serio.
- “Non…
non credo di capire…”
- “Glielo
devo scrivere?”
- Strinsi
i pugni per sentire le unghie affondare nella pelle e rendermi conto
che non
stavo sognando.
- “Perché?”
fu l'unica domanda che mi venne spontanea.
- “Lei
è brava, ha una bella mente, idee intelligenti e tenacia non
indifferente.
L'aspetto Lunedì. Sempre che non sia impegnata in altri
lavori.”
- Oh cazzo.
- “Io…
io lavoro a un bar nel pomeriggio, tre volte a settimana.”
- “Allora
quelle mattine e i pomeriggi degli altri due giorni sarà da
me. Non si lavora
il Sabato e la Domenica, ma sono particolari di cui parleremo
Lunedì.
Ovviamente è un lavoro che le sarà retribuito ma
anche di questo discuteremo a
tempo debito. Vuol del tempo per pensarci?”
- Dov'erano
finiti la scopa, il naso bitorzoluto e il cappello da strega?
- Sembrava
un'altra persona. Sempre glaciale ma quanto meno con un minimo di modi.
- E
cosa mi aveva appena chiesto? Se avevo bisogno di tempo per pensarci?
- Oddio,
ne avevo bisogno?
- Forse
sì, ma allo stesso tempo sentivo di non poter lasciar
passare un solo secondo.
Una delle più rinomate artiste della città mi
stava offrendo un lavoro nella
sua compagnia; certo la odiavo, ma questo era prima di sapere che forse
il suo
non era odio ma magari solo un briciolo di rispetto per qualcuno che
lavorava
come piaceva a lei.
- Senza
contare che nessuno avrebbe potuto impedirmi di alzare le staffe se le
condizioni fossero state disumane…
- Non
ebbi più dubbi.
- “No,
no. Accetto!” esclamai esaltata e sentii la testa girarmi di
botto. Dovetti
chiudere gli occhi per il capogiro ma lei non se ne accorse nemmeno.
- “Perfetto.
A Lunedì allora. Alle nove, puntuale. Non faccia
ritardo.”
- Rimasi
in bilico su me stessa mentre la vedevo allontanarsi e sparire dietro
una porta
vetrata.
- Mi
ci vollero almeno cinque minuti per fare mente locale e rendermi conto
che
avevo, quasi, un lavoro. Un lavoro
vero! O almeno, una grande opportunità!
- Saltai
dall'entusiasmo mentre uscivo dall'edificio e risultò essere
una pessima mossa
perché mi sentii mancare e fui costretta ad appoggiarmi al
muro per non cadere.
- Successe
tutto in un attimo.
- Un
secondo sentivo il liquido acido salirmi in gola, un secondo dopo lo
stavo
riversando nel bidone dei rifiuti accanto a me.
- Rigettai
ancora un paio di volte fino a sentirmi completamente vuota, nauseata,
e bagnata
di sudore dalle scapole fino al bacino.
- Che
cazzo mi stava succedendo?
- Sapevo
che tre frittelle a prima mattina mi avrebbero fatto male e lo stress
accumulato in quelle ore non doveva aver giovato al mio stomaco
già provato
dalla mattina stessa.
- Mi
asciugai la bocca e bevvi un po' d'acqua che portavo sempre con me,
eppure mi
sentivo ancora infuocata,
così tanto
che non potei fare a meno di dirigermi alla fontana e immergerci la
testa.
- Quando
la rialzai, notai una decina di persone intente a fissarmi curiose,
come se
fossi pazza; una pazza che si era appena fatta uno shampoo in una
fontana
pubblica.
- Ma
in quel momento mi importava poco di quello che pensava la gente. Mi
ero
rinfrescata, mi sentivo meglio e avevo ancora un pomeriggio di lavoro
da
affrontare.
- Quando
arrivai al bar alle tre del pomeriggio, dopo un panino al volo in
metropolitana, avevo ancora i capelli umidi e Eric, che notava sempre
ogni
piccola cosa, non mancò di chiedermi cosa avessi fatto.
- Gli
spiegai brevemente e si offrì, ovviamente, di coprire anche
il mio turno ma
sapevo che non avrebbe potuto reggere il lavoro di due, inoltre mi
sentivo
decisamente meglio quindi declinai la sua richiesta e andai nel retro
per
mettermi l'uniforme.
- A
fine giornata, dopo quattro ore e mezza a servire i tavoli ed evitare i
soliti tipi
lascivi che giocavano a biliardo facendo battute di cattivo gusto e
giochi di
parole sul mettere le palle in buca, presi finalmente la via di casa ma
dovetti
sforzarmi con tutta me stessa per non chiudere gli occhi in
metropolitana.
- Forse
era il sonno mancato della sera prima, o lo stress accumulato, o
semplicemente
la stanchezza e l'acidità di stomaco... fatto stava che mi
sentivo una vera
pezza e ringraziai di avere un'altra settimana prima di iniziare di
nuovo a
lavorare di mattina, anche se la sola idea mi eccitava e mi impauriva
allo
stesso tempo.
- Eppure
nemmeno la paura di non essere all'altezza mi distrasse dalla
stanchezza.
- Quando
entrai, chiamai Rose ma non era ancora rincasata.
- Bevvi
altra acqua e ciondolai verso il salotto, per poi essere costretta a
cambiare
direzione e scegliere il bagno, in previsione di una nuova crisi di
vomito.
- Quando
sentii la porta di casa aprirsi e sbattere, ero ancora china sul
gabinetto e
avevo perso il conto del tempo che c'ero stata.
- “Bella!”
Rose mi chiamò un paio di volte ma non ebbi la forza di
rispondere.
- Aspettai
che fosse lei stessa a trovarmi in bagno e quando mi vide si
chinò su di me,
preoccupatissima, reggendomi il viso e chiedendomi cosa fosse successo.
- Mi
ci volle qualche minuto per riprendermi, stendermi sul pavimento fresco
del
bagno e spiegarle brevemente la mia giornata.
- “Oh,
tesoro... mi dispiace. Forse l'impasto delle frittelle non era buono!
Dannazione! Eppure non c'era niente di scaduto.”
- “Ma
no, tranquilla” aprii leggermente gli occhi. “Sono
io che sto fusa ultimamente…”
dissi mentre lei mi carezzava dolcemente i capelli.
- “Com'è
andata con la strega?”
- “Ah,
mi ha offerto un lavoro” ero sicura di averglielo
già detto ma fu evidente
dalla sua reazione che dovevo averlo solo immaginato.
- “COSA?!
STAI SCHERZANDO?! E hai intenzione di accettare?”
- “Ho
già accettato, Rose.”
- “COSAAAAAA?”
le urla invasero il bagno rimbombandomi nelle orecchie e facendomi
lamentare
per l'assordante rumore che creavano nella mia testa.
- “Rose...”
- “Scusa,
scusa” disse quasi sottovoce. “Ma…
credevo che la odiassi e che ti odiasse...”
- “Lo
credevo anche io” riaprii gli occhi. “Ma invece ha
detto che sono brava, che
detto da lei deve essere un bello sforzo...”
- “Quindi…?
Cioè, accetti e cosa farai?”
- “Ah,
ancora non lo so. Inizio la settimana prossima ma, qualunque cosa sia,
è un'occasione
Rose, è un lavoro e lei è così piena
di talento, sento che potrei imparare
ancora tanto.”
- “Che
fina ha fatto l’odio di questi sessanta giorni?”
- “La
odiavo quando credevo che lei odiasse me...” sogghignai e
Rose mi guardò
ironica ma poi si aprì in un sorriso a sessantaquattro denti.
- “Oh,
tesoro! Non puoi capire quanto sia felice per te!” si
buttò sul pavimento per
abbracciarmi e fu impossibile non capire l'affetto sincero che
dimostrava al
momento.
- Restammo
sul pavimento a parlare delle nostre giornate forse per un'altra oretta
quando
Rose si ricordò del cinese che aspettava in cucina.
- “Oh,
ma forse tu non hai molta fame, vero? Come ti senti?”
- “Sai
una cosa invece? Un cinese ora mi andrebbe proprio!” esclamai
esaltata
all'idea.
- “Ah…
okay... sei sicura?”
- “Sì
sì!” confermai mentre con una mano mi appoggiavo
al lavandino per alzarmi.
- Rose
aiutò a reggermi mentre riprendevo possesso della vista in
seguito a qualche
secondo di buio e di giramento di testa, infine andammo in cucina dove
aspettava la spesa da essere sistemata.
- Mi
offrii di dare una mano a metterla in ordine ma lei rifiutò.
- “Tanto
ci metto due secondi, poi mangiamo!”
- Così
restai seduta al tavolo della cucina, con la testa china sulla
superficie
leggermente fredda ad osservare con la coda dell'occhio i movimenti di
Rose e a
sentirla parlare.
- E
fu in quell'istante che lo vidi e ogni cosa perse l'attenzione che gli
stavo
dando… eccetto quel pacco viola, familiare, che era nel mio
raggio visivo.
Dovetti mettere a fuoco per accertarmi di cosa si trattasse e quando ne
fui
sicura un improvviso brivido freddo mi attraverso facendomi venire la
pelle
d'oca, un macigno si posizionò senza preavviso sul mio
stomaco mentre un nodo
stringeva la gola sempre di più.
- Oh
cazzo.
- Quelli
erano assorbenti e io... io non li usavo da più di un mese.
- Oh.cazzo.
Quelle che non si sono fatte i fatti loro e sono andate a leggere la censuratissima recensione di Cloe
allo scorso capitolo, non contano u.u
Ahahaha bene, mi dileguo. Spero che vi sia piaciuto anche solo un quarto
di qualsiasi altro capitolo mai scritto da me ahahaha E ci tenevo a
ringraziarvi qui per il riscontro non solo al primo capitolo di questa
storia (sebbene non fosse nulla di particolare), ma soprattutto
all'epilogo di Broken Road.
Ogni vostra parola, anche le virgole, mi ha fatta commuovere in un modo
che... non potete averne idea.
Grazie mille, di cuore! :')