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Autore: shotmedown    15/02/2012    3 recensioni
No, lei non ci credeva più. Inutile negarlo, c'era qualcosa che non andava nella sua vita, e non poteva far altro che crogiolarsi nella sua ignoranza; un giorno, forse, qualcuno le avrebbe fatto capire quanto contasse, e le avrebbe donato un mondo fatto di sicurezza e passione, ma per ora, si limitava a partire, ad andare lontano. Boston le stava stretta, Montréal era la libertà.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cinque amici e un paio di chitarre.'
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Non dirmi che non c'è più alcuna speranza. 
Insieme resisteremo, divisi cadremo.

Pink Floyd, Hey You.











Aprii delicatamente la porta e feci scivolare la borsa a terra, per poi dirigermi a passi pesanti in camera mia. Rivolsi un ultimo sguardo a Leah e le sorrisi, rassicurandola e promettendole che nonostante tutto sarebbe andato tutto bene. Ci sarebbe mai stata una remota possibilità che la sottoscritta trovasse qualcuno che...Scossi il capo, per cancellare quei pensieri assurdi e poco razionali. Benché oramai Pierre fosse diventato impossibile da raggiungere - e ciò non faceva altro che attanagliarmi l'anima - ero felice. Un bambino era pur sempre il dono più bello che si potesse desiderare di ricevere, e ora entrambi avevano la possibilità di sentirsi più uniti. Forse anche per me e Ben sarebbe potuta andare meglio, se ci fosse stato un figlio a tenerci insieme. Istintivamente mi portai una mano sul ventre e sospirai, lasciandomi cadere sul letto. Chiusi gli occhi e cancellai ogni pensiero dalla mente, tanto quanto bastava a sentirmi ancor più vuota e abbandonata.
Quel mercoledì mattina, uscii di casa con poca voglia di scrivere e lavorare, sicché, arrivata a metà del percorso che mi avrebbe dovuta condurre alla Montréal Gazette, chiamai in ufficio, per prendere un giorno di pausa. Il direttore non fece storie, e mi ringraziò per averlo avvisato. In quegli ultimi mesi, per non soffermarmi su riflessioni alquanto inutili sulla mia vita, avevo lavorato come una forsennata, fino a tarda sera, per poi ricorrere ai passaggi di David per tornare a casa. Infondo, restava fuori fino a notte fonda, e rifiutare uno strappo mi sarebbe parso poco conveniente sia per lui che si offriva di accompagnarmi, che per me che, in caso contrario, avrei dovuto percorrere quasi un chilometro a piedi. Spensi il cellulare e cercai un taxi, per condurmi laddove sapevo sarei rimasta tranquilla per un po'. 
Per quanto cercassi di far fronte alla notizia, mi rendevo conto che più ore passavano più la necessità di sentirlo ancora si faceva più forte. Più lui non era con me, più ne sentivo la mancanza, e questo mi stava uccidendo, lentamente, e dolorosamente. Sapevo non sarebbe più stato possibile riaverlo con me, non dopo un evento del genere e...
"Qui dentro si sta sempre bene." Sobbalzai, sentendo il battito del cuore accelerare: ma non dissi niente, sicura che non sarebbe andato via nessuno dei due, se non dopo aver parlato. "Posso?" Chiese, indicando un posto invisibile accanto a me. A malincuore, annuii, sentendomi sempre più una perfetta masochista. Migliaia di domande mi affollavano la mente, ma lasciai perdere ogni tentativo di capire. Entrambi, rimanemmo in silenzio abbastanza da sentire il peso di parole che nessuno avrebbe pronunciato. Poi mi arresi all'inquietudine.
"Pierre..." Mormorai, fissando un punto impreciso sulla parete di pietra. 
"Mmh?" Mi voltai verso di lui, e combattendo contro i demoni della malinconia, incrociai il suo sguardo e gli sorrisi. 
"Congratulazioni." Fece per dire qualcosa, ma zittì e prese ad armeggiare con il cellulare. Lentamente mi alzai da terra e mi spolverai i jeans. Avevo della sabbia nelle converse, ma feci finta di niente e silenziosamente uscii alla luce del sole. Mi guardai intorno, e dopo essermi sfilata le scarpe mi avvicinai alla riva per provare la freschezza dell'oceano. Inspirai a fondo, sentendo l'aria salmastra che nell'arco di un secondo mi rigenerò completamente. Sì, mi sentivo bene.
 
Pierre p.o.v
 
Un passo alla volta e le fui accanto; senza pensarci su due volte, l'avvolsi con le braccia e la strinsi forte, udendo i suoi singhiozzi - purtroppo - in modo abbastanza marcato. Sentii le sue mani stringere forte la mia maglietta e implorare, silenziosamente, di non lasciarla andare fino a quando lei stessa non me lo avesse esplicitamente chiesto. 
Le accarezzai i capelli, sentendomi totalmente impotente e desiderandola, ad ogni contatto, sempre di più. 

Watch your step, love is broken. I am every tear you cry. Save your breathe, my heart has broken; you already have my life.
 
Perché mi tornasse alla mente proprio quella canzone non lo seppi fino a quando non mi resi conto che mi avrebbe dato la risposta. 
"Scusa." Sussurrò, stringendo più forte le dita. "Scusa."
"Perché?"
"E' stata tutta colpa mia e della mia stupida convinzione di non meritare nulla di tutto questo." 
"Effettivamente non te lo meriti." Risposi, producendo uno strano suono dato l'ostacolo che l'incavo del suo collo rappresentava. 
"Sai bene a cosa mi riferisco." Annuii, chiudendo gli occhi e cercando di lasciare fuori il resto del mondo. Era così facile perdere la cognizione dello spazio e del tempo quando stavo con lei, tanto che talvolta mi riusciva facile pensare che se lei non fosse mai arrivata, avrei vissuto una vita semplice. David aveva più che ragione: dovevo lasciare che qualcosa di più potente di me prendesse il sopravvento. I cambiamenti non potevano portare solo a conclusioni disastrose, dopotutto.
 "Posso confessarti un segreto, come ai vecchi tempi?" Sorrisi, ricordando le notti passate a raccontarci cose improbabili sui nostri pensieri. "Voglio tornare da mia madre e...riprovarci con Ben. Ho come l'impressione che questa volta potrebbe funzionare." 
"Cosa?" Fui sul punto di perdere l'equilibrio, data la velocità con la quale mi staccai da lei per indietreggiare; fui colto totalmente alla sprovvista, e lei parve rendersene conto. "Stai scherzando, vero?" Scosse il capo, e sentii di nuovo la rabbia riaffiorare e il senso di colpa tornare a galla. Non poteva fare questo a se stessa. Non poteva! E arrivati a quel punto, neanche a me. Passai una mano sulla nuca e presi a camminare avanti e indietro per un breve tratto di spiaggia, cercando di calmarmi e ritrovare il coraggio di parlare come una persona civile. Sapevo bene perché fosse giunta a quella conclusione, pur tuttavia non riuscivo a smettere di considerare quella una presa di posizione estremamente errata.
"Smettila!" Inveì. 
"Perché dovrei? Qui sei l'unica a poter fare quello che le pare?" Mi pentii subito di averlo detto, ma ormai era troppo tardi. Tuttavia, lei mantenne una calma che mi parve sovrumana, impossibile data la sua suscettibilità negli ultimi tempi. Doveva essere uno di quei periodi in cui lasciava che le parole fluissero liberamente dalla sua bocca senza il timore di essere represse per soggezione. 
"Io non sto decidendo di andare al patibolo, Pierre. Forse è vero, è una delle scelte più insensate che io abbia fatto negli ultimi tempi, ma considerate le circostanze la distanza non potrà che farci bene." Affermò.
"Dimmi, allora, cosa c'entra Ben in tutto questo." 
"La distanza che intendo non è solo quella fisica." Agitai il capo, considerandola l'idea più sciocca e suicida che avesse mai maturato. "Non posso restare." 
"E allora vattene." 
"Cosa?" Udii nella sua voce un tono sorpreso. 
"Vattene." Ripetei, alzando lievemente la voce. "Ma stavolta non tornare." 
Fece un passo indietro, raccolse le sue scarpe e dopo avermi guardato un'ultima volta si allontanò. Non potevo averla portata su quella strada. Doveva esserci un'alternativa. C'era sempre un'alternativa. Ad ogni passo, sentivo nascere il desiderio di correrle dietro e impedirle di andar via. Ma dovevo pensare a Lachelle e al bambino, a cosa sarebbe successo se ora mi fossi lasciato andare e cosa invece sarebbe accaduto a me se non lo avessi fatto e avessi permesso che lei potesse allontanarsi nuovamente da me. Ora come ora, l'unica soluzione era guadagnare tempo e cercare di mettere a posto i tasselli del puzzle, per riportare tutto all'ordine, come prima che ogni volta che cercavo di avvicinarmi a lei qualcosa di assurdo tendeva a mettersi tra i piedi. L'ultimo caso era ben diverso. Un bambino era ciò che volevo, ma la donna che amavo non era la madre, e, prendendo in considerazione gli ultimi tre anni, non lo sarebbe mai stata, se non per obbligo morale. Mi sentivo un mostro, ma non potevo andare avanti così.  
"Dannazione!" Velocemente mi incamminai verso di lei, e quando le fui abbastanza vicino l'afferrai per un braccio e la costrinsi a voltarsi. Prima di eliminare la distanza tra noi, la guardai negli occhi; non riuscii a capire, per la prima volta, cosa essi cercassero di comunicarmi. 
  
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