Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Shadeyes    15/02/2012    2 recensioni
Il terzo capitolo di questa long-fic, assieme all'extra "Angelo Bianco", si è classificato secondo al "Love Canon Contest", indetto da sweetPotterina sul forum di EFP.
Vincitore del premio Cuore, per la storia d'amore più bella, e del premio Lacrima, per la storia più commovente.

Fiction dedicata a Carlisle ed Esme, una delle coppie più romantiche di Twilight.
Non vuole raccontare nulla più che la verità. Pochi, intensi capitoli sulla storia del loro amore travagliato, dal punto di vista di Esme.
Spero di riuscire ad emozionarvi :)
Alzai lo sguardo, scrutai in quelle iridi color miele e con sgomento vi trovai un dolore represso, un sentimento che non sarei mai riuscita ad attribuirgli.
Cancellai dalla mia mente ogni cosa, ogni pensiero razionale che avrebbe potuto frenarmi.
Mi sollevai sulle punte dei piedi e poggiai le mie labbra sulle sue.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Esme Cullen
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Missing Memories'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





Carlisle and Esme









Missing Memories









Passato VI









Rientrai in stanza intorno alle otto di sera, sfinita.
La schiena mi doleva terribilmente, tanto che ormai avevo iniziato a soffrire di nausea, e non per colpa del bambino che avevo in grembo. Le mie gambe erano gonfie e pulsanti e avevo delle caviglie così grosse che da qualche settimana ai piedi potevo portare soltanto ciabatte.
Lavorare in una scuola elementare era sempre stato il mio sogno, ma come insegnante, non certo come donne delle pulizie. Eppure, da quando ero diventata Lisa, la ragazza madre senza passato, nessuno dei rettori degli istituti di Vancouver si era sentito di assumermi; dicevano che con quel mio pancione senza padre avrei potuto solo avere un’influenza negativa sugli allievi. Ma il mio disgusto non aveva avuto la meglio sul mio bisogno di trovare lavoro, così avevo accettato l’unico impiego che mi era stato offerto, come bidella.
Non ero nelle condizioni di potermi permettere il lusso di scegliere, comunque. Lamentarmi non sarebbe servito a nulla.
«Buonasera, Hester», salutai, chiudendo la porta alle mie spalle.
«Oh, ciao, Liz!».
Hester era la mia compagna di stanza, una ragazza bassa, dai capelli ricci e castani, un viso rotondo dai lineamenti vagamente infantili. A differenza mia, lei mi aveva raccontato molto del suo passato e della sua famiglia: faceva parte della classe operaia, per niente ricca ma decisamente unita, tanto che i suoi genitori si stavano massacrando di lavoro e di sacrifici per permettere alla loro terza di quattro figli di andare a vivere in un’altra città e di poter seguire i corsi universitari.
Tuttavia, né io né lei avevamo i soldi per una stanza d’albergo o per affittare un appartamento, per questo soggiornavamo dalle suore e dividevamo la camera.
Alla Madre Superiora avevo dovuto raccontare che mio marito era morto in guerra dopo avermi messa incinta, e, nonostante dubitavo ci avesse davvero creduto, mi aveva accolto ugualmente nei dormitori del convento di Saint Helena, ai piedi del promontorio che si affacciava sull’oceano Pacifico, nella periferia della città.
Evidentemente, facevo più compassione di quel che pensavo.
Tolsi le ciabatte e mi sdraiai sulla branda senza nemmeno levarmi il cappotto, sospirando tra dolore e stanchezza.
Non avevo ancora cenato, ma francamente non mi sentivo di mandar giù neanche un sorso di tè, tanto era il voltastomaco. Stavo davvero male…
«Come stai, oggi? Sei più pallida del solito, Liz…», commentò Hester. Era sempre tanto premurosa con me, più di quanto lo erano stati i miei famigliari a Columbus.
Ora che ci pensavo, Hester somigliava molto a Bernice.
Oh, mi mancava così tanto! Ero fuggita senza neanche avere avuto il tempo per dirle addio…
«Non è niente. Sono solo stanca», le risposi.
«Sicura di non avere la febbre?».
Scrollai le spalle, sconsolata. Non avevo soldi per le medicine e non potevo assolutamente mancare al lavoro, quindi non faceva differenza. Avevo solo bisogno di riposare un po’.
«Non preoccuparti», le dissi.
Per tutta risposta, Hester chiuse il tomo di diritto penale e venne a sedersi accano a me.
«Liz, devi smetterla di sfiancarti in questo modo. Non vedi come ti sei ridotta?», mi fece notare, indicando prima il mio viso emaciato, poi le caviglie ingrossate.
«Non posso, Hester», risposi. «Ho bisogno di quei soldi. Non posso vivere qui per sempre. Devo assicurare a mio figlio una vita migliore di quella che ho vissuto io».
Devo assicurargli una scelta, pensai.
«Ma lui ha bisogno di te adesso! Credi che ammazzandoti di lavoro così, tu gli stia facendo del bene?».
«Sono solo al settimo mese di gravidanza, Hester. E comunque non ho scelta», ribattei. Tanto per cambiare.
«Invece, sì! Potrai ripagare la Madre Superiora una volta che il bambino sarà nato e ti sarai ripresa. Di certo, non ti lascerà in strada per un paio di mesi di quote arretrate».
Mi passai una mano sulla fronte nel vano tentativo di placare il mal di testa che mi stava venendo e mi accorsi di stare sudando freddo.
«Non è ancora il momento», sentenziai, chiudendo il discorso.
Non mi andava di pensare ai debiti che ancora non avevo accumulato. Volevo solo dormire, e sognare il giorno in cui nella mia vita sarebbe finalmente comparsa la primavera.



Mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte, il respiro accelerato e pesante.
Mi ci volle qualche istante per capire cosa mi stava succedendo, poi una fitta improvvisa mi colpì al basso ventre, mozzandomi il respiro.
Istintivamente, mi portai una mano alla pancia e mi accorsi con orrore che le coperte erano bagnate.
Accesi la luce del paralume sul mio comodino e scostai le lenzuola. La mia camicia da notte era zuppa di liquido appena tiepido.
Un’altra fitta mi fece sussultare, e a quel punto mi prese il panico.
«Hester… Hester, svegliati!», esclamai.
«Mmm… che succede?», chiese con la voce impastata dal sonno. «Perché hai acceso la luce?».
I suoi occhi si aprirono a fatica, ma quando incontrò il mio sguardo atterrito si riscosse immediatamente e si tirò su a sedere. «Cosa…».
«Credo… credo mi si siano rotte le acque», dissi d’un fiato.
L’espressione di Hester era confusa, forse incredula, ma poi abbassò gli occhi e vide com’erano conciati i miei vestiti, allora capì. Saltò giù dal letto e mi si avvicinò, non sapendo bene cos’altro fare.
«Stai per partorire», mormorò con un tono tra il dispiaciuto e l’incredulo. La sua voce non aveva nulla di rassicurante.
Quel dolore acuto mi prese ancora, dilatandosi dal ventre alla schiena, schiacciandomi contro il materasso. Se non urlavo era solo per il fiato corto che avevo, ma afferrai la mano della mia compagna e strinsi per tutta la durata di quella straziante sofferenza.
«È impossibile…», riuscii a biascicare. «Mancano ancora due mesi!».
«Vado a chiamare la Madre Superiora. Lei saprà cosa fare», rispose soltanto, agghiacciata. Si liberò dalla mia stretta ed uscì dalla porta correndo, lasciandomi su quel letto a prendere coscienza di quello che stava realmente accadendo. Un parto prematuro.
I miei occhi si riempirono di lacrime e finalmente riuscii ad urlare, ma non per il male della contrazione. Il dolore proveniva dal cuore.



«Voglio mio figlio! Datemelo in braccio, vi prego! Vi scongiuro!».
Hester mi tenne ferma per le spalle e mi obbligò a rimanere distesa. «Liz, calmati! Hai appena partorito, sei molto debole. Riposati. Il tuo bambino starà bene, le suore gli daranno tutta la cura di cui avrà bisogno». Mi disse quelle parole mentre vedevo la Madre Superiora che richiudeva la porta dietro di sé col mio piccolo tra le braccia.
«No, no! Lo voglio vedere, voglio abbracciarlo! Sono sua madre!», urlai isterica.
Ero esausta, sudata, sdraiata sulle lenzuola ormai sudice della mia branda, e piene di sangue, ma non sentivo male da nessuna parte. Non sentivo niente.
L’unica cosa che desideravo in quel momento era stringere al petto il mio bambino, tutto ciò che mi restava al mondo. E me lo stavano portando via.
«È nato con due mesi di anticipo, Liz, cerca di capire. Deve subito essere visitato da un medico».
Scossi la testa più volte, piangendo e continuando a dimenarmi.
Non riuscivo a dire nulla, la mia mente era come svuotata.
Pregai Dio perché potesse salvare mio figlio, anche a costo di dover rinunciare alla mia stessa vita. Non cambiava nulla, intanto. L’avevo già fatto. Ma il mio piccolo Carlisle, no. Lui doveva vivere!
Singhiozzai, in preda ai tremori.
Riuscivo solo più a mormorare frasi sconnesse.
«Il mio bambino… ti prego, ti prego… il mio bambino… ti prego…».



Erano trascorsi tre giorni ed io ero riuscita ad alzarmi. Disgraziatamente, era stato così.

«Mio figlio, Madre, dov’è? Come sta?».
Il suo sguardo e le sue spalle curve parlarono per primi, distruggendo tutte le mie speranze.

Non ero più consapevole di ciò che mi circondava, né del mio stesso corpo. Non esistevo già più.
Guardavo fuori dalla finestra della mia camera quel promontorio boscoso dove ricordavo di essermi rifugiata parecchie volte dopo l’arrivo a Vancouver, senza più alcun sentimento.
Lassù l’oceano era bellissimo, ed era molto alto… lassù.

«Mi dispiace, Elisabeth. Il piccolo è nato troppo presto, non ha resistito nemmeno all’arrivo del pediatra».

Parole che mi uccisero.

«È morto».

Mi uccisero davvero.
Curioso come ora avessi ripreso in mano quel vecchio diario.
Ogni sua pagina racchiudeva un pezzo della mia vita, un pezzo di tristezza, un pezzo del mio cuore. Un pezzo di Esme.
Era arrivato il momento di chiudere quel capitolo, per sempre.
Fu proprio mentre guardavo quell’irta scogliera che aprii il quaderno all’ultima pagina, e scrissi.


Ho lasciato tutto,
e allora farò quel salto,
l’ultimo bacio gelato.


La piccola Esme, finalmente, riposava in pace.







Rosa blu










Come promesso, ecco l'aggiornamento con una sola settimana di attesa ** Sono fiera di me stessa! xD Voi non lo siete? **
Bando alle ciance... non avete idea di quanto sia stato emozionante per me scrivere questo capitolo. E' stato... non saprei descriverlo... Unico.
Questa storia non ha mai avuto molte pretese, probabilmente perché di originale non ha nulla, di fatto. Volevo solo mettere nero su bianco le vicende che hanno portato l'amore tra Esme e Carlisle, più o meno accennate dalla Meyer qua e là, non so più dove. Davvero, non avrei mai pensato che il personaggio di Esme potesse darmi tanto, e invece è stato così. Spero lo sia stato anche per voi :) Anzi, spero davvero con tutto il cuore che il capitolo vi sia piaciuto almeno la metà di quanto sia piaciuto a me scriverlo :) E' stata pura emozione.

E con questo aggiornamento, non vi resta altro che attendere il gran finale con il prossimo xD Un po' di nostalgia, lo ammetto, già ce l'ho... ma sono anni che questa piccola long-fic aspetta una conclusione e voglio potergliela dare, finalmente :)
Voglio solo precisare una cosetta riguardo la trama. Secondo la Meyer, dopo che Esme si trasferisce al nord (dove non lo dice O.o'), riesce a realizzare il suo sogno e diventa maestra di scuole elementari. Partorisce il figlio concepito con Charles, che muore pochi giorni dopo. Non dice altro.
Ecco, io ho preferito sviluppare la trama un po' diversamente, da come avrete capito, aggiungendo particolari per darle un senso e cambiando poche cose, ma che secondo me sono significative. Tutto qui :)

Ringrazio Ninfea Blu, Leaena e per il sostegno che mi hanno dato (e mi stanno tutt'ora dando) per realizzare al meglio questa storia :)



Un bacio!






Hilary




   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Shadeyes