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Autore: Emi Nunmul    15/02/2012    1 recensioni
Quando si fermò per la ventottesima volta ad osservare la mano, e poi a cercare qualcosa in un altro specchio a terra, iniziò a piangere, o forse era la pioggia. In quel caso, potrei dire che il dettaglio non possa fare più molta differenza.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crying Rain







Immagino abbiate presente quelle enormi città, iper-affollate, con grattacieli altissimi, che sembra non finiscano più e ti guardano con tutti quegli occhietti illuminati sembrando minacciosi. E poi le macchine, tante macchine che non sapete neanche come possa ancora esserci del posto dove infilarle per parcheggiare. In più, non so se v'è mai capitato, ma scendere dal marciapiede pare un'impresa da folli, se si conta che gli automobilisti tengono le mani sul volante come se avessero in mano la bacchetta magica di Dio (perché io me lo immagino con in mano una bacchetta magica, con una stella piena di brillantini sulla punta), e si sentono onnipotenti come lui, quindi autorizzati a decidere se farti crepare prematuramente o meno. All'opposto ci sono quei marciapiedi sopracitati, dove la gente la mattina corre senza sosta, formando fiumi scroscianti e vorticosi, mentre la sera cammina quasi con eccessiva lentezza.

Adesso che avete inquadrato questo panorama stereotipato e senza alcuna particolarità, prendetene un altro che ne rappresenta il contrario.

 

Non andrò a parlare di luoghi fantastici né da cartolina. Andrò a parlare di una semplice zona industriale in disuso di quella stessa stereotipata città. Comunque sia, trovo che un posto del genere sia in qualche modo più affascinante ed intimo rispetto a molti altri. In un certo senso, trovo che faccia quasi meno tristezza (ovviamente non tutti gli occhi possono vedere il nero come nero ed il bianco come bianco).

C'era una ragazza che vedeva -come me- i colori a tinte diverse rispetto agli altri. Aveva iniziato a passeggiare per quel viale ampio (nella scala media dell'ampiezza) e fangoso, che però scompariva fra gli alti stabili di una fabbrica. I lati di quello stesso viale erano colorati con spruzzi di verde incolto, che donavano ulteriore allegria al posto. Il crepuscolo pareva arrivato in anticipo, quel pomeriggio. Anzi, pareva esserci sempre stato solo e soltanto il crepuscolo sin da quando era uscita di casa. Eppure erano appena le tre del pomeriggio... o forse le otto di sera. Le otto di sera con un'insolite luce grigiastra, oppure una grigiastra oscurità. Insomma, siete liberi di decidere l'ora come volete. Quello che è certo, è che le nuvole -di quello stesso grigiastro sopra accennato- si muovevano repentinamente tranquille, assumendo la forma di sbuffi di vapore che si può seperare di vedere solamente nei quadri o in foto scattati nel luogo e momento giusto, ma, soprattutto, con una  macchina fotografica più che giusta. E, perché no, anche con l'aiuto di un buon programma di grafica al pc.

Comunque, la ragazza camminava a piedi nudi, da quel che so. A quanto pare aveva deciso di lasciare scoperti quei piedi delicati da fatina. A dirla tutta, era quasi completamente scoperta, se non fosse stato per quella veste di un bianco spento, che non le ricopriva neanche le spalle, ed arrivava appena sopra le ginocchia, non riuscendo a nascondere le gambe che, anche a piedi uniti, non si sarebbero mai sfiorate. Nonostante si trattasse di una misura piccola (forse la minore), lei avrebbe potuto starci almeno due volte, in quell'abito. Eppure, sentiva di occupare ancora troppo spazio. Con le dita sottili come i rami di un esile albero d'inverno, scostò le ciocche dei lunghi capelli neri che le ricadevano davanti al viso come una tenda leggera. Tornarono subito dov'erano prima, però. Sperava che rimanessero dove li aveva sistemati (ovvero dietro le orecchie) nonostante fossero tanti e nonostante stesse piegata in avanti, intanto che camminava piano e guardava con attenzione in pozzanghere d'acqua scura. So anche che ogni tanto si fermava come meravigliata, per poter osservare il dorso della mano così magra che uno avrebbe dovuto avere paura a stringergliela. Eppure, vi dirò, non aveva un'aria malaticcia come si potrebbe immaginare. Il bianco della sua pelle era pari alla luce che si può vedere riflessa dalla luna, non quello di qualcuno che ha l'ittero, per fare un esempio. In più, le labbra non erano cianotiche, ma rosa, ed anche abbastanza accese. Ancora, i capelli erano tanti, lunghi e brillanti, nonostante il nero scurissimo. Se però alzava il viso, non si riusciva a distinguere il colore degli occhi né la forma o la loro profondità (nel caso qualcuno avesse voluto provare a farci un viaggio all'interno in un gesto di interesse). Erano cerchiati di nero, e non si capiva se fosse semplice trucco oppure un vero e proprio tatuaggio. La frangia consistente, e che a momenti pareva disegnata con un righello, confondeva ancora di più i colori di quella parte inaccessibile del suo viso, nonostante si dicesse che avesse gli occhi grandi ed anche belli.

Quando si fermò per la ventottesima volta ad osservare la mano, e poi a cercare qualcosa in un altro specchio a terra, iniziò a piangere, o forse era la pioggia. In quel caso, potrei dire che il dettaglio non possa fare più molta differenza. Quasi quasi gridava, mentre continuava a piangere, altrimenti riprendeva a camminare senza neanche singhiozzare. Qualcosa la prendeva a schiaffi dall'interno facendola sussultare. Qualcos'altro la faceva diventare inerme.

Nel momento in cui in quel posto iniziò a dominare solo una grigiastra oscurità, lei si fermò -ora inerme- chinandosi davanti ad un'altra pozzanghera. Non riuscendo a comprendere se la figura che vi aveva visto riflessa fosse di natura reale o meno, sfiorò con i polpastrelli lo specchio freddo. Il tocco, per quanto delicato, fece scomparire l'immagine fra sottili e ripetute increspature. Attese perché queste (che le erano parse come violente) cessassero di creare scompiglio nella pozza scura. Notò di nuovo, con un certo sollievo, che il volto pallido al pari di quello suo, si rifletteva ancora. Occhi cerchiati di nero di cui la forma ed il colore si potevano distinguere. Capelli neri che rimanevano al loro posto, in un loro ordine e delle labbra che non facevano a botte con tutti gli altri colori di quel volto dai tratti maschili. Sicura di avere davanti a sé qualcosa di concreto, alzò lo sguardo per verificare che le punte delle di lui scarpe bianche fossero giusto a mezzo metro di distanza da lei. Come faceva a sapere che erano scarpe bianche, vi chiedete? Sono del parere che a volte sia inutile porsi certe domande, che ogni tanto sono superflue, ma vi dirò, per quelli che proprio non ci dovessero arrivare, che lei semplicemente sapeva che lui aveva quelle scarpe.

In ogni caso, a parte per quel particolare, lui era vestito compeltamente di nero. A parte per il verde ai lati del viale e per le labbra della ragazza, a quanto pare in quel posto la scala cromatica era davvero molto limitata.

Quando lei si alzò lentamente, poté notare che la pioggia pareva in qualche modo non infrangersi sulla pelle e sui vestiti dell'uomo, tant'è che le parve un peccato essersi messa con le braccia aperte per fargli capire che avrebbe dovuto abbracciarla, visto che era completamente zuppa d'acqua, o almeno così si sentiva. Nonostante tutto, lui -decisamente più alto di lei- esaudì quella richiesta che, per quanto spontanea, era a suo modo molto, molto timida. Vi dirò anche che non le ci volle molto per tornare quasi completamente asciutta. Rimase, però, quasi gocciolante dal petto sino al ventre.

 

Due ore dopo, la ritroviamo piegata sulla stessa pozzanghera di prima, a cercare ancora qualcosa o qualcuno.

 











NdA

Non ho assolutamente nulla da dire :'D Se non che, come al solito, ognuno può interpretarla come vuole. Baci baci <'3

   
 
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