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Autore: liserc    23/09/2006    2 recensioni
Camminavo tristemente per una strada deserta. Il freddo pungente della sera mi intorpidiva le mani. Sospirai. Avevo imparato tante cose quella sera… Avevo imparato che la morte non vuol dire la fine della vita.

E' una fic particolare, malinconica e triste =/ Recensite ^^
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminavo tristemente per una strada deserta. Il freddo pungente della sera mi intorpidiva le mani. Sospirai. Avevo imparato tante cose quella sera… Avevo imparato che la morte non vuol dire la fine della vita. Avevo imparato che la fine di una vita non era solamente morire, ma era essere dimenticato solo, senza nulla tranne quello che indossi. Rimanere solo, senza una casa, un modo per ricominciare. Rabbrividii al pensiero. Dove avevo imparato quelle cose? Le farfugliavano degli ubriachi fra un bicchiere di birra e un altro. Effettivamente non so perché mi fidavo di quello che dicevano, ma vederli lì, soli, con nulla più dei loro vestiti, mi fece pensare che era vero quello che dicevano. Me ne stavo tornando a casa, desiderando di poter non tornarci mai. Mio fratello sarebbe stato come al solito ubriaco fradicio, e toccava sempre a me portarlo a letto. E, non avendo altra famiglia oltre a lui, pensai che la mia vita non poteva andare peggio. Sospirando aprii la porta di casa e chiamai - Michele? Nessuno risposta. Lo richiamai – Michele?! Ricevetti un mugugno di risposta. Squotei la testa e mi chiusi la porta alle spalle.

-Michele, quante volte ti ho detto che non devi bere così tanto? Santo cielo, alzati a vai a dormire da solo, una buona volta! Non vorrai mica che ti porti io come un bambino! Mio fratello si alzò lentamente, poi, giratosi verso di me, mi colpì i viso. Respinsi le lacrime, non piangevo più da tanto davanti a lui, ormai. – Non chiamarmi bambino, tu! Sono la tua famiglia, sono io che porto a casa i soldi, o sbaglio? Bene, allora non fiatare! Detto questo Michele salì le scale e scomparve nel buio del corridoio. Affranta, lo seguii e mi infilai in camera mia. Appena ebbi richiuso la porta dietro di me, scoppiai in lacrime. Ripensai a quello che avevo sentito nel bar. Se veramente la morte non era la fine della vita, non avrei sofferto per quello che stavo progettando di fare...

Scesi lentamente le scale, camminando di soppiatto per non svegliare mio fratello. Arrivai in cucina e aprii un cassetto. Ne estrassi un coltello da macellaio. Lo fissai a lungo pensando che non era giusto quello che stavo per fare, ma accantonai subito il pensiero; DOVEVO farlo. Tornai in camera silenziosamente, l’unico rumore era lo schicchiolio della porta. Presi il cuscino dal letto e me lo fermai duramente sul petto con una mano. Osservai il coltello e poi il mio petto. Mi voltai verso lo specchio da camera. Vidi una giovinezza rovinata da un padre incoscente e dalla morte precoce della madre. Vidi una povera ragazza costretta a lavorare in casa come una serva. Vidi le lacrime che mi rigavano le guancie. Vidi le occhiaie che avevo da quando avevo dodici anni. Vidi i capelli corvini rovinati. Non piansi mai quella scelta.

Ore dopo quel fatidico momento mi risvegliai. Accasciato al suolo vidi il corpo di una giovane che mi somigliava molto. Mi mossi e la voltai per vederne il viso, ma rimasi paralizzata dall’orrore. Quella ragazza ero io! Mi alzai in piedi e mi voltai di scatto verso lo specchio. Vidi il mio volto pallido, i miei capelli stinti, i vestiti di un pallido colore. Rimasi un attimo interdetta. Che cosa mi era capitato? Non capivo. Poi una possibile soluzione si fece spazio nella mia mente. Ero un fantasma. Ero qualcosa che sopravviveva fuori dal mio corpo. Ero la mia anima separata dal mio corpo. Avevo letto molti libri. Forse, per morire davvero, dovevo semplicemente... Beh, compiere l’azione che non avevo fatto in vita e che mi teneva quindi legata al mondo.

Sapevo esattamente qual’era quell’azione: mio fratello. Dovevo fargliela pagare. Era l’unico di coloro che mi aveva fatto soffrire ancora in vita. Respirai a fondo l’aria impregnata dell’odore del sangue. Non sapevo come mai, ma non mi sentivo affatto triste. Ripensai a quello che avevo imparato quella sera al Bar. Era vero, la morte non significa la fine, ma semplicemente un altro modo di vivere. Uscii dalla mia camera e controllai che mio fratello dormisse ancora. Dormiva. Scesi e uscii per strada. Nessuno pareva vedermi. Incontrai alcuni vecchi amici, persone che conoscevo, nessuno mi salutò. Poi sentii degli occhi fissarsi su di me. Mi voltai.

I miei occhi blu si rispecchiarono in degli altri verdi. Sapevo che quel qualcuno mi vedeva. Era una gatta. Una gatta bianca, lei poteva vedermi. Mi avvicinai a lei, ma lei mi soffiò e fuggì via. Sospirai afflitta. Ero sola al mondo. Dovevo, VOLEVO morire. Dovevo uccidere mio fratello, pensai. Ma Michele... Michele era sempre un uomo! Una vita! Poi ripensai alla sera prima. Mi aveva trattata in modo sdegnoso. Dovevo farlo. Dovevo farlo e basta!

Tornai a casa e trovai mio fratello che beveva. Come al solito. Non lo guardai quando vidi che riusciva a vedermi. Camminai e lo raggiunsi. – Mi hai uccisa. Mi hai uccisa. Sei stato tu. È colpa tua. Sei un mostro. Meriti solo la morte! Urlai. Lui farfugliò qualcosa. – Ma... Che dici... Io... tu... Tu ti sei suicidata! E si riattaccò alla bottiglia di Cognac. – è colpa tua! È colpa tua! È colpa tua! Continuai ad urlare. Vidi che aveva finito la bottiglia. Si alzò e ne prese un’altra. Lo fissai schifata e me ne andai.

Tornai la sera, e lo trovai addormentato sulla poltrona. Non era possibile. Gli tirai uno schiaffo e lui si alzò di colpo. – Vieni con me! Gli dissi aspramente. Lui si alzò in piedi e mi seguii sulle scale. Alla fine della scalinata mi voltai e lo fissai a lungo. Poi gli dissi una sola parola. L’ultima che potè sentire. – Muori. Michele mi fissò un attimo nei miei occhi di fantasma, fino a che non inciampò e cadde. Lo vidi rotolare per le scale, un sorriso di pura malvagità si dipinse sul mio volto, quando lo vidi cadere a terra, morto.

Non ero mai stata una persona malvagia, ma quella sera, quell’unica sera della mia vita, capii che dentro al mio cuore covava l’odio per quell’essere che mi aveva sempre maltrattata, mi aveva sempre dispezzata e considerata un essere inferiore. Quella sera, vederlo morto ai miei piedi, suscitò in me una fredda felicità. Ero sempre stata così? Non lo saprò mai. Perchè adesso ero davvero morta, nulla avevo che mi legasse alla terra. Emisi il mio ultimo respiro prima di diventare aria.

  
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