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Autore: Dhialya    16/02/2012    0 recensioni
Sette shot per sette lettere.
Sette stralci di vita, sette strappi di pensieri. Passati, presenti, futuri.
{Capitolo cinque - Libertà: Lui era come lei. E per quello aveva la sensazione che le cose fossero giuste, per come si stavano evolvendo. Ed il futuro faceva un po' meno paura, in quei momenti. Erano memorie dal futuro. Come se lo avesse sempre saputo, come se non si trovasse davanti nulla di nuovo. Come se non avesse aspettato altro per tutta la vita. E si sentiva bene, immensamente bene, e non credeva che sarebbe riuscita nuovamente ad avere paura di morire, paura di lasciare qualcosa – qualcuno.
{Capitolo sette - Amicizia: "Stupida, stupida." Batti una mano ripetutamente sulla fronte ma poi ti fermi, accorgendoti che dei signori ti stavano guardando con apprensione, come se avessi bisogno di aiuto.
"Merda." Avvampi e sorrisi imbarazzata, voltando lo sguardo dalla parte opposta ed appoggiandoti ad un palo. Cerchi di respirare piano, per raccogliere un po' di calma.
"Magari nemmeno viene."
-Scusa il ritardo! Hai aspettato molto?-
"Doppiamente merda."

[D - Delusione.][H - Happy Ending.][I - Impassibile.][A - Apatia.][L - Libertà.][Y - Years.][A - Amicizia.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dhialya



I di Impassibile
~ The feelings are dead ~

[Present/Future]








Lo odiava.

Era questo ciò di cui stava provando a convincersi.
La sua mente continuava a ripeterlo ininterrottamente da giorni, da mesi, dal tempo in cui la sua mancanza le stava trafiggendo l'anima per assopire il cuore che soffriva, sanguinando ancora da una cicatrice che, forse, non si sarebbe mai richiusa.

Lo odiava.

Il sole estivo le brucia la pelle, i capelli si scompigliano quando una sferzata di vento la investe in pieno e la gola diventa secca ad ogni passo, ad ogni respiro che compie, quando invece vorrebbe solo lasciarsi andare.

Se stava camminando sotto il torrido sole d'estate, alla fine, era ancora colpa sua.

Ti odio.


Non aveva altri pensieri in testa, gli occhi freddi e troppo asciutti, prosciugati da lacrime notturne che non aveva più voglia di far scendere per orgoglio, che non vedevano altro se non la strada che stava percorrendo.

Muoveva i passi fermamente, i piedi che scattavano veloci lasciandosi dietro impronte invisibili del passaggio di una figura che ad occhi esterni passava quasi inosservata.
Una più attenta osservazione di quel corpo minuto, diventato fin troppo magro e pallido, avrebbe fatto capire che quello spirito una volta libero e ribelle era scivolato in un buco nero in cui ricordi, passato e nostalgia lo tenevano legato in fondo all'abisso con catene create da egli stesso.

Perché secondo lei non si meritava amore, se le uniche persone che glielo avevano dimostrato le erano state strappate via.
Nella vita degli altri aveva solo il potere di portare morte e sofferenza.

I ricordi delle risate le trafiggevano le orecchie ogni volta.
I visi, i sorrisi, i ricordi le accecavano gli occhi più della fastidiosa luce mattutina che entrava dalla finestra quando stava ancora dormendo.

Gli altri non potevano comprendere ciò che provava.
Gli altri erano bravi solo a dettare parole al vento, sporadiche frasi di consolazione che per lei suonavano solo false, consolazioni di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
Non capivano.
Non potevano comprendere appieno come si sentiva.

Affila maggiormente gli occhi e indurisce il lineamenti facciali, assumendo un'espressione dura che non si addice ai suoi lineamenti delicati.

I rumori non li sente, i motori che ruggiscono non la distraggono, il brusio delle persone e le grida dei bambini le passano inosservati.

E' concentrata solo su se stessa, su ciò a cui sta pensando e il luogo in cui sta andando.
Niente “Che tempo fa?” o “Che ore sono?”.

Prende una via secondaria, una scorciatoia che ha scoperto per caso, sempre con lui.

Lui.

L'unico che era riuscito a penetrarle nel cuore senza farle male.
L'unico che l'aveva fatta sentire davvero speciale, diversa dalle altre anche se si confondeva sempre con la massa.
Lui
, l'unico che quando la guardava la metteva un poco in soggezione con quegli occhi scuri, ma che sorridendo a ciò che diceva la sua bocca la faceva sentire compresa e sicura.
Con cui si sentiva protetta anche se non erano vicini, perché sentiva il suo sguardo vigile su di sé che la controllava con dolci attenzioni come per dirle: “Ehi, sono sempre qui.
Lui era quello a cui era riuscita a mostrare l'altro lato di se stessa, quello insicuro e pieno di dubbi da dissipare.
Perché lui era riuscito ad andare oltre il sorriso che si stampava in faccia, e lei ancora dopo tutto quel tempo non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto.


-Puoi piangere a volte, sai? Sfogarsi fa bene-
-Come scusa?-


Sfogarsi fa bene.

Se le ricordava ancora quelle parole, il tono di voce lontano e comprensivo con cui le aveva pronunciate.

Arriva all'entrata, varca quel portone che ormai conosce come casa sua e meglio di se stessa, entrata di passaggio che l'ha vista superarla immense volte in quell'arco di mesi.
Conosce la strada a memoria, ha imparato ogni modo per arrivarci quando ancora il dolore era vivo, fresco e ardente, e cercava un modo per arrivare davanti a quella consapevolezza il più tardi possibile.
Come per illudersi che fosse tutto un sogno, che arrivando li avrebbe potuto dire “Che sciocca, cosa ci faccio qui se non ho nessuno da venire a trovare?”.

Invece no.

Ogni volta lo trovava li, ed era una pugnalata.
Ogni volta lui giaceva sotto li, ed era un mattone che le si posava sul cuore.
Ogni volta lui stava li, ma chissà quanto lontano realmente, ed erano aghi aggrovigliati che le foravano i polmoni.
Ogni volta arrivava li, e non era cambiato nulla, la realtà tornava ad essere mischiata con l'incubo e le lacrime premevano per uscire.

Per scappare da quella gabbia interna che era diventata, perché dentro, ormai, era vuota.
Non provava più nulla.
Non sentiva più nemmeno il battito del suo cuore, respirava appena e solo per inerzia.

Lei era morta con lui.
Lei se n'era andata, con lui.

Desolazione.

Era un involucro ambulante.

Uno strato di pelle in cui vagavano ricordi, emozioni che mai più niente e nessuno sarebbe riuscito a sostituire.
Erano dei pezzi di vita che avevano un valore troppo importante perché li lasciasse cadere nel suo passato e continuasse ad andare avanti, verso un nuovo inizio da cercare e creare.

Paura.


Aveva paura che, continuando la sua vita, avrebbe potuto dimenticarlo.
Dimenticare la sensazione che provava quando le parlava, l'odore della sua pelle, la delicatezza delle sue carezze.
Paura di lasciarlo andare e perdere per sempre quel poco che le era rimasto e su cui si aggrappava costantemente per non cadere.

Il magone le sale in gola, un groviglio di ricordi ed emozioni che le pesano sul cuore.
Gli occhi che si fanno di nuovo lucidi e la perdita totale di cognizione.
Dov'è?
Chi c'è?
Che ore sono?

Domande retoriche che scompaiono, lasciandola sola, in ginocchio, spaventata da ciò che vede come con una nuova consapevolezza.

Un'incisione di dati leggermente decorati, dei fiori freschi, un lumino e una foto.
La sua foto, battuta dai raggi del sole che si riflettono sul suo volto.

E dei ricordi incessanti che le passano davanti agli occhi, come se tutti quei mesi non fossero mai passati, come se lo vedesse nuovamente per la prima volta.


-Ho detto che piangere fa bene se ci si vuole sfogare-.


Perché?


Le gocce che le percorrevano le guance bruciavano.
Erano fredde e salate ma bruciavano come se fossero uscite da un inferno di fuoco e ghiaccio.
Se stessa.

Lasciavano sulla pelle la sensazione di scottatura dove passavano.
E non riuscire più a controllarle, a fermarle come da qualche settimana era riuscita a fare, la faceva sentire inerme ed impotente.
Una debole che si lascia sopraffare da sentimenti, sentimenti che avevano solo il potere di innescare una tortura.

Oltre al pianto si aggiunge la rabbia verso se stessa.

Rabbia che acceca, rabbia che le manda vampate di fuoco, che le infiamma la mente e che non le fa capire più niente se non la consapevolezza che lei sta soffrendo.

Dolore.

Fa male.

Tanto.


Soffre per colpa sua, soffre per la sua mancanza, soffre perché non riesce – non vuole – continuare a vivere senza di lui, perché la sua mancanza è troppa.

Inizia a tirare pugni. 

Disperazione.


Manca la sua presenza, manca la sua risata, mancano i suoi ragionamenti svelti e limpidi.

Altri pugni.

Solitudine.


Mancano i suoi occhi, i suoi abbracci, le sue parole mai troppo dolci perché sapeva che a lei le cose sdolcinate non piacciono.

Pugni, più forti.

Rabbia.
Ancora rabbia.


Per averlo fatto arrivare così vicino a lei, per avergli permesso di abbattere le sue barriere e per star facendo in modo che la sua assenza la stia soffocando.
Di più, ogni giorno di più.

Pugni, lamenti soffocati, labbra morsicate a sangue per non cedere alle grida che stanno esplodendo dentro di lei.

Persa.

Cosa avrebbe fatto?
Chi l'avrebbe più capita?


Le altre persone si erano allontanate, troppo spaventate dal dolore che provava e che loro non riuscivano a comprendere appieno.

Pugni.
Contro il terreno che si trova davanti.

Pugni.
Contro le sue gambe.

Pugni.
Contro il suo stesso sangue che ha macchiato il marmo.

Pugni all'aria.
Come se volesse colpire lui direttamente, per fargli provare ciò che non riesce a togliersi di dosso.

Manca Lui.


Era stanca.

Lo odiava e lo amava.
L'aveva abbandonata quando aveva giurato che sarebbe sempre rimasto sempre con lei.
Aveva rotto la sua promessa.
Le mancava.
Tanto, moltissimo.
In una maniera straziante che le bloccava il respiro.

Lui l'aveva lasciata, lui l'aveva distrutta e continuava a tormentarla continuamente.
Lo odiava, voleva dimenticarlo.
Non era vero
, e lo sapeva.

Si accascia sulla lapide, scoppiando, e il suo pianto fende l'aria.
Si propaga per quel terreno tetro e silenzioso, lamento di vita in un cimitero di anime.

Per rinascere, si dice che bisogna bruciare.

Torna da me.

Implorazione.

Perché lui era rimasto cenere?

























































***Ci sono, eh ^^ La terza shot, eccola qui.
Sono contentissima di star riuscendo a portare avanti questa raccolta senza intoppi particolari, non lo avrei pensato e sono un po' basita da questo ^^'
Comunque, vorrei spiegare brevemente una cosa prima di lasciavi: la ragazza qui è rimasta talmente segnata dalla perdita di lui che il fatto che cerchi di essere “Impassibile” e poi scoppia è collegato al fatto che nessuno riesce a rimanere indifferente davanti a qualcosa che lo turba particolarmente. Da solo o con la compagnia di qualcuno, piangendo, gridando o picchiando, qualcosa si esprime e traspare. Lei non riesce a reprimere quello che prova, anche se dentro di se crede che non sente più “nulla” perché ormai troppo abituata a quei pianti e quei ricordi da cui non riesce a staccarsi.
Inoltre è impassibile verso gli altri, minimizzando ciò che anche loro possono aver provato, troppo concentrata su se stessa.
Spero di essere stata chiara ma se ci sono dubbi chiedete pure.
Ringrazio che legge in silenzio e segue questa raccolta, chi la seguirà nei suoi aggiornamenti e magari lascerà un segno di sé dietro.
Spero che continui a piacervi :)
Love,
D***
   
 
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