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Autore: war    16/02/2012    1 recensioni
Un anno di studio all'estero, nella capitale europea considerata il simbolo del romanticismo... E un sacco di guai!
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cercai di reprimere lo sbuffo annoiato che mi era salito da dentro e lanciai uno sguardo all'ora. Quel pomeriggio pareva che qualcuno avesse inchiodato le lancette dell'orologio o molto più realisticamente, essendo impaziente di affrontare la serata che mi si prospettava, non avevo una corretta percezione dello scorrere del tempo, che mi pareva immobile.
Ancora un'ora prima di liberarmi del mio lavoro e poi un'altra ora dal parrucchiere, per domare i miei capelli che sfuggivano le leggi della gravità, e, infine una mezz'ora di macchina nel traffico caotico di Parigi per raggiungere il mio appartamento e poi... E poi... Sentii la scarica di adrenalina attraversarmi la schiena sotto forma di brivido. Finii registrare l'ultimo numero identificativo del neotesserato figlio di papà che aveva deciso di iscriversi presso il centro di benessere per cui lavoravo e spostai lo sguardo sulla ragazza al mio fianco: Jess mi osservava con aria più sognante della mia. Per fortuna ero alla fine del turno pomeridiano dal momento che avevo la testa nel pallone e di sicuro non avrei retto il ritmo infernale dell'orario che copre il primo pomeriggio finendo per fare qualche pasticcio e prendermi una ramanzina dal capo.
Quell'impiego non era certo la mia massima aspirazione ma dato che dovevo ancora finire l'università e che proprio per questo motivo ero a Parigi, a più di mille chilometri lontano da casa, non volevo, per orgoglio, continuare a chiedere ai miei genitori i soldi! Decidere di fare l'Erasmus in una università europea era stato un mio capriccio e in quanto tale mi sentivo in dovere di provvedere almeno in parte alle mie esigenze, soprattutto a quelle secondarie. Sorrisi pensando che Parigi era stata la mia seconda scelta. Se lo avessero saputo, questi francesi con la puzza sotto il naso, mi avrebbero dato fuoco. In realtà avevo segnalato come prima preferenza Amburgo, ma dato il mio praticamente inesistente vocabolario di tedesco mi ero sentita caldamente consigliare dal docente che mi aveva preso sotto la sua ala protettiva di andare a Parigi e con un bel sorriso stampato sulle labbra. Alla fine ero capitolata, dicendomi che forse, almeno masticare qualche parola di un idioma straniero era preferibile che non trovarsi da sola in un posto in cui non capivo un'acca di quello che mi veniva detto.
E così mi ero messa in viaggio per Parigi, approfittando dei voli Low-cost e avevo trovato dapprima una sistemazione e poi, un po’ per volta avevo portato le cose che mi servivano da casa e pagato un sproposito di UPS, anche se a conti fatti si era rivelato più economico che fare la spola fra Parigi e Milano. E poi, quell’anima pia di mio padre mi aveva lasciato il mio vecchio macinino, facendosi i quasi mille chilometri che separavano le due città, sorbendosi quella piaga di mia mamma (che a guidare era capace solo lei!), per poi tornare a casa in treno solo per essere certi che non fossi finita in qualche postaccio innominabile e che avessi davvero un tetto sopra la testa.
Avevo conosciuto Jess il giorno che di ritorno dall’Italia mi accingevo a iniziare la mia nuova vita da single. Era sul finire dell’estate, mi ero giusto presa una decina di giorni prima che cominciassero le lezioni all’università per ambientarmi del tutto a Parigi, anche se per tutto il mese di agosto, come accennavo prima mi ero divisa fra i due stati affinché fosse tutto pronto e a posto. Da buona amante dei paesaggi e delle osservazioni, mi ero fatta il viaggio in treno, e non la linea TGV ma un normalissimo Eurocity pensando ingenuamente di godermelo un mondo. Per me il viaggio costituiva parte integrante dell'avventura e non avevo nessuna intenzione di privarmi di un tale piacere solo in virtù di una maggiore comodità o celerità. Tutto sommato avevo a mia disposizione ben un anno intero!
Se avessi saputo prima quali erano i reali inconvenienti di questa scelta, l'avrei di sicuro ponderata meglio.
Ero appena scesa alla Gare de Lyon che la mia attenzione venne attratta dalle grida quasi isteriche di una ragazza dalla fluente chioma rossa. Il ragazzo con cui stava litigando era un tipo piuttosto stano. Nonostante lei lo stesse ampiamente insultando, lui continuava imperterrito a bere dalla lattina di birra con la cannuccia e quando lei interruppe il flusso di parole, per fare una pausa, credo per respirare, lui le ruttò sonoramente in faccia per poi risalire sul treno.
La rossa, ancora incredula si guardò attorno, picchiò con rabbia il piede in terra e afferrò la grossa valigia azzurra da viaggio e a passo spedito si volse verso l'uscita per poi fermarsi di botto e iniziare a cercare furiosamente qualcosa nello zaino che aveva sulle spalle. Sospirai e mi incamminai verso di lei, sperando di passarle a fianco inosservata... Invece...
"Scusa tu con gli occhialetti tondi!" Lo avevo sempre pensato che quegli occhiali tondi, con le lenti a specchio blu erano qualcosa che mi portava sfiga! Adesso ne avevo la prova. Mi indicai il petto con un dito e lei annuì euforica. Aveva un bel sorriso e adesso che la sua espressione non era più collerica potevo vederne i tratti delicati, gli occhi grandi e scuri, molto dolci, in realtà. "Sono straniera... Non so se potrò esserti d'aiuto." iniziai a dire. "Anch'io sono straniera! Sono tedesca. Mi chiamo Jessika Kreuz e sono qui per uno scambio culturale. Tu chi sei?" "Micaela Salemi. Sono italiana e sono appena arrivata..." "Quel sacco di palta di mio fratello, che doveva accompagnarmi fino a scuola, in realtà si è limitato a sbattermi giù dal treno dicendomi che ero grande abbastanza per cavarmela, aveva una fretta tremenda di tornare a Marsiglia per farsi quella gallina rugosa della sua ragazza!... Tu non hai mica una piantina della città?" chiese speranzosa. "Per la verità no, ma ho giusto visto un'edicola... Magari se chiediamo lì possiamo acquistarne una con pochi euro." avevo proposto.
Una volta arrivati al campus ci era stata affidata una persona che ci aiutasse ad ambientarci e che ci facesse visitare la scuola. Questa persona era Rajanka Derhassen. Ben presto diventammo tre amiche praticamente inseparabili.
La piantai con il mio viaggio mentale nel passato quando un ragazzo tamburellò la lunghe dita sulla superficie vetrificata del bancone dietro al quale sedevo. "Ciao trucciolo! Hai tempo per un caffè?" Mi sentii inevitabilmente arrossire un po'. Trucciolo era il soprannome che mi aveva dato Remy, il ragazzo che mi stava sorridendo con la profonda convinzione di essere bellissimo e che per tale ragione ogni donna era ai suoi piedi. "Mi chiamo Micaela, comunque oggi non posso, mi riservo l'invito per la prossima occasione, va bene ciccio?" risposi tranquillamente. Lui ridacchiò e disse "Ne avrai almeno una quindicina di questi bonus, se vai avanti così ti dovrò offrire una cena, non un caffè!" "Tranquillo, tale possibilità non si avvererà mai. Non apprezzo la cucina di cuochi sconosciuti, quindi mangio solo a casa mia." I suoi occhi azzurri si fecero brillanti e maliziosi "E' un velato invito?" indagò allungandosi sul bancone e mettendo in evidenza i muscoli delle braccia scoperte. "Lungi da me tale pensiero! A proposito, ciccio, la tua agenda dice che hai la lezione di tango con la signora Blanchet... Sei in forma?" ironizzai. La signora in questione era moglie di un prestigioso avvocato e nonostante avesse superato la cinquantina e il suo fisico fosse ampiamente in soprapeso, aveva la passione per i balli 'calienti'. Remy gemette di disappunto e si rivolse a Jessika "Posso darmi malato?" chiese ruffiano. "Direi di no anche perchè la Signora sta entrando adesso" sorrise lei, indicando con un cenno del mento la porta che si aprì automaticamente, facendo suonare il campanello e permettendo alla signora Blanchet di raggiungere il bancone, con la sua camminata pesante su tacchi troppo alti e sottili per lei.
In breve fummo di nuovo sole.
Tutto sommato, se si prendevano gli orari buoni, questo era un lavoro che lasciava anche parecchio tempo per farsi gli affaracci propri ma soprattutto, dato che si lavorava su turni, potevo organizzarmi per tempo le giornate. Insomma, per farla breve era il genere di lavoro che ci serviva in quel momento.
Se solo mi fossi decisa un po' prima, probabilmente la mia domanda di ammissione al campus non sarebbe stata respinta per assenza di posti ed io non mi sarei dovuta cercare un appartamento in affitto che tra l'altro non era nemmeno comodo per la mia università. L'abitazione però, aveva incontrato subito il mio favore, era spaziosa ed economica e soprattutto vicina a Montmaitre, il quartiere da sempre prediletto dagli artisti.
Parlavo un buon francese scolastico e dopo due mesi di permanenza a Parigi, avevo imparato anche molte espressioni che a scuola non insegnano di certo, merito soprattutto di Jess, di Raja e dei ragazzi che avevo conosciuto al lavoro. Dopotutto ero sempre stata una mente vivace, pronta ad apprendere e piuttosto propensa a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, anche quando un po' più di diplomazia mi avrebbe evitato parecchie seccature. Effettivamente a Milano ero considerata una pecora nera delle facoltà che frequentavo. Sorrisi pensando che lo sarei stata ben presto anche qui, e non solo per uno stupido pregiudizio nei confronti degli stranieri! Il fatto era che come ogni buon artista che si rispetti avevo i miei momenti di ispirazione che generalmente coincidevano con il sorgere della luna... Mi capitava sovente quindi, di dormire in aula, scatenando più di una volta le funeste ire dei docenti più puristi e anziani. La sola cosa che mi aveva evitato l'odio intenso e profondo da parte di tutto il corpo insegnanti e il conseguente allontanamento dal mondo studentesco era che portavo i risultati. Mai un ritardo ad una consegna, mai un esame saltato o rinviato. E per inciso, mai un esame passato di straforo. Il mio libretto scolastico poteva contare un solo venticinque, nel mare di ventinove e trenta. In sostanza, una media eccellente. Avevo vinto anche quell'anno la borsa di studio e ciò era per me fonte di orgoglio. Non fraintendete, non era la mia vanità ad essere impettita, poichè ero fermamente convinta che saper dipingere bene era un dono e non qualcosa che si poteva imparare. La scuola poteva solo affinare la tecnica che si possedeva ma dipingere, così come suonare o scrivere era qualcosa di innato, una qualità che le persone possedevano o meno e quindi non c'era motivo di sentirsi lusingati dalle possibili lodi per un bel dipinto. Ci si poteva sentire fieri di se stessi se si riusciva a dipingere qualcosa che trasmetteva emozioni, ma fare una cosa del genere era tutt'altro che facile. Tirar fuori sentimenti da colori, pennelli e tele richiedeva un talento che in me si stava ancora sviluppando, infatti a volte i miei quadri, per il mio occhio attento, mancavano di... calore. Riecco il mio peggior difetto: la divagazione. Ero contenta di aver preso la borsa di studio per due ragioni, la prima era che mi pareva di poter far sentire ai miei genitori che mi stavo davvero impegnando e che i loro sacrifici per farmi studiare non erano inutili e la loro fiducia in me era ben riposta e il secondo, molto meno nobile, era che dovevo chiedere meno soldi a casa. Mamma e papà non mi avevano davvero mai negato nulla, anzi, dal momento che la loro esuberanza giovanile era stata spesso limitata dalla poca disponibilità di soldi, avevano cercato di regalare a me tutte le cose che loro non avevano potuto avere, il punto quindi si concretizzava nel mio orgoglio personale che a ventidue anni sentiva il bisogno di dimostrare un po' in generale di essere un po' più indipendente dal punto di vista economico e decisionale. Desideravo uno spazio tutto mio, per me.
"Stasera voglio fare un figurone! Devo essere più che bella e tu non sarai da meno! Se ti vedo in jeans giuro che te li brucio addosso!" disse Jess posando un gomito sul bancone e sfogliando la rivista di moda che teneva sulle ginocchia con aria incerta. Da dove aveva fatto magicamente apparire il giornale era ancora un mistero. Lanciai uno sguardo al locale deserto e risposi "Tu sei già più che bella, Jess! Non metterti troppo in tiro altrimenti ci farai sfigurare!" "Ma senti chi parla! Guarda che il servizio fotografico come modella lo hanno proposto anche a te!" ribattè lei ed io sorrisi.
Per la verità io non credevo affatto a quel genere di cose, il mondo della moda non era il mio. Non che non trovassi interessanti le riviste di tal genere o le sfilate in tv, ma un conto era osservare degli abiti, un altro era sputare sangue, scendere a compromessi e a patti, stare perennemente a stecchetto e solo per fare un po' di successo per una manciata di anni. E poi? Che cosa mi sarebbe rimasto? Preferivo di gran lunga laurearmi in Arte Moderna e trovare un lavoro che mi permettesse di viaggiare parecchio. Dopo aver fatto una notevole esperienza, magari sarei riuscita a diventare una gallerista e a gestire autonomamente le mostre che per adesso mi dovevo accontentare di vedere o come turista o come aiuto all'addetta alle didascalie. Mah, per ora era un sogno, chissà se si sarebbe poi avverato!
Tornando alla proposta di fare la modella, era chiaro che essendo una donna mi ero sentita lusingata di fare quei provini e alla fine sia io che Jess ci eravamo presentate agli studi, ma avevamo preso il tutto come un gioco. Cosa ci poteva essere di serio nell'essere abbordate all'uscita di una discoteca? Niente. Però Jess aveva trovato l'idea divertente ed era riuscita a farla apparire tale anche a me. Solo qualche scatto fotografico mentre si recita una parte, si fa un po' di autoironia col proprio corpo. E poi era gratis, perchè non approfittarne per vedere cosa sarebbe uscito?
Raja venne a prenderci alle sei e mezza con la macchina e tutte insieme andammo di filato dalla parrucchiera per farci dare una sistemata in occasione della grande serata. Lei non lavorava, si dedicava solo allo studio e probabilmente a ragion veduta, dal momento che la facoltà di Lettere Antiche era una delle più difficili, che aveva un numero di ritirati maggiore delle altre facoltà e che richiedeva un numero di esami a dir poco allucinante. Il suo ramo preferito era l'iconografia simbolica e quando ci aveva fatto notare in quante cose questi simboli apparissero senza che nemmeno ce ne rendessimo conto mi ero sentita accapponare la pelle.
Jessika 'mani di fata' invece era nata per il restauro. Che si trattasse di dipinti, di affreschi, di arazzi o di statue, quando bisognava ricostruire parti mancanti o rovinate lei era davvero la migliore. Da qui era nato il soprannome 'fairyhand' appunto.
"Ma è sicuro che quei figaccioni del club di calcio saranno proprio in quel locale?" chiese Jess che non era ancora convinta. "Me lo auguro dato che per pagarmi l'entrata ho dovuto fare i salti mortali!" ritorsi io "Tranquille me lo ha garantito il mio fratellone che è il massaggiatore ufficiale della squadra... Ahh!!! Se ci fossi io al suo posto!" sospirò Raja. "Se fossi al suo posto non te ne fregherebbe nulla perchè non saresti gay!" "Per Wakashimizu potrei anche diventarlo! Ha due occhi neri così così..." "Si, si... Perchè scusa, gli altri quanti occhi hanno?" sbuffò Jess che non condivideva il gusto per il tenebroso tipo 'bello e dannato' della nostra bionda amica. Ed era stano sentire la timida e introversa Raja parlare così ma Jess sapeva tirar fuori la parte più animale anche da un sasso! Sospettavo che ogni tanto si mettessero d’accordo per incendiare anche la mia di ormonella ma per ora avevano sempre fallito."Quando fai così mi viene voglia di buttarti fuori dalla macchina!" protestò la ragazza risentita. "E a te chi piace Miky?" "Nessuno. E poi non è che io segua molto il calcio..." "Però quei bei ragazzoni in sella a sfreccianti saette di metallo, tutti bardati nelle tute multicolori che corrono in un circuito, con i caschi neri che li distingui l'uno dall'altro solo per il numero che hanno stampato sulla schiena, sono un altro paio di maniche, eh?" scherzò Raja. "Per non parlare di quel tipo short e canotta che le si spalma costantemente sul bancone, con due occhioni azzurri così languidi che mai soprannome fu più adatto a pesona..." "Dolce Remy?" chiese Raja divertita. "Già anche oggi l'ha invitata a bere il caffè... So ben io che ci si potrebbe fare con un manzo simile!" rincarò generosamente la dose Jesse. "E' un collega! Perchè dovi sempre essere così maliziosa? Mi porti anche Raja sulla cattiva strada! Comunque Ffa noi non c'è nulla! E poi è pure sposato! In quanto a quelle specie di alieni che hai descritto, sottolineo che io adoro le moto, le moto, capito?" protestai arrossendo. "Io non so più come spiegarti che devi adorare i piloti, i piloti, non le moto! Per l'altro invece... Mai sentito parlare di divorzi?" proseguì imperterrita Jess, facendomi anche il verso. Alzai gli occhi al cielo. "I divorzi costano una cifra! Chi se lo prende uno vecchio e sbollettato?" ragionò Raja che era decisamente su di giri e iniziai seriamente a chiedermi che cosa le avesse fatto la nostra amica rossa. "Ragazze, il vostro materialismo fa schifo!" ringhiai. "Ma dai che scherziamo! E' così bello vederti addosso quell'espressione indecifrabile! Corrughi talmente tanto la fronte che le tue sopracciglia paiono toccarsi!" rise Jess ed io non potei far altro che accettare lo scherzo.
  
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