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Autore: Miyaki    23/09/2006    1 recensioni
[Partecipante al 21° Concorso]La ragazza sospirò, lanciando un occhiata a Remus Lupin, che tenendo fisso lo sguardo dinanzi a se pareva non aver udito una sola parola. Chiuse gli occhi con la stessa attesa di chi attende il colpo mortale. In attesa che Ginny finisse di parlare, dopo aver acceso l’ennesima sigaretta.
Genere: Triste, Dark, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Contenuti forti
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Addio - non ci sono parole

Li ho visti cadere ovunque,

come candele che si spengono inconsciamente,

imprigionate in un mondo di vetro.

Combattiamo per la libertà.

Narnia – Judgement Day

- Vieni qui, tesoro! -
La voce strozzata della donna si erse, mentre agitava le mani fra la folla, cercando di acchiappare il bimbo fra la folla. Il bambino cadde e la donna si lasciò scappare un grido ansioso, mentre si gettava a recuperarlo. Incuranti gli uomini avanzavano velocemente, spingendo il piccolino senza dargli speranza di alzarsi.
- Mamma! -
Piangeva, con le manine chiuse a pugno davanti agli occhi, mentre un'altra spinta lo gettava a terra. La donna riuscì infine a raggiungerlo, lo tirò su e lo strinse al petto, cercando di calmare le sue lacrime. Madre e figlio avanzarono, spinti dagli altri.
Poi qualcuno le batté sulla spalla. Era un uomo giovane, dai capelli rossi, le sorrise, poi parlò, con tono basso.
- Si tenga pronta a scappare. -
La donna ammutolì. Poi accennò un sorriso spaventato.
Sapeva chi era. Lì chiamavano terroristi, ma erano baluardi di salvezza. Silenziosamente lo ringraziò, mentre l’uomo le faceva da scudo, per farla spostare a lato della folla, in modo che la fuga non sarebbe stata troppo difficile.

Una figura incappucciata guizzò in mezzo alle persone, passò vicino all’uomo, ma non disse nulla, né lo guardò. Un fuoco d’artificio esplose, illuminando l’aria. Era una giornata buia. Una delle tante.
La figura era una donna, apparentemente sulla quarantina, i capelli scuri legati dietro una coda e una veste semplice. Si spostava con decisione attraverso la folla, urtando le persone.
La mora alzò lo sguardo, cercando fra la folla una persona conosciuta. La trovò. Era un uomo di mezza età, i capelli rossi, con qualche striatura grigia. Le fece un cenno con la mano. Lei non rispose e avanzò di nuovo verso il palco, con passo più spedito.
Abbassò il cappuccio e quelli vicino a lei trasalirono, riconoscendola. Le fecero spazio.
Era Bellatrix Lestrange, la consigliera del Lord.
Si avvicinò di corsa verso il palco, dove era certamente attesa. Solo una persona l’urtò: un ragazzo era inciampato contro di lei e qualcosa era scivolato dalla sua mano nella tasca del mantello della prima seguace di Lord Voldemort. Bellatrix gli lanciò un occhiata furiosa, e molti temettero per la vita del ragazzo. Si limitò a guardarlo male, però, e tirò dritto.
Arrivò al palco e salì le scale, frettolosamente. Voldemort non c’era. Solo Lucius e Narcissa, insieme ad alcuni altri.
- Il signore oscuro non è ancora arrivato? – domandò la donna, aggrottando la fronte.
Narcissa le si avvicinò, con un aria ansiosa. Da quando il suo unico figlio era morto Narcissa Black Malfoy era del tutto uscita di senno.
- Che voce orribile hai oggi, Bella. Ti avevo detto che avresti preso freddo. -
- Già – rispose lei, asciutta, e si schiarì la gola – Me l’avevi detto. -
Infilò le mani in tasca e non parve sorpresa di trovarci qualcosa che prima non v’era, strinse l’oggetto di piccole dimensioni in mano: era un piccolo pulsante, simile ad un detonatore. Lo premette, ma parve non accadere nulla. Lo estrasse, tenendolo sempre fra le dita, mentre riprendeva a parlare – E’ tutto pronto? -
Narcissa annuì.
- I luridi della resistenza? Li state controllando? -
Questa volta fu Lucius ad annuire.
- Controllateli di nuovo maledizione! – ringhiò, stringendo il piccolo oggetto fra le dita. Lucius sbuffò. Non trovava piacevole ubbidirle. Ma lei rimaneva la preferita di Tom Marvolo Riddle, e la gerarchia aveva un’importanza decisiva nel suo governo, così scese dal palco con sua moglie, e si fecero seguire dagli scagnozzi. Bellatrix si avvicinò al centro del palco, osservò con disprezzo la massa raccolta, poi fece cadere il meccanismo apparentemente inutile a terra. Questo si mimetizzò con il pavimento.
Quindi, quando Narcissa tornò per riferire che non c’erano novità, annunciò che avrebbe fatto un giro di controllo, e che non sarebbe salita sul palco di nuovo. Scese le scale e infilò di nuovo il cappuccio.
Due gatti avevano assistito alla scena. Il primo era rosso, peloso e molto vecchio, l’altro era giovane, ed era tutto striato, con gli occhi color nocciola, molto insoliti per un gatto.
Il rosso zompò giù, ma l’altro rimase di vedetta, zampettò per il ramo finche non si trovò sopra una donna giovane dai capelli rossi, si lanciò e le cadde fra le braccia. La rossa strinse a se la gatta, cullandola, mentre faceva un passo in avanti e raggiungeva due ragazzi della sua età. In breve anche tre uomini li raggiunsero: due erano giovani, l’altro era quello che aveva fatto cenno alla donna incappucciata. La rossa parlò a bassa voce.
- Dov’è? –
- La mamma si sta occupando di lei. – mormorò l’uomo, senza lasciare che il viso mostrasse emozioni di alcun tipo.
Non si guardarono più e fissarono gli occhi sul palco, le dita stringevano qualcosa nella tasca.
La gatta saltò giù dalle braccia della donna dai capelli rossi e zampettò vicino al palco, fermandosi ai suoi piedi.
Due gemelli erano lì. Si voltarono verso la gatta e le sorrisero. Il primo le fece l’occhiolino ed astrasse un mantello scintillante, lo aprì e lo gettò sopra la gatta, che scomparve dalla loro vista. L’altro estrasse uno strano tipo di accendino e lo fece volare in aria, quando lo riprese, lo strinse fra le mani, con aria divertita.
Un’altra donna incappucciata passò vicino alla folla e molti la evitarono, pensando che fosse Bellatrix, ma quando questa raggiunse un uomo e si tolse il cappuccio capirono di aver sbagliato. Aveva i capelli rosa. Non poteva essere Bellatrix.
La donna dall’insolita pettinatura sorrise all’uomo e gli si avvicinò. Non dissero nulla, ma questi la strinse a se, tenendola per la spalla. Di nuovo mani in tasca.
Tutti azzittirono. Voldemort era apparso fra i suoi mangiamorte.
Si avvicinò al centro. Fu allora che uno dei due gemelli sorrise con più allegria mentre lanciava in aria l’accendino e lo riprendeva fra le dita. Posò il polpastrello del pollice sulla rotella e sussurrò a bassa voce, azionandola – Fuoco alle polveri. -
Un’ondata di fumo riempì l’aria partendo dal palco, qualcuno saltò sul palco, comparendo dal nulla, sempre celato dalla nebbia improvvisa. Era una donna.
Era Hermione.
Puntò la bacchetta verso il punto in cui Voldemort si trovava, pronta. Ma qualcosa bloccò il suo polso.
Una mano piccola e ossuta.
- Credevate di farmela, piccola Mezzosangue? -
Bellatrix.
- Che hai fatto a Molly? -
- E’ morta. -
Hermione trasalì, spostò la gamba indietro e facendosi forza rovesciò il corpo magro di Bellatrix a terra, schiantandola contro il pavimento. Sussultò, quando vide un getto verde arrivarle incontro, si gettò a terra, cercò a tentoni con le dita il mantello che tornò ad indossare, diventando invisibile.
Il piano era fallito. Alzò il braccio che reggeva la bacchetta e scagliò delle visibili scintille rosse che riempirono l’aria.
Gli altri intanto, cominciarono ad arretrare, mentre l’aria si liberava dal fumo che lo scherzo Weasley aveva procurato.
Hermione spinse le persone che si ritrovarono colpite da qualcosa d’invisibile, e si diresse trafelata su un albero. Li si arrampicò, aggrappandosi con le dita, fino a quando non fu in grado di salire sul ramo più alto, l’ afferrò uno zaino e da sotto il mantello se lo sistemò sulle spalle, accarezzò doppio ciondolo appeso al petto e scrutò l’area, cercando con gli occhi i suoi compagni.
Quando Tonks vide le scintille imprecò sottovoce.
- Sapevamo che non avrebbe funzionato. – ringhiò Remus, mentre la spingeva via – Dobbiamo andarcene subito via. Vai prima tu. Cambia aspetto finché puoi. -
- Ma! -
- Fa come ti ho detto, se ci trovano insieme è la fine! – insistette e Tonks indossò il cappuccio, sotto di esso cambiò aspetto, mentre sgattaiolava via dalla folla. Strisciando piano si costrinse a non guardare indietro. Doveva allontanarsi finché la nebbia persisteva. Non poteva permettersi di perdere tempo.
Remus.
Doveva raggiungere gli altri, sparire al più presto. Aveva il cuore in gola che le premeva dolorosamente. Il tempo sembrava essersi fermato, mentre usciva dal punto di fitto raccoglimento e scivolava fra gli alberi. I piedi calpestavano le foglie secche e i rametti, provocando un lieve rumore che lei sentiva appena. Le voci ansiose delle persone le ferivano le orecchie, raggiungendola nel suo stato di irrealtà.
Remus, vieni.
- Oh, è un piacere rivederti. -
Nimphadora si bloccò, arrestando i piedi, si girò di scatto, stupefatta, e arretrò di un passo.

- Maledizione! – gridò Fred, mentre arretrava per raggiungere il resto del gruppo che si trovava leggermente più indietro, sotto uno dei tanti alberi del parco. Non c’era nessuno, solo Neville e Luna che li aspettavano nervosamente. Quando li raggiunsero li strattonarono per un braccio, facendo cenno con la testa. La gente si guardava intorno confusa e spaventata, cercando di scrutare nella coltre di nebbia. Bambini piangevano, ragazzi fremevano e altri protestavano. Era irreale. Voci che sembravano provenire da un mondo lontano, di cui non si vedeva la fonte. Distanti e allo stesso tempo violente.
- Dobbiamo andarcene, prima che si mettano a cercarci. Hanno riconosciuto Hermione. -
Luna annuì e Neville sospirò: fecero un cenno affermativo, senza chiedere altro.
Dovevano separarsi e cambiare direzione. Non potevano procedere insieme, li avrebbero visti troppo facilmente, dovevano mescolarsi, sparire. Si fissarono l’uno nell’altro negli occhi, con la fronte aggrottata e l’indecisione nei loro visi.

Un sospetto che non aveva nome, un timore palpabile e sfuggente, che non si voleva riconoscere anche se era evidente davanti ai loro occhi. Una paura innominabile e concreta. Accennarono un sorriso, tirato.
Non c’era tempo per saluti. Un altro cenno.
Speriamo di rivederci.
Poi si divisero.
Non si sarebbero rivisti.

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***

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E i raggi cominciarono, colpendo a caso. Raggi verdi e letali, distrussero vite innocenti e ignare, inconsapevoli. I sussurri di confusione era diventati grida di terrore e di dolore. Da qualche parte un bambino piangeva. Da qualche parte una madre gridava. Da qualche parte qualcuno urlava il suo dolore per una morte che non riusciva a capire. Hermione strinse le labbra, conficcando le unghie nel legno del ramo. Distogliere l’attenzione. Creare un diversivo. Permettere la fuga.
Come?

Strinse la collana nella mano. L’ora di usare l’ultima speranza era vicina, doveva assicurarsi di sopravvivere fino a quel momento. Ma non poteva permettersi di lasciar morire così degli innocenti.
Fred e George si erano bloccati, quando un raggio verde aveva colpito una bambina, a pochi passi da loro, era caduta a terra e i suoi ricci biondi si erano sporcati di terra. Qualcuno le era passato sopra, calpestando il piccolo cranio che si spaccò, con un orribile crack. Avevano lasciato che l’espressione di contorcesse nell’orrore e nella furioa ed erano tornati sui loro passi estraendo le bacchette. E non erano gli unici. Dei membri della Resistenza rimasti al posto, si doveva assolutamente trovare una soluzione. Un incontro faccia a faccia e via. Avrebbero venduta cara la pelle.
Hermione si sfilò il mantello, posandolo sul ramo, ed estrasse la bacchetta, girandola fra le dita, si mosse per il ramo spesso, cercando un buon punto per saltare giù, senza ferire le persone di sotto, che ora correvano all’impazzata, cercando una via di fuga.

Caos.
La parola giusta, la perfetta, la reale.
Puro e semplice caos. Quando l’istinto di sopravvivenza schiaccia ogni barlume di umanità. Quando il terrore rende folli e si ucciderebbe una persona cara se solo servisse ad aver salva la pelle. La lucidità scemava nelle loro menti, mentre una sola parola si ripeteva in essa: scappare. Qualche donna gridava terrorizzata, cercando tra la folla qualcuno, mentre tendeva le braccia, inorridita. Qualche coppia veniva separata dal flusso impazzito delle persone, mutate in prede, che, nell’istinto di vita, scappano dal predatore.

Sussultò quando un bambino venne travolto dalla folla scalpitante, e si sporse per gettarsi ad aiutarlo, ma qualcuno fu più veloce.
Ginny teneva in braccio il bambino, appena recuperato, si voltò verso di lei, mentre riusciva a non farsi portare via, nonostante tutto. Aggrottò la fronte e le urlò.
- Cosa credi di fare? Mi sembrava che tu avessi qualcosa da fare…-
Hermione si sistemò le cinghie dello zaino, aggrottando le sopracciglia, nervosamente.
- Ma, Gin, lasciarvi così... -
- E allora muori! – le gridò Ginny, mentre si spostava per schivare un avada kedavra, che s’infranse contro un albero – Tu e la nostra ultima speranza. So che nascondi qualcosa. L’ho capito. Per l’amore del cielo Hermione, salvati. SALVACI! -
E non le diede il tempo di rispondere, aiutò il bambino ad arrampicarsi su un albero robusto, dove sarebbe stato al sicuro, prima di voltarsi a guardare la sua migliore amica un’ultima volta.
- Vai, Herm. – le ripeté, mentre la folla cominciava a pressarla via – Addio. -
Voltò le spalle e si gettò fra le gente, facendo sparire la sua chioma rossiccia dai suoi occhi. Hermione rimase a guardare in quella direzione a lungo, senza riuscire a staccare gli occhi, ma infine si decise. Deglutì e allungò le dita a riprendere il mantello.
Non lo trovò: era scivolato a terra.
Il mantello di Harry.
”Fa niente” si disse. Era solo un vecchio mantello, sarebbe andata via senza.
Nonostante questo cercò con gli occhi la stoffa scintillante che molti anni prima Harry le aveva mostrato con orgoglio.
Harry.

“Devo andare. Prima che mi vedano” si ripeté, senza riuscire a mettere fine a quella vana ricerca, silenziosa. La zona era sfollata. Ora le persone correvano per Londra, come impazzite. Poteva gettarsi giù dall’albero quando non ci fosse stato nessuno, riprenderlo e andare via.
Il suo mantello.
Pericolo. C’erano sicuramente mangiamorte in giro. Non aveva senso quello sforzo: Ginny non stava rischiando la sua vita per nulla, stava rischiando per darle il tempo di attuare il piano di emergenza. Non per recuperare solo un vecchio mantello…
Il sigillo dei Potter.
Ormai non c’era nessuno, e il mantello era visibile ai piedi dell’albero. Si sarebbe gettata e l’avrebbe preso al volo, ci si sarebbe infilata sotto e sarebbe fuggita.
Si lasciò scivolare giù dall’albero e per poco un raggio verde non la colpì in pieno petto, ma andò a scontrarsi contro l’albero, colpendo un ramo piuttosto robusto. Il ramo si spezzò nel momento stesso in cui Hermione metteva piede a terra. Rotolò a terra, per non doverci cadere sotto, mentre afferrava convulsamente la bacchetta.
- Ti avevo detto che non potevate farmela, lurida Mezzosangue. -
Bellatrix.
Hermione si guardò intorno, doveva trovare un diversivo, per avere il tempo di azionare quello. La guardò negli occhi.
Era pazza.
Come sempre. Doveva farla parlare. Se fosse riuscita a farle attaccare il solito discorsetto tipico del cattivo folle, avrebbe potuto azionarlo e tentare il tutto per tutto. Ma la Consigliera di Lord Voldemort non era dello stesso parere. Un secondo getto verde partì dalla sua bacchetta, seguita da altri. Li evitò tutti.
Ma ci fu un incantesimo che non riuscì ad evitare. Si contorse a terra, dolorante. Ma non gridò. Harry non aveva gridato mentre quel dolore indescrivibile l’aveva colpito, fino a portarlo alla morte. Non un verso. Strinse con violenza le labbra, soffocando anche il minimo gemito di dolore.
Poi il dolore terminò, ma non ebbe respiro, perchè un getto rosso la spinse contro un albero con violenza inaudita. Un rumore strano, mai sentito, ma inconfondibile, mentre sbatteva contro il legno nodoso.
Ossa che si incrinano. Ossa che si spezzano.
La schiena. Il dolore venne dopo la muta consapevolezza che il sangue aveva cominciato a defluire, e fu breve, defluì, come il sangue. Sentiva solo freddo. Pungente, insostenibile. Probabilmente sentiva male. Ma non se ne rendeva conto.
Aprì gli occhi: erano appannati, vedeva male, vedeva appena.

La mano si strinse intorno al ciondolo, alla giratempo. Alla loro speranza.
Una figura nera, inconfondibile, avanzava verso di lei, calpestando ramoscelli, passando sopra i corpi di persone assassinate.
Il parco era diventato un campo mortuario, e se ne rendeva conto solo ora. Calpestò un uomo, schiacciando il petto già fracassato. Infilzando il corpo nel centro del petto con i tacchi appuntiti. Sangue e organi. Odore denso di morte.

- E allora muori! Tu e la nostra ultima speranza! –

Deglutì.

“Mi dispiace.”

- Per l’amore del cielo Hermione, salvati. SALVACI! -
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Una lacrima. Una sola.

“Mi dispiace, Ginny.”

- Cosa stai stringendo, Mezzosangue? – domandò Bellatrix, mentre avanzava. Si chinò su di lei e le strappò le mani deboli dalla giratempo. Un ghignò divertito le storse le labbra, mentre avvolgeva l’ oggetto magico fra le dita.
- Ha...r..- mormorò Hermione, ansimando.
Bellatrix staccò il ciondolo dal suo collo, strappandole un gemito di dolore, e lo fece dondolare di fronte ai suoi occhi. Sorrise, ed Hermione vide il dono di Harry scivolare verso terra, lentamente.
- Peccato, sarebbe stata una buona idea. -
Alzò il tacco zuppo di sangue e schiacciò con uno scatto violento il ciondolo.
Crack.
Hermione chiuse gli occhi.
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***

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- Nimphadora! – gridò di nuovo l’uomo. Non la trovava. Non la trovava più. Un senso di gravità si era adagiato sul suo petto e sembrava non volersi spostare.
Chiamò il suo nome diverse volte, mentre andava contro il flusso dei fuggiaschi. Doveva trovarla. Doveva stringerle il polso e accertarsi che fosse viva.
Come diavolo gli era saltato in testa di farla fuggire da sola? Allora aveva pensato fosse una buona idea, ora non era più certo.
- Nimphadora! – urlò ancora. Nessuna risposta.
Una figura incappucciata scivolò poco lontano da lui. Affrettò il passo, facendosi spazio fra le persone, con un certo nervosismo. Inciampò un paio di volte e rischiò di essere travolto, ma riuscì a mantenere l’equilibrio.
La folla si diradava, mentre arrivava in un punto del parco deserto e buio, fitto di vegetazione tinta dei colori dell’autunno inoltrato.
- Remus! -
L’ex professore di difesa contro le arti oscure si girò di scatto, sgranando gli occhi. La voce non proveniva dal punto in cui aveva visto sparire la donna con il cappuccio, ma poco più in là.
Tonks era legata ad un albero, con le corde tanto strette che si vedevano dei segni inconfondibili di graffi sui punti in cui la corda sfregava sulla pelle.
Sembrava sconvolta gli occhi sgranati, il viso spaventato e sporco di terra, come i vestiti, come se si fosse rigirata nella terra, come se fosse stata trascinata. Aveva il viso imbrattato dal sangue che le colava dalla fronte.

- Remus scappa! – gridò la ragazza, ma l’uomo non l’ascoltò. Scattò verso di lei, alzando la bacchetta – Ho detto scappa! -
- Reducto! – gridò invece lui, e un getto di luce colpì le funi, che si spezzarono, facendola scivolare in avanti, priva di forze.
Remus allargò le braccia per prenderla, ma non ci riuscì.
- No! – gridò la donna, portandosi le mani alla bocca, con orrore.
Un dolore bruciante gli aveva colpito la spalla destra strappandogli un grido di dolore e sorpresa. Un pugnale scintillante gliela aveva trafitta.
Con la stessa poca grazia con cui era entrato nella pelle, il pugnale venne estratto e l’uomo cadde in ginocchio, stringendosi il punto ferito.
Narcissa Black. Narcissa Black lo aveva ferito, mentre suo marito, Lucius, avanzava verso Nimphadora accucciata a terra, con la schiena contro il tronco.
Lei non lo guardava, era fisso su Remus, incurante della minaccia che le si avvicinava, freddamente.
- Remus! – urlò, tremante, e fece per scattare verso di lui, senza successo. Lucius l’aveva stretta, passando una mano intorno alla vita, mentre l’altra le stringeva il mento, con poca delicatezza.
Lucius sorrise.
- Ho sentito che ai mannari fa molto male l’argento, Lupin. – disse placidamente e Remus sgranò gli occhi.
Argento. Un pugnale scintillante.
- No! – gridò di nuovo, Tonks, agitandosi nella sua stretta, senza successo.
Lucius la scosse, strappandole un gemito di dolore.
- L…lasciala. – sibilò Remus, mentre la vista gli si appannava e il mondo prendeva a storcersi davanti a lui.
- Molto onorevole. – commentò uno dei primi uomini nella scaletta del potere, con un sogghigno – Pensi alla tua donna, piuttosto che a te stesso. -
- Per quello che gli è rimasto da vivere. – sentenziò gelida Narcissa, guardandolo con folle disprezzo – Che vuoi farne di lei? –.
- Pensavo di giocarci un po’ – sibilò. Narcissa annuì, spenta. Remus gridò qualcosa, o almeno ci provò.
- Lasciatela. -
Si alzò di scatto, con forze che non sospettava di avere e si scagliò con il biondo uomo, estraendo la bacchetta. Venne respinto con un calcio, assestato sul petto che lo respinse di molto indietro, ma questo diede il tempo a Nimphadora di liberarsi velocemente dalla presa, aprì una piccola gemma sull’anello che aveva sull’indice e se lo portò alle labbra di scatto.
- Nimphadora, no! – gridò Remus, inorridito.
L’ultima risorsa. Veleno.
Tonks tossì, guadagnandosi un’occhiata del mangiamorte.
- Sciocchi. Beh lasciamoli morire in pace. – detto questo, Lucius Malfoy girò le spalle ai due, seguita dal fantasma di quello che era stata sua moglie. E rimasero solo loro due. Remus annaspò, avanzando un passo, a fatica, come se il piede fosse più pesante di un macigno. Sembrava che metri e metri li dividessero, e non pochi passi. Nimphadora allargò le braccia, accogliendolo in esse, mentre lui scivolava verso terra.
Gli passò un braccio dalla spalla fino alla vita, mentre l’altro spingeva verso di se le sue spalle. Posò la guancia sulla sua nuca, mentre lo teneva a se.
Il sangue defluiva dal suo viso. Dalle sue vene.
Sentì che Remus non respirava più, ma non disse nulla, non pianse, ne se ne addolorò. Gli baciò la nuca e sospirò.
- Ho mantenuto la promessa – disse, con un soffio.
Poi riposò la guancia sulla sua nuca e chiuse gli occhi.
Non li riaprì più.


***

Neville si guardò intorno, febbrilmente. Sperava che qualcuno fosse ancora vivo e non aveva resistito alla tentazione di andare a cercarli, sebbene questo significasse rischiare la pelle.
Guardò davanti a se e un morso gli strinse lo stomaco, Bellatrix Lestrange troneggiava di fronte ad Hermione, con la bacchetta puntata. La ragazza non reagiva, probabilmente priva di sensi.
O morta.
Scattò in avanti e sguainò la bacchetta, senza indugiare oltre.
Pensò ai suoi genitori, e non ebbe pietà.
- Avada Kedavra! – strillò, e il getto verde colpì la mangiamorte in pieno, facendola crollare a terra con un tonfo. Una morte inaspettata, un attacco a sorpresa. Sul suo volto, impresso lo stesso stupore che suo cugino aveva avuto in morte, mentre oltrepassava il velo. Hermione non reagì.

- Hermione! – strillò Neville, correndo verso di lei.
Ma Hermione non rispose.

***

Mai attaccare gli avversari di spalle.

Non è da bravi Gryffindor. Ma le spalle di Lucius Malfoy erano decisamente una preda allettante, specialmente quando hai poca razionalità che ti scorre nelle vene. Gli altri erano ormai sconfitti, morti o scomparsi.

E c’erano stati loro due.
Li aveva visti, abbracciati, privi di ogni respiro o sussulto che segnalasse vita nella loro pelle. Eppure non credeva che fossero morti.
Non aveva avuto il coraggio di avvicinarsi. C’era un’aria di sacralità in quell’abbraccio. In quell’ultimo abbraccio che non aveva nulla di disperato, ma rassegnato. Sembravano due angeli dormienti, come in un quadro di qualche pittore babbano famoso.
Come aveva detto Silente al primo anno di Hogwarts di Ron?
E’
proprio come andare a dormire dopo una giornata molto, molto lunga.
Così aveva detto. Sembrava qualcosa del genere. Un riposo.
Il ricordo di quei corpi abbracciati dono un po’ di lucidità alla sua mente. Mentre nascosta dietro un arbusto osservava Lucius Malfoy. Al primo momento aveva pensato di ucciderlo di spalle proprio come lui aveva fatto con suo figlio. Decisamente un padre modello. Uccidere la moglie era farle un favore.
Si rigirò la bacchetta fra le dita, nervosamente. Era l’ultima ad essere rimasta viva, della Resistenza, e di certo non lo sarebbe rimasta per molto, volente o nolente.
Avrebbe dovuto usare la maledizione senza perdono per ucciderlo, e non era sicura che volesse che l’ultima sua azione fosse un’azione da mangiamorte.
Però, d’altra parte, quel fottuto stronzo che se ne stava lì in piedi era quello che aveva ucciso suo fratello e Draco ed era responsabile della morte di Harry. Certamente non avrebbe lasciato la cosa impunita.
Fece passi silenziosi verso la loro direzione, ponderando con attenzione sul da farsi, poi loro voltarono bruscamente direzione come se avevano visto qualcosa. Un bambino, in mezzo al prato, era inginocchiato vicino alla madre e la spingeva per la spalla, cercando di svegliarla. La madre si mosse appena, ma non sembrava aver la forza di alzarsi.
Non ci volle molto per comprendere le reali intenzioni di Lucius Malfoy e consorte. Insensate, certo, e malvagie. Come ogni cattivo degno di questo nome.
Mise da parte la sua integrità morale, brandendo la bacchetta. Poi avrebbe chiesto perdono ad una ad una a tutte le divinità esistenti di tutte le religioni per mettersi la coscienza in pace. Ma c’era in gioco la vita di due creature innocenti. Ne valeva la pena.
Alzò la bacchetta ed agì velocemente. I due mangiamorte non si accorsero di nulla. Veloce e indolore. Pagati con la stessa moneta con cui erano soliti saldare i loro conti.
Scattò verso la madre e il bambino e aiutò la donna ad alzarsi, mentre rinfoderava la bacchetta nella cintura dei Jeans. Con loro si spicciò a camminare. Fortunatamente i mangiamorte erano andati a cercare altrove i colpevoli all’attentato.
Lanciò un’occhiata ai coniugi Malfoy.
Avrebbero avuto una bella sorpresa.
Prima o poi l’avrebbero trovata e condannata a morte, lo sapeva. Ma per quel giorno la morte per lei avrebbe aspettato. Ed era solo quel pensiero, quella certezza di una lucidità esasperante che non la faceva impazzire dal dolore. Non pianse e non si disperò.
Tutto era diventato piatto in lei, mentre sorreggeva la donna, che riprendeva pian piano i sensi. Vuota. Non provava dolore, perché sapeva che era un distacco breve.
Si costrinse a non pensare alla sua famiglia e ai suoi amici. Ora aveva un obbiettivo.
La donna la guardò, con gli occhi offuscati.
- Capelli rossi…- mormorò – Come l’uomo che mi ha aiutata prima. -
Poi tornò nello stato d’incoscienza.
Ginny accennò un sorriso tirato.
Nessun dolore. E’ una separazione breve.
”Nessun dolore” si ripeté.
Il bambino le tirò un lembo della maglietta.
- Signora. -
- Si? -
- Perché piangi? -
Ginny non rispose, poi arrivò la voce di Neville, fin troppo chiara per essere confusa.

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