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Autore: Manu75    23/09/2006    2 recensioni
Il Torneo Tre Maghi è terminato tragicamente, Lord Voldemort ha fatto ritorno e Severus deve affrontare la prova più difficile della sua vita. Dopo 'Il libro e il falò' e 'Una lunga risalita' l'ultima ff su Severus che chiude la mia trilogia su questo meraviglioso personaggio.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton, Voldemort
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Innanzitutto volevo fare un ringraziamento a tutti coloro che hanno letto anche questa mia ff, anche senza commentare e recensire, e un ringraziamento particolare a Redistherose: grazie per la tua recensione e per i tuoi complimenti, che hai lasciato su 'Una lunga risalita', grazie mille!Sono felice di avere illuminato la tua giornata....per ora non ho ancora iniziato a scrivere nulla di nuovo, ma lo farò presto. Spero di trovarti ancora tra le mie lettrici!


Ecco l'ultima parte. Qui ho voluto rappresentare dei sentimenti che, spero vivamente, la Row finirà per attribuire a Severus prima o poi. E ho anche voluto omaggiare un grande personaggio: Albus Silente.....

Spero vi piaccia, e grazie!



 
'Il rosso e l’azzurro di una prigionia'




ULTIMA PARTE


 


Gli ultimi istanti della notte si stavano consumando e gli uccelli già cantavano nei loro nidi, quando Severus si ritrovò a fissare nuovamente il cancello che proteggeva l’entrata ai giardini di Hogwarts.
Le primi luci dell’alba filtravano rompendo, con il loro pallido oro, il blu denso della notte. Le stelle sembravano ritirarsi.
Il volto pallido di Severus portava i segni delle lunghe ore appena trascorse. Ombre nere si stagliavano sotto gli occhi, neri e bui come sempre, eppure più lucidi del solito.
Con un gesto stanco recuperò la propria bacchetta e colpì lievemente il cancello, che si aprì istantaneamente. Una volta che lo ebbe oltrepassato e sigillato nuovamente, si avviò verso il Castello. Il suo passo era deciso e rapido come sempre e tuttavia vi era una rigidità insolita nei suoi movimenti. Giunto infine davanti al grande portone chiuso si fermò. Improvvisamente i suoi muscoli sembrarono registrare lo sforzo immane che avevano compiuto quella notte, nel momento in cui l’Oscuro Signore aveva violato la sua mente, per poi straziare le sua membra con una Maledizione Cruciatus di violenza inaudita. Si rese conto di essere ancora rigido e, nell’istante in cui cercò di rilassare gli arti e i muscoli, un tremito convulso lo colse.
Il sudore gli imperlò la fronte e non riuscì a sollevare nemmeno un piede per muovere un passo. Si appoggiò allora con la fronte alla fredda pietra dell’edificio, cercando sollievo. Respirò a fondo e si impose di smettere di tremare. Si sentiva debole e frastornato. La sua mente, di solito composta e rigida, era un caleidoscopio di immagini ed emozioni. Aveva la nausea ed era disgustato dalla propria debolezza. Tuttavia non riusciva a placare quell’ondata di dolorosa consapevolezza che il suo corpo sembrava pretendere come tributo.
Improvvisamente avvertì un fruscio e un peso, caldo e confortante, gli si appoggiò sulla spalla. Voltò la testa e si trovò a fissare un essere di una bellezza straordinaria. L’essere emise un dolce suono ed esso, come forza liquida, filtrò tra le membra stremate di Severus. Improvvisamente, insieme al benessere fisico che ne trasse, avvertì una commozione e un sentimento di gratitudine travolgenti.
Lui gli aveva inviato la sua forza e il suo conforto nelle sembianze della sua Fenice: Fanny. Lui l’aveva atteso sveglio e ora lo invitava a raggiungerlo.
Severus osservò ancora per qualche istante la Fenice, soggiogato dagli occhi compassionevoli di quello splendido animale. Assaporò ancora un’ po il calore che filtrava attraverso il mantello, riscaldando il suo corpo gelido. Poi si raddrizzò e si ricompose. Fanny piegò il capo osservandolo ancora un istante poi, emettendo ancora il suo dolce canto, si sollevò in aria e scomparve.
Sentendosi ancora debole, ma comunque ristorato, aprì il portone ed entrò nella Scuola. Ormai l’alba aveva scacciato quasi del tutto la notte, il freddo pavimento in pietra del vecchio castello si illuminava di pallidi riflessi bianchi e grigi.
Severus attraversò l’atrio e si diresse a passi svelti verso lo Studio di Silente. Giunto davanti al Gargoyle di pietra che ne celava l’ingresso, mormorò la parola d’ordine, con l’espressione di stupore misto ad impazienza con cui lo faceva sempre.
Decisamente non capiva e non condivideva il senso dell’umorismo del Preside.
Infine, una volta che il Gargoyle si fu scansato, risalì le scale a chiocciola e bussò alla porta dello Studio. Nell’attimo che ci mise a girare la maniglia ed ad entrare fu colpito dal contrasto tra l’atmosfera che emanava la porta dietro la quale si celava Voldemort e l’atmosfera che trasmetteva ora questa porta.
Gelida furia contro bruciante quiete.
Quando entrò si trovò di fronte Albus Silente, che l’attendeva in piedi, in mezzo alla stanza.
Era vestito con gli stessi abiti che indossava nel momento in cui si erano separati. La schiena diritta come una spada, nella postura di chi può affrontare il mondo e il suo giudizio con la tranquillità che deriva dalla consapevolezza di non avere colpe. I lunghi capelli e la lunga barba d’argento parevano dispensare luce, piuttosto che catturarla. I lineamenti segnati dall’età avanzata sembravano incisi dalle mani amorevoli di un artista intento a cogliere la saggezza e la purezza di spirito.
Fanny era appollaiata sul suo trespolo d’oro e lo osservò con dolcezza, poi infilò il capo sotto l’ala e sembrò addormentarsi.
Severus incontrò lo sguardo di Silente.
Gli straordinari occhi azzurri del Preside lo scrutarono, colmi di sollecitudine e ansia. Un nodo serrò la gola di Severus, contro la sua volontà. Riuscì a dominarsi ma, nel momento in cui aveva incrociato lo sguardo limpido e caldo del Preside, aveva avvertito un sollievo e un senso di sicurezza che si erano quasi sciolti dentro di lui.
Silente gli si avvicinò, il passo elastico e scattante di sempre, ponendogli una mano sulla spalla e, facendo pressione lievemente, lo spinse verso una sedia. Severus vi si lasciò cadere e attese che Silente prendesse posto sulla sedia che stava al di là del tavolo.
Si guardarono ancora un istante. Entrambi col viso tirato e segnato da quella lunga notte.
- Ebbene, Severus.- Mormorò Silente - Alla fine quello che abbiamo atteso a lungo è avvenuto. Immagino che sia stata un’esperienza dura.-
Severus chinò lievemente il capo in segno di assenso, senza distogliere lo sguardo dal volto fiero del Preside.
Il calore umano che quell’uomo sapeva infondere in ogni suo gesto, in ogni sua parola, riuscivano sempre ad ammaliare Severus. Con il solo potere dei più profondi e puri sentimenti che emanavano da lui, Albus Silente aveva la capacità di rendere tutto meno insopportabile, meno duro, persino meno raccapricciante.
Severus sentì una grande malinconia dentro di sé.
Avvertì il senso di inadeguatezza colmo di rimpianto che lo coglieva sempre, quando lo straordinario uomo che gli sedeva di fronte palesava così naturalmente, quasi inconsapevolmente, la propria grandezza.
Lo sguardo del Preside lo studiò ancora un attimo, pieno di rammarico e comprensione.
Quello era uno sguardo che solo altre due persone in tutta la sua vita gli avevano rivolto. Due donne. Sua madre e Lily Evans. Rammentò per un istante una mattina di giugno di tanti anni prima. Un volto giovane e intelligente. Due occhi verdi, limpidi e pieni di calore umano.
Qualcosa tremò nel suo animo. Ogni dolore e ogni istante di paura non sarebbero mai stati abbastanza. La sua non sarebbe mai stata una punizione adeguata, lo sapeva.
Ancora un attimo si lasciò cullare dallo sguardo accogliente del Preside. Severus sapeva bene che Albus Silente avrebbe voluto poter caricare su di sé tutta la sua fatica, la sua pena, tutto il suo dolore.
Poi spostò lo sguardo su Fanny, il cui piumaggio sembrava ardere, accendendo di scintille rosse l’aria mattutina.
- Se mi permetti, Severus…-, mormorò gentilmente Silente, riportando la sua attenzione su di sé.
Lui capì e incrociò nuovamente lo sguardo dell’anziano Preside con tranquillità. Non sarebbe riuscito comunque a parlare, non ne avrebbe avuto la forza. Ora che la tensione si era sciolta sentiva una quieta debolezza ammorbidirgli le membra. La sua mente, ora serena, era distesa e lui sentiva il pulsare del proprio cuore in profondità. Una sensazione meravigliosa.
Quando Albus Silente si inabissò nelle acque dei suoi pensieri, Severus avvertì la dolce sensazione dell’incresparsi lieve della propria mente. Sembrava che una mano gentile smuovesse con delicatezza le acque di un ruscello, alla ricerca di un tesoro luminoso. Le immagini e i suoni che quella mano carpiva erano scrutati con rispetto e gentilezza per poi essere rilasciati, come sabbia fine tra le dita, senza venire dispersi.
Stavolta il corpo di Severus rimase realmente rilassato ed immobile, le mani abbandonate, le gambe distese, i capelli che gli sfioravano il volto stanco.
Alla fine Silente si ritirò, osservandolo con aria grave.
- Capisco bene di averti chiesto molto ma ti ringrazio, Severus. Per il momento voglio solo che tu vada a riposare, più tardi ti pregherò di raggiungermi nuovamente. Ci sono molte cose che dobbiamo decidere. E’ inutile farlo, però, con la mente ed il corpo esausti.-
Severus annuì nuovamente, sempre in silenzio.
Silente si alzò e lo invitò a fare altrettanto.
Poi, posandogli una mano sul braccio, con la sollecitudine di un padre verso il proprio figlio, lo accompagnò alla porta.
- La cosa più importante, ora, è che tu sia ritornato sano e salvo- mormorò, con la voce che lasciava trasparire una sottile commozione. Gli strinse ancora un attimo il braccio e lo spinse dolcemente facendolo uscire dalla stanza.
Quando la porta si richiuse alle sue spalle, il suono che emise, ricordò a Severus quello di un ultimo ingrediente che, aggiungendosi agli altri, completa una Pozione.
La Pozione creata per lui e da lui, era ormai pronta e ora poteva avvertirne gli effetti.
Era definitivamente legato.
Non aveva scampo. Non aveva scelta. Non aveva un destino.
Lo avvertiva chiaramente perché era prigioniero, per propria scelta, di due uomini che, in modi e in tempi diversi, lo avevano avvinto nelle spire di un fato segnato.
L’uomo dai freddi occhi rossi aveva lusingato la sua voglia di riscatto, facendo leva sui suoi sentimenti torbidi e violenti, quali l’odio e la vendetta, donandogli, contemporaneamente, un’inebriante sensazione di appartenenza. Il desiderio di rivalsa che ne era conseguito l’aveva catapultato in un abisso dove non c’era spazio per nulla che non fosse morte e sopraffazione, seppur colme di un potere effimero.
L’uomo dai caldi occhi azzurri non aveva fatto altro che tendergli una mano, aiutandolo a risalire. Aveva, prontamente, risposto al suo grido d’aiuto. Così facendo l’aveva depositato in un limbo di redenzione e pentimento. L’aveva accolto con calore, fiducia, affetto, mostrandogli cosa fossero il rigore, la lealtà, la grandezza e condannandolo, pur senza volerlo, ad una tortura perenne: il senso di colpa.
Avrebbe ripagato l’uno con il tradimento e l’altro con la propria vita.
Ma alla fine, forse, sarebbe stato libero.



 
FINE
  
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