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Autore: La sposa di Ade    17/02/2012    2 recensioni
Volute di fumo si innalzavano dalla macerie di quella che una volta era stata la capitale più fiorente del mondo degli Umani, l’ immensa e sfarzosa Ethis era ora ridotta a un campo di battaglia per un’ ultima guerra.
Una figura, pallida e barcollante, affacciata alla finestra della sua stanza osservava con occhi di pece quello scenario troppo familiare, così poco era passato; quel breve periodo di dopoguerra in cui chiunque si trascinava in cerca di una luce, seppur effimera, era finito. Sostituito da ciò che di peggio si poteva immaginare.
Il suono della battaglia, cozzare di armi, schizzi di sangue e morte si era diffuso ovunque, un requiem caotico risvegliava una sete di sangue che da tempo sperava di aver abbandonato, sperava di averla lasciata in quella cella due anni prima insieme a tutto quel sangue che aveva versato solo per il desiderio di uccidere. Con una daga legata al polso e ciò che restava dell’ Ala d’ Argento avrebbe combattuto, gustandosi tutto il sangue che sarebbe riuscita a versare.
6° Classificata
al contest ‘Aboliamo gli Happy Endings!’ indetto da
WodkaEiffel
Genere: Angst, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dirty souls'
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Ad essere sinceri non so proprio che dirvi.
Ehm, ringrazio chi legge e chi redensisce, grazie Homicidal Maniac <3 grazie Smollo05 *.*

Ho una comunicazione importantissima da farvi: è stato deciso dalla sottoscritta che il qui presente signor Zephit non potrà impegnarsi in nessuna relazione sentimentale, quali fidanzamenti o matrimoni e simili (a meno che non venga barattato con qualcosa u.u). Mi dispiace.
Quindi passando alla storia devo dirvi che questo capitolo è un po’ particolare, contorto direi (assurdo forse) e che nella mia testa siccedevano molte più cose, ma naturalmente quando si scrive (nel mio caso) diventa tutto molto più lungo u.u nel prossimo tutta questa faccenda si svilupperà molto di più ^^ Lo so, sto aggiornando alla cazzo... ma il fatto è che non ne potevo più di tenermi questo capitolo u.u
Buona lettura!

Capitolo 10. Incontri.

“Qui e’ dove inizia. Qui e’ dove finirà. Sta sorgendo la luna… ancora”
[Marilyn Manson – If i was your Vampire]

Qualcosa di soffice e caldo sotto di lei, freddo alle mani e una spiacevole sensazione di vuoto.
Aprì gli occhi e il suo sguardo appannato si soffermò sulla mano davanti al suo volto, era la sua ed era fasciata con bende chiare.
Mosse le dita, mentre una lieve fitta di dolore si irradiava per il braccio.
Sbatté le palpebre per schiarire la vista, ma c’era qualcosa che non andava, vedeva troppo poco.
Delle bende le fasciavano la testa per coprire anche l’ occhio sinistro.
Si portò la mano fasciata più vicina all’ occhio spostando le bende, per poi constatare con orrore che non vedeva.
Sospirò rassegnata alzandosi a sedere. Passò più volte la mano davanti all’ occhio sinistro, inutilmente.
Si guardò il corpo; l’ avambraccio destro era fasciato, così come il suo petto e il collo. Tutto quello che aveva addosso era una lunga gonna nera, liscia e setosa.
Si guardò intorno e sentì una fitta al petto –non di vero dolore, solo di nostralgia-, era nella sua stanza; i muri scuri e alti erano interrotti da arabeschi cremisi si intrecciavano fra di loro, giocando come onde del mare al tramonto, era seduta sul suo ampio letto e davanti a lei c’ era uno specchio alto, lo stesso che lei stessa tempo addietro si ostinava a rompere.
 

I frammenti di vetro caddero a terra per l’ ennesima volta.
La sua mano era macchiata di sangue, così come i frammenti sparsi sul tappeto morbido.
“Mia signora, si è ferita?” Un’ ancella accorse prendendo nelle sue mani morbide quella ferita della vampira.
“Non è niente.” Rispose lei brusca ritirando la mano che era già guarita.
“Non voglio mai più rivedere questo specchio.” Uscì a passi svelti dalla stanza.
Detestava guardare il suo riflesso. Odiava quegli occhi che cambiavano colore, odiava il volto niveo che incarnava la morte, odiava quel volto freddo, odiava quelle mani che senza alcun risentimento si permettevano di togliere la vita.
Così, come se avesse visto un nemico, il suo primo istinto era stato quello di colpirlo.
Ma tant’ è ogni volta che uno specchio veniva rotto, uno nuovo veniva portato nella sua stanza.

 
Si sedette pesantemente sulla sedia, tirandosi indietro i capelli argentei mentre sospirava.
“Ho bisogno di bere qualcosa.” Farfugliò.
“Il re è furioso.” Commentò sorridendo il Generatore.
“Posso immaginarlo, gli ha ammazzato la sua chimera preferita.” Disse l’ elfo mentre si rigirava fra le mani il ciondolo a forma di rosa.
“Beh, c’ era da aspettarselo dall’ ala d’ Argento.”
Come per magia spuntò una cameriera.
“Cosa vi porto?” Chiese con voce squillante.
“Vada per due birre.” Rispose con un sorriso il Generatore seduto di fianco all’ elfo. La cameriera lo guardò con espressione dubbiosa per qualche istante per poi andarsene con un’ alzata di spalle.
“Non dovresti farti vedere in questo modo.” L’ elfo lo guardò stringendo gli occhi, gli dava fastidio averlo accanto. Era come sedersi vicino ad un serpente, magari non velenoso, ma pur sempre un serpente.
Il Generatore sospirò pesantemente.
“Di questi tempi vedere un tizio strano nel mondo delle Creature Oscure non è niente di che.” In effetti aveva ragione; ultimamente nell’ aria si sentiva qualcosa di strano che metteva addosso a tutti una strana impazienza, la necessità di agire, brandire le armi e scendere in battaglia.
Di fronte alla guerra i Generatori non erano un gran problema, qualche gruppo di nomadi che si nascondeva non dava problemi, sempre che la guerra non fosse contro di loro.
“Sarà.” Disse l’ elfo sospirando.
La cameriera tornò e posò sul loro tavolo due boccali di birra.
“Vi porto altro?” Chiese con voce soave e muovendo un po’ troppo i fianchi mentre sul suo volto si stendeva un sorriso raggiante, gli elfi avevano il loro fascino, doveva ammetterlo.
“Va bene così.” Disse Zephit senza neanche guardarla, ora era la birra ad attirare tutta la sua attenzione. Si portò il bicchiere alle labbra.
“Cerca di non bere troppo, non voglio vederti ballare con quella cameriera sui tavoli.” Disse il Generatore appoggiando il gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mano. I suoi occhi si illuminarono di luce ambrata.
“Tranquillo, dovrei bere questa roba per tutta la notte per riuscire ad ubriacarmi.”  Disse l’ elfo posando sul tavolo il bicchiere già mezzo vuoto, sbuffando. Gli sembrava che la birra avesse perso il suo gusto e a dire il vero non gli sembrava neanche più tanto invitante quel boccale di birra.
Eppure avrebbe voluto ubriacarsi piuttosto che dover lavorare quel pomeriggio.
“Tu piuttosto, vedi di arrivare in orario altrimenti il re se la prenderà con me.”
Il Generatore annuì pensieroso.
“Infatti.” Fece un gesto eloquente con la mano alzandosi. “Sto andando via, perché io non arrivo mai in ritardo.” Le sue labbra si stirarono in un lieve sorriso dandogli l’ aspetto di un gatto.
Zephit fissò per qualche istante i due boccali di birra, il proprio mezzo vuoto, e il suo ancora completamente pieno.
“Ehi Azue! Mi lasci il conto da pagare?!” Urlò al Generatore che si stava avviando verso la porta.
“Sono un’ ospite, e gli ospiti non pagano.” Salutò lui sparendo dietro alla porta. L’ elfo rimase esterrefatto.
Il ragionamento era giusto però.
“Quindi” Si mise a riflettere a voce alta “Io sono ospite di questa bettola, quindi, non devo pagare.” Concluse lui mentre le labbra si sollevavano leggermente.
Peccato però, che aveva parlato a voce troppo alta.
 

“Mio Signore.” Disse l’ elfo inginocchiandosi e portando il pugno al petto, in attesa.
Il re stava sorseggiando del liquido cremisi da una coppa di cristallo scuro.
“Dimmi pure, Zephit.” Appoggiò la coppa sul bracciolo dello scranno su cui era seduto. Il suo tono di voce non riusciva a mascherare il nervosismo che provava.
“È arrivato l’ ospite che attendevate.” Disse l’ elfo con la mascella contratta, i suoi occhi erano freddi come ghiaccio.
“Bene, sai cosa fare.” L’ elfo chiuse gli occhi chinando ancora di più la testa, sconfitto.
 

Di nuovo, come anni prima, tirò un pugno allo specchio mandandolo in frantumi.
Di nuovo la mano era ferita e sanguinava.
Chiuse gli occhi appoggiando lievemente i polpastrelli alla palpebra dell’ occhio sinistro, sospirò.
Non abbassò la mano, ma aprì l’ occhio destro guardando i suoi piedi nudi contornati da schegge di vetro e bianche bende.
Sollevò lo sguardo sui frammenti di vetro che erano ancora rimasti attaccati alla cornice scura, si avvicinò, portando il volto a una decina di centimetri dalla superficie.
Era uguale a pochi istanti prima; sulle tempie e sugli zigomi si potevano vedere chiaramente i segni dei morsi, cicatrici chiare e vistose rompevano la regolarità della sua pelle, una in particolare, attraversava in verticale il suo occhio sinistro. Voltò un poco la testa, il padiglione dell’ orecchio sinistro era tagliato in verticale. Si allontanò, quel tanto che bastava per vedere il collo; la parte destra era impressionante, la cicatrice partiva da sotto l’ orecchio per poi scendere e allargarsi alla base del collo e sulla spalla.

Ma che bella farfalla. Si schernì da sola con una smorfia di disgusto.
Si guardò di nuovo il viso rovinato aprendo anche l’ occhio ormai cieco che aveva assunto una tonalità color ghiaccio, quasi bianco, proprio come quello di una persona cieca, mentre l’ altro ora era di un semplice color nocciola.
La tentazione di colpire nuovamente lo specchio (quello che ne rimaneva) era fortissima ma sospirando si diresse verso l’ ampia finestra fissando la luna piena che si stagliava nel limpido cielo notturno.
Si appoggiò al muro continuando a guardare fuori.
Non avrebbe avuto senso provare a scappare, se si concentrava poteva benissimo sentire la presenza di un paio di guardie per ogni corridoio, e comunque, se si trovava lì c’era un motivo. O almeno era quello che pensava.
Una sorta di miagolio attirò la sua attenzione; fuori dalla finestra, sul balcone c’ era un gatto nero, con tanto di ali chiuse sulla schiena, i suoi occhi brillavano di una furba luce verde mentre scrutava la vampira che apriva la finestra per scacciarlo.
Ci mancava solo uno Spirito della Sfortuna alla finestra.
Sbuffò mentre guardava la creatura volare via.
 

Già da un po’ camminava per i corridoi, allontanandosi e avvicinandosi alla sua stanza, mentre giocava nervosamente con il pendolo a forma di rosa.
Quando ormai aveva fatto il giro del piano per tre volte una guardia lo fermò prendendolo per gomito.
“Ehi, ti sei perso, orecchie a punta?” Si liberò della sua presa con uno strattone e lo trafisse con uno sguardo gelido.
“Taci.” Si limitò a dire, stringendo gli occhi e riprendendo a camminare.
In mano teneva una bottiglia scura, gli era stato detto dal re di portarla alla figlia, ma non aveva idea di cosa ci fosse dentro, o meglio, non ci teneva a saperlo. Anche se la curiosità era parecchia.
Dicendosi che dentro alla bottiglia c’era il miglior liquore si costrinse a stapparla e ad avvicinarla al naso.
Quando sentì l’ odore forte e pungente fece una smorfia. Avrebbe dovuto immaginarlo. Sangue.
 

Stava ancora guardando fuori dalla finestra quando sentì qualcuno bussare alla porta che dopo pochi istanti si aprì.
Sulla soglia c’era un’ elfo dagli occhi color mare e dai capelli argentei che arrivavano alle spalle, il torace ampio e la vita stretta erano fasciati da una maglia nera aderente con il collo alto.
Al collo aveva appesa una rosa rossa ad un cordino di cuoio.
Neah strinse gli occhi, era lo stesso elfo che si trovava alla taverna quando lei e Rhies erano stati attaccati.
Fece per parlare -subito dopo aver chinato la testa in segno di rispetto-, ma non fece in tempo perché si ritrovò una scheggia di vetro puntata alla gola.
“Dov’è la mia spada?” Incalzò lei.
Alzò le mani in segno di resa, intenzionato a rispondere sinceramente quando si ritrovò il vetro piantato nel palmo della mano. Trattenne a stento un urlo.
“Giuro che se non parli subito, tutti i tuoi arti diventeranno dei moncherini inutili.” Sibilò lei rigirando la scheggia nella ferita.
“Adesso l’ Ala d’ Argento appartiene al re.” Ansimò l’ elfo. Il sangue usciva dalla ferita colorando il pavimento della stanza e gli occhi della vampira.
“L’ Ala d’ Argento non può appartenere a nessuno.” Ribattè lei sfilando con forza l’ arma improvvisata dalla mano dell’ elfo, questo se la portò al petto, gemendo.
Le sue labbra si stirarono in un sorriso sghembo. “Eppure lui adesso vi ha tutte.” Il suo drago, pietrificato proprio sopra al suo tetto, la sua spada nascosta chissà dove, e lei rinchiusa nella sua stessa stanza.
Sul viso di Neah si era dipinta un’ espressione sofferente, la gola bruciava,  richiamava il sangue versato e la libertà.

 

  
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