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Autore: Ulissae    18/02/2012    3 recensioni
[Vita, morte e miracoli di Aro. Personale interpretazione della sua vita]
"Sarai pronto a perdonarmi?"
Genere: Dark, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro personaggio, Aro, Volturi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'enciclopedica visione dei Volturi'
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Historia Apollinis


Aro si era alzato, riprendendo a camminare lentamente, facendo attenzione a mantenere sempre lo stesso passo, quasi fosse un  bambino. Scosse la testa, cercando di scacciare un pensiero troppo insistente che sembrava non voler accogliere.
“Da quel momento in poi pensai solo una cosa: tornare a Volterra e donare anche a Didyme il veleno che ci aveva reso tutti immortali ed eterni. Il suo potere ci avrebbe sicuramente aiutato nell'intento di pacificare e regolamentare la nostra specie. In quei giorni, poi, riflettei per la prima volta sulla mia condizione di immutabile. Se non avessi trasformato Didyme, comunque, ella sarebbe morta e io avrei osservato il suo corpo sfiorire e poi morire; una situazione che, solo in quel momento, mi resi conto di non poter sopportare. Dopo una settimana, quando anche i più giovani tornarono insieme ai loro Creatori, il clan – anche se chiamarlo tale non era proprio adatto – si sciolse. Alcuni soli, altri in coppia lasciarono tutti la piana delle Luci; Sunniva ci salutò stringendoci tutti in un abbraccio materno e affettuoso, chiedendoci di tornare nella prossima occasione; Tonje, che era riuscita a far breccia nel cuore di Caius, lo pregò di seguirla, ma lui, che palesemente non provava nulla per lei, la salutò piuttosto freddamente, non degnandola neanche di uno sguardo mentre questa correva via, rincorsa da una sua cara amica. Fortuna per noi, il fratello aveva già lasciato la pianura alcune ore prima.
Alla fine, quando anche quei due energumeni di Svein e Vetle se ne andarono, Marcus, Caius e io rimanemmo soli.
«Allora scendiamo a Sud?» Marcus fu il primo a parlare e a rompere il silenzio che si era creato.
«Sì. Passiamo prima per la Germania, poi per la Gallia e verso la penisola Ispanica» mi bloccai e pensai un istante a Didyme. Aveva undici anni ed era troppo presto per trasformarla. Potevamo ancora viaggiare, avevo ancora tempo.
«Però pensavo che sarebbe il caso di ridiscendere verso la Britannia» propose sempre Marcus.
«E come pensi di andarci, mh?»
«A nuoto» commentò tranquillamente lui.
Scoppiai a ridere, osservando Caius spalancare gli occhi e lanciare un ringhio mentre si avventava contro Marcus, rotolando nella neve.
«No! Basta! Io non lo bevo altro sangue di topo o cervo o di qualunque altro cazzo di animale!»
Marcus rideva, mentre cercava di fermarlo, sembravano due bambini. Io ero crollato a terra, tenendomi il ventre per le risate.
«Per Giove» dissi in un soffio, ancora ridendo.
«Non ridete, imbecilli! Altri barbari, altri... no!»
«Invece sì» ghignai, lanciando uno sguardo a Marcus che stava steso nella neve e ridacchiava.
«No!»
«Di' la verità... non sai nuotare» rise divertito Marcus.
«No, io so nuotare» ribatté stizzito Caius, tirandosi su in piedi e lanciandoci due occhiate di odio.
«Ma...»
«Ma non mi piace l'acqua, quante volte devo ripetervelo!?» sbottò indispettito, fulminandoci.
Riprendemmo a ridere, non riuscendo a fermarci a lungo.
Il nostro viaggio di ritorno fu interessante: la Scozia si dimostrò un luogo molto più inospitale della Norvegia, ma, allo stesso tempo, riuscimmo finalmente a nutrirci di sangue umano cosa che giovò molto all'umore di Caius e, di conseguenza, all'umore di tutti. Il primo villaggio che incontrammo finimmo per distruggerlo quasi totalmente, colti da una fame irrefrenabile. Questa azione ci costò l'odio dei vampiri del posto, piuttosto agguerriti e bellicosi, che ci rincorsero fino al Vallo di Adriano, costruito da pochi anni. Per nostra fortuna credevano che oltre quelle mura, che avevano conosciuto da poco, si trovassero mostri ancora peggiori di loro e, per questo, non osarono andare oltre.
L'avventura ci fece capire che i vampiri di quell'isola non avevano mai lasciato la loro terra, organizzandosi in piccoli gruppi facilmente radunabili, però, sapevano essere pericolosi. Non riuscimmo a capire se alcuni di loro erano dotati di poteri particolari, ma tutti, indistintamente, erano superstiziosi e incapaci di scavalcare le loro vecchie leggende. Inoltre, come in Norvegia, avevano paura del Sole.
Stessa cosa si ripeté in Gallia: tutto ciò che notammo era che le leggende, pur variando di zona in zona, mantenevano tutte gli stessi topos. Il Sole era nostro nemico e la Luna la nostra madre generatrice.
Inoltre, la maggior parte dei vampiri non vivevano nelle città delle province, ma preferivano un'esistenza nomade e passavano le ore diurne sottoterra, per scampare alla luce.
Al contrario, noi trovammo estremamente confortante il riuscire a ritornare alle nostre vecchie abitudini e riprendemmo ad andare alle terme, ai teatri e quant'altro ogni volta ci fu possibile. Il tempo nuvoloso e piovoso del Nord, per di più, ci aiutava nella nostra copertura.
Quegli anni di viaggio e scoperta furono tra i più emozionanti e istruttivi di tutta la mia esistenza: città dopo città, villaggio dopo villaggio, foresta dopo foresta, incontravamo altri uomini e altri vampiri e io, semplicemente sfiorandoli, finii per conoscere più vite di un dio.
Poco alla volta nella mia mente si veniva a creare un lungo filo cronologico, dove la Storia veniva composta e raccontata da tutte le piccole storie che ero riuscito a catturare dagli estranei.
Conoscemmo uomini valorosi, altri che scapparono non appena ci vederono; donne di una bellezza sconvolgente, altre che ci stupirono per i loro modi mascolini e decisi. Alla fine abbandonammo i nostri itinerari iniziali e iniziammo a viaggiare per il semplice piacere di farlo.
Rimanemmo più di un anno a Barcino, l'attuale Barcellona. Il clima mite e piacevole, la vicinanza del mare, ci fece innamorare di quella piccola città. Avevamo trovato una modesta villa vicino alla spiaggia e lì iniziammo ad annotare tutte le nostre osservazioni, quasi per rendere più materiale e imminente la concretizzazione della nostra idea. Fino a quel momento non avevamo mai trovato un clan troppo numeroso né ben organizzato come speravamo di poter diventare.
Lasciata la città scendemmo verso Cadice, e superammo le colonne di Ercole per giungere in Africa. Qui le cose cambiarono completamente.
Incontrammo molti più vampiri che si erano stabiliti in città, quasi tutti vivevano da soli ed erano aperti e disponibili a socializzare con i loro simili, purché questi chiedessero loro il permesso di vivere nella loro stessa zona. Conoscemmo vampiri che vantavano di aver partecipato alle guerre di Ramses e altri che ci narrarono le Guerre del Peloponneso. Erano tutti molto acculturati e sembravano disprezzare profondamente i vampiri del Nord, definiti come bestie prive di cervello e contegno.
Ci sembrava così strano che ci fossero esseri così simili a noi: non folli ancora troppo attaccati alla loro umanità come Emiliano, né barbari sanguinari. Pacati e affascinati dalla loro natura continuavamo a mantenere un contatto con gli umani, senza mai sfociare nell’interferenza.
Ci accolsero e narrarono le loro storie, mostrando un’apertura e una benevolenza che ci stupì: vedendoli ci rendemmo conto che il nostro obiettivo, quello di creare una qualche forma di governo, non era poi così impossibile.
Ne parlammo per la prima volta con Lavinia, una bellissima vampira dai lunghi capelli color dell’ebano, che viveva a Cartagine. Scherzando la soprannominammo Didone e lei sembrava apprezzare le nostre attenzione. Viveva in una lussuosissima villa che dava sul male, dove sembrava regnare un’atmosfera senza tempo, dove raffinati dipinti egizi si mischiavano con i più bei affreschi delle scuole romane.
Ci raccontò che era da anni che i vampiri del Sud cercavano di coalizzarsi per regolamentare il comportamento della nostra specie, ma che, a causa dei caratteri troppo protesi verso l’individualismo, tutti i tentativi erano falliti.
«Voi, però, sono sicura che riuscirete nella vostra impresa» ci disse, mentre giocava con un bel giovane, che era anche la sua cena.
In quei viaggi mi innamorai più e più volte, affascinato dal sapere e dai gesti di questi esseri che io consideravo veramente eterni.
«Dici, Didone?» risposi, fissando il bicchiere nel quale aveva versato del sangue fresco.
«Oh, certo. Vi basterà andare ad Alessandria; lì troverete sicuramente chi vi aiuterà. Abramo, mi avete detto, lo conoscete già, parlategli di questo progetto, le sue conoscenze vi porteranno sicuramente benefici».
Marcus rimase pensoso, lanciando uno sguardo verso la costa. Era notte e si poteva vedere appena il sottile spicchio di luna che si specchiava sul mare.
«Lavinia, secondo te i vampiri sono veramente pronti a delle leggi?»
La donna sorrise, in quel sorriso furbo celava un’età indefinita, un’antichità palpabile.
«Tutti sono alla ricerca di leggi, Marcus. Gli artisti, i filosofi, gli scienziati, i governanti. Tutti anelano, anche se inconsapevolmente, a un'ordine, una pace che li svincoli dalla paura dei loro simili. Tutti. Perfino i vampiri. Hanno creato delle leggende per porsi dei freni, per auto-regolamentarsi; ma credo sia finito il tempo della superstizione: ci vogliono regole e un potere forte, capace di mantenerle».
Caius la guardò, quasi ammirato. Era la prima volta che fissava una donna con uno sguardo così, sorrisi tra me e me.
Non rimanemmo a Cartagine per troppo tempo, salutammo Lavinia sapendo che l’avremmo rivista presto e affrontammo il viaggio a cavallo, senza preoccuparci troppo di passare per le vie battute. Alessandria sarebbe stata la vera chiave di svolta – per la seconda volta.

La città era bella come ricordavamo, ricca di vita e sapori, nazionalità; trovammo una domus abbandonata, che affittammo a una modica cifra e facemmo sistemare nel migliore dei modi. Sapevamo che essa sarebbe diventata una sorta di centro, di base nella quale avremmo ricevuto numerosi nostri simili; perciò la ristrutturammo con uno stile raffinato, ma allo stesso tempo sobrio, quasi a dimostrare le nostre intenzioni di governanti giusti ed equilibrati.
Abramo, senza che noi facessimo nulla per contattarlo, arrivò dopo una settimana, sorprendendoci, come la scorsa volta e dimostrandoci che Alessandria era ben sicura sotto il suo sguardo vigile.
Eravamo riuniti nel patio centrale, ognuno occupato nei propri affari, Marcus intento a scrivere con passione una lettera – a Didyme, per la precisione – e Caius a leggere alcuni vecchi libri di biografie di regnanti.
Abramo cadde proprio al centro della piscina, alzando un’ondata che ci bagnò un po’ tutti. Immediatamente scattammo sull’attenti e ci mettemmo in posizione di attacco. Marcus fu il primo a rendersi conto che era lui, e con un gesto lento si rimise dritto, sorridendo.
Abramo era zuppo, ma ci sorrideva con la sua espressione sorniona, studiandoci attentamente.
«Chi si rivede» scherzò, allargando le braccia in un gesto tremendamente paternalistico.
Marcus si avvicinò e l’abbracciò con forza.
«È sempre un piacere, Abramo».
Io e Caius lo fissavamo ancora un po’ interdetti, mi decisi di salutarlo a mia volta, amichevole, e ripresi a studiarlo con i miei nuovi sensi. Gli occhi, che in un primo momento mi erano parsi lattiginosi, erano di un nero splendente, quasi fossero due pietre preziose incastonate nella sua pelle olivastra; anche la sua tunica era diversa, molto più pulita e fresca, rispetto a quella logora e lercia dell’altra volta.
«Tutto il mondo sta parlando di voi, miei cari triumvirati» rise, sedendosi sullo sgabello che occupava Caius. Questi gli lanciò un’occhiata fulminante, piena di irritazione. Mai e poi mai avrei pensato in quel periodo che quei due sarebbero diventati grandi amici con il passare degli anni.
«Di noi?»
«Già» confermò lui, mentre anche noi ci accomodavamo, io dividendo il triclinio con Caius.
«I tre vampiri esploratori, gli studiosi, i saggi, i forti. Avete mille soprannomi, ma tutti sanno che siete riusciti a distruggere uno tra i clan più forte in due sole notti».
«Clan più forte?» Marcus sembrava affascinato dalle sue parole. Mi resi conto che, nonostante gli anni passati, ritornava sempre lo stesso bambino che pendeva dalle labbra di Abramo.
«Emiliano era un vampiro riconosciuto in tutto l’Impero, non lo sapevate?»
Rimanemmo in silenzio, ancora sconvolti dalla notizia. Neanche io avrei mai pensato che quel viscido di Emiliano potesse essere un vampiro di grande importanza; non dopo aver conosciuto persone come Lavinia o Sunniva.
«Lui e Paolo avevano praticamente il predominio sulla penisola. Dopo la morte del primo quel bamboccio, l'altro ha “rimodernizzato i suoi modi di fare". Le trasformazioni sotto pagamento sono praticamente diventate inesistenti» sorrideva, con un entusiasmo che non pensavo potesse essere suo «tutto grazie a voi».
Continuammo a restare in silenzio, ma dentro ognuno di noi cresceva la consapevolezza di aver già creato delle basi solide per i nostri progetti futuri. Di colpo scoppiai a ridere, elettrizzato.
«Dicci di più!» esclamai, alzandomi con un balzo. «Dicci… dicci cosa pensano gli altri vampiri, nessuno… oh! Ecco perché ci hanno accolto tutti con benevolenza!»
«Vi credono dei salvatori e nessuno capisce come facciate a muovervi di giorno. Alcuni di loro si chiedono se siate una sorta di messia, dei salvatori» aveva iniziato a ridere, semplicemente guardandomi «e sinceramente me lo chiedo anche io, triumviri».
Ci aveva affibbiato quel soprannome la scorsa volta e sembrava divertirsi nel ripeterlo.
«Il Sole,» disse Marcus, rapidamente, «il sole non ci nuoce, Abramo!».
Calò il silenzio e tutti e tre lo fissammo sconvolti: io e Caius perché speravamo di mantenere ancora per noi quel segreto, almeno il tempo di vedere come le cose si sarebbero evolute; Abramo perché era obiettivamente sorpreso.
«Cosa?» mormorò in un soffio.
L’atmosfera distesa e allegra di qualche istante prima era svanita, sostituita da una più pesante di trepidazione e tensione.
«Sì, Abramo. Le leggende… sono solo leggende! In verità noi non temiamo il sole, noi… noi siamo veramente immortali!»
«Marcus…» mormorai, ma era troppo tardi, il nostro segreto era stato svelato. Mi resi conto solo dopo qualche istante che, comunque, con un personaggio come Abramo e con il suo potere era impossibile pensare di tenergli nascosto qualcosa.
«È quello il motivo per cui riusciamo a spostarci più velocemente di chiunque altro: viaggiamo anche di giorno» continuò Marcus, sorridendo all’altro vampiro.
«Ma come l’avete…»
«È stato Aro» intervenne calmo Caius, capendo che ormai era inutile tentare di fare i vaghi «una mattina ha deciso di uscire e ha scoperto che era tutto finto. Ma… non lo sa nessuno, all’infuori di noi tre e ti pregheremmo di tenere da conto questa nostra confidenza» il suo tono era pacato, ma sembrava conservare una minaccia tacita e silenziosa.
Abramo mi lanciò subito uno sguardo estasiato, mormorando: «lo sapevo che avresti fatto grandi cose, ragazzo» sogghignò «ho fatto bene a non ucciderti».
«Abbiamo fatto bene un po’ tutti» rise Caius, lanciandomi uno sguardo stranamente affettuoso.
Marcus sospirò e sembrava come se non riuscisse veramente a distrarsi, come se avesse un pallino fisso in testa. In fin dei conti, però, non dovrei stupirmi nel ricordare questo suo atteggiamento: Marcus ha sempre avuto la pecca o pregio di pensare a una cosa e una cosa soltanto. Irrefrenabile nei suoi propositi questa sua magnifica arma si è finita per tramutare nella sua più grande condanna. Ma in quegli anni, in cui Didyme era solo una ragazzina, un amore lontano, la sua determinazione servì a noi – e a tutto il resto della nostra specie – per portare a compimento i nostri propositi.
«Ci serve il tuo aiuto, Abramo» li interruppi, serio.
Anche lui assottigliò subito gli occhi, prestandomi attenzione. Iniziai a spiegargli il nostro proposto, il nostro fine, il perché dei nostri viaggi, ciò che avevamo notato.
Marcus e Caius rimasero in silenzio, annuendo di tanto in tanto per confermare ciò che io narravo. Quando finii chiusi gli occhi, era ormai l’alba, ma questa volta non dovevamo preoccuparcene.
«Saresti… uno di noi, Abramo. Ti consideriamo un nostro maestro» mormorò in un soffio Marcus, un po’ teso all’idea che il vampiro ci credesse dei pazzi, tiranni che volevano solo del potere.
Questi, però, ci guardo attentamente a turno, soffermandosi su ognuno e scrutandoci intensamente. Ebbi un brivido, di colpo, e la sensazione che avesse usato su di noi la sua strana tecnica della micro-possessione, visto che dopo un attimo sorrise soddisfatto: «oh, ma che potere interessante».
Roteai gli occhi, un po’ irritato dall’essere stato “violato” con così tanta tranquillità, ma non dissi nulla.
«Allora?» lo incalzò Marcus, tendendosi verso di lui.
«Datemi un mese. Un mese e tornerò qui da voi, e vi assicuro che sarà l’inizio di una grande cosa».



Angolo Autrice:
scusate il tremendo ritardo ;__________; sono pessima e lo so! Volevo aggiornare giovedì, ma sono stata iper impegnata; ieri sono uscita e oggi sto aggiornando velocemente!
Ho trovato un po' di difficoltà nel scrivere questa parte e sono sicura che ne troverò altrettante nel prossimo capitolo e, più in generale, nei prossimi. Man mano che le cose si fanno più "politicizzate" mi rendo conto che è veramente molto difficile descrivere i pensieri e le azioni di essere molto più intelligenti e astuti D:
Comunque, spero vi sia piaciuto ♥
   
 
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