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Autore: Blityri    18/02/2012    12 recensioni
Harry Potter è morto. Hermione ha visto il suo corpo tra le braccia di Hagrid. Non ci sono più speranze. Eccetto una : tornare indietro dove tutto è cominciato per fermare Lord Voldemort.
Ma come ha detto Silente, non tutte le guerre si vincono combattendo.
Dall' ottavo capitolo :
“Ho imparato.”
“Da solo?”
“Da solo.”
“Come mai?”
“A volte sei fastidiosa Evans, lo sai?”
“Tu sempre Riddle.” Ribatté lei mentre un’ombra di sorriso illuminava il volto del ragazzo.
Hermione si ritrovò a pensare che preferiva quando lui si dimostrava insofferente nei suoi confronti, o quando sproloquiava sul suo futuro di gloria. In quei momenti era più facile ricordarsi che era un assassino e quanta morte ancora avrebbe causato. In altri momenti Tom Riddle le sembrava così vulnerabilmente umano.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Tom O. Riddle
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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Attenzione : essendo uno dei personaggi di questa storia gay, nel seguente capitolo saranno trattate delle tematiche omosessuali (Oddio, dite che si può dire?), spero che questo non fermi nessuno di voi ma nel caso Don’t like, don’t read!

“La realtà dell’altro non è in ciò che ti rivela,
ma in quel che non può rivelarti.”1


31 Ottobre 1944. Hogwarts

Un urlo lacerò la calda coperta di sogni in cui Hermione si stava ancora cullando in quella fredda mattina di vacanza e i suoi riflessi la costrinsero a balzare sul letto, in un equilibrio alquanto precario. Fece così appena in tempo a vedere il cuscino di Dorea che si dirigeva a tutta velocità verso di lei, un istante dopo era riversa sul pavimento.
“Complimenti Dorea, se volevi ammazzarla ci sei riuscita!” commentò Violet infilandosi un maglione a collo alto.
“Oddio, dici che lo ho fatto male ?” rispose Dorea leggermente preoccupata dall’assenza di reazioni di Hermione.
La ragazza si alzò leggermente frastornata per la caduta e non ancora completamente sveglia.
“N-no, sto bene.” Informò le altre due, risedendosi sul letto. “Almeno credo.”
Dorea sospirò di sollievo e le si sedette di fianco mentre Violet sgusciava veloce in bagno.
Hermione si legò i capelli, terribilmente elettrici in quella mattina di ottobre, in una frettolosa coda. “Cosa ti ho fatto per meritarmi questa sveglia?”
L’amica ridacchiò. “Avresti potuto dirlo almeno a noi!”
Hermione la guardò spaesata non capendo a cosa si riferisse.
L’altra allora le tirò una gomitata, che solo per grazia divina non le frantumò le costole. “Vuoi fare la misteriosa eh? E’ ovvio no? Di te e Riddle!”
La paura che qualcosa di quello che si erano detti nelle loro varie conversazioni potesse in qualche modo essere trapelato la pietrificò all’istante, obbligandola a balbettare. “S-scusa?”
Dorea sbuffò spazientita. “E’ in utile che fai la finta tonta, Charlus l’ha detto praticamente a tutto il castello.”
Charlus? Hermione sospirò sollevata, il Grifondoro non poteva aver sentito niente dei loro piani, quindi la cosa doveva riguardare un’altra questione.
“Hermione sei sicura di essere sveglia? Sto parlando del tuo appuntamento con Riddle!”
Da quando lei aveva un appuntamento con Riddle?
“Io non ho un app… Oh.” Improvvisamente si rese conto a cosa poteva riferirsi. “Non è un appuntamento, era solo un…un…”
“Un cosa?”
“Non parlava sul serio.” Concluse veloce.
“Charlus dice il contrario.”
Lei si alzò spazientita. “Non ho un appuntamento con Riddle.” Lui l’aveva detto solo per salvarla da quella situazione imbarazzante con Charlus, niente di più. Non ne avevano neanche riparlato e la sola idea di poter interessare al giovane Voldemort le pareva inconcepibile.
Dorea incrociò le braccia offesa per il suo tono acido.
“Dai Dorea, non sfinirla.” Cercò di rabbonirla Violet, poi si rivolse ad Hermione. “Comunque nel caso non ci sarebbe niente di male, fisicamente non è proprio il mio tipo, ma non si può dire che sia brutto.”
“Oh no,” si intromise Dorea, a cui era già sparita l’arrabbiatura. “se ti piacciono belli e tenebrosi è perfetto!”
“Ok, ok fermatevi tutte e due!” le bloccò ridendo lei. “Non c’è niente tra me è Riddle e non ho un appuntamento con lui, sul serio.”
Dorea la guardò scettica mentre si legava al collo la sciarpa verde-argento ma Violet le sorrise.
“Nel caso ce lo diresti vero?”
“Violet, ti assicuro che non si presenterà mai il problema!” rispose esausta.
“Si ma nel caso caso?”
Hermione alzò gli occhi al cielo. “Ve lo direi. Contenta?”
L’amica le lanciò la sua sciarpa. “Contenta.”
Con Dorea parlava a raffica della futura partita di Quidditch contro Corvonero raggiunsero la Sala Grande dove si stavano radunando tutti gli studenti in procinto di recarsi a Hogsmeade  e un eccitato brusio regnava nel salone.
Vàli arrivò velocemente verso di loro. “Pronte per l’ora d’aria donzelle?”
Hermione colse al volo l’occasione. “No, in realtà io resto qui.”
Tre paia di occhi la fissarono allibiti.
“Come resti qui?”
“Mi sono fatta un programma per lo studio, non posso sgarrare.” Poi vedendo lo sguardo interrogativo che continuavano a rivolgerle gli altri aggiunse. “Verrò la prossima volta, promesso.”
Le sue motivazioni in realtà erano ben diverse. Per prima cosa non aveva ancora finito di controllare tutti i libri in cui Riddle avrebbe potuto trovare qualcosa sugli Horcrucx e in secondo luogo non voleva tornare ad Hogsmeade. Non senza Harry e Ron.
A Hogwarts era in qualche modo riuscita ad addomesticare i ricordi e ormai riusciva a camminare per i corridoi senza rivedere i fantasmi del suo passato ma sentiva di non essere ancora abbastanza forte per affrontare quelli che la aspettavano, ne era certa, fuori dalle mura del castello. E poi c’era un’altra cosa.
Si era accorta che i volti, le voci, i dettagli di tutti quelli che aveva lasciato indietro stavano iniziando a scomparire, mischiandosi e confondendosi con il suo nuovo presente, come colori sulla tavolozza di un pittore. Il presente stava andando a sostituire lentamente il passato, tanto che ogni volta che qualcuno dei suoi nuovi amici accennava ai momenti precedenti al suo arrivo ad Hogwarts lei si chiudeva a riccio, terrorizzata che i suoi ricordi potessero sfuggirle come sabbia tra le dita, che trasformare il ricordo in parole in qualche modo equivalesse a distruggerlo e a perderlo per sempre.
C’erano addirittura alcuni istanti, solo secondi niente di più, in cui si dimenticava di essere Hermione Granger ed era all’improvviso Hermione Evans, istanti in cui rischiava di perdersi nel fitto intrico di bugie e segreti che si era costruita intorno.
Semplicemente non poteva andare ad Hogsmeade perché non poteva permettere che quel luogo diventasse altro da quello che aveva lasciato quando era partita.
Vàli le mise una mano sulla fronte. “Sicura che Tom non ti abbia attaccato il suo disprezzo per Hogsmeade?” le chiese divertito.
“Fa così solo perché lui non c’è mai potuto andare.” Commentò Violet, e Hermione per la prima volta notò nel suo tono una punta di acidità.
“Hogsmeade. Luogo buono solo per gozzovigliare e pomiciare.” Disse Dorea in una perfetta imitazione del giovane Voldemort. “Buono solo per le piccole menti come noi.” Aggiunse, sistemandosi la capiente borsa sulla spalla.
“No davvero, la prossima volta ci sarò.” Sorrise cercando di sembrare convincente.
“Vuoi che ti portiamo qualcosa?” chiese Dorea, mentre la fiumana di ragazzi si avviava verso l’ingresso principale.
Hermione ci pensò su un istante. “ Magari qualche Piuma di Mielandia, se ne trovate.”
La ragazza la guardò per un attimo stupita, poi annuì. “Ricevuto.”
Vàli le prese entrambe per un braccio e le trascinò. “Ci vediamo dopo Mione, divertiti con i tuoi libri!” le gridò, facendosi largo tra la folla.
Non appena la Sala Grande si fu svuotata Hermione tirò un sospiro di sollievo e fece per avviarsi verso le scalinate, pregustandosi un’intera giornata di tranquillità e solitudine.
“Evans.”
La voce di Riddle rimbombò contro le pareti di dura pietra e la bloccò sul primo scalino.
Hermione si girò lentamente e, visto gli ultimi sviluppi del loro rapporto, decise per quella volta di essere cordiale. “Hey Riddle. Neanche tu vai ad Hogsmeade.”
“Acuta deduzione.”le rispose l’altro, che evidentemente non aveva fatto il suo stesso ragionamento.
La raggiunse a passo veloce e le si piazzò davanti. “Dove stai andando?” le chiese con un tono che a Hermione ricordò quello degli interrogatori di quei polizieschi che adorava suo padre.
“Biblioteca.”
“Mi sembrava avessimo un appuntamento.”
Hermione dovette frenare l’istinto di guardarsi intorno alla ricerca di una telecamera. Perché quello doveva essere uno scherzo, o lei doveva aver capito male. Tom Riddle non poteva aver pronunciato la parola appuntamento.
“Noi?”
Il ragazzo alzò un sopracciglio, quasi stupito della domanda. “Hai qualche problema di memoria di cui dovrei essere a conoscenza Evans?”
Lei capì che stava facendo sul serio e non poté fare altro che arrossire. “N-no…I-o…”
Il ragazzo alzò anche l’altro sopracciglio. “Tutto bene Evans?”
Lei cercò di pensare razionalmente. “Riddle, davvero la cosa mi lusinga ma io non credo di poter ricamb…”
Il ragazzo sgranò gli occhi incredulo e lei notò con stupore che sulle guance era comparso dell’inaspettato rossore. Possibile che Tom Riddle sapesse arrossire?
 “Non ti stavo invitando ad un appuntamento galante Evans.”disse in fretta facendo sospirare di sollievo Hermione, che si diede mentalmente dell’idiota per l’incomprensione. “E’ più una cosa di lavoro, diciamo.”
“Di cosa si tratta?”
Le labbra di lui si stirarono nel classico sorriso misterioso che lei stava iniziando a non sopportare più. “Abbi pazienza.”
“Perché devi essere sempre così misterioso Riddle.” Gli chiese spazientita.
Lui le si avvicinò e si chinò impercettibilmente.
“Il mistero rende tutto più divertente, non credi?” le sussurrò con un aria quasi diabolica e il suo respiro caldo le fece venire i brividi.
Senza aspettare una sua risposta il giovane Voldemort si girò e si avviò verso l’ingresso della scuola.

Dorea tirò un forte calcio alla pietra che si era inavvertitamente trovata sul suo cammino e si mise con una mano a giocherellare con le frange della sua sciarpa.
“Che ti aveva fatto quel povero sasso Didi?” le chiese Vàli, dandole una leggera spinta.
Lei alzò le spalle mentre il suo sguardo si posava qualche metro più avanti dove Violet stava attendendo il momento propizio per sferrare un nuovo attacco a Potter.
“Uno zellino per i tuoi pensieri.”
“Ti ci vorrebbe molto più di un misero zellino per avere l’onore di conoscere i miei pensieri Capitano.”
“Avida.” Sorrise lui.
“Come sempre.”
Dorea affondò ancora di più il mento nella lana della sciarpa e così a Nott le sue parole arrivarono pressoché in un timido sussurro.
“Secondo te sono carina?”
Lui ebbe per un istante l’istinto di fermarsi e di guardarla con la bocca spalancata ma sapeva che una reazione del genere avrebbe finito per far chiudere ancora di più Dorea in se stessa. La conosceva praticamente da sempre e sapeva che nonostante passasse il suo tempo a tirare bolidi e battute addosso alla gente aveva un lato tremendamente fragile, che emergeva in delicati sprazzi quando meno ce lo si aspettava. Questa era una cosa che aveva sempre amato dell’amica,  era una di quelle rare persone che riuscivano sempre a sorprenderti.
“Cero che lo sei perché?”
Dorea si mordicchiò il labbro inferiore tentando di trovare le parole giuste per tradurre le sensazioni che vorticavano circensemente dentro di lei.
“Hai presente la sera prima di una partita? Quell’ansia che ti prende lo stomaco e non ti fa mangiare, quella cosa che è un misto di aspettative e paure?”
Lui annuì piano, cercando nella tasca del mantello l’ultima sigaretta della sua scorta.
“Mi sento come se stessi aspettando qualcosa, senza sapere cosa però.” Concluse spostandosi velocemente i capelli che le erano ricaduti sugli occhi.
Vàli continuò a rimanere in silenzio sperando che lei chiarisse in qualche modo le sue parole.
“Tu ti sei mai innamorato Vàli? Dico seriamente.” Gli chiese improvvisamente alzando il suo sguardo verde su di lui.
Lui distolse gli occhi colpevole, temendo di lasciarsi scappare con una sola occhiata il suo prezioso segreto. Ma Dorea, ripiegata su se stessa, non stava cercando di svelare misteri quel giorno e si accontentò di un cenno d’assenso.
“Io no.”commentò con una smorfia. “Mi sembra di essere sempre un passo indietro,” lanciò un’occhiata divertita a Violet. “persino una cotta infantile come quella di Vi mi andrebbe bene.”
“Lo vedo come mi guardano i ragazzi,” continuò infilandosi le mani in tasca. “mi trattano come fossi una di loro. Fino a poco tempo fa mi andava benissimo così… ma ora, non lo so, mi sembra come di essere fatta sbagliata…” Lo guardò di nuovo, le labbra stirate in un debole sorriso. “Scusa, non so cosa  mi è preso non…”
Vàli non le lasciò neanche finire la frase e la stritolò in un possente e goffo abbraccio.
“L’amore non va a comando. È un po’…un po’ come la cacca.” Disse, facendole sgranare gli occhi. “Si, è inutile andare in bagno se non  è il momento giusto.”
L’amica lo guardò stranita. Sono un genio incompreso, sospirò tra sé e sé.
“Sono pronto a scommettere che fra poco incontrerai un ragazzo fantastico di cui innamorerai follemente Didi.” Le sussurrò per chiarire il concetto. “E scommetto che sarà anche bravo a Quidditch.”
“Mai bravo quanto me Capitano.”
Ridendo la lasciò andare.
 “Questo è poco ma sicuro signorina Black!”commentò strappandole finalmente un vero sorriso.
Arrivati all’ingresso di Hogsmeade Dorea si bloccò di colpo, battendosi platealmente una mano sulla fronte.
“Avevo promesso a Will di accompagnarlo a vedere i nuovi articoli per il Quidditch, ha bisogno di un consiglio per la sua nuova scopa!” Lo informò prima di sgranare gli occhi all’inverosimile, in modo da far assumere al suo viso un’incredibile somiglianza con quello di un cucciolo di unicorno.
“Di cosa hai bisogno sta volta?”le chiese lui distratto, mentre cercava invano di raddrizzare la sigaretta sopravvissuta che era riuscito a recuperare.
“Non è che puoi andare tu a prendermi i dolci da Mielandia?”
Lui alzò veloce gli occhi. “Scordatelo.”
“Eddai Vàli, in fondo cosa ti costa?”
“Tutto quell’odore zuccheroso di dolci mi dà la nausea.”
La ragazza mise su il suo broncio migliore, poi un’improvvisa e pericolosa scintilla le animò lo sguardo.
“Si dà il caso che ho un pacchetto di sigarette nuovo di zecca nella borsa, sai com’è…”
“Tu non fumi, Didi. Non tentare di fregarmi.”
“Ma tu si.” Gli sorrise diabolicamente lei, prima di estrarlo dalla sacca.” Me lo porto sempre dietro, per evenienza.”
Vàli storse la bocca indeciso. “Ti odio.”
La ragazza ridacchio leggermente, porgendoglielo. “Lo so, neanche tu puoi fare a meno di me.”
Lui lo afferrò e veloce se lo mise in tasca, mentre con una mano prendeva rassegnato la borsa che gli sembrava occhieggiasse sadicamente nella sua direzione.
“Direi il solito,” lo istruì Dorea “ e ricordati le Piume per Hermione!” aggiunse prima di volatilizzarsi.
Vàli si infilo la cinghia a tracolla e si avviò controvoglia verso Mielandia, mentre sentiva già il suo povero stomaco rivoltarsi al pensiero di dover entrare in quel posto caramelloso.
I suoi timori non si dimostrarono infondati e, non appena varcò la soglia del negozio, mise in pratica un’acuta tecnica più volte sperimentata. Con veloci falcate si avvicinò al bancone badando di respirare solo con la bocca. Probabilmente sembra un pazzo in preda ad un attacco di panico, ma almeno così la puzza era gestibile.
Il grasso e stempiato proprietario del negozio si protese oscillante verso di lui.
“Come posso aiutarti caro?”
“Vorreiduesacchettidiapifrizzoleunodibollebollenticinquetorroniallaponeeunsacchettodipiperillenere.” Disse tutto d’un fiato sperando di essere compreso al primo colpo.
L’uomo, che aveva evidentemente la velocità mentale pari a quella di uno Schiopodo, sbattè le palpebre. “Non è che potresti ripeterlo? Magari questa volta respirando.”
Vàli deglutì. “Due sacchetti di api frizzole, uno di bolle bollenti, cinque torroni al lampone e un sacchetto di piperille nere.” Ripetè con più calma.
“E delle Piume.” Aggiunse mentre l’altro ravanava nei suoi cassetti alla ricerca della mercanzia.
L’uomo con inaspettata e fulminea velocità si voltò di nuovo verso di lui e lo afferrò per il bavero della camicia, iniziando a scuoterlo con inattesa solerzia.
“Come hai detto ragazzo?”gli sibilò, badando di non farsi sentire da tutti gli altri ragazzi che fissavano la scena allibiti.
“D-due s-sacch…” balbettò lui.
“No,”ringhiò l’altro.”dopo.”
Vàli sgranò gli occhi stupito, sperando che il suo odio per quel negozio non gli avesse fatto dire nulla di inappropriato. “D-delle Piume?!”
Il negoziante serrò la presa sul suo bistrattato colletto. “Chi ti ha mandato a spiarci ragazzo? Sono stati quelli della Dolci Danzanti, non è vero?” sussurrò minaccioso.
“I-io non credo di capire signore…” tentò Vàli, mentre sentiva le narici riempirsi di quel nauseane e appiccicoso odore.
“Le Piume, per la barba di Merlino!”abbaiò quello sull’orlo dell’isteria. “Non le abbiamo ancora fatte entrare in commercio, come fai a conoscerle, eh?!”
Vàli ne aveva abbastanza e con mano ferma si liberò dalla presa dell’uomo. “Non erano per me, io detesto qualsiasi tipo di caramella che la vostra mente contorta possa concepire. Ora se non le dispiace,” sputò con aria sprezzante, afferrando la borsa che aveva appoggiato sul bancone.” Me ne vado. E le assicuro che non mi rivedrà più in questo squallido posto, signore.” Commentò offeso, lanciandosi verso l’uscita tra i mormorii di sorpresa generale.
Arrivato fuori ispirò a pieni polmoni l’aria fresca e si andò a sedere sulla panchina più vicina per schiarirsi le idee.
Si era appena acceso l’agognata sigaretta quando una voce, con un tono terribilmente simile a quello di sua madre, lo colpì alle spalle.
“Dovresti decisamente smetterla di fumare.”
Lui non si voltò neppure ma, quasi con palese provocazione, espirò una grande boccata di fumo argenteo.
“Non vedo come la cosa ti possa riguardare Minnie. I polmoni sono i miei.”
La ragazza aggirò la panchina e, lanciato uno sguardo intorno a loro, gli si sedette di fianco. “Forse. Ma poi quando mi baci hai un alito che fa veramente schifo.”ribattè pungente.
Lui sbuffo, evitando accuratamente di risponderle.
“Che è successo da Mielandia?” gli chiese con voce decisamente più dolce, accortasi del suo malumore.
“Ah. Mi hai visto?”
“Ti ha visto metà della scuola, Vàli.”
“È colpa di quella specie di foca con il parrucchino, credeva che volessi rubargli un nuovo tipo di caramella a quanto pare.”
“E tu come facevi a conoscerlo?”
“Era per Hermione.”
“Probabilmente in Francia è già uscito allora.” Concluse lei con semplicità.
Lui giocherellò pensoso con il mozzicone di sigaretta prima di spegnerla. “Probabilmente.” Commentò senza vero interesse.
Minerva gli lanciò un’occhiata di traverso, preoccupata dalla sua strana espressione.
“Tutto bene Vàli?” gli chiese delicatamente, appoggiandogli una mano sulla spalla.
Quando lui gliela prese ed iniziò a giocherellarci, si rilassò sollevata.
“Tutto bene.” Rispose baciandole il palmo della mano.
Gli occhi felinamente verdi della ragazza sorrisero. “E se ti dicessi che i miei ti vogliono conoscere e che ti devi ritenere ufficialmente invitato a cena da me per la Vigilia di Natale cosa mi risponderesti?”
Lui alzò il viso, illuminato dal sorriso che l’aveva fatta innamorare. “Ti direi che non vedo l’ora.” Rispose avvicinandosi per baciarla, questa volta sulla bocca.

L’erba morta si piegava sonoramente sotto il peso dei loro passi e per tutto il muto tragitto Hermione si maledisse per essersi fatta di nuovo trascinare via da Riddle, senza nemmeno una spiegazione decente che giustificasse la sua fretta.
Si stava decisamente rammollendo.
Si bloccò quindi all’improvviso decisa a non muovere più neanche un passo prima di aver ricevuto almeno una parvenza di informazione.
Quando si accorse di non essere più seguito il ragazzo si voltò a guardarla, ma nessuna espressione di sorpresa sfiorò il suo volto.
Quello scambio di sguardi sarebbe andato avanti fino a sera se Hermione non si fosse ben presto stufata, e se non avesse avuto così freddo a stare immobile.
“Io non mi muovo.” Lo informò, incrociando le braccia per sottolineare la sua affermazione.
“Questo l’avevo notato Evans.”ribattè l’altro inscalfibile.
Lei sbuffò. “Non sono una delle tue marionette, quindi esigo sapere dove stiamo andando.”
Gli occhi grigi di Tom si assottigliarono e a Hermione sembrò che il suo sguardo la passasse ai raggi x.
“Io non..” iniziò il ragazzo.
“Oh, non mi venire a dire che non li usi come fossero dei burattini.” Lo interruppe lei, impietosa.
Le labbra di Tom si stirarono in uno strano sorriso.
“Potresti evitare di interrompermi sempre Evans, mi infastidisce.” La gelò, serrando la mascella. “In realtà stavo dicendo che non ti considero una delle mie marionette.”
“Bene. Perché non lo sono.”
Tom le si avvicinò. “Questo l’avevo capito da un pezzo.” Commentò, prendendola per un gomito.
Quando lei fece resistenza addolcì un po’ la presa. “Ti spiego mentre camminiamo. Fa freddo a stare fermi, non credi?”
Lei evitò di rispondergli ma riprese a camminare.
“Abbiamo bisogno di alleati per il nostro piano Evans,” le comunicò senza guardarla, dopo qualche istante di silenzio “di tutti gli alleati possibili.”
Hermione rabbrividì disgustata nel sentire il giovane Voldemort usare il pronome al plurale, ma cercò di non dare a vedere il suo fastidio. Si era ormai  rassegnata al fatto che ogni sua conversazione con Riddle non fosse nient’altro di più che una partita a scacchi. Ora toccava a lei la prossima mossa.
“Quindi?”
Il ragazzo dischiuse le labbra in un sinistro sorriso e con un cenno del capo le indicò una  casupola che sorgeva al limitare della Foresta Proibita.
“H-Hagrid?” domandò lei corrucciata, mentre l’altro affrettava il passo.
“Rubeus Hagrid è un mezzo gigante nel caso non lo avessi ancora notato.” La liquidò con freddezza. “Il che vuol dire che ha il modo per arrivare ai giganti. Questa non è una cosa da sottovalutare.”
“Io a cosa ti servo?” indagò Hermione, improvvisamente a disagio al pensiero di incontrare il vecchio amico.
Tom Riddle si fermò sulla soglia della capanna di Hagrid e si voltò leggermente a guardarla.
“Io e lui non siamo in buoni rapporti.” Le disse mentre i suoi occhi indagatori la squadravano con circospezione. “ E tu sei brava con le persone.”
Lei non fece in tempo a ribattere che il giovane Voldemort aveva già bussato alla pesante porta di quercia.
“Fammi vedere di cosa sei capace, Evans.” Le sussurrò tagliente mentre il rumore di possenti passi si avvicinava loro.
La porta si aprì quel tanto che bastava per permettere ad Hermione di vedere la faccia famigliare del Guardiacaccia, che non appena vide Riddle si irrigidì tutto.
Fece per chiudere ma Tom non glielo permise e previdente sgusciò nello spiraglio, obbligando Hagrid a farli entrare.
“Cosa vuoi Riddle?” chiese la voce profonda di Hagrid.
Il ragazzo non rispose subito ma con infinita calma si sedette sullo sgangherato divano che occupava buona parte della stanza, tirando Hermione vicino a sé.
“Suvvia Hagrid, rilassati. Sono qui in veste non ufficiale.” Disse sorridendogli.
Hermione notò che la sua voce si era trasformata ulteriormente, era vellutatamente calma e suadente come non l’aveva mai udita, ma nonostante la sua apparente tranquillità gli occhi del giovane Voldemort erano attenti ad ogni reazione dell’altro. Tom Riddle era come un serpente pronto ad attaccare la sua preda.
“Mi sono reso conto di non averti ancora presentato le mie scuse.” Iniziò candidamente Tom.
Hagrid per un attimo rimase sorpreso ma subito incrociò le braccia sulla difensiva.
L’altro non si fece scoraggiare per così poco. “Devi credermi, non era mia intenzione farti espellere, ma solo fermare quel mostro.”
“Aragog non ha mai fatto male a nessuno.” Quasi ruggì l’altro, mentre i suoi occhi si assottigliavano per la rabbia.
Hermione sentì il corpo del giovane Voldemort irrigidirsi di fianco a lei e per un attimo temette per il suo amico.
“I ragni giganti non sono animali da compagni Hagrid.” Rispose lapidario Riddle.”Comunque non sono venuto qui per questo, devo chiedert…”
Fremendo di indignazione Hagrid si alzò dalla sedia e si avvicinò al giovane Voldemort, puntandogli il suo grosso indice contro il viso. “Tu mi hai fatto espellere.” Iniziò con voce tremante.” Ora, esci immediatamente da casa mia.”
Tom Riddle non solo non accennò ad alzarsi, ma si sistemò il più comodamente possibile sul divano.
“Forse per causa mia sei stato espulso,” concesse il ragazzo “ma è grazie a me che sei ancora ad Hogwarts come Guardiacaccia, te lo sei dimenticato?”
Hagrid alle velenose parole dell’erede di Serpeverde impallidì vistosamente e ritirò la mano.
L’altro continuò impietoso, scoprendo quella che doveva essere la sua carta vincente. “Sono stato io a consigliare a Silente di assegnarti questa carica, io ho convinto il preside Dippet.”
Il Guardiacaccia si risedette pesantemente.
Tom si voltò compiaciuto verso di lei e con uno sguardo le fece capire che era arrivato il suo momento.
Hermione sollevò vergognosamente gli occhi per poi fissarli sul fuoco che scoppiettava indifferente dietro ad Hagrid, il senso di colpa per quello che stava per fare non le permetteva di parlare guardando in faccia l’amico.
Per un attimo, come molte volte fino ad allora, pensò che forse la soluzione più semplice sarebbe stata quella di estrarre la bacchetta ed uccidere Riddle.
Davanti a lei si dipinse la scena: il corpo del ragazzo riverso sul tappeto logoro e scolorito, gli occhi grigi muti e spalancati, lo stupore di Hagrid. Silente l’avrebbe nascosta finche il Giratempo non fosse ripartito, lo sapeva.
Ma c’era qualcosa in lei che la frenava, qualcosa che era talmente radicato nel suo modo di essere che le impediva di compiere quel gesto.
Forse se di fianco a lei ci fosse stato Lord Voldemort sarebbe riuscita a farlo, ma seduto sul divano c’era Tom Riddle, che aspettava.
“Noi …” incominciò con una voce che le sembrò infelicemente stridula. “Noi stiamo pensando di fondare un gruppo all’interno della scuola, un gruppo contro la segregazione dei giganti.” Concluse tutto d’un fiato, con il viso rosso per la menzogna.
Sentì distintamente uno sbuffo divertito provenire da Riddle, ma Hermione continuò a tenere lo sguardo fisso sulle fiamme che danzavano nel caminetto.
“Per la loro reintegrazione nella società.” Aggiunse per ribadire il concetto. “E vorremmo sapere se p-potresti metterci in contatto con alcuni di loro.” Concluse, mentre sentiva un conato di vomito risalirle la gola.
“E’ un tema che ci sta molto a cuore.” Si inserì il giovane Voldemort.
Cuore? Hermione si stupì che lui conoscesse addirittura la parola.
“I-io…” balbetto Hagrid preso alla sprovvista. “Io non saprei, si, potrei pensarci. Ma cosa vorreste fare di preciso?”
Riddle ripreso in mano la situazione. “Raccogliere testimonianze per lo più.” Disse convincente.
Hagrid, sotto lo sguardo terrorizzato di Hermione, sembrò pensarci un po’ su, ma il suo sospetto non era del tutto sparito.
Compreso che non avrebbe ottenuto molto di più in quella visita, Tom si alzò riassettandosi i pantaloni e rivolgendo un cenno del capo ad Hermione.
“Prenditi tutto il tempo che ti serve Hagrid, ripasseremo noi.” Disse il ragazzo, con un tono troppo minaccioso perché la frase venisse intesa come una semplice formula di circostanza.
Il Guardiacaccia senza proferire una sola parola li scortò alla porta e in un attimo si ritrovarono di nuovo alla mercé del gelido vento autunnale.
Hermione camminò lentamente per quella che a lei sembrò un’eternità, profondamente nauseata dalla sua azione. Cercò di mettere a fuoco i suoi ricordi di Storia della Magia ma la sua memoria si rifiutava di funzionare a dovere.
Voldemort sarebbe riuscito ad allearsi effettivamente con i giganti?
Un’ipotesi le attraversò la mente, lucida e letale quanto un fulmine. Si sarebbe messo in contatto con loro grazie a lei?
Le infinite e ingarbugliate possibilità future si mischiarono con quello che era stato il suo passato, lasciandola boccheggiante in uno stato di confusa disperazione.
A parole poteva anche dire di non essere il burattino di Tom Riddle, ma era quello che era appena diventata.
“Guanti.”
Il ragazzo la guardò interrogativo.
“Ho dimenticato i guanti da Hagrid.” Ripetè.
Prima che lui potesse dire qualcosa Hermione si era già girata e avviata di corsa verso il punto da cui erano appena venuti.

La strada che portava fuori da Hogsemeade si estendeva stranamente deserta davanti ad Orion che la percorreva con il mantello aperto, indifferente del freddo quasi invernale che regnava.
Nell’inatteso silenzio che si era creato, le foglie autunnali scricchiolavano allegramente sotto i suoi passi veloci e gli giungevano lontani e soffocati i chiacchiericci degli studenti rintanati nei pub.
Superata una fila di alberi al limitare del villaggio Orion sorrise alla vista della casa della anziana signora Hudson che svettava su una collinetta davanti a lui.
Il marito della signora, ormai defunto da tempo,che aveva costruito personalmente quella villa, doveva avere un concetto personale ed estremamente relativo di architettura: l’alto edificio era infatti pericolosamente inclinato sul lato destro e, quasi a compensare questa sua tendenza, dalla parte opposta spuntava quella che sembrava essere dall’esterno l’allargamento di una stanza.
Comignoli di ogni forma ed altezza decoravano il tetto indifferenti ad ogni principio di equilibrio e ordine.
Il sorriso del ragazzo si allargò ancora di più quando arrivò davanti alla porta rossa, che si aprì dolcemente. Entrato nel buffo edificio venne investito dai caldi colori delle pareti e dal profumo di biscotti presumibilmente appena cotti.
Non appena si tolse il cappotto un aereoplanino di carta si schiantò con uno sbuffo contro la sua fronte e iniziò a picchiettarla finché Orion non lo prese in mano e lo aprì divertito.
Sulla carta lilla svettava la tondeggiante e morbida calligrafia della signora Hudson: Sono ai Tre Manici di Scopa e tornerò sta sera. Ci sono dei biscotti nel forno. Baci belli.
Grato per le materne attenzioni della signora Hudson, Orion si recò velocemente in cucina e in un attimo riempì un piatto di porcellana  di biscotti bollenti e profumati. Con l’acquolina in bocca salì le scale, inclinate quanto tutto il resto della casa, che portavano all’ultimo piano e con stupore si accorse che il cuore aveva preso a battergli più velocemente. Scosse la testa senza speranze, si stava trasformando in una ragazzina ormai.
Con l’aiuto del piede sinistro aprì la porta ed entrò nella stanza che ormai da qualche tempo gli era diventata così famigliare.
La luce, che entrava dall’ampia vetrata, rendeva ancora più luminosa la camera le cui pareti erano state dipinte di giallo. A ridosso di una di queste stava un imponente letto a baldacchino i cui colori chiari andavano a contrastare con il pianoforte a coda, nero come la pece, che riposava tranquillo nell’angolo opposto.
Orion ispirò l’odore di pulito della stanza che si mischiava a quello del fuoco del camino e a quello di…
All’improvviso sentì una morsa gentile stringerlo da dietro e lui per poco non lasciò cadere a terra il piatto di biscotti.
“Hanno un buon profumo.” Gli sussurrò all’orecchio una voce famigliare. “Quasi meglio del tuo.”
Orion, imponendo al suo cuore di smettere di martellargli nel petto così forsennatamente, si voltò. “Stai dicendo che profumo come un biscotto al cioccolato, Oliver?”
Il ragazzo biondo strofinò il proprio naso contro il suo. “È per questo che ho detto quasi.”
Lui non poté fare a meno di sorridere come un ebete, era incredibile l’effetto che Oliver aveva su di lui. Fin dalla prima volta che l’aveva visto si era sentito liquefarsi in un istante e da allora le cose non erano molto cambiate. Perfino in quell’ esatto momento Orion poteva avvertire con precisione qualcosa nel suo petto iniziare a sciogliersi.
“Vuoi?” gli offrì uno dei biscotti, in un vano tentativo di darsi un contegno.
“Mi sei mancato.” Disse l’altro in tutta risposta, ignorando la sua gentile offerta.
Anche a lui era mancato, in ogni singolo dannatissimo istante in cui non aveva potuto vederlo o parlarci.
I momenti peggiori erano sempre quelli durante le lezioni che avevano in comune: le aspettava con la stessa maniacale trepidazione con cui i bambini attendono la mattina di Natale per aprire i pacchi sotto l’albero, l’unica differenza era che lui il suo regalo non poteva aprirlo, al massimo gli era consentito ammirarlo da lontano.
 La sua settimana ruotava intorno a quelle misere ore che trascorreva a guardarlo con la coda dell’occhio, a contare ogni suo respiro, mentre le crudeli lancette sembravano fare a gara ogni volta per girare più velocemente.
Poi, in un soffio, erano passate e tutto il gioco ricominciava da capo.
Avevano provato all’inizio a stare insieme fingendosi solo amici, ma non aveva funzionato. Troppe parole non dette, troppi gesti trattenuti e sguardi nascosti.
Era meglio così: essere se stessi in pochi momenti rubati e poi fingere per il resto del tempo. In fondo, come Orion continuava a ripetersi nei momenti di sconforto, il gioco valeva la candela perché nelle ore passate con Oliver gli sembrava di comprendere finalmente appieno il significato di felicità.
Oliver prese un biscotto e iniziò a mordicchiarlo. “A cosa pensi?”
“A te.” Rispose Orion, subito pentendosi della sua sdolcinata risposta.
L’altro lo guardò serio, sedendosi sul bordo del letto. “Sai, mi piacerebbe andarci con te al ballo.”
Lui, con un sorriso triste, gli si sedette affianco, dopo aver abbandonato i biscotti sul tavolino di legno.
Gli passò un braccio intorno alla vita e si strinse contro di lui. “Anche a me, ma è troppo pericoloso. Credo che papà mi ucciderebbe senza pensarci su due volte. È stato già abbastanza difficile convincerlo a farmi tornare a Hogwarts quest’anno.”
Oliver affondò il viso nei suoi capelli e Orion, senza bisogno di vederlo, seppe che stava fremendo di rabbia.
“E poi lo sai anche tu che quello che è successo a Toby Finch due anni fa non è stato un incidente.”
L’ex capitano di Quidditch di Corvonero era stato sbalzato giù dalla sua scopa quando si trovava a centinaia di metri di altezza ed era successo a causa dei suoi gusti sessuali più che per mera competitività, lo sapevano tutti. Il ragazzo era stato a tanto così dalla morte e Orion non ci teneva a seguire le sue orme.
“Non è per quello.” Gli rispose l’altro, sciogliendosi dal suo abbraccio e stendendosi sul letto con gli occhi chiusi. “È per il dopo.
Lui capì subito a cosa si riferiva. Dopo. Orion aveva un matrimonio combinato che impendeva sopra la sua testa come una ghigliottina pronta a scattare e il boia erano i suoi stessi genitori. Quando sua sorella aveva urlato, puntato i piedi, minacciato il suicidio e fatto scappare i futuri suoceri, lui non aveva più potuto sottrarsi.
“Perché lo fai?”
Orion aveva perso il conto di tutte le volte che Oliver gli aveva fatto questa domanda, prima arrabbiato, poi deluso infine implorante. La sua risposta non era mai cambiata. “Devo. Anche tu lo faresti se fossi nella mia situazione.”
La situazione più precisamente era rappresentata dal devastante stato economico dei suoi genitori. La famiglia della sua futura sposa era ricca e li avrebbe salvati dal lastrico. Per quanto a tratti li odiasse con tutto se stesso, non sopportava l’idea di loro obbligati a chiedere l’elemosina a Notturn Alley.
“E poi in fondo non cambia molto, no? Se non lei alla fine sarebbe un’altra che non potrò mai amare.” Concluse lasciandosi cadere indietro.
Oliver si girò sul fianco e lo guardò, perforandolo con i suoi occhi scuri. Ora le loro fronti si toccavano. “Sposa me.”
Lui spalancò gli occhi per la sorpresa, questo non gliel’aveva mai detto. “Devo prenderla come una proposta ufficiale Oliver?” chiese sorridendo.
L’altro si avvicinò quel poco che bastava per baciarlo piano. Quando le loro labbra si separarono, finse di pensarci sopra. “Si, direi di si.” Concluse, facendogli l’occhiolino.
Per un attimo Orion si immaginò un loro improbabile futuro: insieme, magari in un bel posto sul mare, con una casa tutta per loro. Ovviamente l’avrebbe arredata lui, Oliver era assolutamente pessimo nell’abbinamento dei colori.
Ma la realtà ci mise un secondo solo per frantumare le sue fantasie e un peso gli si formò nel petto.
Oliver capì senza bisogno di parlare e gli passo una mano gentile sulla guancia.
“Ehi, non fare così. Lo so che è impossibile, però volevo chiedertelo lo stesso.”
Orion pensò che la vita era profondamente ingiusta: era riuscito a trovare la persona giusta tra tutte quelle che popolavano il mondo e ora non poteva passarci il resto della sua vita. Sentiva che c’era qualcosa di sbagliato in questo, era come gettare via un dono che qualcuno aveva voluto fargli.
Solo perché erano due ragazzi.
Aveva provato a guardare la cosa dalla prospettiva degli altri, ma davvero non aveva capito cosa ci fosse di così sbagliato, loro si amavano, non era questa la cosa importante. A tutto l’odio e la violenza di quel periodo gli sembrava che loro avessero aggiunto qualcosa di buono, e allora perché punirli?
Perché obbligarli a fare tutto di nascosto come fossero ladri? Qual’era la loro colpa, il loro crimine?
Orion ci ripensò, le persone erano ingiuste.
Non la signora Hudson però. Lei li aveva scoperti a baciarsi contro un albero l’anno precedente e si era subito offerta di ospitare i loro incontri clandestini in casa sua. Era una Maganò, sapeva cosa voleva dire sentirsi diversi ed emarginati.
Orion lo guardò, quasi implorante. “Ma continueremo a vederci, vero?”
Questa volta Oliver fece un grande sorriso che a Orion, per un attimo, sembro illuminare tutta la stanza. Poi si disse che quelli erano pensieri degni di una dodicenne alle prese con la sua prima cotta, per cui tentò di arginarli.
“Né tuo padre né quella megera della tua futura moglie riusciranno ad impedirmi di vederti, dovessi anche volare su una scopa!”
Al pensiero di Oliver su una scopa, Orion non poté fare a meno di ridere, le uniche volte che ci aveva provato era finito prima appeso al ramo di un albero e poi era riuscito a fare irruzione nell’aula di Occlumanzia passando per la finestra, fortunatamente aperta,  e provocando il caos generale. Insomma, non era proprio uno dei suoi talenti.
“Non ti facevo così coraggioso.” Lo prese in giro.
“Beh, diciamo che ho un lato Grifondoro nascosto.” Ribattè l’altro.
Orion gli passò una mano tra i capelli biondi, scompigliandoglieli tutti. “Davvero, a volte mi chiedo come abbia fatto ad innamorarmi di un Tassorosso.”
“Oh si, forse tuo padre si è arrabbiato per questo, perché sono un Tassorosso e non perché sono un ragazzo.” Propose l’altro con una punta di acidità nella voce.
Orion pensò che il modo migliore per ribattere al suo sarcasmo fosse con una cuscinata in piena faccia e così fece, dando inizio ad una vera e propria lotta.
In breve tempo i due furono sommersi da una pioggia di candide piume e, mentre Oliver iniziava a slacciargli la camicia, Orion si ritrovò a sperare che la signora Hudson non rientrasse prima del previsto.

Tre volte picchio Hermione con forza alla porta, prima che la gigantesca persona di Hagrid le apparisse davanti.
“Si?” chiese con un’espressione che era un misto di sospetto e curiosità.
“Ho dimenticato i guanti.” Ripetè lei con il fiatone per la corsa.
Non appena entrò nella stanza dovette appoggiarsi ad una sedia, decisamente non era più in forma come una volta.
Hagrid aveva già iniziato a spostare i cuscini del divano per aiutarla a cercare i suoi guanti, ma lei sapeva che non ce n’era bisogno.
Non aveva dimenticato niente.
“Non credergli.”
Il Guardiacaccia si voltò con aria confusa a guardarla.
“Non credere ad una parola di quello che ti ha detto o di quello che ti dirà.”
“Io non capisco, tu non er…” borbottò l’altro.
“Tom Riddle non ha un cuore, ti userà e basta per ottenere ciò che vuole.”
Hagrid non rispose ma sembrò aver capito almeno in parte quello che lei stava cercando di dirgli in un ultimo disperato tentativo.
“Non permettergli di entrare in contatto con i giganti.”
Il silenzio calò tra loro ed Hermione capì di aver parlato abbastanza, con un ultimo cenno del capo uscì dalla casupola alla stessa velocità con cui era entrata.
Il giovane Voldemort la stava aspettando seduto sul tronco di un triste albero abbattuto e quando la vide si alzò, spolverandosi accuratamente i pantaloni.
“Ci hai messo molto.” Asserì indagatore.
“Si erano infilati sotto il divano.” Lo liquidò lei, evitando di incrociare il suo sguardo.
Annuendo, il ragazzo riprese a camminare, immerso silenziosamente nei suoi pensieri. Hermione dopo qualche istante riuscì a rilassarsi, finalmente aveva fatto qualche passo avanti e, se Riddle non fosse riuscito a mettersi in contatto con i giganti, avrebbe potuto sentirsi soddisfatta. Certo, le restavano ancora un sacco di cose da fare, impedire all’erede di Serpeverde di lacerare la propri anima non sarebbe stato facile, ma in quell’istante le venne facile essere positiva.
“Dici che ci aiuterà?” tastò il terreno delicata.
Il ragazzo si fermò vicino alla superficie del Lago Nero ad osservare la propria immagine riflessa. Un manto nebbioso stava iniziando a dipanarsi intorno ad Hogwarts, tanto che i confini della Foresta Proibita apparivano incerti e sfuocati.
“È abbastanza idiota da farlo.” Commentò lui, chinandosi a raccogliere una lucida e tondeggiante pietra grigia.
Hermione tirò un calcio ad un mucchio di foglie secche e aspettò qualche secondo prima di rispondergli, riempirlo di insulti non le sembrava davvero il caso.
“Quindi avremo l’appoggio dei giganti. Bene.” Commentò, recitando la parte che si era scelta.
Il ragazzo spostò il peso del corpo leggermente all’indietro e con la crudele eleganza che lo contraddistingueva lanciò la pietra più lontano che poté.
Con un suono scuro il sasso infranse l’immobile superficie del lago e affondò nelle sue acque cupe.
“A quanto pare.”
“Pensavo saresti stato più contento.”
Tom Riddle si chinò per raccogliere un'altra pietra e poi si voltò verso di lei.
“Hagrid è solo una delle pedine, Evans, non canto vittoria per così poco.”
Hermione gli si avvicinò, notando che alla pallida luce autunnale il viso del ragazzo appariva ancora più emaciato e livido. Gli zigomi sporgevano in maniera quasi preoccupante e due occhiaie violacee gli incorniciavano gli occhi, probabili sintomi degli incubi di cui Nott le aveva parlato.
“Perché c’è tutto quell’astio tra te e Hagrid?”
Lui soppeso la pietra tra le mani ma aspettò a lanciarla.
“Credevo te l’avessero già detto.”
“Molto vagamente.”
Tom annuì in maniera impercettibile ma non sembrava propenso a rispondere alla sua domanda.
“Sembrava sincero.” Commentò lei. “Quando ha detto che il suo ragno non avrebbe fatto del male a nessuno, intendo.” Aggiunse, cercando di indovinare cosa passasse per la testa dell’altro.
“Dove vuoi arrivare Evans?” le chiese, guardandola con uno sguardo famelico.
“Da nessuna parte, mi stavo solo chiedendo come hai fatto ad essere così sicuro della sua colpevolezza.”
Il giovane Voldemort lasciò cadere la pietra che, rovinando a terra, provocò uno stridente frastuono. Fece un passo verso di lei, avvicinandosi pericolosamente.
“Cosa ti hanno detto?” sibilò, riducendo gli occhi a due fessure.
Lei indietreggiò.
“Cosa mi ha detto, chi?”
Lui rise, di una risata roca e agghiacciante.
“Credono che non me ne accorga,”aggiunse, mentre la mano destra incominciava a tremargli leggermente,”ma io li sento, i loro sussurri. Senza neanche degnarsi di verificare i fatti hanno puntato il dito contro di me. C’erano prove contro Hagrid eppure nessuno di loro ci ha mai creduto. ‘E’ stato Tom Riddle’.
Hermione era immobilizzata dalla ferocia del suo sguardo e, mentre il giovane Voldemort sputava veleno, non si accorse che sulla piatta superficie del lago avevano iniziato a disegnarsi cerchi concentrici e piccole onde si infrangevano contro i loro piedi.
“E-ed è vero?”
La mano del ragazzo scattò in avanti e le strinse il polso in una gelida e ferrea morsa. Hermione sobbalzò a quel contatto improvviso ma continuò a rimanere immobile, anche quando lui si avvicinò ulteriormente.
“Ha mai avuto importanza la verità, Evans?” le sussurrò e per un attimo ad Hermione sembrò di sentire nella sua voce un tono di velata accusa.
Tom stringeva sempre con più forza il suo polso, tanto che cominciava a formicolarle fastidiosamente la mano, e il suo corpo sembrava completamente proteso verso di lei. Hermione aveva perso la concezione del tempo, era minuti o solo secondi quelli che erano passati silenziosi?
“Quando ti danno il permesso di essere un mostro, alla fine finisci per diventarlo.” Disse, più a se stesso che a lei.
Il ragazzo le lasciò il polso e per un pericoloso istante sembrò perdere l’equilibrio, poi barcollando si ritrasse.
“Che differenza fa quindi?”
Hermione per un attimo credette  di aver capito male, perché sapeva che Tom Riddle era malvagio, ma quello che aveva detto rasentava la stupidità.
“Che differenza fa?” ripetè piano poi alzò improvvisamente e coraggiosamente il tono di voce. “Fa tutta la differenza del mondo! E il fatto che tu non lo capisca mi fa quasi avere pietà di te Tom Riddle.”
Il ragazzo raddrizzò le spalle evidentemente sorpreso per quelle parole ed Hermione trattenne il fiato, in attesa di una sua reazione.
Il giovane Voldemort piegò leggermente la testa su un lato e la scrutò, quasi a soppesarla. Poi un sorriso malvagio si fece strada sulle sue labbra. “Pietà?” sibilò.
Solo in quell’istante Hermione si accorse che una densa coperta di nebbia li aveva ormai quasi completamente avvolti. Si girò di scatto, Hogwarts era stata già stata fagocitata.
Un secondo dopo avvertì un improvviso movimento alle sue spalle che la obbligò a voltarsi velocemente, appena in tempo per vedere il giovane Voldemort trascinato verso il Lago Nero da un lungo viscido tentacolo.
La borsa del ragazzo giaceva abbandonata e aperta lì, dove fino ad un istante prima c’era lui, e la sua bacchetta era poco distante.
Mentre una decina di fogli, ricoperti di inchiostro nero, volteggiavano sopra la sua testa andando a posarsi su quella nera superficie, Hermione si tolse con un gesto secco le scarpe si puntò la bacchetta contro il viso. Non appena sentì l’incantesimo Testabolla fare effetto si tuffo nel gelido abbraccio del lago, lasciando che le parole di Tom Riddle venissero cancellate dall’acqua.
Nonostante le correnti fossero così torbide da impedirle una visuale precisa, Hermione continuò a nuotare con foga, cercando di non pensare al fatto che era la vita del giovane Voldemort che stava andando a salvare.
Lunghe alghe le lambivano le caviglie, ostacolandola ulteriormente, e sentiva la temperatura abbassarsi sempre di più. Doveva sbrigarsi.
All’improvviso, quasi in risposta alle sue mute preghiere, intravide con la coda dell’occhio un’enorme massa scura, aveva trovato la fantomatica Piovra Gigante. Il mostro non sembrava essersi accorto della sua presenza e continuò indifferente la sue lenta discesa negli abissi. Lei , con un sollievo che la stupì, intravide tra i grossi tentacoli il corpo privo di sensi di Tom Riddle, un sorrisetto le stirò le labbra, in fondo avrebbe dovuto aspettarselo da lui: era stato così previdente e veloce da fare su di sé lo stesso incantesimo di Hermione.
La ragazza sapeva di aver poco tempo a disposizione quindi fece la cosa più immediata, e probabilmente la più stupida, che le venne in mente: scagliò un incantesimo con il tentacolo in cui era invischiato il giovane Voldemort.
Sid the Squid non dovette gradire particolarmente la cosa, perché subito lasciò andare il ragazzo e protese i suoi lunghi tentacoli verso di lei.
Alla vista del corpo di Tom, che scendeva lento nell’oscurità di quei fondali, Hermione sobbalzò e immediatamente si lanciò nella sua direzione, evitando con facilità i colpi della piovra, che in tutti quegli anni di assoluto riposo doveva avere perso le sue abilità predatorie.
Solo un attimo di ritardo e il nome di Tom Riddle sarebbe stato cancellato dal libro della vita, tutti si sarebbero in breve dimenticati di lui e il mondo non avrebbe mai saputo il terribile rischio che aveva corso, ma Hermione gli afferrò la mano e con tutta la forza che aveva in corpo riuscì a trascinare entrambi fuori da quelle acque gelide.
Hermione, sfinita e con ancora nelle orecchie le ruggenti grida della piovra, posò a terra il corpo privo di sensi del ragazzo.
Tentò un incantesimo per farlo respirare ma, quando dalla bacchetta tremante uscì solamente un sbuffo di deboli scintille azzurre, capì che avrebbe dovuto ricorrere ad un altro sistema.
“Aiuto!” urlò alla nebbia, pienamente consapevole del fatto che nessuno avrebbe potuto sentirla. “Qualcuno mi aiuti!” tentò di nuovo.
Dopo qualche istante di tombale silenzio con mani incerte e con uno strattone fece saltare i bottoni della camicia appiccicosa e iniziò a comprimergli il petto con forza.
Uno. Due. Tre. I muscoli delle braccia le dolevano e lo sforzo stava iniziando a darle il capogiro. Quattro. Cinque. Sei. Sette.
Ad un certo punto smise le compressioni, delicatamente gli strinse il naso tra due dita e con la mano libera gli aprì la bocca.
Le sue labbra erano mortalmente fredde ma Hermione non ci fece caso e soffiò la sua aria dentro di lui per tre volte prima di ricominciare le compressioni.
Dopo qualche minuto si fermò esausta, con il cuore che le batteva all’impazzata e senza più fiato.
Forse era meglio così, pensò prendendosi la testa tra le mani. Il giovane Voldemort era morto e non era stata lei ad ucciderlo.
Ma il momento di Tom Riddle non era ancora arrivato, perché mentre lei si stava alzando per andare a chiamare finalmente qualcuno il ragazzo inaspettatamente si mosse.
Tom si girò a fatica su un lato e iniziò a vomitare l’acqua che aveva bevuto quando il suo incantesimo si era rotto, accompagnato da violente convulsioni. Se fosse stato un altro lei probabilmente si sarebbe avvicinata per aiutarlo ma, vista la situazione, rimase dov’era.
Il ragazzo si puntellò con i gomiti e si tirò a sedere, ansimando. I suoi occhi grigi, ora iniettati di rosso,saettavano da una parte all’altra, evitando accuratamente di guardare Hermione.
“Perché l’hai fatto?” le chiese, guardando fisso verso la superficie nera del lago, che nel frattempo era tornata tranquilla.
Lei lo guardò stranita. “Fatto cosa?”
“Non credo di essermi tirato fuori dal lago da solo, Evans.” Commentò prima di essere bloccato da un attacco di tosse.
“Hai bisogno di un motivo?”
“Potevi morire.”
“Tu lo saresti stato di sicuro se non mi fossi tuffata.”
Tom spostò lo sguardo su di lei.
“Ho un debito nei tuoi confronti, Evans.”
Da lontano giunse ovattato il suono dei rintocchi del campanile di Hogwarts ed Hermione si alzò, rendendosi conto solo allora di tutto il tempo che era trascorso.
“Dovremmo andare ad avvisare il preside Dippet di ciò che è successo.”
Il ragazzo si alzò. “Non faremo niente del genere.” Disse lapidario.
“Sei stato quasi ammazzato da una piovra gigante e non hai intenzione di fare niente?” chiese lei senza parole.
Per ora non diremo niente, c’è qualcosa che non mi quadra.”
“Io non prendo ordini da te, Riddle.” Rispose lei, piccata.
“Consideralo un consiglio allora.” Ribattè lui, avvicinandosi con passi incerti al lago.
Hermione lo guardò incuriosita, non capendo cosa volesse fare.
La bacchetta del ragazzo disegno un cerchio deciso nell’aria e dall’acqua apparve una dimenante e viscida creatura.
“Ci stava spiando.” Spiegò il giovane Voldemort, osservando con disgusto la creatura sospesa a mezz’aria davanti a lui.
Hermione si avvicinò. “È-è una sirena?”
Lui annuì e poi agitò di nuovo la bacchetta. Il doloroso verso che la sirena produsse perforò i timpani di Hermione.
“Perché cui spiavi, ripugnante essere?”
La creatura si contorceva, emettendo flebili lamenti. Riddle la colpì di nuovo.
“N-non… v-i spiavo.” Gemette dopo poco, con voce stridula.
“Non mentirmi.”
La sirena si graffiò per il dolore la pelle verdastra del viso fino a farla sanguinare.
“H-ha detto che l’avrebbe uc-uccisa.” Disse piangendo.
“Chi?”
“M-mia sorella, l’ha presa..l’ha presa.”
Tom Riddle scambiò uno sguardo con lei.
“Chi ha preso tua sorella?”
La sirena aveva iniziato a singhiozzare, tirandosi i lunghi capelli biondi.
Il ragazzo era impaziente. Un altro urlo.
“CHI?”
La creatura si abbracciò, quasi a volersi rassicurare.
“N-non lo so… lui è venuto di notte…non ho visto…” disse tirando su col naso. “H-ha detto che l-l’avrebbe ammazzata… la Piovra...d-dovevamo svegliarla…d-doveva uccidere…”
“Doveva uccidere chi?” chiese lui, stringendo la mascella.
“T-te.”
Hermione non aveva mai visto alternarsi sul viso del giovane Voldemort così tante emozioni. Sorpresa, sospetto, rabbia.
Il ragazzo urlò e iniziò a colpire, senza più alcun freno, la creatura inerme.
Lei non poté sopportare un secondo di più quel crudo spettacolo e con una forza, che sorprese lei per prima, gli bloccò il braccio.
L’incantesimo si ruppe e la sirena, con un tonfo sordo, ricadde in acqua e subito si dileguò nell’abisso.
Tom rimase immobile mentre lentamente il suo viso tornava impassibile, poi si girò e allungò il braccio sinistro verso di lei.
Prima che Hermione potesse fare niente per impedirlo, le lunghe dita del giovane Voldemort si chiusero sulla sua gola, iniziando a stringerla sempre di più.
“Non. Osare. Fermarmi. Mai più.”
Hermione sentì che le ginocchia iniziavano e aprì la bocca alla ricerca di aria.
“Non metterti contro di me Evans.”
Lei si aggrappò alla sua mano, cercando di fargli allentare la presa.
“O ti spazzerò via.”
Finalmente la lasciò andare e lei si accasciò a terra, massaggiandosi la gola.
Il ragazzo si chinò su di lei e si avvicinò al suo viso, con una delicatezza stridente le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Non obbligarmi a ripetertelo di nuovo.” Le sussurrò.
Hermione chiuse gli occhi disgustata, mentre un brivido le correva lungo la schiena, quando li riaprì lui era scomparso.


Tom Riddle, dopo essersi guardato con sospetto intorno, entrò nel dormitorio, lanciò le sue cose per terra e si chiuse a chiave in bagno.
Iniziò a camminare avanti e indietro per cercare di pensare lucidamente. Avanti e indietro per calmare il suo respiro.
Nella sua mente riordinò ogni istante, come fossero foto, per tentare di ricostruire con maniacale precisione quello che era appena successo.
Ma l’unica cosa che continuava a tornargli in mente erano gli occhi della ragazza, grandi e scuri, ricolmi di una muta accusa e nessuna paura.
Scosse a testa e si appoggiò al lavandino bianco. Qualcuno aveva tentato di ucciderlo, doveva rimanere concentrato su quello.
Strinse il bordo lucido del lavandino  fino a far sbiancare le nocche delle mani, mentre le sue spalle iniziavano a tremare convulsamente.
Lasciò fluire la rabbia liberamente, era così facile non opporre resistenza, mentre i volti dei probabili colpevoli si susseguivano davanti ai suoi occhi. Chiunque avesse osato compiere un gesto del genere l’avrebbe pagata cara, l’avrebbe trovato, l’avrebbe torturato e poi…
Improvvisamente alzò la testa e il suo sguardo incontrò quello del ragazzo riflesso nello specchio.
Gli occhi grigi erano ridotti a viperine fessure e la pelle era talmente tirata e livida che sembrava bastasse un movimento improvviso per lacerarla, Tom si guardò e non si riconobbe. L’immagine gli restituì un ghigno malvagio e lui vide in se stesso la creatura dei suoi incubi, e gli sembrò di sentire di nuovo il suo fiato gelido sulla pelle. Di cosa hai paura, Tom?
Sbattè più volte le palpebre ma lo specchiò continuò a restituirgli l’immagine di quell’agghiacciante essere. Un sudore freddo iniziò a colargli lungo il collo, si staccò dal lavandino. Sicuramente la sua immaginazione gli stava giocando qualche strano scherzo, pensò respirando pesantemente, e la stanchezza ci stava mettendo del suo. La creatura continuava a sorridergli, doveva uscire da lì, doveva mettersi a letto e dormire un po’, doveva…
Infinite schegge di vetro ricoprivano ora il pavimento, luccicando fiocamente. Tom le guardò, per un istante come incantato da quel sinistro spettacolo, poi spostò l’attenzione sulla propria mano. Il palmo era decorato da lunghi e profondi tagli, da cui scorreva del sangue. Mentre il suo respiro andava lentamente calmandosi, il ragazzo si sedette a terra, tra quei frammenti di specchio che finalmente riflettevano la sua vera immagine. Chiuse gli occhi e si concentrò sul sangue pulsante che gli scorreva lungo le dita. Era così veloce, quasi avesse fretta di lasciare il suo corpo. Gli ricordò il ritmo del cuore della ragazza, quando l’aveva presa per la gola. Gli era sembrato di stringere tra le dita un delicato pettirosso, gli sarebbe bastato un niente, una pressione un poco maggiore, una stretta più prolungata e lei non ci sarebbe stata più. Così fragile.
Si era raggomitolato nel mezzo di una grande felce, uno dei suoi nascondigli preferiti, sperando che nessuno lo avrebbe cercato lì. Dopo lunghi istanti di solitudine sentì le voci dei suoi compagni poco distanti, si fece ancora più piccolo. Non aveva voglia di vederli, né che loro vedessero lui. Lo sapeva che l’avrebbero fatto di nuovo e quel giorno non era dell’umore giusto per le loro prese in giro. I bambini si fermarono a pochi metri da lui.
“Come andato l’incontro dello strano?”
“Nessuno se lo prenderà mai, cosa credi?”
Tom si tappò le orecchie con le mani, con tanta forza che le sue unghie si conficcarono nella pelle.
“Io invece mi vengono a prendere domani.2” Dichiarò qualcuno orgogliosamente.
Ci fu un tramestio, poi un misterioso“Guardate cos’ho acchiappato!” e infine delle risate mischiate a degli squittii.
La campanella della cena.
Quando fu sicuro di essere solo Tom Riddle uscì dal suo nascondiglio, togliendosi dai capelli i rametti secchi che vi si erano impigliati.
Si avvicinò curioso all’oggetto che i suoi compagni avevano abbandonato: un bianco coniglietto. Quando il bambino lo prese tra le mani non fece segno di voler scappare e in un attimo lui si accorse che aveva due zampe rotte.
Tom chiuse le mani a coppa sull’animale e se lo avvicinò al petto, il suo battito era così delicato che gli ricordava il frullo d’ali degli  uccelli, di reale sembrava avere così poco.
Lo accarezzò per un po’ sentendo sotto le dita le sue fragili ossicina, con pochissimo sforzo avrebbe potuto romperle, ma il coniglio aveva già due zampe spezzate, non ne valeva la pena.
Lo sguardo di Tom si sposto sull’imponente nero cancello che circondava il collegio, poi avvicino l’animaletto alla sua bocca.
“Ti posso liberare io.” Gli sussurro.
Come faceva di solito chiuse forte gli occhi per un secondo stringendo forsennatamente la mascella, li riaprì e fisso il coniglio. Dopo qualche istante, l’animale iniziò a levitare davanti a lui, su sempre più su fin quasi a superare l’alto cancello per arrivare dall’altra parte.
“TOM!” la voce di una delle sorveglianti lacerò il silenzio. “Tom dove ti sei caccia…”
La donna urlò, mentre il sangue del coniglietto bianco scorreva lungo le inferriate, lì dove era stato trafitto.
Tom chiuse gli occhi mentre la donna lo trascinava via, maledicendolo, e gli sembrò quasi di sentire il battito del coniglietto ancora sulle sue mani.
Delle voce provenienti dalla Sala Comune lo costrinsero ad aprire gli occhi, le ferite avevano quasi smesso di sanguinare e si sentiva tutto il braccio dolorante.
Si guardò intorno e, frastornato dal presente e dal passato, si alzò in piedi. Con un colpo di bacchetta risistemò lo specchio, evitando accuratamente di guardarsi, pulì il sangue e cercò di sistemare le ferite, mentre pensava che avrebbe fatto meglio ad andare in fretta al banchetto, o il suo ritardo avrebbe destato qualche sospetto.
Dopo essersi cambiato, il giovane Voldemort fece il suo ingresso nella Sala Grande, ben attento a nascondere la mano bendata sotto la lunga manica nera della divisa.
Senza dire una parola scivolò nel posto che Vàli gli aveva lasciato libero e ostacolò ogni tentativo del ragazzo di fare conversazione, quella sera non aveva voglia di essere affascinante.
“Tom?”
Il ragazzo alzò gli occhi dal piatto, che era praticamente ancora intonso. “Mm?”
“Tutto bene?” chiese Vàli, ingurgitando in maniera tutt’altro che elegante il suo succo di zucca.” Sei strano anche per essere tu sta sera.”
“Tutto bene.” Fu la sua laconica risposta.
L’altro lo guardò scettico per alcuni istanti, ma il suo ostinato silenzio lo costrinse a desistere e preferì lanciarsi in una conversazione sulla sua agghiacciante esperienza a Mielandia con il vicino.
Mentre Tom aveva iniziato a fare a pezzi il pane che aveva di fronte, una ragazzina di Tassorosso, presumibilmente del primo anno vista l’altezza, entrò nella sala urlando.
Il tramestio confuso che vi regnava si acquietò all’istante e tutti la fissarono.
“C’è…c’è u-una…” balbettò, indicando con il dito un punto imprecisato fuori dalla Sala Grande.
Il Prefetto della sua casa si alzò per cercare di calmarla, mentre Tom si alzava un po’ dalla panca per vedere meglio.
La ragazzina iniziò a singhiozzare confusamente, ma ad un certo punto un’esclamazione si udì chiara e forte. “È-è m-morta…”
Fu un attimo, tutti si alzarono contemporaneamente e si diressero verso il punto indicato da lei, ignorando gli ordini di Prefetti ed insegnanti.
Il giovane Voldemort  fu il più svelto di tutti ed in un attimo si ritrovò nell’atrio. E lì, fluttuante a mezz’aria sopra di lui, la vide.
Una sirena dai lunghi capelli biondi, sporchi di terra e foglie, levitava a testa in giù, senza più vita.
Tom si avvicinò per guardarla meglio. La coda squamata mandava deboli bagliori e il ventre liscio era ricoperto di lividi e ferite. Una fra tutte svettava, rossa e gonfia, incisa nella carne intorno al suo ombelico. Riconobbe subito quel simbolo. Un triangolo, un cerchio, un'asta. Il simbolo di Grindelwald.
Tom Riddle fece un passo indietro, mentre intorno a lui si andava radunando il resto della scuola. Impassibile si voltò e cercò tra la folla lo sguardo di Hermione Evans.

Note:
1 K.Gibran
2 Lo so che la frase è sgrammaticata, ma è un bambino di otto anni che sta parlando, concediamogli qualche errore!

Allora. Mi scuso per l'imperdonabile ritardo con cui posto questo capitolo, purtroppo la maturità si avvicina e insieme a lei anche alcuni temibili esami di ammissioni per l'università, quindi il mio tempo per scrivere è praticamente nullo.
Vi avviso già che, causa studio, il prossimo capitolo avrà una gestazione presumibilmente lunga quanto questo, vi chiedo scusa in anticipo!

Ringrazio tutte le meravigliose ragazze che hanno recensito i capitoli precedentementi ( questa volta non vi nomino perchè devo uscire fra tipo tre minuti da casa, scusate!), grazie grazie grazie!

Per chi avesse voglia ho pubblicato una raccolta di drabble (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=902298&i=1) e un missing moment su Vàli/ Minnie (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=917998&i=1), se avete voglia e tempo fatemi sapere cosa ne pensate!
(Un grazie particolare alle fantastiche persone che le hanno recensite, i vostri commenti mi hanno fatto davvero tanto piacere)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Un abbraccio e a presto (spero),

Blityri



P.s. Ditemi la verità, di Orion ve l'aspettavate? Cosa ne pensate di questa nuova coppia?
   
 
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