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Autore: Carlos Olivera    19/02/2012    2 recensioni
1635.
La Lombardia e la penisola italiana in generale sono devastate da innumerevoli piaghe. La peste, le razzie, i governanti corrotti, e in ultimo i lanzichenecchi che cinque anni prima hanno messo a ferro e fuoco tutto quello che hanno trovato.
Alcuni di questi, fattisi briganti, ora terrorizzano le sponde del Lago Maggiore, depredando villaggi e terrorizzando i contadini. Gli abitanti di uno di questi piccoli paesi decidono che è giunto il momento di farla finita, e di riprendersi la propria libertà. Ma loro non sanno combattere, e sarebbero sicuramente massacrati. Così, decidono di vendere tutto quello che hanno di più prezioso e di assoldare dei mercenari che possano difenderli. Ma l'impresa è tutt'altro che facile, e forse i briganti non sono l'unica cosa della quale gli abitanti di questo piccolo villaggio devono avere paura.
Liberamente ispirato a I Sette Samurai di Akira Kurosawa
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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4

 

 

Il rifiuto dello spagnolo era stato un colpo molto duro per Cristiano e i suoi compagni.

Erano sicuri che avrebbe accettato, visto il temperamento ed il carattere che aveva dimostrato aiutando quella donna, apparentemente così disponibile e generoso.

E invece, incredibile a dirsi, anche lui aveva detto no.

La presenza di Silvano rinfrancava molto poco il loro ottimismo.

Il gigante veneziano era senza dubbio molto forte, e per chi non lo conosceva metteva paura solo a guardarlo, ma non erano sicuri che avesse l’esperienza necessaria per essere di qualche aiuto; lo provava il fatto che quella volta aveva mulinato la spada come un dilettante.

Si riempiva la bocca di belle parole, e sembrava molto sicuro di sé, ma in realtà era assai evidente che di battaglie vere non ne aveva sicuramente combattute molte.

Anche i tre muratori, tornando a casa quella sera, non riuscirono a non trovare più buffo che minaccioso quella specie di montagna. Tuttavia, forse Lorenzon non aveva esperienza e non sapeva usare decentemente la spada, ma di forza ne aveva quanta se ne voleva, e senza quasi nessuno sforzo scaraventò in aria il grosso tavolone di legno al centro della stanza.

Quei tre poveretti restarono pietrificati per la paura.

«Qualcosa da obiettare, mezzi tappi?» disse poi minaccioso

«No, no. Per niente.» si affrettò a rispondere il capo battendo i denti.

Cristiano, però, non aveva nessuna voglia di vedere il bicchiere mezzo pieno, e neanche Fabio e Martino.

La verità era che la loro più grande speranza era andata a sfaldarsi contro la crudeltà e il cinismo del fato.

Tuttavia, malgrado quello che era successo, Cristiano sentiva di non essersi sbagliato; quell’uomo era diverso dagli altri, e se aveva detto di no non era stato per il rischio o la paga bassa.

Aveva detto di essere stanco di combattere, e vista la sua età apparente di cinquant’anni o più non era neanche da sorprendersi. Chissà quanti campi di battaglia aveva veduto, quante vite stroncato, e quanti amici visto morire.

Fabio e i suoi compagni avevano ancora molto da imparare su cosa volesse realmente dire la parola guerra, ma di certo quello era il primo passo verso la comprensione.

 

Don Gonzalo era sicuro che Bastiano avesse capito pienamente la lezione, e che almeno per qualche tempo quello scherzo della natura se ne sarebbe rimasto rintanato nel suo buco a smaltire la rabbia per l’umiliazione cocente che aveva subito.

Ma nonostante ciò, Gonzalo non aveva alcuna intenzione di fermarsi qui.

Al contrario, si preparava per colpire ancora.

Questo periodo di smarrimento da parte del suo nemico gli avrebbe dato tempo e modo per riconquistare intere fette di Milano e dei suoi dintorni, e sicuramente ai bravi che ancora giravano per la città sarebbe bastato anche solo sentir parlare di Amarillo per marcare visita.

Per il momento, però, Gonzalo voleva solo godersi quel momento di vittoria.

Quella mattina, come al solito, si era fatto servire il primo pasto della giornata nel salottino del secondo piano, quello dove era solito trascorrere la maggior parte del suo tempo a leggere o a discutere con questo o quell’amico che venivano a fargli visita, e lo stava consumando sfogliando uno dei tanti libri della sua biblioteca personale.

Don Gonzalo era un buongustaio; amava i cibi esotici, e soprattutto la frutta, faceva incetta di pesche, avocadi, manghi e ciliegie. Amava anche il riso, quello secco e leggero che arrivava dall’India e dall’Oriente, mentre apprezzava molto poco quello locale, che reputava grasso e troppo corposo.

In verità non solo il cibo, ma tutto ciò che era esotico, e specialmente orientale, lo attirava e lo affascinava.

Quando aveva solo nove anni suo padre era rimasto coinvolto in una brutta faida con un’altra potente famiglia spagnola, e così lui in gran segreto era stato messo sulla prima nave e portato alle Filippine con un folto manipolo di servitori e guardie fedeli, dove sarebbe stato al sicuro.

Era tornato in spagna solo molto tempo dopo, alle soglie dei vent’anni, e in tutto quel tempo aveva imparato ad apprezzare le atmosfere e le sensazioni che aveva provato nel corso dei viaggi che aveva compiuto in quel periodo tra Cina, Giappone e India, al punto da averle volute ricreare, per quanto possibile, ovunque andasse.

Il giardino della sua villa di Madrid sembrava un giardino zen, e ne aveva uno ancora più grande e maestoso nella sua residenza estiva sulle montagne fuori città.

Di quei luoghi così lontani aveva assimilato anche la filosofia e lo stile di vita; apprezzava trascorrere il tempo meditando di varie cose, come quei monaci che aveva visto con i suoi occhi restare per giorni e giorni seduti a meditare davanti alle statue del Buddha. Non che si fosse convertito, per carità. Non ci pensava neppure; cercava piuttosto di far convivere la sua sincera devozione cattolica con gli insegnamenti che si era fatto impartire, e forte della sua sicura posizione di nobile con molte amicizie sia nella Chiesa, sia nella Corte di Spagna sia nell’Impero stava addirittura cercando di buttare giù un trattato su di un nuovo modo di intendere l’esistenza, al quale si dedicava nei momenti di ozio.

Mentre era sul punto di finire qualcuno bussò alla porta.

«Avanti.» disse, e il Perro entrò nella stanza

«Padrone.»

«Spero sia una cosa importante.» disse Gonzalo senza sollevare gli occhi dal libro

«Volevo dirvi che, come mi avete ordinato, ho fatto qualche domanda in giro a proposito di quei contadini.»

«Ah, bene. E dunque?»

«A quanto si dice in giro, pare che abbiano bisogno dei mercenari per difendere il loro villaggio da dei briganti, o roba simile.»

«Da dove provengono?»

«Non lo hanno specificato.»

«Ed è una notizia sicura?»

«Non saprei, padrone. Di bande armate che saccheggiano le campagne ce ne sono parecchie, di questi tempi».

Il Don parve abbozzare un sorriso, quindi riprese a mangiare.

«Padrone.» disse il Perro «Con il tuo permesso, vorrei occuparmi di questa storia personalmente.»

«Di che storia?» domandò don Gonzalo evasivo

«Ma… quella dei contadini, è ovvio.»

«Che cosa ce ne può importare di quello che fa quella gente?»

«Padrone, questo è un atto che non può essere ignorato. Bifolchi che assoldano mercenari.»

«Hai detto che non sono riusciti a reclutarne nessuno degno di questo nome. Quindi, perché preoccuparsi?»

«I bifolchi devono stare al loro posto, padrone. Quando uno di quei pezzenti alza la testa sarebbe cosa buona tagliargliela, così da dare l’esempio. Quelli sono come le formiche, se uno fa una cosa la fanno tutti. Che succederebbe se tutti i contadini, compresi quelli che lavorano per la signoria vostra, decidessero di non pagare più i tributi dovuti, o versare le decime, o sottostare alle vostre parole?»

«Tu ti fai troppi problemi, amico mio.» rispose calmo il don «In ogni caso, non è un problema che mi riguarda. Per il momento, almeno.»

«Però, padrone…»

«Quello che voglio fare in questo momento è godermi un po’ di pace. Potrai tormentarmi in un altro momento. Perché non vai a goderti questa bella giornata, invece di stare a pensare a quei bifolchi?».

Ringhiando sottovoce, il Perro non poté fare altro che obbedire, almeno apparentemente; lasciata la stanza infatti, si diresse verso la casamatta che faceva da alloggio per i bravi e i loro compari che lui comandava personalmente, troppo infimi e di basso livello per poter essere considerati al pari delle altre guardie, quasi tutti soldati di professione che avevano scelto di cambiare mestiere, vuoi per la paga migliore o per il minor rischio.

A lui bastava vedere un bifolco per perdere il senno; gli faceva tornare alla mente quello che era successo alla sua famiglia, spazzata via e ridotta in miseria dalla rivolta dei bifolchi che comandava, e che da un momento all’altro avevano deciso di mandare tutto all’aria perché avevano deciso che quello che avevano non gli andava più bene.

Non aveva mai disobbedito agli ordini del suo padrone, ma la vicenda di quei contadini gli faceva salire il sangue agli occhi; vista la volontà del don non poteva ucciderli, ma avrebbe dato a loro, e a quel mercenario senza onore che si era venduto per poche monete, una ripassata tale da ricacciarli nel loro buco schifoso a mangiare fango e a elemosinare.

Passando davanti ad un finestrone buttò casualmente l’occhio al giardino esterno incrociando Amarillo, inginocchiato ai piedi di un albero, mani sulle ginocchia, schiena diritta e occhi chiusi, come in meditazione.

Perro provava un misto di rabbia e paura nei confronti di quell’uomo così misterioso, e ciò che aveva fatto qualche giorno prima aveva spaventato anche lui; detestava la fiducia che il padrone nutriva nei suoi confronti, ma soprattutto la sua bravura, molto superiore a quella che lui avrebbe mai potuto sperare di ottenere in tutta la sua vita.

Aveva sentito dire dal padrone che Amarillo era passato al suo servizio dopo essere rimasto ferito durante una battaglia nel suo Paese, ed aver contratto un eterno debito di riconoscenza verso colui che gli aveva salvato la vita raccogliendolo moribondo dal campo di battaglia; ma chi poteva esistere di tanto perfetto da riuscire a ferire un uomo simile?

 

Due giorni dopo aver rifiutato la proposta di ingaggio di quei tre contadini, lo Spagnolo stava ancora girovagando senza meta per le strade di Milano.

Aveva deciso di lasciare la città già il giorno in cui aveva salvato quel ragazzo dai rapinatori, e invece da allora qualcosa gli aveva impedito di farlo.

Forse era il suo animo che gli impediva di lavarsene le mani, forse la semplice curiosità del vedere se quei tre sarebbero riusciti nel loro intento o invece, cosa assai più probabile, avrebbero finito per arrendersi.

Sicuramente se ne erano accorti anche loro, ma lui lo aveva capito al primo sguardo che quella specie di montagna che si erano procurati non doveva valere un granché, e proprio per questo aveva voluto metterlo in guardia.

Era talmente preso dai suoi pensieri che camminando urtò inavvertitamente qualcuno che veniva dalla direzione opposta.

«Scusa.» si affrettò a dire.

Poi, gli bastò guardare un momento la persona che aveva appena urtato per sentire un brivido alla schiena; anche se la faccia non era poi così spaventosa, emanava un che di minaccioso, e nei suoi occhi c’era qualcosa di molto poco raccomandabile.

Lo Spagnolo era sicuro di averlo visto due giorni prima al seguito di uno dei due don che si erano battuti vicino alla chiesa, quello vincente, ma non era il soldato con la pelle gialla che aveva attirato in quel momento la sua attenzione.

Perro non disse nulla, limitandosi ad un’occhiata obliqua, e riprese subito a camminare perdendosi tra la folla, mentre al contrario lo Spagnolo esitò a lungo prima di tornare a seguire la sua strada senza meta. Una strana inquietudine si era impadronita di lui, e l’esperienza maturata in anni di guerre, che gli aveva insegnato a non dubitare delle proprie sensazione, gli impediva di non pensarci.

Qualche ora dopo, non lontano da lì, Cristiano, Fabio e Martino, accompagnati da Silvano, erano ancora alla ricerca di qualche altro mercenario.

Erano passati già due giorni da quando l’Uomo in Bianco aveva detto loro di no, due giorni senza essere riusciti a reclutare qualcun altro, qualcuno davvero capace di essere d’aiuto. Ormai tutti, persino Cristiano, avevano il morale sotto i piedi, ed erano sempre più convinti che non valesse più la pena di continuare a tentare.

Anche quel giorno la caccia, per così dire, si rivelò del tutto infruttuosa, ed i quattro, con gli sguardi bassi e le espressioni che più affrante non si poteva, erano rientrati a casa; come al solito c’erano anche i tre operai, che nonostante fossero stati messi al loro posto dall’esibizione di Lorenzon non mancarono, vedendoli tornare a mani vuote, di abbozzare una risatina, che però il gigante veneziano mise subito a tacere.

Mentre aspettavano di mangiare il solito pasto scadente Martino fece quattro conti in tasca, e il risultato non fu certo dei più incoraggianti.

Era passata una settimana da quando erano arrivati a Milano, una settimana senza essere riusciti a reclutare null’altro che un mercenario di basso livello; avevano già speso la bellezza di sessanta berlinghe, e c’era ancora da pagare metà del nolo della casa.

«E questo che cosa sarebbe?» domandò Lorenzon vedendosi portare una piccola porzione di carne

«Scusa.» disse Cristiano «Lo so che non è molto tutto quello che siamo riusciti a comprare.»

«Non dicevo questo. Perché a me la carne, e a voi quella fanghiglia immangiabile?»

«Beh, fa parte dell’accordo.» rispose Fabio «Ti ricordi? Vitto e alloggio, oltre alla paga.»

«Accordo un corno!» sbraitò il veneziano battendo il pugno sul tavolo «E io dovrei mangiare carne mentre guardo voi trangugiare quella specie di piscio d’asino? Non se ne parla proprio!».

I tre restarono basiti.

«Ma, veramente…»

«Me ne infischio del contratto. Io mangio quello che mangiate voi! Che uomo sarei se mi facessi pagare un pranzo di classe da dei poveracci che non hanno neanche di che preparare il proprio, di pranzo?».

All’improvviso si udì un rumore di vetro infranto, e mentre tutti cercavano di capire che cosa fosse stato Martino vide una bomba di una decina di centimetri di diametro rotolargli ai piedi con la miccia innescata.

«È una bomba!» sbraitò.

I tre muratori, che erano i più distanti, fecero in tempo a fiondarsi in cantina, mentre Lorenzon, con la sua solita forza erculea, capottò il grosso tavolo a formare una barriera, tirandoci dietro Martino giusto un istante prima che la miccia fosse del tutto consumata.

Qualche secondo dopo si udì un boato assordante, i vetri della casa andarono in pezzi e il portone, per quanto robusto, vibrò vistosamente, restando però intatto.

La gente fuori rimase paralizzata per la paura e molti scapparono, ma alcuni rimasero per vedere cosa fosse successo.

Proprio davanti all’ingresso stava il Perro, affiancato da cinque dei suoi uomini, e quando la polvere si fu posata e tornò il silenzio comandò a due di loro di andare dentro a controllare che fosse andato tutto liscio.

Quelli, armi alla mano, sfondarono il portone con un calcio e si buttarono all’interno; seguì un breve momento di tregua, poi si udirono strani tonfi, e subito dopo i due volarono letteralmente fuori come se fossero stati sparati via dal una fionda gigante.

Passò qualche altro secondo, e dall’interno uscirono Lorenzon, Cristiano e gli altri; erano coperti di polvere, e i tre contadini erano ancora frastornati per il fragore dello scoppio, ma stavano bene.

Perro non fu per niente insoddisfatto nel vedere le sue vittime uscire vive dal suo primo assalto; al contrario, sembrava quasi contento.

«In effetti, avevo il timore che non sarebbe stato abbastanza divertente.» disse tra sé e sé

«Sei stato tu a lanciare quel fuoco d’artificio?» domandò provocatorio Silvano

«Consideralo un piccolo omaggio da parte mia.»

«Fai regali pericolosi, amico. Lasciatelo dire.»

«Ritenetevi sfortunati. Morire in quell’esplosione vi avrebbe riservato molte meno sofferenze».

Quindi, ad un suo cenno, tutti gli uomini, anche i due che Silvano per poco non aveva spedito nel firmamento, sfoderarono le spade circondando i quattro.

«Che cosa volete da noi?» domandò Cristiano «Si può sapere che vi abbiamo fatto.»

«Un bifolco non ha il diritto di sapere, né di fare domande. Tutto quello che gli è dato di fare è abbassare la testa. E voi avete alzato la vostra anche troppo.» poi si rivolse ai suoi «Niente morti. Basterà una bella ripassata».

A quel punto i cinque partirono all’attacco, contrastati alla meno peggio da Silvano; anche Cristiano oppose resistenza, ma ancora una volta il suo era solo un mulinare la spada senza capo né coda, facilmente contrastabile da uomini abituati a menare le mani, che anzi lo trovavano quasi divertente.

Sarebbe potuta finire davvero male per lui e gli altri, se ancora una volta l’Uomo in Bianco, come un vero angelo custode, non fosse intervenuto a salvare loro la vita.

Come suo solito, piombò sul campo di battaglia apparendo come dal nulla, e prendendo subito a malmenare gli aggressori; a differenza della prima volta, però, non sembrava avere intenzione di uccidere, infatti si limitava a ferire gli uomini del Perro quel tanto che bastava da costringerli all’impotenza.

Ad uno fece un profondo taglio alla mano, per impedirgli di portare la spada, ad un altro recise i tendini, ad un altro ancora ruppe il naso col pomo della spada.

Infuriato per quel fuori programma anche Perro a quel punto si lanciò nella mischia, sfoggiando tutta la sua abilità; lo Spagnolo dovette impegnarsi un po’ di più del suo livello abituale, ma alla fine riuscì ad avere ragione anche di quel nemico. Scavalcata la sua difesa, con un affondo preciso e letale gli tranciò di netto l’orecchio destro, che rotolò sul terreno fangoso.

Il Perro urlò dal dolore, cadendo in ginocchio e tenendosi la ferita con una mano; il sangue che gli copriva la faccia rendeva la sua espressione di dolore misto a rabbia ancor più terrificante. Lo Spagnolo lo guardava dall’alto, freddo e impassibile, ma non sembrava intenzionato a vibrare il colpo di grazia.

Ferito ma non domato, il Perro fece per continuare la sfida, in parte consapevole che sarebbe stata sicuramente una causa persa, ma prima che potesse muovere un passo Amarillo comparve alle sue spalle, frapponendosi a spada tratta tra i due contendenti.

«Che ci fai tu qui?» ringhiò Perro «Non ho bisogno del tuo aiuto».

Quello non rispose, né si volse a guardarlo, restando invece immobile a fissare lo Spagnolo dritto negl’occhi. Era come se in tutto l’universo ci fossero stati solo loro due, immobili l’uno davanti all’altro, cercando di cogliere i rispettivi pensieri attraverso lo sguardo.

Alla fine il silenzio di Amarillo risultò più eloquente di mille parole, e il Perro non ebbe altra scelta che abbandonare i suoi propositi, anche perché tra poco sarebbero arrivate le guardie.

«Andiamo via!» ordinò, e i suoi uomini lo seguirono, scomparendo rapidamente nei vicoli della città.

Amarillo si trattenne un poco di più, seguitando a osservare, ricambiato, lo Spagnolo negl’occhi, ma alla fine anche lui, rinfoderata la spada, se ne andò, calmo ed impassibile.

Passata la tempesta, i contadini si avvicinarono al loro salvatore per ringraziarlo, e fu allora che si accorsero che lo Spagnolo era rimasto ferito ad un braccio; in circostanze normali avversari di quel livello non sarebbero stati neanche in grado di sfiorarlo, ma quando si affrontava con la determinazione a non uccidere avversari che invece ad uccidere non ci pensavano due volte cose simili potevano capitare anche ai migliori.

«Signore, voi siete ferito.» disse Cristiano

«Non è niente.» rispose lui.

Il ragazzo però insistette, riuscendo infine a convincere lo Spagnolo ad entrare in casa per farsi fare una medicazione.

All’interno i segni dell’esplosione erano ben evidenti; il poco mobilio presente nella stanza era stato scaraventato via, c’era polvere dappertutto e le pareti erano piene di piccole ammaccature lasciate dalle schegge e dalle palline di ferro. Se non fosse stato per il provvidenziale intervento di Silvano e per la robustezza del tavolo, sicuramente per Cristiano, Martino e Fabio non ci sarebbe stato scampo.

Anche i tre operai, accertatisi che non c’era più pericolo, uscirono allo scoperto, ma lo spavento che si erano presi era tale che non volevano avere più niente a che fare con quei tre contadini; raccolte le loro cose, scapparono via veloci come il vento.

Mentre lo spagnolo, seduto ad una sedia rimasta intatta, veniva curato da Martino con delle pomate alle erbe e delle bende che si erano portati dal villaggio, Fabio, Cristiano e Silvano provavano a rimettere apposto.

Fabio, ad un certo punto, vincendo la timidezza decise di porre una domanda allo Spagnolo.

«Perché ci avete detto di no?».

Lui esitò a lungo prima di rispondere.

«In vita mia ho visto più battaglie di quante ne potrei contare. Ormai sto diventando vecchio, e comincio ad essere stanco. La battaglia non è più qualcosa che faccia per me».

D’un tratto, Silvano ebbe un sussulto.

«Il denaro!» esclamò, ed aprì la pesante cassapanca nell’angolo più lontano della stanza.

Per fortuna quell’ingombrante soprammobile aveva retto, nonostante la granata gli fosse esplosa praticamente sotto, e la borsa col denaro era intatta.

Notando l’espressione sollevata di Cristiano, Silvano, gettata rovinosamente a terra la sedia che stava trasportando, prese il sacchetto di mano al giovane, andò davanti allo Spagnolo e glielo svuotò davanti.

«Guarda qua! Li vedi? Questi sono soldi. Sono soldi che hanno messo da parte per te. Lo sai quante cose avrebbero potuto farci con tutto questo denaro? Avrebbero potuto comprare del cibo, che di questi tempi è un bene sempre più raro, o Dio solo sa cos’altro.

E invece, sono disposti a dartelo, se tu li aiuterai. Per farlo su si sono privati di tutto quello che avevano. Dormono tra gli stracci, mangiano porcherie che non si darebbero neanche ai maiali, e si vestono di pezze.

Se sei un uomo, questo non può lasciarti indifferente!».

Cristiano e gli altri si sentirono pervasi da un senso di vergogna, e abbassarono gli occhi.

Dapprincipio, lo spagnolo non disse niente, limitandosi a fissare il vuoto. Poi, si inginocchiò, raccolse una ad una tutte le monete, prese la borsa e ce le rimise dentro.

Ora cominciava a capire perché non se ne era andato, e perché in quei due giorni non aveva fatto altro che girovagare attorno alla casa di quei tre contadini così testardi e determinati.

La sua mente rifiutava di impegnarsi in un’altra battaglia, ma la sua anima al contrario gli diceva che forse quello era un segno del cielo; forse, per la prima volta, poteva impegnarsi in una battaglia che non avrebbe perso, ma che soprattutto non si sarebbe vergognato di aver combattuto.

Si diresse verso Cristiano.

«Ho capito. La vostra determinazione è da premiare e da ammirare. Avevo dimenticato quello che soffrono i contadini e la gente comune, per colpa di uomini come quelli che vi hanno appena aggredito.»

«Allora…» disse Cristiano con occhi che risplendevano.

Lo Spagnolo fece un cenno di assenso e abbozzò un sorriso.

«Vi aiuterò».

La gioia che i tre provarono era così grande da non poter essere descritta. Neanche l’ingresso al paradiso avrebbe potuto dar loro un sollievo più grande.

Cristiano ne era sicuro. Era sicuro di non essersi sbagliato sul conto di quell’uomo. E ora, ne aveva la certezza.

«Noi… non vi ringraziamo infinitamente. Posso… posso chiedervi il vostro nome?».

Quello gli restituì il sacchetto di monete e rispose.

«Il mio nome è Kristoval. Kristoval Santana».

 

Nota dell’Autore

Eccoci qua!^_^

Ve l’avevo detto che stavolta non ci avremmo messo tanto.

Il mio esame di sceneggiatura è andato bene, e ho raccolto i buoni commenti del professore circa la mia abilità nello scrivere, il che è stato ovviamente come un’iniezione di turbo.

Per quanto riguarda il mio amico, per ora non è ancora riuscito a contattare “quelli che contano”, ma i commenti positivi a questa storia lo hanno reso comunque molto felice e fiducioso.

Da questo momento la storia prende, come si può prevedere, un nuovo corso, e da adesso in poi cominceranno rapidamente a comparire gli altri mercenari.

Piccola Nota. I nostri attenti lettori potranno dire che Kristoval Santana è un nome un po’ insolito, ma si tratta pur sempre di un remake dei Sette Samurai, e un omaggio ci è sembrato doveroso.

Studio a parte, e per un po’ dovrei poter stare tranquillo, dovremmo poter riaggiornare tra non molto.

Grazie come sempre a lettori e recensori.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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