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Autore: Il_Bardo    19/02/2012    1 recensioni
Quercea, terra vasta e fertile, idilliaci paesaggi, amene colline e bianche pianure.
I regni di Quercea ospitavano fin dai tempi antichi la civiltà delle Driadi, che vivevano nel silenzio della natura assieme alle civiltà umane, in numerosi villaggi e corti disseminati su tutta la penisola. Shyawdra, una ragazza umana fin da piccola abituata alla polvere sul viso e al duro lavoro di servitrice, scoprirà come la sua vita e il suo destino saranno indissolubilmente legati a quello dei regni di Quercea, minacciati dal timore e l'odio che l'umanità ha per il diverso può partorire...
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il castello dei nobili di Ederia, nella provincia centrale di Quercea, copriva in parte la sagoma del sole che leggiadro, in lontananza  si alzava dolcemente in cielo, illuminando poco a poco le terre.
« Sbrigati Shyawdra, a quest'ora dovremmo già essere nel campo a liberare i cavoli dalle malerbe! vuoi avere una zuppa calda anche stasera, vero?! », disse sua madre incitandola ad uscire di casa per raggiungerla.
Shyawdra era una ragazza di sedici anni appena compiuti, che già pesavano sulla sua vita da semplice contadina.
Fisicamente era alta, i capelli arruffati color marrone di corteccia erano disposti in una chioma fatta frettolosamente avvinghiandoli da un nastro indaco. Fin da piccola era denotata da tutti per i suoi occhi, le pupille marroncine avevano sempre avuto uno sguardo penetrante, alcune vecchie del villaggio dicevano che chi possedesse quel tipo di occhi velati da un chè di misterioso, era capace di vedere l'anima altruì. Lei non ci faceva tanto caso, non aveva avuto un'istruzione e pensava fossero scherzi di cattivo gusto.
Quella mattina erano ancora serrati dalla stanchezza che sussegue il risveglio, e il ruvido legno di cui erano fatti i gradini che percorreva per scendere dalla sua camera ricreata in una rozza soffitta, rendevano il tutto ancor più difficile.
Il suo viso aveva dei tratti che mostravano tutta la sua grazia e innocente femmilità di fanciulla, coperto perennemente dalla polvere che si alzava del terreno quando lavorava nelle piantagioni.
Era già perfettamente pronta in veste di contadina, il grembiule bianco sporco di terra avvolgeva la sua silouette affusolata, mentre i suoi capelli erano raccolti sotto un fazzoletto bianco e leggermente ricamato, con lievi accenni di polvere.
Prese rapidamente il tozzo di pane sul tavolo già intinto nel latte crudo in una ciotola, mangiandoselo in pochi bocconi.
Si riallacciò gli ultimi nodi delle vesti e uscì dalla porta di legno cigolante di casa.
Raggiunse la madre che si era già addentrata nel piccolo boschetto a valle tra le due colline della provincia di Ederia, la collina più ad ovest era occupata dal villaggio dei contadini e dei servi, alcuni dei quali lavoravano nei campi nei dintorni, mentre il resto si occupava di servire a corte nel castello dei nobili di quella provincia, gli Eedra, situato sulla collina più orientale dove i raggi del sole del mattino arrivavano con anticipo.
Il bosco era piccolo ma molto folto, come se gli alberi fossero ruzzolati giù da entrambe le colline, arrivando a valle ed ammassandosi nello stesso punto.
I primi rami di cespugli tentarono di iniziarono a raschiare dolcemente le vesti della figlia e della madre, che senza preoccupazione si addentravano nel boschetto che conoscevano come la loro casa.
Bastarono cinque minuti per arrivare dall'altro capo del bosco, fino ai campi di cavoli e verdure varie che stavano alla base della collina del castello.
Si chinarono, guardandosi negli occhi, per darsi l'un l'altra la forza necessaria a trascorrere l'ennesima giornata di lavoro.
Era ciò che dovevano fare, come tutta la gente comune del loro villaggio, se volevano portarsi a casa una zuppa di verdure per cena, le più saporite della provincia, che per loro era sinonimo di nutrienti.
Era mezzogiorno, Shyawdra si sedette ai piedi del campo, assieme a sua madre che gli porse un tozzo di pane e un pezzo di formaggio. Nel mentre che mangiavano osservando il villaggio da lì poco lontano.
la madre gli disse rompendo il silenzio « Shyawdra.. Nonostante non riusciamo a darti l'istruzione che merita una ragazza gentile ed educata come te, siamo contenti di avere una figlia che si accontenta della semplicità, non avremmo potuto chiedere di meglio.. »
Le lacrime rigarono il viso tozzo e usurato dalla vecchiaia della madre.
Shyawdra con i suoi occhi marroni e vivaci la guardò fissa facendo intravedere qualche lacrima sulle sue delicate palpebre. « Non preoccuparti mamma.. va bene tutto così com'è adesso! », non riuscì a dire una sillaba in più.
Si rimisero a lavorare zappettando con un'arnese improvvisato, il sole sulle loro teste fendette il cielo come una lama, attraversandolo da parte a parte, finchè non iniziò a scomparire all'orizzonte, divenendo aranciato e vivo come il fuoco dei falò che già come puntini corollavano l'orizzonte sempre più scuro delle colline.
Le lacrime si erano oramai asciugate sui loro visi, avevano fatto il loro lavoro onesto che gli aveva garantito la loro cena e qualche vivero per l'inverno, che era sceso su quelle terre.
La madre si alzò e dopo un'occhiata nei paraggi chiamò Shyawdra :
« Shyawdra vieni, torniamo a casa prima che faccia buio e non riusciamo più a vedere dove mettiamo i piedi!»
La ragazza accorse, ripulendosi la veste e seguendo la madre rimanendo sempre dietro di lei.
I Passi sul terreno erano lenti rompendo di poco il silenzio che calava su quelle colline, assieme al tramonto.
La ragazza amava osservare la natura che da sempre l'aveva accompagnata ed era rimasta attorno a lei, buttando senza volerlo un'occhio sul maniero dei nobili sulla collina che stavano per lasciarsi alle spalle.
Vedeva le luci illuminare le vetrate di tutto l'edificio, mentre di solito, quando alla sera usciva di casa osservando le vallate, solo alcuni vetri erano illuminati dall'interno.
Non era una cena di ricevimento come quelle solite cene che organizzava la famiglia di quei nobili, stava accadendo qualcosa di diverso, pensò nella sua mente arguta.
Smise di seguire la madre, correndo verso il maniero con passi veloci e assolutamente silenziosi, tirandosi sù il lungo grembiule per non intralciare i movimenti.
La madre la chiamò, ma senza successo e ben presto i suoi richiami non furono più udibili da Shyawdra che era già troppo lontana.
Nonostante sua figlia stesse disubbidendo, sua madre si fidava di ciò che faceva, decise di tornarsene a casa aspettandola sul sentiero.
Shyawdra però era già arrivata ai confini del maniero. Gli equinauti presidiavano i quattro lati del maniero : un immenso castello di puro marmo naturale, costellato di edere che lo vestivano in più punti con il loro color verde scuro.
In cima alle quattro torri di vedetta, vi erano quattro campanari, servi, appartenenti al suo villaggio e di sua conoscenza, mentre alla base di ogniuno di queste torri vi era un Equinauta.
Cavalieri abilissimi nell'arte della scherma, in sella ai loro cavalli con  grandi e candide ali di falco e placcati da armature in oro bianco con lo stemma di una foglia di edera, simbolo della casata degli Eedra.
Alcuni avevano una lancia, altri brandivano delle sottilissime rapier che brillavano con gli ultimi barlumi di luce del crepuscolo che aveva oramai preso il sopravvento, mentre la sagoma delle stelle in lontananza si ergeva dal grigiore della sera.
Per quegli Equinauti, le loro spade, assieme ai loro fidati destrieri alati incantati dalle magie infuse loro dalle Driadi decenni prima,
li rendeva onorevoli guardiani dei regni di Quercea.
Shyawdra ammirandoli da lontano, rimembrava uno dei suoi pochi sogni nascosti nel suo animo adeguato al poco e all'accontentarsi, divenire una spadaccina, punendo i briganti e ladri a fil di spada.
Notò che i campanari l'avevano vista, ma si conoscevano e non suonarono l'allarme, avrebbe perso o un braccio, o una gamba, o semplicemente la testa, se fosse stata vista non autorizzata dagli Equinauti lì intorno.
Si avvicinò alle mura, mentre i campanari fecero cenno di fare pressione contro una parte delle mura, per attivare un condotto nascosto che le avrebbe permesso di spiare l'interno.
Loro nonostante servivano a palazzo, erano anch'essi curiosi di sapere cosa accadeva nelle sale all'interno, avendo notato carrozze provenienti da ogni angolo di Quercea entrare dal portone principale.
Arrivò affiancata al muro, tastando con calma ogni mattone cercando quello esatto per attivare il congegno ed aprire il condotto.
Dopo pochi minuti persi, i campanari gesticolarono sopra la sua testa.
Un equinauta stava per voltare il muro, l'avrebbe vista sicuramente.
Il suono degli zoccoli che lenti stavano per avvicinarsi, le provocò panico, facendole accellerare le braccia.
Un altro quartetto di zoccoli si unì alla sinfonia che le avrebbe tolto un arto o la vita, mentre il timore stava via via salendo.
Era sempre stata responsabile in ciò che faceva, si era però resa conto di aver esagerato in quel momento.
Stava varcando la soglia della semplicità, stava fuoriuscendo dalla sua indole semplice e capace di accontentarsi, un'indole che non avrebbe retto a lungo con la sua grande curiosità che la tirava dall'altro lato.
Iniziò a scalciare, quasi a perdere la pazienza, se fosse corsa via, i passi avrebbero riecheggiato sullo sterrato attorno alle mura e l'avrebbero sicuramente individuata.
Doveva entrare, non aveva una seconda scelta. Uno dei calci al mattone giusto le diede la salvezza.
Il muro si spostò a sinistra, inglobato dal muro che sembrava essere cavo, intanto che alla sua destra apparve un susseguirsi di stretti gradini.
Vi entrò, notando che miracolosamente le mura si richiusero come all'inizio dopo il suo passaggiò.
Salì le strette scale, qualche goccia di sudore apparve in fronte sua, arrivando dopo un po' in uno stanzino completamente buio e dal basso soffitto.
Le intersezioni tra le piastrelle sul pavimento erano illuminate, facendole capire che in realtà si trovava in un soffitto nascosto sopra la sala dove si erano riuniti vari nobili delle provincie vicine.
Sentì qualcuno parlare senza distinguere una parola, si chino quindì e pose l'orecchio al muro riuscendo a sentire.
Una voce maschile ed autoritaria disse « Quelle driadi stanno solo aspettando una nostra mossa sbagliata! vogliono appropriarsi di tutto il regno! »
Seguirono degli urli di sostegno e qualche applauso, poi un'altra voce sempre maschile ed autoritaria continuò « Se sfrutteremo per noi le risorse della natura, le driadi si indeboliranno e potremo conquistarle con facilità! sono una minaccia troppo grande per poterle ignorare! »
Altri applausi leggermente più sentiti seguirono il discorso, mentre una terza voce pronunciò con tono solenne :
« Da domani, ogniuno di noi si impegnerà nelle proprie provincie a far di tutto per togliere terreno alle driadi. meno risorse avranno, meno potere, meno possibilità di renderci loro schiavi. Poi saremo noi a sopraffare loro! saremo capaci di tutte le loro magie, ne faremo un uso migliore del loro e riporteremo queste terre ad uno splendore più fulgido di questo!!»
Questa volta gli applausi furono molto più forti e le urla quasi sfrenate, c'era una grande approvazione nei confronti di quelle parole e di chi li aveva pronunciate solennemente.

Aveva sentito abbastanza, rialzò il capo sentendo che il battito di mani continuava fragoroso, riflettendo su ciò che aveva sentito..
"I nobili dei dintorni si sono riuniti per andare contro le driadi? le driadi.. queste famose popolazioni di ninfe dei boschi che ci osservano dai meandri della natura, proteggendoci e rendendo fertili le nostre terre.. perchè pensare che siano un pericolo per noi?! con le loro arti magiche ci avrebbero schiavizzato già da tempo! tutto questo non ha un filo di sana logica!"
Si lasciò al vuoto nella sua mente, poi continuò a riflettere.. " l'unica cosa che posso fare, essendo una semplice ed umile contadina, è cercare una Driade, nonostante sia impossibile, trovare e conoscerne una,
devo provarci, devo riferire loro quello che hanno intenzione di fare, così potranno prepararsi... questa gente non ha capito che tutto ciò che otterranno è rovinare queste terre benedette! rabbrividisco.."
Shyawdra era una ragazza molto riflessiva pur avendo appena sedici anni, quindi possedendo ancora la vivacità di una giovane.
Tastando il pavimento per non urtare nulla corse fugacemente fuori mentre la paura e l'ardore di salvare le driadi da un futuro nefasto si mescolavano assieme in lei, l'adrenalina come un catalizzatore la rendeva non più una contadina, ma una vera e propria ombra furtiva, che uscì dalle mura tornando ai piedi della collina.
La luna era alta in cielo, quella luce bianca che assieme alle stelle illuminava la notte apparentemente quieta..

Tornò al bosco che sembrava una macchia priva di luce in confronto alle colline sfumate dalla luminarie dei camini, doveva attraversarlo e recarsi a casa dove sapeva che l'aspettava la madre, mentre il padre era ancora alla forgia a lavorare. Le avrebbe detto tutto, poi avrebbero deciso insieme sul da farsi per trovare una Driade.

Riprese fiato una volta lontana dal maniero, girandosi indietro e sentendo un brivido di ribrezzo verso quegli ideali paurosamente stolti.
Riprese a correrre tirando sù nuovamente la gonna, poi si addentrò nel bosco buio alla cieca, in preda alla paura.
Tese le mani avanti, sentiva i rami trattenere le sue vesti, aveva perso il controllo.
Urlava, una piccola valvola di sfogo per far fuoriuscire il terrore che attanagliava la sua mente.
Un ramo la fece cadere pochi metri dall'entrata del bosco, lei si coprì il viso con le mani, capì che stava cadendo, perchè non riusciva a sentire più il terreno sotto i piedi.
Il tonfo non fù forte, si riparò in tempo prima di rompersi qualcosa.
Si rialzò con calma, la paura sembrava sparita asseme al rumore del suo leggiadro corpo a contatto con il terreno umido.
I suoi occhi fissi e vivi ne incontrarono altri, che non mostravano paura mentre erano fissati.
Tutte le persone del villaggio con cui parlava le confessavano di mostrare un po' di disagio quando le sue pupille fisse e spalancate li guardavano, dicevano che pareva volesse estrapolare ogni pensiero dalle loro teste, lei non poteva far altro che sorridere e arrossire.
Invece in quel momento era calma silenziosa e impietrita, notando come gli occhi che la osservavano non parevano impauriti.
Squadrò il corpo di chi aveva di fronte, mentre una voce dolce e soave le parlò « mi chiamo Nòva. sono la driade di questo bosco...»
Era una donna apparentemente sembrava possedere un'età di venticinque anni umani, portava un abito di spine e rovi che sembravano non ferirla, mentre dei rametti di rose crescevano sulle spalle e braccia.
La sua carnagione era biancastra con sfumature verdi e azzurre, le labbra carnose verde linfa, il suo viso era sensuale, sagomato, e il fisico snello e tonico. I capelli della driade erano molto simili a quelli della ragazza, ma erano sciolti, selvaggi, liberi.
Shyawdra era incredula, erano accadute troppe cose in troppo poco tempo, il cuore le era salito in gola.
Ponderò ogni parola, tentando di comunicare « vuoi farmi del male?..»
Disse con diffidenza, ma subito la driade Nòva rispose con calma sorridendo « Perchè dovrei? stavi venendo a comunicarmi del pericolo che sta minacciando il nostro popolo... la tua anima gentile è troppo limpida per stare in un corpo umano.. »

Sembrò dubbiosa tra sé,  poi le puntò lentamente l'indice destro al viso, fino a spalancare delicatamente con lentezza sublime l'intero palmo della mano con sopra un piccolo oggetto.
Shyawdra allungò il capo cercando di capire cosa fosse.
La driade Nòva comprendeva la sua curiosità, dicendole « E' un seme di Quercea stessa, di Driade. Tienilo sempre con te, poi aspetta quanto basta perchè un chicco di grano possa germogliare, la luce di selene farà il resto. ».
Con timore Shyawdra vide che ciò che teneva in mano Nòva la Driade, era un piccolo pezzo di terra mista a roccia, smussato.
Rose fatte interamente di gemme verdi e risplendenti al chiarore della luna sopra le loro teste, un piccolo ceppo di rose cui fusti si intersecavano, pieni di foglie e fiori sulle cime, totamente costituiti da minerali verdi e quasi trasparenti, ma nonostante fossero di dura roccia, come quella su cui crescevano, erano normalissime piante morbide e vive, sospinte dalla brezza notturna.
Dopo pochi attimi si accorse di una cosa : mancavano le spine.
Le venne consegnata dalla Driade, delicatamente poggiò sopra le mani accoglienti di Shyawdra, che con estrema cautela indurì la presa per trattenere il pezzo di roccia su cui cresceva il ceppo di quelle rose totalmente verdi smeraldo.
Nòva cennò un sorriso innocente e compiaciuto, mise la mano destra sulla spalla della ragazza, con l'altra prese la selva, e scostandola di poco rivelò subito l'uscita verso la collina del villaggio.
Dubitò in che modo aveva fatto ad averla già riportata alla sua collina senza muovere nemmeno un passo, ma smise di pensarci e si diresse a casa, girando la testa e salutandola timidamente.

Salì calma e pensosa la collina, arrivata alla sua casetta di legno spalancò la porta scricchiolante di legno, mentre la madre era vicino al camino ardente.
Portò quel dono in soffitta, lasciandolo sotto i raggi della luna mezza di quella sera che filtrava da una piccola finestrella.

...Aspetta quanto basta perchè un chicco di grano possa germogliare, la luce di selene farà il resto...
Lei si fidò delle sue parole; avrebbe aspettato.
  
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