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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    20/02/2012    6 recensioni
Era quello che volevo, no? L’occasione giusta per mandare tutto all’aria e concedermi del tempo per me.
Avevo immaginato di mandare al diavolo il mio lavoro e la mia coinquilina tante di quelle volte che nemmeno ricordavo quando la mia insofferenza nei loro confronti fosse iniziata. Quello che non avevo immaginato, però, era di non intraprendere quel viaggio da sola; e che ad accompagnarmi sarebbe stata una delle persone da cui cercavo disperatamente di fuggire in quel momento: Edward Cullen.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Route 66

No warning of such a sad song of broken hearts.

My dreams of fairy tales and fantasy were torn apart,

I lost my peace of mind somewhere along the way.

I knew there's come a time you'd hear me say I'm sick and tired,

of always being sick and tired.

Anastacia - Sick And Tired

01. Bella Swan, masochist

Una volta qualcuno mi disse che quando una persona soffre cerca in tutti i modi di trovare qualcosa che la faccia soffrire di più, perché così almeno uno dei dolori, quello che al momento fa più male, smette di fare così male, perché attenuato da un altro. La gente è masochista, ed io non sono mai stata da meno. A volte avevo il dubbio che mi piacesse soffrire, e, purtroppo, non ero il genere di persona che aspirava a smettere di soffrire tanto presto; non che non lo volessi: semplicemente non riuscivo a vedere uno spiraglio di luce che mi permettesse di sperare in tempi migliori. La mia vita andava a scatafascio da quasi un anno ormai, e la contemplazione di un futuro più roseo al momento sembrava una meta lontana, irraggiungibile.

Osservai il mio bicchiere, soprappensiero. Il liquido giallognolo, quasi arancione alla fioca luce delle lampade appoggiate al bancone di uno sperduto pub di Chicago, risplendeva giocando con alcuni cubetti di ghiaccio immersi in esso. Tequila. Il mio alcolico più detestato.

Quella sera volevo farmi male. Volevo pensare che almeno una cosa poteva essere peggiore di quel che avrei passato nei giorni - mesi, probabilmente - a venire.

“Mi dispiace, Isabella, come sai stiamo dimezzando il personale, e purtroppo devo fare delle scelte. Sono sicuro che troverai al più presto un altro posto. Non ti lascerei andare se non fossi sicuro che il tuo futuro nel mondo del giornalismo ha davanti a sé vaste opportunità”.

Sorrisi amaramente. Le stupide parole di un direttore gonfiato di soldi che cerca di addolcirti la pillola. La verità era che per lui non ero abbastanza redditizia, e che la ragazza appena giunta sul posto dopo aver passato molto tempo chiusa nell’ufficio con lui si era dimostrata di gran lunga più accondiscendete di me - e quando parlo di accondiscendenza mi riferisco a qualunque tipo di sottomissione a cui quella donna si è sottoposta.

Strinsi i denti, e buttai giù tutto d’un fiato il bicchiere di tequila.

La gola bruciò, e dovetti appoggiarmi con i gomiti al bancone per non crollare a causa del leggero giramento di testa che mi colpì subito dopo.

Tequila. Disgustosa.

Già che c’ero avrei potuto anche andare a mangiare sushi per cena, così ero davvero a posto.

Ordinai un altro bicchiere, questa volta un margarita. Un minuto, e un bicchiere basso, tondo, con il bordo intaccato di sale si presentò ai miei occhi, con una fetta di limone.

Come farsi del male. Anche questo cocktail non potevo sopportarlo. Ma c’era di peggio, no?

“Ehi, Bella, Mike viene a vivere qui, non è fantastico?! Ovviamente tu non ti devi preoccupare di niente, starà in camera con me! Non ti dispiace, vero? Il proprietario del suo appartamento l’ha sbattuto fuori questa mattina e-”.

Non avevo più ascoltato nulla. Il solo nome di Mike mi aveva fatto venire un conato di vomito. Venire a vivere . Non mi aveva chiesto il permesso. Avrei dovuto arrabbiarmi. Avrei dovuto dire alla mia coinquilina Jessica che non poteva prendersi il diritto di invitare chiunque a casa mia, senza nemmeno chiedermi il permesso. È vero, principalmente era casa nostra, visto che pagavamo tutto a metà. Bollette, affitto, alimentari… no, quelli li pagavo quasi sempre io. Ed è capitato che più di una volta fossi io a dover pagare i conti della luce, del telefono, dell’acqua, anche per Jessica. Ma il suo lavoro era precario, faceva la cameriera tutte le sere a orari impossibili in un ristorante in centro, non guadagnava quasi niente… sarei stata crudele ponendole degli ultimatum. Crudele sì, ma giusta.

Posai le labbra sul bordo del bicchiere, sentendo subito il gusto acre del sale mischiato a quello del limone, usato per tenerlo appiccicato. Ingoiando il groppo alla gola passai la lingua sulla striscia di sale. Poi sorseggiai il liquido.

La gola arse. Meno di prima, ma sempre abbastanza da incitarmi a smettere di bere quella schifezza per prendere qualcosa di più fresco e normale come un bicchier d’acqua. Ma volevo dimenticare, almeno per un po’. Dimenticare di avere appena perso il lavoro, di avere una coinquilina che non aveva il minimo rispetto nei miei confronti, e di essere arrivata a un punto morto nella mia vita. Chiusi gli occhi, e bevvi tutto d’un fiato.

Venne anche il capogiro, e rimasi con i gomiti ancorati al bancone in legno scuro, con le palpebre serrate. In fondo era piacevole quella strana sensazione di oblio che provavo dopo aver bevuto dell’alcol. Non avevo mai avuto una grande resistenza agli alcolici, persino la birra aveva effetti sconvolgenti su di me; se ero fortunata, forse nel giro di qualche altro bicchiere avrei finalmente iniziato ad avere la mente troppo annebbiata per pensare.

Quando riaprii gli occhi il barista era davanti a me, intento ad asciugare un bicchiere, ma fermo a fissarmi con aria grave. Probabilmente avrà pensato che fosse il caso di chiamarmi un taxi. Non dovevo avere un gran bell’aspetto.

Nonostante il suo sguardo teso ordinai un po’ di brandy. All’inizio sembrava restio a portarmene un altro, ma alla fine cedette. Il potere dei soldi.

Mi versò un bicchiere, e si allontanò dopo avermi lanciato un’occhiata ammonitrice. Sicuramente non voleva avere problemi di alcun genere, tanto meno con gente ubriaca, nonostante le banconote che continuavo a lanciargli ad ogni ordinazione.

Lo sgabello al mio fianco si spostò, e distolsi lo sguardo dal liquido solo per lanciare un’occhiata seccata al nuovo occupante del posto. Quel locale era completamente deserto, perché diavolo qualcuno si sarebbe dovuto sedere vicino all’unica persona seduta al bancone?

Tuttavia il viso che incontrai mi fece impietrire. Quella sera volevo essere masochista, ma quello era davvero troppo.

«Brandy, giusto?», chiese, con un sorrisetto sfacciato a me tanto familiare. Il mio cuore nel frattempo aveva iniziato a fare le capriole. «Se non ricordo male tu lo odi quell’alcolico», aggiunse poi, con un sopracciglio inarcato.

Forse era colpa del troppo alcol. Forse avevo davvero bisogno che il barista mi chiamasse un taxi. Forse ero davvero masochista.

Poi mi riscossi, e abbassai lo sguardo. Grazie all’arrivo del barista a chiedergli la sua ordinazione, perché altrimenti sarei rimasta imbambolata a guardarlo.

Quando se ne andò mi schiarii la voce. «Cosa ci fai qui?».

«Sono seduto al bancone di un bar. Non ci vedo niente di strano», rispose, tranquillo.

«No», scossi il capo. «Cosa ci fai qui. In questo posto», precisai, sicura che lui mi avrebbe capita.

«Bella», sospirò. «Io vengo sempre qui. Sei tu che da allora non sei più venuta», aggiunse con disappunto.

Strinsi le labbra. «Lo sai perché».

«Per non incontrare me». Non lo guardavo, eppure ero certa che le sue labbra si fossero piegate in un sorriso amaro.

«Edward…», sussurrai, chiamandolo per la prima volta da mesi, «ti prego. Non è la serata giusta per rivangare questo discorso».

Sospirò anche lui. «Sono d’accordo».

Solo allora sollevai lo sguardo su di lui per osservarlo attentamente. I capelli ramati erano più scompigliati del solito, e incorniciavano un volto stanco, sciupato, segnato da profonde occhiaie violacee che stonavano con la bellezza dei due smeraldi che aveva al posto degli occhi. Eppure anche quelli apparivano stanchi, spenti. La loro naturale scintilla di allegria e spensieratezza che li aveva sempre caratterizzati era sparita, lasciando spazio a tenebre e malinconia. Tristezza.

I suoi occhi incontrarono i miei, e dovetti abbassarli davanti alla sua intensità. Almeno quella non è cambiata, pensai.

«Cos’è successo che ti ha spinta a venire qui?», mi chiese, bevendo subito dopo un bicchiere di whisky, appena preso. Nemmeno i suoi gusti sono cambiati.

Eppure c’era qualcosa di strano nel suo modo di bere. Conoscendolo, sapevo che non si abbandonava mai all’alcol per evitare di manomettere le sue eccezionali doti per il lavoro. Ma quella sera sembrava turbato da qualcosa di peggiore della preoccupazione per il suo impiego.

Abbassai lo sguardo sul bicchiere di brandy. Perché non rispondergli? Del resto, non avevo nessun altro a cui rivelarlo, e Jessica era la persona meno adatta con cui confidarsi.

«Mi hanno licenziata», risposi, in un fioco sussurro. Lo sguardo perso nel liquido scintillante alla luce della lampada.

Scorsi con la coda dell’occhio Edward, che si voltò verso di me. «Per quale motivo?», chiese, con irruenza.

«A quanto pare non sono abbastanza per le loro esigenze, e hanno preferito un’altra».

«È una sciocchezza», borbottò con rabbia. Mi voltai verso di lui, titubante. «È colpa di quell’idiota del tuo direttore, non è vero? Lo sapevo che non era un tipo affidabile. Scommetto che ha solo aspettato che arrivasse una nuova a cui mostrare quanto in alto potesse arrivare solo aprendo le gambe, prima di sbatterti fuori dal giornale!»

Scossi il capo. «No, Edward. Davvero… ultimamente le cose non andavano molto bene in redazione… il direttore ha fatto bene a licenziarmi», dissi, con un sorriso stentato. Perché persino a me quelle parole sembravano al tempo stesso vere e al tempo stesso false?

Vere, perché da un po’ di tempo non ero più in grado di reggere i pettegolezzi e le paranoie di quelle pettegole delle mie colleghe. False, perché allo stesso tempo avevo abbandonato la mia vita sociale per immergermi completamente nel lavoro.

Nemmeno Edward credette alle mie parole. «Sempre pronta a difendere gli altri…», mormorò. Aggiunse anche qualcos’altro, ma non capii.

Distolsi lo sguardo da lui, a disagio.

«Tu…», iniziai. Mi schiarii la voce. «Tu come stai?»

Vidi la sua mano stringersi intorno al bicchiere. «Tu come pensi che stia?»

Aveva un tono controllato; non lasciava trasparire alcuna emozione.

Mi morsi un labbro, e lo guardai. Lo sguardo fisso dinanzi a sé, le sopracciglia aggrottate, la fronte piegata da due rughe, le labbra strette in una riga dritta, la mascella serrata.

«Come una persona che ha appena commesso un errore», sussurrai, persa nella sua contemplazione. Come stava? Di sicuro non bene. Le occhiaie ne erano la prova. Anche l’espressione malinconica.

Non ero certa mi avesse sentita, poiché non mi rispose.

Temetti centrasse con il suo lavoro.

Era un medico. Un giovane cardiochirurgo di grande fama, conosciuto per la sua infallibilità e per essere arrivato al successo prima di molti altri colleghi; era quasi al pari di suo padre, Carlisle, conosciuto a livello internazionale.

Da quando aveva iniziato il lavoro come dottore in uno dei più importanti ospedali di Chicago non aveva mai sbagliato una singola operazione, per quanto ne sapevo. E io ne sapevo, fino a qualche mese fa.

Scossi il capo, tornando a contemplare il bicchiere. Non ero certa di voler arrivare fino in fondo, quella sera. Rivedere Edward, un capitolo che avrei voluto chiudere undici mesi fa, mi aveva sconvolta. Più di quanto avrebbero potuto fare dieci bicchieri di alcolici disgustosi e potenti.

«Sono in partenza», annunciò dopo alcuni minuti di silenzio, dopo aver svuotato il bicchiere di whisky. Mi lasciò spiazzata. In partenza? E per dove? Aveva un convegno? Un’operazione da qualche parte? Oppure… oppure aveva trovato una ragazza da portare in vacanza con lui?

«Per dove?», sussurrai, non certa di volerlo davvero sapere.

“Va bene, Bella, smetterò di cercarti, se è quello che vuoi davvero.”

L’aveva fatto. Non mi aveva più cercata da allora.

«Santa Monica». Fece un sorriso tirato. «Ho ancora un sogno da realizzare».

“La Route 66 conta più di duemila miglia di strada. Non appena avrò guadagnato abbastanza soldi partirò da Adam street e raggiungerò Santa Monica dopo averla percorsa tutta!”

«Vuoi fare tutta la Route 66?», gli chiesi, cercando di non lasciar trasparire tutto il mio stupore.

Sorrise. «Te lo ricordi ancora, allora».

Distolsi lo sguardo, arrossendo. Ti sei ormai arreso, Edward?

«Quanto hai bevuto stasera?»

Alzai lo sguardo, e lo vidi lanciare un’occhiataccia al bicchiere ancora pieno fra le mie mani. «Non molto. Solo un bicchiere di tequila e di margarita».

Inarcò un sopracciglio. «Avevi intenzione di bere ogni alcolico che ti disgusta?»

Arrossii. «Non sono sicura che ci sarei riuscita».

Scosse il capo. «Certo che no». Sospirò. «Forza, vieni con me», disse, alzandosi dallo sgabello e sfilando il portafogli dalla tasca dei jeans. «Ti accompagno a casa».

Non mi opposi. La testa ciondolava, e mi alzai con i piedi pesanti e indolenziti dallo sgabello.

Lasciò un paio di banconote sul bancone per il suo whisky, e uscimmo nell’aria tiepida di Chicago, alle undici di sera appena passate.

Il pub in cui ci eravamo incontrati si trovava in una zona abbastanza centrale della città. L’avevamo scovato una sera di pioggia, quando il nostro primo appuntamento sembrava destinato a fallire miseramente a causa della mia testardaggine e timidezza. Alla fine era stato lui a prendere la situazione in mano e a decidere cosa fare, mettendomi a tacere una volta per tutte con un bacio, proprio lì, vicino alle fontane del parco, sotto la pioggia ballerina.

“Insomma, la vuoi smettere di trovare scuse e allontanarti?! Non stavamo facendo niente, era solo un’amica!”

Ero appena tornata dal bagno, e l’avevo trovato vicino ad una ragazza. Una ragazza molto bella, che ci stava spudoratamente provando con lui. E lui continuava a sorriderle e darle corda. Ero uscita immediatamente dal pub, correndo oltre la strada per cercare un taxi, che sfortunatamente non riuscivo a trovare. Allora avevo deciso di passare per il parco, pur di lasciarmi alle spalle quell’uscita imbarazzante quanto umiliante.

“No, Edward. È meglio se vado a casa. Non serve che tu mi dia spiegazioni”.

Mi allontanai repentinamente, passando vicino ale fontane del parco. Le facce sugli schermi erano ancora accese, nonostante la pioggia che fino a pochi minuti prima aveva imperversato sulla città.

Edward, tuttavia, fu più rapido. Mi bloccò per un polso, stringendolo delicatamente e imponendomi di fermarmi.

Gli rivolsi un’occhiata infastidita. Cosa voleva ancora?

“Lasciami”, sibilai.

Il suo sguardo si incatenò al mio, intenso come un oceano in tempesta.

“No”, rispose, fermo.

“Edward, smettila”, dissi. Sapevo di non avere alcun diritto per fargli una scenata di gelosia del genere, eppure non riuscivo a trattenermi. “Tornatene dalla tua amica. Sembravate tanto felici insieme…”

“Oh, Dio, Bella!”, esclamò Edward, alzando gli occhi al cielo, esasperato. Feci una smorfia. “Possibile che tu non capisca che l’unica ragazza con cui voglio stare sei tu?!”

Strabuzzai gli occhi, mentre sentivo il sangue affluire violentemente alle guance. “C-Come?”

Scosse il capo, sospirando e chiudendo gli occhi. Poi il suo sguardo tornò al mio. Posò una mano sulla mia guancia, e sorrise dolcemente. “È con te che sono uscito questa sera. È con te che voglio stare”.

Già, come amica, pensai amaramente, mentre le mie labbra si piegavano in un sorriso di magra consolazione.

Ma Edward non mi diede nemmeno il tempo di dire qualcosa - c’era qualcosa da dire, ancora? - che mi aveva già preceduta.

“E non dico come amica”, aggiunse, con voce più bassa. Gli occhi verdi incastonati nei miei. Trattenni il fiato. “Non mi basta la tua amicizia, Bella. Io voglio di più”.

Sentivo l’eco del mio cuore rimbombare furiosa nelle orecchie. I polmoni erano compressi in una morsa piacevolmente dolorosa. Non ero certa della stabilità delle mie gambe; il mio corpo era come una gelatina traballante; gli unici punti che sentivo pulsare erano la guancia, premuta contro il palmo caldo e grande di Edward, e il cuore, che batteva impazzito.

Rimasi in silenzio a contemplare il suo viso, facendo probabilmente la figura dell’idiota anche a causa della colorazione bordeaux che avevano assunto le mie gote.

Le sopracciglia di Edward si aggrottarono, mostrando una ruga di preoccupazione sulla fronte. “Bella…?”, mi chiamò, probabilmente turbato dal mio prolungato silenzio.

Sentii gli occhi inumidirsi. Per quanti mesi avevo sognato che arrivasse quel momento?

Sorrisi. “Anch’io, Edward”, sussurrai, senza fiato. “Anch’io voglio di più”.

A quel punto sorrise anche lui, e unì le nostre labbra in un bacio.

 

Edward fermò la sua macchina a pochi metri dal portone del mio appartamento, dall’altro lato della strada. I pochi minuti passati in auto erano trascorsi in silenzio, mentre cercavo di tenere a freno la mia curiosità del tutto immotivata. Volevo chiedergli per quale motivo voleva partire proprio adesso. Magari aveva trovato una ragazza che era appassionata come lui di avventure…

«A quanto pare questa sera avrai compagnia…», mormorò, guardando verso un punto imprecisato al di là del parabrezza e strappandomi dai miei pensieri. Seguii il suo sguardo, notando ciò a cui si riferiva.

Jessica e Mike, intenti a baciarsi senza ritegno davanti al portone del condominio. Lui la prese in braccio, e la risata da ubriaca di Jessica risuonò fino a noi, mentre varcavano la porta per entrare.

Sospirai pesantemente. «Non solo questa sera…», brontolai più a me stessa che a lui.

«Che intendi dire?»

Feci una smorfia. «Jessica ha invitato Mike a stare da noi. A quanto pare l’hanno sbattuto fuori di casa».

«Non può farlo!». Alzò la voce, e sussultai, chiudendo gli occhi. Sapevo che la sua reazione sarebbe stata giù per di lì quella. «Bella, devi dirgli che non può restare. Sai che è un…»

«Non posso farlo», lo interruppi; «l’appartamento è anche di Jessica, e finché lui resterà in camera con lei non posso oppormi…», sussurrai, stringendo le labbra.

Vidi le sue mani stringersi con forza intorno al volante, fino a far sbiancare le nocche. «E se dovesse di nuovo…»

«No, no!», esclamai, agitandomi sul sedile. «Non lo farà più, non è più successo da quella volta!»

Edward mi lanciò un’occhiataccia. Era arrabbiato. Probabilmente come me, anche lui stava ricordando gli orribili episodi di quasi un anno fa. «Certo, non l’ha più fatto perché sapeva che se si sarebbe ancora avvicinato a te gli avrei fatto pentire di essere nato», sibilò, con gli occhi ardenti.

Scossi il capo, stringendo i pugni. «Ha imparato la lezione, ormai».

Edward sospirò, lasciando andare il volante. Si passò una mano fra i capelli, scompigliandoli ancora di più. «L’ho convinto ad andarsene da casa tua già una volta… se vuoi posso rifarlo».

«No…», biascicai, scuotendo la testa. «Non devi farlo, non sarebbe giusto». Ormai non è più un tuo problema, Edward.

Sospirò ancora.

Mi schiarii la voce, stringendo la borsa al fianco. «Grazie per stasera… e buon viaggio».

Aprii la portiera, e dopo avergli rivolto un ultimo sguardo e aver biascicato un debole saluto scesi dall’auto, lasciando il profumo che saturava l’ambiente, e tornando a respirare l’aria di Chicago. Passarono pochi secondi prima che sentii un’altra portiera aprirsi e richiudersi, ed io avevo già attraversato la strada.

«Aspetta, Bella!»

Dio, lo sapevo che rivedere Edward e parlargli dopo tutti quei mesi sarebbe stato un errore.

Mi raggiunse dall’altro lato della strada, quando stavo già cercando le chiavi del portone nella borsa. Lo guardai preoccupata, non sapendo cosa aspettarmi da lui. Del resto una delle sue innumerevoli qualità che mi avevano catturata fin da quando l’avevo conosciuto era la capacità di stupirmi ogni volta.

«Parti con me», disse, lasciandomi senza fiato. «Parti con me, e lasciati alle spalle tutti questi problemi per un po’ di tempo».

Impiegai alcuni secondi per elaborare la sua domanda. Boccheggiai, e mi guardai intorno, spaesata. «Per molto tempo…», mormorai, spiazzata da quella richiesta assurda quanto improvvisa. «Sai bene che ci metterai quasi un mese a fare l’intero viaggio solo in auto».

«Certo. Ma del resto non ho nessuno qui a casa che mi aspetta. E poi mi sono preso un po’ di ferie a tempo indeterminato».

«Edward…», borbottai, abbassando lo sguardo. «È una follia».

«Perché?», chiese, senza lasciarmi il tempo di rispondergli. «Non hai un lavoro, la tua casa sarà peggio di un ostello con quel tizio che gira per le stanze, e sono sicuro che è da mesi che non ti prendi una vacanza».

Aprii la bocca per replicare, ma ancora una volta mi anticipò.

«Potrebbe essere l’occasione per ricominciare la nostra amicizia», sussurrò. I suoi occhi verdi erano intensi, troppo intensi.

Abbassai lo sguardo, sentendo la mia corazza di freddezza e indifferenza vacillare. Non sarebbe stata per niente una buona idea. Sapevo che non sarei mai riuscita a vedere Edward come un semplice amico. Forse, tra qualche anno… ma dopo meno di un anno da quando ci eravamo lasciati quella prospettiva mi appariva troppo strana, impossibile e dolorosa.

«Non penso di poterlo fare, Edward…»

Lo sentii sospirare, e sperai di averlo convinto a lasciar perdere.

Si allontanò, dirigendosi verso la sua macchina e tirai fuori dalla borsa le chiavi del portone.

«Partirò lunedì mattina».

Mi voltai verso di lui, e lo vidi fermo sul ciglio del marciapiede, con le mani infilate nelle tasche dei jeans e un piccolo sorriso in volto. «Sarò a casa, fino ad allora. Ci penserai?»

Alzai gli occhi al cielo, e sentii un sorriso nascermi involontario sulle labbra. «Tu non ti arrendi mai…», sussurrai a me stessa. Poi fissai lui, e il suo sorriso sghembo mi fece capire che mi aveva sentita. «Va bene, ci penserò».

Tuttavia, mentre varcavo la porta di casa, sapevo già che non avrei accettato.

Non potevo rischiare di finire nella stessa sfera di dipendenza di cui ero vittima fino a pochi mesi prima. Edward era come una droga per me. Ma sappiamo tutti cosa comporta la dipendenza: alla fine, qualunque cosa sia ciò che ti fa stare bene, inizia a farti male. E questo era quello che era successo a me. Non potevo neanche solo pensare di ricascare nel turbine di confusione e sofferenza di pochi mesi prima. Per questo dovevo stare alla larga da Edward Cullen. Per questo dovevo mettere a tacere quella parte irrazionale di me che mi chiedeva di accettare il suo invito. Per questo dovevo chiudere ancora una volta il cassetto dei nostri ricordi.

 

 

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‘Giorno! :D

Alla fine non ho resistito, e ho deciso di iniziare a postare anche questa storia! L’idea per la trama mi frulla in testa da quasi due anni, da quando ho fatto il giro della Route 66, ma solo da qualche tempo ho messo insieme tutto il materiale per scrivere.

La storia racconterà appunto il viaggio attraverso gli Stati Uniti da Chicago a Santa Monica, e cercherò di essere il più possibile accurata per non scrivere castronerie XD E' la prima storia road trip che scrivo, spero di non fare disastri XD

Spero che questo primo capitolo vi abbia un po’ incuriositi :) Grazie per essere arrivati fino a qui! A presto con il secondo! :D

   
 
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