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Autore: Northern Isa    21/02/2012    6 recensioni
Dopo la sua rinascita, Voldemort incarica i Mangiamorte di raccogliere seguaci. Thorfinn Rowle e Fenrir Greyback saranno incaricati di tornare in Svezia, la loro terra natale, per convincere i Giganti ad unirsi al Signore Oscuro. Ma Thorfinn sarà costretto a confrontarsi con un passato che aveva cercato di dimenticare.
Prima classificata e vincitrice del premio originalità al contest Morsmordre di Princess of Slytherin, giudicata da saramichy
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Fenrir Greyback, Mangiamorte, Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Età di venti, età di lupi.'
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Capitolo 6

Quando uscii dalla tenda, il cielo era ancora nero, ma all’orizzonte dei fumi azzurro-violacei rischiaravano l’atmosfera. Il sole non era ancora sorto, ma non mancava poi molto.
Fenrir ed io ci scambiammo uno sguardo d’intesa: era ora di andare. La familiare sensazione di forze provenienti da direzioni diverse che premevano contro il mio corpo accompagnò la Smaterializzazione.
Quando aprii nuovamente gli occhi, lo scenario che mi si parò davanti era da togliere il fiato. Ci trovavamo sulla cima innevata di una montagna, bianca e fredda nonostante fossimo in piena estate. Intorno a noi, altre superfici nere di roccia e bianche di ghiaccio e nevischio facevano a gara per raggiungere il cielo viola. L’aria era più frizzante e rinvigorente di quella che avevo respirato a valle, desiderai avere una cassa toracica più grande per contenerla tutta. Il silenzio, in quel luogo impregnato di magia, era assoluto.
La neve scricchiolò, rompendo la quiete, quando Fenrir mosse un passo verso nord. Sapevamo grazie alle informazioni raccolte a Fagersta che gli Hrímþursar abitavano le caverne che scavavano i fianchi di quei monti. Con cautela, scendemmo lungo la parete di roccia in direzione del primo antro nero che eravamo stati in grado di scorgere. Di fronte alla bocca della caverna, il mio sangue gelò nelle vene a causa degli spifferi di aria tagliente che, contro ogni legge della fisica, provenivano dall’interno. Feci segno a Fenrir di seguirmi, ed entrambi ci addentrammo nel buio cunicolo roccioso.
-Lumos.- mormorai, accendendo la punta della mia bacchetta.
A quella flebile luce, notammo diverse gallerie diramarsi davanti a noi. Ognuna era alta diversi metri, ma quella centrale era la più larga di tutte. Decidemmo di seguire proprio quella: sapevamo che il capo di quella tribù di Jotnar avrebbe soggiornato al termine della galleria più maestosa delle altre, era il suo modo per ricordare ai suoi sottoposti la sua superiorità nei loro confronti.
Quando i miei anfibi calcarono la nuda roccia, umida a causa delle sgocciolature prodotte dalle stalattiti, mi sentii fastidiosamente piccolo.
Percorremmo diversi metri al buio, rischiarato solo dall’Incantesimo della Luce, prima di incontrare alcune torce appese alle pareti grazie a sostegni di grezzo metallo brunito. Sembrava che fossero state ricavate da interi abeti dato che ognuna era parecchio più alta di me e Fenrir messi insieme. Mi volsi a guardare il lupo mannaro: i suoi occhi erano sgranati per lo stupore suscitato dal luogo in cui ci trovavamo. Quelle torce erano la prova che quelle caverne fossero abitate, ma dei Giganti ancora c’era alcuna traccia.
Camminammo ancora per quelle che mi sembrarono ore, addentrandoci sempre più nel ventre della montagna.
D’un tratto, un fiato di vento accompagnato da un sibilo sinistro ci costrinse a fermarci. Fenrir ed io ci scambiammo delle occhiate nervose, ma non aprimmo bocca, rimanemmo in attesa, con le orecchie tese. Il sibilo si ripeté, ma questa volta risultò più nitido. Sembravano delle parole pronunciate con voce stridente. Dalla cadenza e dal suono, immaginai dovesse trattarsi di un rituale. Mi domandai se interrompere gli Hrímþursar durante l’esecuzione di qualche incantesimo fosse una buona idea, ma non avevamo scelta.
Continuammo a camminare, l’eco dei nostri passi ormai sovrastato dalle parole della cantilena, la bacchetta stretta in pugno.
Finalmente, dopo una curva a gomito della galleria, mi sentii investire da una luce intensa. Fui costretto a fermarmi e a schermarmi gli occhi con una mano, in attesa di abituarmi a quella luminosità, dopo aver camminato nel buio per tanto tempo. Nello stesso momento, la cantilena tacque: gli Hrímþursar si erano accorti che due intrusi avevano fatto il loro ingresso nella stanza del padre della tribù. Ci fu un lungo silenzio, a segnalare che gli Jotnar non si erano aspettati di venir interrotti in quel modo.
Quando avvertii che le mie pupille si erano abituate nuovamente alla luce, sprigionata da delle grandi pietre che si trovavano al centro di quell’antro, abbassai la mano dal viso e presi a scrutare gli abitanti di quel luogo. Si trattava di una mezza dozzina di esseri enormi, solo il polpaccio di uno di loro era alto quanto me. Gli Jotnar avevano la pelle nera lucida e tesa sui muscoli enormemente sviluppati, alcuni di loro avevano il torso ricoperto da pelliccia altrettanto scura. Tutti erano muniti di grosse zanne giallognole che fuoriuscivano dalle labbra serrate; gli occhi, piccoli e cisposi, erano dello stesso colore dei denti. I capelli della maggior parte dei Giganti, lisci e neri come il resto del corpo, arrivavano fino ai loro gomiti. Nessuno di loro sembrava avere un’aria particolarmente intelligente, ma io sapevo che le apparenze non dovevano trarmi in inganno: gli Hrímþursar da tempo immemore erano depositari di una grande conoscenza.
-Chi siete voi, e cosa volete? Non avete il diritto di stare qui.- fece con voce cavernosa lo Jötunn più corpulento di tutti.
Fenrir ed io muovemmo con cautela un passo nella loro direzione. Gli Jotnar più piccoli ci fissavano tendendo il collo verso di noi. Nei loro occhi, a ben guardare, non c’era diffidenza, ma solo grande curiosità.
Ricordai il tono con cui Dolohov aveva parlato ai lupi mannari e cercai di emularlo:
-Noi siamo originari di queste terre, siamo Svedesi.-
Volevo far capire al capo di quel gruppo di Jotnar che Fenrir ed io avevamo lo stesso diritto che avevano loro di calcare quel suolo, nello stesso tempo non volevo apparire rigido fin da subito.
Lo Jötunn più grosso di tutti piegò il suo largo torace, fino a posizionare il suo viso davanti a me. Mi scrutò per qualche istante con i suoi occhi opachi, io rivolsi i palmi delle mani verso di lui, come a fargli capire che avevo intenzioni amichevoli, contemporaneamente sostenni il suo sguardo a testa alta.
-Hai un’aria familiare.- disse il Gigante, con aria perplessa.
Si ritirò presso gli altri Jotnar, che probabilmente costituivano il suo concilio di saggi, e iniziò a confabulare con loro. Diverse voci dalle più varie tonalità si accavallarono, parlando in norreno talmente rapido da impedirci di afferrare il significato di quelle parole. Non ci volle un interprete però per capire che gli animi degli Jotnar si stavano scaldando. Qualcosa stava andando storto?
-Io lo so chi è!- strillò d’un tratto uno Jötunn.
Riconobbi la stessa voce che aveva formulato quell’incantesimo fino al momento del nostro arrivo: probabilmente doveva trattarsi di una femmina.
-Tu sei il figlio di quell’uomo, Odinresk.-
Per alcuni istanti, mi mancò il fiato per respirare.
-È proprio lui!- fecero eco gli altri Jotnar, -Gli assomiglia davvero moltissimo.-
-Anzi, potrei giurare di avere proprio Odinresk davanti,- continuò la femmina, -se non fosse per i capelli biondi.-
Gli altri iniziarono ad urlare, facendo tremare le pareti della caverna quando si alzarono di scatto. Avevano ripreso a parlare in norreno, ma questa volta riconobbi una parola: hefnd, vendetta. Da come baluginarono le sue pupille, capii che anche Fenrir aveva riconosciuto quel termine.
-No, un momento!- aveva iniziato a gridare, ma il fragore prodotto dai Giganti era troppo alto.
-Sonorus!- dissi, dopo aver puntato la mia bacchetta contro la mia gola.
Con un volume di voce decisamente più alto, riuscii ad impormi sugli Jotnar e a ripristinare la calma in mezzo a loro, anche se continuavano a guardarmi con diffidenza.
-Non sono qui per vendicarmi, non dovete temere nulla da me! Il motivo della mia visita non ha a che fare con mio padre.-
Il capo degli Hrímþursar mi rivolse uno sguardo accigliato:
-Sappiamo che sei al corrente del fatto che siamo stati noi ad uccidere tuo padre, non mentire.- disse senza mezzi termini.
In virtù del riscatto dell’onore infranto, avrei dovuto vendicarmi di loro. Ma quello Hrímþursar non sapeva che il mio onore ormai risiedeva in me, nel mio essere un Mangiamorte, nel Signore Oscuro, non in mio padre.
-La vostra magia è grande, Hrímþursar.- esordii, -Non mento, so come è morto mio padre. Quello che non so è perché.-
Un movimento nervoso da parte di Fenrir accanto a me mi avvisò che probabilmente non avrei dovuto affrontare quel discorso. Gli Jotnar si guardarono perplessi, il capo poi rispose:
-Odinresk si è spinto troppo oltre. È venuto a cercarci, probabilmente avrebbe voluto derubarci delle nostre conoscenze. Ha varcato il confine che separa il regno degli uomini da quello degli Jotnar, regno in cui voi stessi ci avete relegati! Tu ti sei macchiato dello stesso crimine, perciò preparati a ricongiungerti al tuo vecchio.-
Strinsi l’impugnatura della bacchetta che avevo legato alla cintura, pronto a difendermi se ce ne fosse stato bisogno. Ma non avrei attaccato per primo: le parole del Gigante mi avevano appena dato un’idea.
Sapevo che la Scandinavia era appartenuta agli Jotnar, e che fosse stato il Ministero della Magia a relegare sui monti gli Hrímþursar e nel sottosuolo i Múspellsmegir. Avrei utilizzato l’odio degli Jotnar contro la comunità magica per portarli dalla parte dell’Oscuro Signore.
-Avete ragione.- esordii, facendo sobbalzare Fenrir, che non aveva idea di ciò che avessi in mente, -È stato ingiusto e ignobile da parte del Ministero della Magia relegarvi in questi luoghi aspri e inospitali. Un tempo eravate liberi di andare dove volevate, eravate i signori di queste terre.-
Feci una pausa per osservare la reazione del mio auditorio: gli Jotnar tacevano, scambiandosi occhiate perplesse. Capii che era il momento di rincarare la dose:
-Che diritto hanno avuto alcuni maghi di ghettizzarvi in questo modo, di allontanarvi dalla comunità magica, come se foste delle bestiacce da tenere lontane? Come si sono permessi di rinchiudere i sovrani? Tutto ciò è stato abominevole. Io non sono qui per mio padre.-
Indicando Fenrir, continuai:
-Noi siamo giunti in Svezia in rappresentanza di un mago molto potente, che si è prefissato una nobile missione: riformare il mondo magico, sovvertire l’ordine costituito che, come considererete anche voi, è sbagliato. Il Signore Oscuro vuole ripulire il mondo dalla feccia e reintrodurvi invece dei preziosi alleati, come potreste essere voi.-
-È così. Guardatemi!- intervenne Fenrir, indicando se stesso, -Io sono un lupo mannaro. Anche contro la mia specie il Ministero della Magia è sempre stato ingiusto, ci ha allontanati e scacciati come cani rognosi. È intollerabile!-
Intervenni per l’affondo finale:
-Per costruire il mondo della visione del Signore Oscuro, abbiamo bisogno del vostro appoggio come di quello dei lupi mannari. E proprio in questo mondo troverete tutti legittima cittadinanza.-

Dopo aver parlato con gli Hrímþursar e averli convinti a unirsi a noi, persuadere i Múspellsmegir, i Giganti del fuoco, fu molto più facile. Quando marciammo fuori dalle grotte scavate nel sottosuolo e illuminate costantemente dall’Ardemonio, non mi sentivo più piccolo e insignificante, come nelle gallerie nelle montagne dei Giganti di brina. Calcavo la roccia con sicurezza, seguito da un centinaio di Jotnar di dimensioni abnormi. Gonfiai il petto, soddisfatto per la riuscita della missione che Lord Voldemort mi aveva affidato, stendendo le mani, come se con esse avessi potuto sostenere l’intero peso del mondo. Mi sentivo più forte degli Jotnar che docilmente mi seguivano.
Non avendo più ragione di restare in Svezia, Fenrir ed io decidemmo di tornare in Inghilterra, accompagnati dagli Jotnar, così curiosi di conoscere la magnanimità del Signore Oscuro.
Prima di partire, fu necessario tornare a Fagersta. Camminai davanti alla casa di mio padre volgendo la testa dall’altro lato. La decisione che avevo preso era stata quella di tornare all’oblio, all’ignoranza.
Lasciai la Svezia senza voltarmi mai indietro: non aveva senso gettare un occhio al passato dietro di me, ciò che contava era soltanto un glorioso futuro al servizio del Signore Oscuro.  






NdA: un grazie speciale a Charme, EmilyBlack28, Latis Lensherr, LauriElphaba, LilyMercury e Violet Acquarius l'interesse con cui hanno seguito questa storia!
Ringrazio anche saramichy per la disponibilità che ha dimostrato salvando questo contest dall'oblio (XD), per il suo giudizio e per i premi. http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10053132&p=4
   
 
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