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Autore: Beatrix Bonnie    21/02/2012    1 recensioni
Filosofo mi chiamavano, teologo, profondo conoscitore dei misteri del creato. Io, in realtà, non sapevo bene chi ero. Non capivo dove mi stesse conducendo la mia insaziabile sete di conoscenza e vagabondavo senza meta, stanco di ogni cosa, ma instancabile nella ricerca di qualcosa di meglio. Ero uno spirito inquieto, che non riusciva a trovare la sua collocazione nel mondo.
Dublino, 1185
Al giovane intellettuale sir Gregory è stata affidata dal suo signore una delicata missione da compiere alla corte di re Gilbert del Leinster. Certo, sir Gregory non si immagina che qualcosa verrà a turbare la sua affaticata esistenza: una ragazza, la pace di un vecchio podere di campagna e il profumo di una lontana leggenda.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ciclo di Faerie'
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Liber VI




Lady Feamair fissava il suo bersaglio con uno sguardo profondo e concentrato. Il suo dito sfiorò delicatamente il piumaggio della sua freccia poi, con un movimento fulmineo e impulsivo, alzò l'arco, tese la corda e scagliò il dardo.
Il sibilo della freccia che tagliava l'aria al suo rapido passaggio, mi costrinse a chiudere involontariamente gli occhi.
Quando li riaprii, la punta era perfettamente conficcata al centro dello scudo che stavo reggendo e io ero miracolosamente incolume.
«Deo gratias!» mi lasciai sfuggire, tentando, senza riuscirci, di estrarre la freccia dallo scudo.
«Dubitavate delle mie doti di cacciatrice?» domandò Feamair, fingendosi offesa. «Riesco a centrare un cervo da cento metri».
«Non ne dubito, ma mi preoccupo più della mia incolumità che di quella di un cervo, se non vi dispiace» risposi con una certa aria scocciata per la freccia che non riuscivo ad estrarre dallo scudo.
«Lasciate fare a me» propose Feamair, scansando delicatamente la mia presa inferma. Con poche e mirate mosse, riuscì nell'impresa che mi aveva risucchiato tante energie; dopodiché mi sventolò il trofeo davanti al naso con un'irritante espressione soddisfatta. «Dovremmo rimediare alle vostre pessime qualità di lord, sir Gregory».
«Quali pessime qualità?» protestai, piuttosto offeso.
Feamair ridacchiò e mi strappò di mano lo scudo per appoggiarlo al tronco di un albero. «Oh, avanti. Siete un signore vassallo del re del Leinster. Vi potrebbero essere richiesti anche dei servigi militari».
A quelle parole scoppiai a ridere.
A me? Servigi militare?
Ma se non ero nemmeno in grado di reggere in mano una spada!
Nessun re sano di mente avrebbe mai chiesto a me di partecipare a una qualsivoglia impresa militare, a meno che non avesse voluto condannare me a morte certa e l'impresa stessa al fallimento.
Feamair però non volle sentire ragioni. Mi afferrò per il braccio e mi trascinò poco lontano dal bersaglio. Ormai farmi trascinare in assurde imprese (tipo andare ad una festa di paese o mettermi a tirare con l'arco) da lady Feamair era diventato per me un piacevole passatempo. La ragazza continuava a osservarmi con uno sguardo divertito e un accenno di sorriso sulle labbra, mentre mi spiegava come mi sarei dovuto posizionare.
«Così, sir Gregory» sussurrò, sistemando la mia presa sull'arco con un tocco improvvisamente delicato. Per un attimo, incrociando il suo sguardo, mi parve di vedere un lampo di passione nei suo occhi verdi, ma lei si voltò subito verso il bersaglio.
«Dovete sentire il potere della freccia e scoccare istintivamente il colpo» spiegò con voce sottile.
La sua mano destra scivolò sulla mia, insieme accarezzammo l'impennaggio, tendemmo l'arco e con un veloce sguardo d'intesa, mollammo la corda nello stesso momento. La freccia si inchiodò vibrando nello scudo.
«Bel colpo, sir Gregory» si complimentò Feamair, con un sorriso. La sua mano era ancora appoggiata sulla mia, alzata a mezz'aria.
I nostri sguardi si incrociarono.
I suoi occhi erano così verdi, così intensi, così profondi che ne fui rapito. Da quel preciso momento non mi importò più nulla di tutto il resto, di dove ci trovavamo, della mia missione... nulla aveva più importanza oltre a quegli occhi in cui mi ero perso.
E fu così, senza rendermene conto, che le misi il braccio intorno alla vita e la strinsi a me per baciarla. Le nostre labbra si sfiorarono per una frazione di secondo, poi anche Feamair rispose al bacio.
E furono gli istanti più belli della mia vita. Per una volta non c'era posto nella mia testa per null'altro che non fosse quel secondo di gioia rubata all'ombra di un albero; nessuna preoccupazione, nessuna speculazione teologica, nessun piano complicato. Solo noi, in mezzo alla campagna, e nient'altro.
«Sir Gregory, signore!» esclamò una voce infantile, che ruppe l'incantesimo dal quale eravamo stati rapiti.
Io e Feamair ci separammo di scatto e vidi le sue gote spruzzate di lentiggini arrossire leggermente. Ma quando arrivò da noi di corsa il piccolo Eoin, uno dei figli di Loihal, entrambi avevamo un'espressione così indifferente che nemmeno il più sospettoso degli uomini avrebbe potuto insinuare nulla.
«È tornato Lucciola, sir Gregory signore» esclamò Eoin, saltellando estasiato. «Posso dargli i semini, signor Gregory signore? Posso?»
«Lucciola?» domandò Feamair, con aria sorpresa.
Io mi lasciai sfuggire un sorrisetto divertito. «È il mio piccione viaggiatore, ma il nome non l'ho scelto io. L'ha scelto lui» spiegai, scompigliando con affetto i capelli già di per sé piuttosto arruffati del piccolo Eoin. «Dai, vai a dargli da mangiare, che adesso arrivo» aggiunsi rivolto al bimbo, che mi rispose con un sorriso smagliante e poi scappò via per correre a nutrire il piccione.
«Vi siete affezionato alla famiglia di Loihal» commentò lady Feamair, con un tono amorevole, osservando la figura del ragazzino che attraversava il campo.
Aveva ragione: non me ne ero nemmeno reso conto, ma mi ero realmente affezionato a quella famiglia e soprattutto al piccolo Eoin.
Era davvero assurdo. Per un attimo pensai che avrei potuto lasciare perdere tutto il resto per passare ciò che restava della mia esistenza a coltivare il mio piccolo appezzamento di terreno insieme alla famiglia di Loihal e con al fianco lady Feamair come mia legittima sposa. In fin dei conti, di che altro avevo bisogno?
Ma una parte di me lo sapeva: non avrei mai potuto farlo. Avevo degli obblighi da portare a termine, un signore a cui rispondere, una corte che valutava il mio agire. Non potevo fuggire da ciò che mi circondava. O, almeno, non potevo farlo impunemente. Abbandonare il mondo per ritirarsi in quell'idilliaca pace era una forte tentazione, ma Lucciola che mi aspettava alla capanna, con un messaggio del mio signore legato alla zampa, mi ricordava che un tale lusso non mi era concesso.

La vita a corte, dopo i primi mesi, cominciò a diventare monotona. Appena riuscivo a liberarmi dai vari impegni e incarichi, mi ritiravo nel mio appezzamento, dove passavo le giornate a disquisire di teologia con fratello Cormac o a passeggiare nel bosco insieme a Feamair. Mi bastava anche solo tenere la sua mano tra le mie, annusare il rustico profumo dei suoi capelli sempre arruffati al vento, osservare le lentiggini che le colorivano le gote, accarezzare le sue guance, baciare le sue labbra.
Ma sapevo che quella vita in campagna era solo una vana illusione. Io avevo un compito da portare a termine e quando lo avessi compiuto, l'incanto si sarebbe rotto. Feamair non mi avrebbe mai più rivolto la parola, quando avesse scoperto il vero motivo che mi aveva portato alla corte del re del Leinster.
Il mio obiettivo era quello di carpire i più intimi segreti della vita al castello, per poi riferirli con dovizia di particolari al mio signore. Per questo, mio malgrado, cercavo di passare a palazzo più tempo di quando chiedessero i miei incarichi da segretario. Solo quando credevo di aver raccolto informazioni sufficienti, mi ritiravo nella tranquillità della campagna.
Per il resto, lady Aoife mi aveva lasciato completa libertà di movimento all'interno del castello. E questo, oltre ad essermi utile per il mio compito, mi permetteva anche di vedere Feamair più spesso di quanto sarebbe stato conveniente per un'onesta fanciulla di corte.
Quel giorno mi stavo aggirando tranquillamente per le stanze del castello, quando un debole pianto proveniente da dietro una porta socchiusa, richiamò la mia attenzione. Poggiai una mano sul legno e la porta cigolò lentamente.
Nella stanza, seduto sul letto con il capo chino e la schiena curva, si trovava re Gilbert.
Feci per andarmene il più silenziosamente possibile, ma proprio in quel momento il ragazzino si voltò e mi vide. Un lampo di puro terrore attraversò i suoi occhi cerulei e la paura si disegnò sul suo volto. Si alzò di scatto del letto e balbettò: «Sir Gregory, voi... io non stavo...»
«Mio signore, io non ho visto niente» lo rassicurai, chinando leggermente il capo in segno di sottomissione.
Re Gilbert tirò su con il naso, ma rimase in silenzio.
Tutto d'un tratto, mi fece pena: non era certo fatto per comandare, sebbene vi fosse stato costretto dall'improvvisa morte del padre. Il peso del potere doveva averlo schiacciato.
Dopo una manciata di secondi, durante i quali nessuno dei due osò dire nulla, ritenni che fosse giunto il momento di defilarmela. Ma quando mi voltai per andarmene, re Gilbert pigolò: «Mi fa male la schiena».
«Mio signore?» domandai piuttosto perplesso, senza sapere bene cosa fare.
«Mi fa male la schiena» ripeté il ragazzino, con il labbro inferiore che cominciava a tremare per il pianto represso.
Io rimasi immobile dov'ero, incapace di reagire.
«Sono malato, gobbo e il medico dice che il mio cuore è troppo debole... sono un inetto. Mamma dice che dovrei stare dritto con la schiena, ma mi fa male» piagnucolò, inframezzando il discorso con numerosi singhiozzi.
«Mio signore, non credo che sia appropriato» farfugliai, ma in quel preciso istante re Gilbert scoppiò a piangere.
Io mi guardai intorno, completamente a disagio. Non avevo la più pallida idea di come si consolasse qualcuno, tanto meno un re, la cui madre, se ci avesse beccati, sarebbe stata capace di squartarci vivi. Ma, in fin dei conti, avevo davanti agli occhi un ragazzino in lacrime e il mio primo istinto fu quello di abbracciarlo. Il piccolo Gilbert soffocò i singhiozzi nel mio mantello, affogando la testa tra le pieghe dei miei vestiti. Io mi limitai ad accarezzare i suoi riccioli castani con imbarazzo.
Dopo qualche minuto di silenzio, re Gilbert si sciolse dall'abbraccio. Tentò di asciugarsi in qualche modo le lacrime con il dorso della mano, poi mi rivolse un timido sorriso che ricambiai a disagio.
«Vorrei non essere costretto a governare» sussurrò, levandosi la corona dal capo. Se la rigirò in mano per qualche secondo, poi la tese verso di me. «Voi lo sapreste fare molto meglio» disse, porgendomi la corona come se sperasse con quel gesto di investire me dei poteri regali.
Io indietreggiai di un passo, quasi spaventato. «Mio signore, questo compito è stato affidato a voi» risposi, tentando di incoraggiarlo.
Re Gilbert rimase con le braccia tese verso di me ancora per qualche secondo, poi le ritrasse a sé, sconfortato e rassegnato.
«Avete ragione» sussurrò in tono dimesso. «Ma vorrei tanto che questo fardello non fosse toccato a me».




Ecco qui il nuovo capitolo!
Momento romantico e momento patetico... il bacio, penso che ve lo aspettavate dalla prima comparsa di Feamair! Quanto al povero Gilbert, mi ha sempre fatto molta pena la sua figura e credo che per lui sarebbe stato facile pensare di potersi liberare del peso della corona scaricandolo su una figura molto più carismatica come quella di sir Gregory.
Inoltre, è stato rivelato il compito di Greg: fare la spia... ma la domanda ora è: per conto di chi lavora? mhuahahah!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima,
Beatrix

   
 
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