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Autore: taemotional    21/02/2012    1 recensioni
[KameDa]
"L’artista ‘Bella Copia’.
E’ così che tutti chiamavano il pittore asiatico che viveva in quel lussuoso appartamento nel quindicesimo arrondissement, ovvero in uno dei quartieri più alla moda e rinomati della città di Parigi.
In particolare, l’edificio in cui viveva lui, dava proprio sulla Senna e bastava guardare dalla sua finestra per vedersi sormontare per centinaia di metri da quello che da due secoli era il simbolo della città."
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kazuya, Koki, Tatsuya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima che potessi chiudermi la porta del suo appartamento alle spalle, lui mi richiamò.
“Dimmi”
“Ecco... se domani...”iniziò contorcendosi le mani “No, niente...” concluse in fretta, e mi sbatté la porta in faccia.
 
Una volta fuori dall’edificio guardai in alto, verso il sole che puntava allo zenit, e misi una mano sugli occhi. Continuai a fissare quella palla infuocata per diversi minuti, costringendo i miei occhi a lacrimare. A quel punto mi voltai indietro, soffermandomi con lo sguardo su una finestra aperta al terzo piano: il pittore era là e mi osservava. Sapevo che era rimasto là tutto il tempo.Dunque è così che mi dici addio?
Tornai ad incamminarmi per la mia strada dandogli le spalle.
Me ne andrò presto...?
Feci un cenno con la mano, sicuro che il pittore stava ancora guardando, e sorrisi.
 
Pomeriggio.
Camminavo spedito lungoBoulevard Saint-Germain in direzione delCafé de Flore con la mente ancora un po’ scombussolata. Era la prima volta che nei miei pensieri avevo messo in dubbio la decisione della mia partenza da Parigi, e questo mi aveva decisamente destabilizzato.
Senza rendermene conto, superai il caffè che stavo cercando, e fui repentinamente riportato alla realtà da una voce, che mi chiamò da uno di quei tavolinetti all’esterno del locale.
“Tatsuya!” gridò Tanaka con voce leggermente alterata “Dove stavi andando?”
Mi avvicinai al suo tavolo e, dopo essermi seduto ed aver ordinato un succo di frutta, diedi la colpa della mia sbadataggine al caldo.
“Metti un cappello la prossima volta... tipo... un basco!”
Lo guardai storto attraverso il mio bicchiere e poi finii la bevanda in pochi secondi.
“Comunque... non ti ho chiesto di venire qui per chiacchierare di moda, ma per comunicarti che ho deciso di interrompere qui  la nostra relazione e che ho pensato di... andarmene dalla Francia” la mia voce subì un leggero tremito.
Tanaka non mi guardava -probabilmente impegnato a cercare bei ragazzi per la strada- e fui costretto a ripetere la frase due volte.
A quel punto si voltò verso di me, violentandomi con lo sguardo.
“Dove vuoi andare?” sibilò.
“Me ne torno in Giappone e tu non verrai. Non so nemmeno quando questa nostra relazione è iniziata e perché. Ma tu non mi ami nemmeno” avevo raccolto tutto il mio coraggio e gli avevo spiattellato in faccia quella cruda verità.
Ma non trascorse nemmeno un secondo che mi resi conto del tono che avevo usato e di quello che avevo detto. Un brivido gelido mi percorse la schiena.
Tanaka si alzò di scatto sbattendo una mano sul tavolino.
“No che non te ne andrai” disse gelido e se ne andò insultando un cameriere che, involontariamente, gli aveva ostruito la strada. Fissai la sua figura allontanarsi velocemente e poi poggiai la fronte sul marmo gelido del tavolino. Sono morto...
Avrebbe ingaggiato i suoi tirapiedi per fermarmi? Avrebbe osato persino picchiarmi per impedirlo? Una volta mi aveva detto: “Non ti faccio male solo perché fai il modello e non voglio essere scoperto”
Ma questa volta non mi avrebbe risparmiato. Non c’era perdono nei suoi occhi.
Il sangue mi ribollì improvvisamente nelle vene: era giunto il momento di riavere la mia vita. Se volevo ripartire, dovevo farlo in fretta.
Mi alzai lasciando delle banconote sul tavolo e raggiunsi il marciapiede adiacente. In quel momento ricevetti una telefonata dal mio agente: osservai il mio telefono vibrare qualche secondo, poi lo spensi.
Quello era stato il primo passo verso la mia emancipazione.
 
Mi avviai verso un parco nei pressi del mio appartamento senza voglia, trascinando i piedi, mentre il sole batteva con forza sulla mia nuca.
Senza sapere il perché, mi tornarono in mente quei tre boccioli di fiore di loto. Loro sì che avrebbero bisogno di questa luce per fiorire, pensai sorridendo. E invece erano tenuti in un angolo, dove nemmeno la luce artificiale di quel faro riusciva ad arrivare per farli dischiudere.
Mi venne improvvisamente voglia di tornare nel suo appartamento. Così, senza un motivo particolare, giusto perché volevo sapere se fossero infine sbocciati. Avevo sentito che il momento della fioritura di una ninfea durava pochissimo, al massimo due o tre giorni. Chissà se vale la stessa cosa anche per i fiori di loto...
Magari avrei potuto chiederglielo.
Ecco, in quel momento avevo trovato una scusa per tornare da lui. Una scusa? Mi serviva una scusa?
Sì, mi serviva. Altrimenti perché sarei andato? Non certo per rivedere lui.
Ecco, pensai, vado a salutarlo prima della partenza, e mi scuserò per averlo fatto lavorare al mio ritratto per niente.
Con questo pensiero cambiai direzione, e mi diressi alla volta del mio appartamento.
Non c’era nulla di male ad andare a salutare come si deve una persona prima di dirgli addio per sempre, no?
Girai la chiave nella toppa del mio appartamento.
E poi potrebbe pensare male se domani non dovesse vedere il mio manager... mi odierebbe per avergli fatto sprecare tempo.
Entrai e mi immobilizzai di colpo, cancellando dalla mente ogni pensiero inutile e tornai alla realtà: il mio appartamento era completamente sottosopra.
Non c’era più alcun oggetto sopra agli scaffali, le sedie e i tavoli erano capovolti, e i libri erano stati tirati giù dalla libreria e sfogliati con talmente tanta foga da avere la maggior parte delle pagine strappate.
Mi chinai a raccoglierne uno, il mio preferito.
Chi poteva essere stato? Tanaka, senza alcun dubbio.
Un brivido gelato percorse la mia schiena.
Tirai fuori dalla tasca dei jeans il mio portafoglio con dentro i documenti personali. Il passaporto era là dentro e Tanaka stava certamente cercando quello.
Mi tremavano le mani, feci un respiro profondo. Dovevo andarmene da quella casa, nascondermi in modo che lui non avesse potuto più trovarmi.
Presi una borsa e ci spinsi dentro quante più cose potevo, fino a dover sforzarmi per poterla chiudere, poi chiusi a chiave -anche se sapevo non sarebbe servito a molto- e infine uscii fuori col volto coperto da una sciarpa.
Per un secondo mi guardai intorno, in seguito mi feci forza e lasciai che le mie gambe mi guidassero, mentre la mente era inabissata chissà dove.
 
Come potevo prevedere, mi ritrovai davanti all’edificio del suo appartamento.
Che sta facendo lei qui intorno?
Volsi lo sguardo all’entrata. Era Kazuya che usciva in quel momento con una grossa borsa a tracolla.
Guardi che chiamo la polizia
Restai un secondo immobilizzato, poi realizzai e mi scoprii il volto.
“Sono io...” dissi con voce sottile e lui sobbalzò.
“Ah! Non ti avevo riconosciuto... cioè... non mi sarei mai aspettato... nel senso...” iniziò a balbettare, completando le frasi con voce talmente bassa da non riuscire a sentirne la fine.
Mi avvicinai guardandomi intorno.
“N-non l’ho finito il ritratto...” disse ansioso “Ma per domattina sono sicuro che...”
“Non sono venuto per questo...” lo interruppi e poi feci un respiro profondo “Posso restare da lei per un po’?”
Kazuya mi osservò a bocca aperta, poi si riscosse cercando, forse, un po’ della sua professionalità.
“Ora devo andare a casa di un mio cliente per un dipinto... tornerò presto, tu aspettami di sopra” disse rapido e, dopo avermi dato in mano le chiavi, corse via.
E’ tutto qua? Forse non aveva ben capito cosa intendevo io per quell’ “un po’ ”.
Entrai nel suo appartamento con la paura che Tanaka avesse potuto seguirmi. Richiusi veloce la porta alle mie spalle e abbandonai la borsa in un angolo.
Il suo studio era tornato ordinato e a terra non c’era più l’ombra di quegli schizzi strappati. Anche il divano era ancora dov’era, col suo colore imponente, e la vaschetta dei fiori di loto giaceva nello stesso posto. Mi avvicinai e sorrisi, poi la tirai su con entrambe le mani e la appoggiai al davanzale di una delle finestre.
Il sole era ormai prossimo a tramontare, ma c’era ancora un po’ di luce.
“Ecco, così il vostro colore potrà diventare brillante” sussurrai e lasciai che il mio sguardo si perdesse tra le grinze della Senna.
Improvvisamente qualcosa si mosse. Il mio cuore smise di battere. Qualcuno mi spiava.
Mi raggomitolai veloce accucciandomi a terra, la schiena premuta contro il muro. Tanaka?
Mi aveva seguito, scoperto, e ora anche Kazuya era in pericolo. Portai una mano tra i capelli e scossi la testa veloce. Feci per alzarmene -sarei fuggito, prima di poter coinvolgere anche lui- ma qualcuno fece rumore dietro al portone d’ingresso e io rimasi congelato a terra. Percepii il suono della chiave nella toppa e il cigolio dell’uscio che si spalancava.
“Tatsuya?” disse Kazuya allarmato “Mi ero casualmente portato dietro le chiavi di riserva e... ma, cos’è successo?”
La tensione si sciolse in una lacrima. Kazuya si avvicinò velocemente inginocchiandosi di fronte a me.
“Hey!”
Scossi la testa sorridendo.
“Me ne devo andare” feci per alzarmi ma Kazuya mi abbracciò costringendomi a restare a terra.
“C-che sta facendo?” balbettai arrossendo.
“L’altra volta non sono riuscito a tenerti qui... ma ora non lascerò che tu te ne vada di nuovo”
Sbarrai gli occhi. Che sta dicendo?
“Mi prenderai per pazzo,” continuò a sussurrarmi all’orecchio “Ma non sai quante tue sfilate sono venuto a vedere...”
Eh?
“La prima volta che ti ho visto” continuò “Era ancora autunno... all’iniziò credevo fossi occidentale ma poi cercando tue riviste mi sono ricreduto... e oggi ho scoperto che sei addirittura giapponese. E’ proprio strano come si sappia così poco dei modelli che sfilano per i grandi stilisti.”
Fece una pausa e con il pollice asciugò quella mia lacrima che era rimasta intrappolata sul mento “Odio il mio paese. Scusa se ti ho trattato male quando l’ho saputo...”
“E io odio la Francia. Me ne voglio andare” replicai io, cercando di tenere a bada il mio cuore.
Il pittore mi fissò negli occhi: non come aveva fatto Tanaka, ma con dolore. 
“Te ne vai?” chiese, e il suo sguardo viaggiava malinconico sul mio “Non ora che ti ho trovato...”
Ma cosa sta dicendo? Così, tutt’a un tratto si stava dichiarando a un perfetto sconosciuto?
Lo guardai spaventato.
“Ho capito...” disse lasciandomi e sospirò abbassando il viso “Quando hai intenzione di partire?”
“Non lo so... il tempo di trovare un po’ di soldi” risposi, quel suo sguardo addolorato mi stringeva il cuore “E, finché non l’avrò fatto... ecco... le volevo chiedere se potevo restare da lei. Lei è l’unico che conosco a Parigi”
Oltre a Tanaka...
I suoi occhi brillarono.
 
Infine, non avevo potuto fare a meno di coinvolgerlo.
 
Senza uscire da casa, restai da lui una settimana.
Il mio dipinto, completato, rimase fissato sulla parete bianca del suo studio per tutto il tempo.
 
Anche dopo essere venuto a conoscenza della mia omosessualità, Kazuya non mi sfiorò nemmeno con un dito. Lui sul suo letto, io sul divano rosso.
Un giorno gli avevo addirittura parlato di Tanaka descrivendolo come un ragazzo possessivo, che avevo lasciato a causa della sua gelosia, e nient’altro. Il suo, il mio, il nostro passato doveva restare ignoto. Non potevo coinvolgerlo ancora di più.
Kazuya mi chiese più volte come avrei potuto trovare dei soldi se fossi restato tutto il tempo chiuso in casa ad osservare i fiori di loto che, lentamente, sfiorivano. “Ho dei contatti... faccio delle telefonate...” gli dicevo, rassicurandolo che tutto andava secondo i piani. In verità, avevo solo bisogno di far passare un po’ di tempo per far calmare le acque e poter lasciare il paese indisturbato.
Eppure, quella sensazione di essere osservato, spiato, braccato da vicino restava dentro di me e aumentava ogni minuto che passava.
Kazuya notava questa mia agitazione e non diceva nulla. Soffriva anche lui, in silenzio.
Ma cosa potevo fare io?
“Mi dispiace...” gli dissi il settimo giorno, prima di andare a dormire.
“Di cosa?”
Provavo pena per lui, forse mi stavo affezionando.
Era seduto sul letto, mi avvicinai e passai una mano tra i suoi capelli. Si irrigidì.
Ti sto coinvolgendo in qualcosa di troppo grosso... questa calma è troppo irreale... succederà qualcosa, presto, avrei voluto dirgli e invece restai in silenzio.
Sorrisi lascivo e mi sedetti su di lui.
“Cosa fai?” sembrava si fossero invertite le parti. Lo baciai, con lo stesso desiderio che avevo letto nei suoi occhi quel giorno della fioritura dei fiori di loto, una settimana prima.  
Non disse più nulla e si lasciò trascinare sotto di me, gemendo solo, ogni volta che esploravo una zona del suo corpo che non avevo ancora sfiorato.
Mi dispiace...
Intrufolai le dita nei suoi slip e lui serrò gli occhi. La sua erezione era già gonfia.
Mi dispiace...
Per tutto il tempo tenne gli occhi chiusi. Cosa ti stai immaginando in quel buio? Un mio sorriso sincero?
La sua voce era sincera, il suo corpo puro. Lo stavo violentando?
Eppure questo era tutto quello che potevo fare per lui. E lui lo sapeva.
Mi dispiace...
Invece, avrei tanto voluto dirgli ‘ti amo’.

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Continua....
   
 
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