Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: _Misery    21/02/2012    1 recensioni
- Credo proprio di aver bisogno di una cioccolata calda.
Una voce soffice s’alzò alle sue spalle, fluttuando sino a lei. Mary lasciò il letto della povera signora Hoffman (che per quasi due ore non aveva fatto altro che vorticare gli occhi in maniera angosciante), si volse lentamente e ne fissò il biondo proprietario: Gilderoy Allock, cartella numero 22680, ricoverato al quarto piano da quasi tre anni.

Gilderoy Allock/Nuovo personaggio: ovvero, la storia un po' complicata senza eroi, al massimo qualche catetere!
[ temo che aggiornerò tardissimo! ]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve!
Niente di particolare da dire se non che, cavolo, quanto tempo! Tra l'altro ho appena passato una di quelle settimane mensili post-ciclo in cui pare di combinare solo schifezze (un po' come si sente Mary, ecco). Fortuna che per la maggior parte si tratta solo di paturnie che se ne vanno con un po' di pazienza... (e magari ritrovando la canzone adatta!)
Be', sperando di non aver commesso troppi errori - sonno e influenza in arrivo XD - fuggo!


 


Strade

Mary, non Polly!



 

I might be mistaken I know
But hey we need to be somewhat
Foolish, feebleminded, wrong and senseless
Agnes Obel, "Avenue"






All’infermiera Cochalsky ci volle un bel po’ di tempo, per respirare e lasciare che il cuore tornasse della giusta dimensione: un mattino insonne, schiacciato e costretto dal peso del mondo e delle sue pareti, due pomeriggi di malattia – sebbene “temporaneo disagio interiore”, lo sospettava, non fosse una giustificazione valida –, una notte d’abbandono; quando la luce tornò a fendere il cielo di polvere, però, Mary si alzò e credette d’aver dimenticato tutto, o quasi. Qualcuno – sua madre, forse – le aveva detto che la sua testa era una spugna, e che un lavoro come infermiera l’avrebbe di certo uccisa: non era propriamente sbagliato, ma Mary sapeva anche farsi di plastica, languire, aspettare la soluzione. Era sopravvissuta al mondo per circa vent’anni, e quel giorno compì un tragitto ben più lungo dei diciassette passi che separavano il suo letto dal bagno o dalla cucina; mentre la radio Babbana in camera strepitava una canzone di Jeff Buckley, riuscì persino a sistemarsi i capelli e a passarsi sugli occhi qualcosa che somigliava vagamente ad un velo d’ombretto.
Che sciocca, si disse, eppure sorrideva un po’; tornò allo specchio, frantumando per sbaglio il cerchietto della Strout con una pantofola, e legò i capelli: meglio non tentare troppo la sua nuova autostima, per il momento. Cinque minuti più tardi, s’era stretta nei suoi vecchi stivaletti e in un maglione d’un confuso color lavanda ed era scesa in strada, meravigliandosi di come ogni problema si fosse dissolto in un mattino, in mezzo alle lenzuola e al traffico londinese: il suo umore seguiva il tempo e le nuvole, Mary se ne convinse, e con quella stessa mezza allegria s’infilò in una bottega ombrosa alla fine del marciapiede. Un ragazzo dall’aria annoiata e un vistoso neo sulla guancia sinistra alzò la testa dal pugno, di scatto, ma lei non vi fece caso: in un attimo fu alla scansia che s’affacciava sulla vetrina, malferma, e strinse un piccolo taccuino tra le mani, carezzandone la minuscola copertina rosa cenere. Solitamente entrava in posti simili per distrarre un po’ quei commessi malinconici, eppure non capì: dopotutto a lei non sarebbe servita, ormai.
- Mi scusi, potrebbe impacchettarlo? – chiese, all’improvviso, e indicò un cilindro di sgargiante carta verde. – Con quella laggiù?
Il commesso s’impuntò sulla schiena, guardandola con quello che Mary interpretò come sospetto; lei gli sorrise di rimando, e il ragazzo parve sgonfiarsi.
- Certo – mugugnò, con la voce roca di chi non parla spesso (o non riceve clienti, forse); avvamparono entrambi, mentre l’uno s’impegnava a confezionare l’agenda e l’altra si avvicinava ad osservarlo, sorridendo al pensiero che avrebbe potuto facilmente aiutare quelle sue mani impacciate con la bacchetta.
- Grazie mille – mormorò infine, comprando anche il resto della carta e infilandola nella borsa con un Engorgio, non appena ebbe trovato un angolo solitario. La strada l’aveva riaccolta col rombo dei clacson festanti nei propri viaggi, e a lei non rimase che schivare la metropolitana e seguirla, fino all’Ospedale. Canticchiava, suoni senza parole né senso tra le labbra, mentre la luce scintillava sulle distanze parallele della folla; Mary la guardò dissolversi lontano, oltre il fiume e vicino all’orizzonte, prima di svoltare nella foschia dei vecchi magazzini.
- Buongiorno – mormorò, assorta, svanendo nel nulla del Purge; il manichino inclinò leggermente la testa nuda, e Mary tirò un sospiro di sollievo solo quando Seth prese il suo posto.
- Ma guarda un po’ chi torna al nido – ghignò lui, stiracchiandosi vistosamente; Mary schivò per un pelo un’energica pacca sulla spalla.
- Dimmi che Lottie non ha i miei stessi turni, di nuovo – sospirò, e già cominciava a rimpiangere l’asfalto tiepido, il negozio, il suo appartamento.
Seth si chinò a guardarla, gli occhi socchiusi e brillanti come solo quelli di un giovane egiziano sagace potevano essere. – E perché mai vorresti saperlo?
Perché sono una sua collega. Perché lavoriamo sempre insieme da quando siamo entrate qui. Perché non riesco a togliermela dai piedi.Mary tentò invano di domare tutto quel fermento nel suo cervello. Perché è insopportabile e piena di lentiggini, persino sulle braccia. Perché potrebbe smontarmi in cinque secondi anche oggi che mi sono svegliata tanto bene, perché…
- Così – rispose, stringendosi nelle spalle; sperava che reggessero per un altro po’, almeno.
- Ah. – L’espressione astuta di Seth rimase esattamente dov’era, fissa e impassibile. – Certo. Sì, comunque, Charlotte è già su e non sembra di buon umore. Oggi avete una sorpresa, tra l’altro.
- Mi sto esaltando, ti avverto.
- Immaginavo. – Stavolta Seth sorrise veramente, passandosi una mano sulla fronte. – Ma non è niente di che, solo un’altra infermiera. Sostituisce la Smith che ha saggiamente deciso di tornarsene al primo piano, ecco tutto.
- Saggiamente – ripeté Mary, allontanandosi; la tiritera dei saluti ai ritratti riprese come al solito, mentre saliva fiaccamente le otto rampe di scale che la separavano dal quarto piano (eppure Sir Robert non c’era, pensò, probabilmente stava tentando di affascinare la vecchia Derwent un’altra volta), e lei si tuffò a cambiarsi prima che Charlotte potesse agguantarla e trascinarla da qualche parte.
Sono contenta che la mia adorabile collega non sia di buon umore, oggi, si disse, richiudendo i bottoni del camice senza saltarne nemmeno uno; quando alzò gli occhi allo specchio, però, il suo volto era ormai irrimediabilmente contorto in un’espressione sarcastica, e dovette deglutire a fondo per non uscire con quella faccia da megera.
- Mi saluterà a braccia aperte – mormorò, infilandosi di nuovo nelle pianelle assassine, ma un tonfo metallico la fece sobbalzare: qualcuno aveva appena richiuso il proprio armadietto, in fondo alla stanza, e Mary si ritrovò a fissare con orrore gli occhi neri e infuocati dell’infermiera Seymour.
- Cochalsky – fece Charlotte, minacciosa e in controluce, portandosi le mani ai fianchi molto lentamente. – Parlavi con qualcuno?
Mary tirò fuori il sorriso più angelico che potesse simulare, ma gli angoli della sua bocca già tremavano. – No, certo che no, non c’è nessuno – disse. – A parte te – aggiunse, chiudendo il suo sportello con più delicatezza. Sono morta.
Charlotte si avvicinò col suo passo ondeggiante e, per un attimo solo, Mary pensò seriamente di richiamare Seth.
- Immagino tu sia stata molto malata, cara. – L’infermiera Seymour parlava col tono basso e attraente delle belve che ringhiano, pronte ad attaccare; Mary deglutì di nuovo, chiedendosi da dove mai le fosse uscito quello stupido (quanto inquietante) paragone. – Non ci si vede da un po’.
- Effettivamente. Come… com’è andata, in questi giorni?
Charlotte si voltò di scatto, infrangendo all’improvviso tutta la gelida calma di cui s’era ricoperta; le sue guance erano tanto rosse che Mary non riuscì più a trovarvi alcuna efelide.
- Com’è andata, Mary? – ripeté, furiosa, precedendola fuori dallo stanzino. – Com’è andata? Io… ascolta, ti hanno detto della nuova infermiera? Probabilmente ha trovato la licenza in una Cioccorana o chissà che altro, perché sembra abbia cinque anni, – e si fermò di nuovo, profondamente indignata, muovendo l’indice destro davanti al naso di Mary – non fa che ridere come una povera demente ed è completamente incapace. Ti giuro che non so più a chi badare, se ai pazienti o a lei.
Mary chinò lo sguardo, muto quanto inutile rimprovero alla durezza della collega. Si chiese se non sparlasse così atrocemente anche di lei, qualche volta.
- Tra l’altro, è da un po’ che Allock se ne sta tutto contento al suo posto – riprese Charlotte, impassibile, e l’altra trattenne un sorriso soddisfatto. – Blatera di persone che misteriosamente s’innamorano di lui, ma io vorrei proprio sapere chi è quel deficiente che gli ha restituito le foto. Ma stai bene, Cochalsky?
E in verità, pallida e immobile com’era – e c’è da considerare che spesso, in un luogo come il San Mungo, chi se ne rimane fermo nel bel mezzo di una corsia rischia la vita –, Mary non aveva un aspetto rassicurante; l’infermiera Seymour la scosse un paio di volte, scrutandola in piena luce con un’espressione incuriosita che non le piacque affatto.
- Sembri un panda, caspita, hai gli occhi pesti – aggiunse, confusa.
- Oh. – Mary capì che stava parlando del suo misero tentativo di truccarsi (e per cosa, poi?) e mosse la testa in quello che, probabilmente, voleva essere un cenno d’assenso; ma non esiste nulla di più facile da turbare di una mente che si sveglia serena, lo sapeva benissimo, e l’unica cosa che riuscì a sperare fu che il pavimento si aprisse all’istante sotto i piedi di Charlotte, o che qualche pazzoide la Schiantasse alle spalle – perché lei desiderava solamente voltarsi e andarsene, senza un’altra parola. In effetti, fu quello che fece, sebbene l’unico posto in cui rifugiarsi fosse il reparto mentecatti.
- Comunque la Strout non si fa più vedere da un po’ di giorni – cinguettò Charlotte, dietro di lei, come se non l’avesse mai involontariamente offesa. – Dicono che stia ingrassando come una balena, il che non mi stupisce, sai… e sta diventando più scema di quanto non lo sia già, peraltro, che brutta stor... ehi, Skeeter! Schiodati da quel paziente e vieni qui, sbrigati!
Mary avrebbe tanto voluto chiedersi perché mai Charlotte fosse divenuta ancor più autoritaria, ma di colpo ebbe la stranissima quanto spiacevole sensazione che il suo cervello si fosse appena interrotto, lasciando quel tremendo ronzio a riempirle la testa e giù, fino allo stomaco – perché la Skeeter, e doveva supporre che fosse lei l’ennesima nuova infermiera, era una deliziosa ragazzina con un delizioso sorriso nel pieno di una deliziosa (a quanto poteva vedere) conversazione con Allock, in fondo alla stanza. Nel vano tentativo di comprendere quell’assurda reazione, Mary strinse convulsamente le mani nelle tasche: riusciva ancora a sentire il minuscolo regalo nella sua brillante carta verde, là sotto.
- Ah, quasi apprezzo la tua compagnia, se la guardo – mormorò Charlotte, mentre la ragazza si avvicinava a piccoli passi. Mary osservò quel suo caschetto color miele, gli occhi grandi e lucidi come mandorle perfette, il nasino alla francese, e le sembrò un passerotto dal becco forse un po’ troppo largo – un passerotto che si stava pericolosamente avvicinando al leone.
- Sì, Charlotte? – trillò la ragazza, intrecciando le mani dietro la schiena.
- Infermiera Seymour – ringhiò lei, eppure riuscì a scostarsi un ciuffo di capelli dal viso con incredibile noncuranza. – Non mi piace per niente l’idea che i nostri nomi inizino con la stessa sillaba. – Poi ignorò volutamente l’espressione accigliata della Skeeter e si rivolse a Mary, indicandola col palmo della mano: – In ogni modo, come ti dicevo, lei è la nuova arrivata, Chandra Skeeter… –
- La sorella più piccola della giornalista, Rita – aggiunse la ragazza, aprendosi in un sorriso fulmineo; Mary ritenne opportuno mostrarsi sorpresa, per quanto quella parentela non le sembrasse poi tanto fortunata. – E tu devi essere Polly, non è vero?
- Polly? – ripeté Charlotte, alzando le sopracciglia. – Oh, non essere sciocca – esclamò, incrociando le braccia al petto; la sua seccatura era fastidiosamente palpabile. – Lei si chiama Mary, non Polly! Come diavolo te ne sei uscita?
Il sorriso di Chandra s’incrinò pericolosamente, e Mary capì che doveva intervenire: dopotutto, sapeva benissimo che l’irritazione di Charlotte, in parte, era colpa sua.
- Avanti, infermiera Seymour – disse, evitando accuratamente di chiamarla per nome – in fondo Polly è una specie di vezzeggiativo per M…
- Me l’ha detto Gilly… il signor Allock, ecco – l’interruppe Chandra, rossa fino alle orecchie, e le sopracciglia di Charlotte ricaddero di colpo. – Mi stava parlando di un’infermiera con la coda di cavallo e l’aria un po’ stanca che non veniva ad aiutarlo da un po’… credevo fossi tu – aggiunse, rivolgendosi a Mary. – E ti ha chiamata proprio Polly, per ben tre volte.
L’infermiera Cochalsky percepì chiaramente il suo cuore sprofondare, ancora, lì dove non sarebbe riuscita a recuperarlo tanto facilmente; sfiorò la punta della coda senza volerlo, mentre Charlotte spezzava il fruscio delle sue orecchie con una risata sprezzante.
- Se lo dici tu, Skeeter – ghignò, raggiungendo un letto più avanti.
Mary si sforzò di sorridere, ma le sue labbra rimasero sospese, immobili, quando vide che Gilderoy Allock stava agitando freneticamente una mano per salutarla.
 

 

*



 
  - Ora dei pasti, Mary!
L’infermiera Cochalsky salutò l’arrivo del mezzogiorno con un sentimento molto simile alla gioia: in verità, avrebbe preferito preparare vassoi fino alla nausea o passare il resto del tempo a giustificare le proprie assenze in Direzione, piuttosto che rimanere inchiodata al letto di Agnes, Catwoman, tentando di capire quale dannata parte del corpo le dolesse – e il tutto con l’irritante sottofondo delle risate di Chandra Skeeter, che civettava allegramente con lo Smemorato. Mentre lottava per liberarsi dalla presa della donna gatto e, infine, seguiva Charlotte fuori dalla camera, Mary si chiese se quei due non si stessero abbagliando a vicenda, in mezzo al pulviscolo opalescente di gennaio; un conto era che fosse la Strout a coccolare il signor Allock, poi, e tutt’altro era che fosse Chan…
Fortunatamente, il peso di qualcosa fra le sue braccia la riportò alla realtà: Charlotte le aveva appena rifilato un vassoio, borbottando qualcosa mentre lo riempiva di piattini, bicchieri e yogurt con piccoli e stizzosi colpi di bacchetta. Mary tentò di scacciare quell’ultimo pensiero come fosse stato una misera, del tutto insignificante cartaccia, ma sentì il collo pizzicarle in modo sgradevole e pregò che l’altra non se ne accorgesse.
- … gente del genere – stava finendo di dire Charlotte, e l’infermiera Cochalsky dovette riscuotersi di nuovo: quando rimuginava (e quando, appunto, rimuginava per non rimuginare), ogni altra percezione si assopiva pericolosamente.
- Cosa, scusa? – disse, prima di rendersi conto dell’errore: l’infermiera Seymour odiava non essere ascoltata, e odiava ancor di più che tutto ciò fosse evidente; stavolta, però, si limitò a richiudere con attenzione la credenza da cui aveva estratto qualche budino amorfo, mentre Mary si concentrava sull’arredamento della piccola mensa del quarto piano per non distrarsi ancora.
- Dicevo – riprese Charlotte – che persone come la Skeeter… e sua sorella, d’altronde, ma questo è un altro discorso… sono totalmente inaffidabili. Hai visto anche tu quant’è irritante, no? Continua a dire che quello scemo di Allock è sempre stato il suo mito e che non avrebbe mai immaginato di potergli stare tanto vicino e bla bla bla, – a Mary quel particolare era sfuggito, e non era poi tanto sicura di volerlo ascoltare – ma non fa altro. L’hai mai vista cambiare le bende alla Mummia, forse?
- Quello l’ho fatto io – mormorò l’infermiera Cochalsky, stringendosi nelle spalle; Charlotte chinò leggermente il capo, come se si fosse ritrovata d’accordo su qualcosa cui non aveva ancora pensato.
- Ecco – disse, mentre i vassoi le sfilavano caoticamente davanti, dritti al reparto mentecatti. – È perfettamente inutile – aggiunse, uscendo.
Di colpo, Mary si ricordò del regalo: adesso che tutte le altre infermiere avevano lasciato la mensa, lo tirò lentamente fuori e rimase a fissarlo con aria malinconica. Aveva semplicemente pensato che, dati i suoi recenti progressi con l’alfabeto e la scrittura, al signor Allock un’agenda sarebbe potuta servire – o piacere, se avesse avuto particolare fortuna; in quel momento, però, le parve un oggetto troppo piccolo e sciocco.
Una caccola.
Senza poterlo controllare, un mucchio d’altri pensieri infausti germogliò nel suo cervello come inutili erbacce: se pure avesse voluto, ormai sarebbe stato difficilissimo consegnarli il regalo senza essere notata; e come avrebbe potuto giustificare una cosa del genere? Come diavolo era arrivata a quel punto, poi? Non era quel che aveva fatto (assolutamente contro le regole, per di più), ma ciò che era diventata a sconcertarla: e tutto per qualcuno che, prima di ridursi come un perfetto idiota, si diceva avesse ingannato, e augurato a sua volta quello stesso oblio a chissà quanti altri…
- Infermiera Cochalsky, va tutto bene?
Mary alzò gli occhi dal vuoto in cui li aveva immersi: il cinguettio di Chandra l’aveva colta alla sprovvista, e non riuscì a nascondere il regalo in tempo; a nulla valse rispondere che stava benissimo, perché la ragazza le fu subito accanto e le strappò il pacchetto dalle mani.
- E questo cos’è? Che colore orribile! – esclamò, mentre una miriade di riflessi metallici le illuminava il volto; Mary notò ch’era rosso, come se avesse passato le ultime ore a ridere a crepapelle. – È suo?
Mary deglutì.
- Oh, no, affatto – bofonchiò, ma le sembrava di aver inghiottito pietre. – L’ho… io l’ho semplicemente trovato di sotto, deve averlo portato qualcuno… hanno detto che era per il signor Allock – aggiunse, con una smorfia.
- Per Gilly? – strillò Chandra, portandosi il regalo davanti alla bocca per nascondere lo stupore. – Cielo, ne sarà felicissimo!
Mary roteò gli occhi al soffitto con un sospiro: per una volta, una volta solamente, si trovava d’accordo con Charlotte. Avevano un’altra Strout, con l’unica differenza che la Skeeter possedeva due irresistibili occhioni adoranti, e si sarebbe certamente rivelata una convivenza difficile.


   

*


 

Non se n’era mai accorta, ma la sua formazione da infermiera l’aveva profondamente influenzata: non appena si fu chiusa nel bagno più piccolo dell’Ospedale, Mary cercò invano di trovare una spiegazione plausibile a quell’angoscia che le stava rosicchiando i polmoni.
Stress, ansia, nausea, si disse – eppure, tutto ciò di cui era sicura era la sua immobilità raggelata, e quel paio di lacrime che s’impedivano di scendere a darle un po’ di sollievo –, ci sei ricascata, Mary. Ore di sonno insufficienti… quello stupido avrà ricevuto il mio regalo dalle sue mani… influenza, batteri, gelos…
La porta si spalancò davanti ai suoi occhi, e l’infermiera Seymour apparve tra lo specchio e le sue ginocchia. Mary pensò stancamente che non avrebbe mai avuto pace e che, diamine, non era rannicchiata accanto ad un water che avrebbe voluto farsi trovare, ma le bastò l’espressione tempestosa di Charlotte per farla scattare in piedi.
- Ecco dov’eri, maledizione! – esclamò Lottie, una mano sul petto per riprendere fiato.
- Pensa se non fossi stata io, che figura avresti fatto – mormorò Mary, sarcastica, e la scostò per uscire.
- Non fare la spiritosa con me, Cochalsky, ti ho cercata per quasi tutto l’Ospedale… non è proprio il momento. – Mary si voltò a guardarla e Charlotte inspirò a fondo: vederla tentare di calmarsi era tanto incredibile quanto raro. – Ho saputo che tra qualche giorno arriverà il sostituto della Strout e ho la vaga impressione che allora sì, dovremmo metterci tutte in riga… ma non è questo il problema, e non lo è nemmeno il fatto che grazie a quella ragazzina qualcuno è riuscito di nuovo a infrangere le regole… mi è successo un pasticcio, Mary. – Senza rendersene conto, Lottie si sedette esattamente dove, poco prima, si trovava Mary, e lei tornò indietro. – Mio fratello è un… un disastro, lo sai, e sai anche che ha un’insana passione per qualsiasi cosa sia esplosiva o anche solo infiammabile… Seth mi ha appena detto che ha chiamato e ha… accidenti, Mary, sono circondata da gente idiota! Mio fratello ha quasi distrutto il nostro appartamento e ha già trovato posto da un suo amico, e io mi chiedevo se potessi stare da te… se non ci sono problemi, ovviamente, ma non saprei proprio a chi rivolgermi! Sarà questione di qualche giorno e lo ucciderò al più presto, giuro.
Charlotte alzò il viso pallido per guardarla negli occhi, e Mary capì quale sforzo fosse, per lei, mandare in frantumi il suo orgoglio e chiederle aiuto.
Oh, no.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: _Misery