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Autore: La sposa di Ade    22/02/2012    3 recensioni
Volute di fumo si innalzavano dalla macerie di quella che una volta era stata la capitale più fiorente del mondo degli Umani, l’ immensa e sfarzosa Ethis era ora ridotta a un campo di battaglia per un’ ultima guerra.
Una figura, pallida e barcollante, affacciata alla finestra della sua stanza osservava con occhi di pece quello scenario troppo familiare, così poco era passato; quel breve periodo di dopoguerra in cui chiunque si trascinava in cerca di una luce, seppur effimera, era finito. Sostituito da ciò che di peggio si poteva immaginare.
Il suono della battaglia, cozzare di armi, schizzi di sangue e morte si era diffuso ovunque, un requiem caotico risvegliava una sete di sangue che da tempo sperava di aver abbandonato, sperava di averla lasciata in quella cella due anni prima insieme a tutto quel sangue che aveva versato solo per il desiderio di uccidere. Con una daga legata al polso e ciò che restava dell’ Ala d’ Argento avrebbe combattuto, gustandosi tutto il sangue che sarebbe riuscita a versare.
6° Classificata
al contest ‘Aboliamo gli Happy Endings!’ indetto da
WodkaEiffel
Genere: Angst, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dirty souls'
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Ringrazio chi sta ancora leggendo questa fic, Homicidal Maniac *.* e tutti gli altri che sembrano essersi dileguati >.<
Mi dispiace moltissimo far finire in questo modo il capitolo, ma il fatto è che stava diventando troppo lungo (infatti questa è solo la prima parte), ma trovo che la “poesia” alla fine ci sta abbastanza bene, a voi il compito di decifrarla xP naturalmente la seconda parte del capitolo sarà decisamente migliore di questa (spero), risolverà un po’ di cose e darà qualche risposta in più :)
A fine capitolo le immagini di Lishe e Azue (già, nuovo personaggio in arrivo ;)).
Già da tempo volevo dirvi una cosa: non affezzionatevi troppo ai personaggi, potrebbero morire misteriosamente. Mi sento una stronza ._. e se pensate che Neah sia già ridotta abbastanza male così e che non la torturerò più... beh, vi sbagliate di grosso. 
Mi dispiace.
Buona lettura ;)

 

 

Capitolo 11. Un’ anima sporca.
Parte 1

“Per sempre e sempre le cicatrici rimarranno.”
[Breaking Benjamin – Give me a Sign]

“Si può sapere cosa abbia intenzione di fare mio padre?” L’ elfo si sedette pesantemente sul letto della vampira che gli scoccò un’ occhiata –assassina- di avvertimento, ma lui sembrò ignorarla. Sopportava la presenza dell’ elfo, in fondo era anche lui una Creatura Oscura come lei, non un’ inutile Umano, e vedeva nei suoi occhi una sorta di malinconia, sembravano quelli di una persona che ha visto la morte in faccia.
“Chiedeteglielo, a noi non dice mai niente.” Rispose l’ elfo guardandosi intorno e soffermandosi sui frammenti di vetro sparsi per terra.
“Ha sempre fatto così”  Sussurrò la vampira aggiustandosi il nastro nero che aveva avvolto attorno all’ avambraccio per coprire la cicatrice, aveva capito di odiare suo padre tempo addietro, e una cosa che le dava più fastidio era il fatto che agisse sempre nell’ ombra, senza mai fare sapere quali piani gli girassero per la testa.
Zephit aveva invece raccolto alcune bende immacolate e le aveva riciclate per fasciare la ferita alla mano.
La bottiglia con dentro il liquido rosso invece era a terra, vuota. Era bastata quella per non farsi ammazzare.
“E i Generatori cosa c’ entrano in tutto questo?” Chiese volgendo lo sguardo all’ elfo che alzò le spalle, come per ripetere la stessa risposta che aveva dato prima.
Neah si sistemò un’ ultima volta la capigliatura; i capelli scuri erano raccolti in una grossa crocchia disordinata sulla testa, mentre un ciuffo ricadeva sull’ occhio sinistro, coprendo in parte le cicatrici e l’ occhio cieco. Aveva tolto la gonna e aveva messo un paio di comodi pantaloni di pelle nera abbinati con un corpetto che le lasciava scoperto il collo, non le importava di coprire le vistose cicatrici, anzi aveva intenzione di mostrarle per bene, come per sfida.
Quindi suo padre voleva vederla, o almeno questo era quello che le era stato detto dall’ elfo. Nella sua testa si aggirava l’ idea che lui volesse ammazzarla, ma, visto che ora non poteva più morire, forse si sarebbe divertito ancora un po’ a torturarla. Sbuffò.
Sentì una forte fitta la petto quando ripensò al fatto che non poteva più morire. L’ immortalità non la voleva, lei desiderava una vita normale; desiderava nascere, vivere e poi morire –innamorarsi era fuori discussione-. Ma lei era solo nata, quella non poteva essere chiamata vita.
Si voltò verso l’elfo incrociando un’ ultima volta i suoi occhi duri del colore del mare, per poi dirigersi verso la porta, pronta a raggiungere la persona che più odiava in quell’ istante.
 

La vampira era uscita e l’ elfo, rimasto nella sua stanza, si diresse verso l’ alta finestra.
La torre in cui si trovava lui in quel momento era la più alta e i vetri puliti gli mostravano le vie lastricate della città deserta di Aegor. Nonostante fosse scesa da poco la notte, la luna era alta e splendente, il silenzio regnava sulle strade, un silenzio scabro che sembrava urlare, urlava come un vento immobile. L’ aria fremeva infervorata d’ impazienza. Una guerra interiore scuoteva gli animi delle Creature Oscure, le mani prudevano, gli occhi saettavano da una parte all’ altra della strada, in cerca di un nemico da abbattere.
“Il silenzio narra le storie di fiaccole di spento coraggio.” Sussurrò a se stesso l’ elfo con tono cupo incrociando le braccia sull’ ampio torace, ricordando le parole di un padre deceduto.
L’ elfo appoggiò la fronte al vetro freddo gustandosi l’ immobilità di quello scenario mentre in lontananza si sentiva il suono del ferro che batte su altro ferro.
“E il tuo coraggio dove è finito?” Sussurrò un po’ a se stesso  e un po’ al padre.
La guerra non stava arrivando, bensì era già nell’ aria.
 

“Quindi?”
“Quindi niente, non posso farlo.” La foce sicura del Generatore giunse alle orecchie del re, che sentì il nervosismo corrergli su per la schiena.
“Perché?” Domandò il re stringendo gli occhi. “Dimmi perché, Azue?”
“Ci saranno perdite ben peggiori di una semplice chimera di cui dovremmo occuparci.” Rispose lui con voce risoluta.
Dovremmo?” Il Generatore sospirò alla reazione del re, puntando i suoi occhi ambrati in quelli del sovrano impaziente.
“Senti, Dimitri non posso rigenerare la tua chimera. Ma posso aiutarti con tua figlia.” Disse il Generatore sporgendosi in avanti mentre alcune ciocche dei suoi lunghi capelli argentei coprivano la carnagione cerea. Il re detestava il modo di fare di quell’ individuo, sembrava comportarsi lui da re e dettare le proprie regole.
“Non ho bisogno del tuo aiuto Azue, devo solo parlare un po’ con Rose.” Occhi di ghiaccio giallo erano puntati sul re, mentre nella sua testa si stavano agitando una marea di insulti.
“La costringerai?” Chiese alzando un sopracciglio.
“Assolutamente no, devo solo farle capire in che situazione si trova adesso e quello che è in grado di fare. Di certo agirà per il meglio anche senza che io la obblighi.” Concluse Dimitri sorridendo.
“Bene, ma concedimi almeno di avere l’ Ala d’ Argento.” Tentò il Generatore, riferendosi alla spada.
“La risposta sarà uguale a quella di due anni fa; l’ Ala d’ Argento appartiene a me, non l’ avrai mai.” Rispose Dimitri appoggiando la schiena al divanetto rosso su cui era seduto.
“Mi permetta almeno di salutarla un’ ultima volta.” Domandò il Generatore riferendosi questa volta alla figlia. Il re sembrò pensarci qualche istante poi considerato che la figlia non poteva più morire e che quindi il Generatore non avrebbe potuto nuocere, scrollò le spalle.
“Fa come vuoi.” Le labbra del Generatore si stirarono in un sorriso che lo fece assomigliare ad un gatto. Si alzò dirigendosi verso la porta.
“Farai in modo di farla scendere in guerra?” Perché ormai si sapeva, -si sentiva- che la guerra si stava avvicinando.
Il re alzò le sopracciglia sorpreso, un po’ perché dopo tanto tempo qualcuno aveva intuito quello che stava architettando, un po’perché gli sembrava ridicolo far combattere Rose. Lei doveva servire ad uno scopo superiore.
 

Camminava a passo svelto tra i corridoi che conosceva a memoria, decisa e fredda, come era sempre stata. Sarebbe andata da suo padre, gli avrebbe ‘parlato’ e –con o senza la sua spada- se ne sarebbe andata una volta per tutte.
Camminò per qualche minuto, attraversando scuri corrdoi e ripide scale cremisi e ignorando le lievi fitte che la cicatrice sulla schiena le trasmetteva. Giunse alla sala del trono e quello che vide la lasciò interdetta.
Il soffitò era alto, colonne di cristallo rosso svettavano ai lati della lunga sala scura, sotto di lei un tappeto di nero velluto si stendeva fino alla nicchia riservata al trono, vuoto. Si avvicinò, solitamente suo padre se ne stava tutto il tempo seduto sullo scranno a sorseggiare sangue da una coppa scura, quella posata sul bracciolo.
Raggiunse i tre scalini che precedevano il trono e con un lieve ghigno sulle labbra, prese il boccale e si sedette dove in teoria ci sarebbe dovuto essere suo padre, alzò le gambe fino ad appoggiarle sul bracciolo e accavallarle, mentre con un gomito si sorreggerva sull’ altro e faceva girare il sangue all’ interno della coppa gustandone l’ odore.
Appoggiò una mano sul collo, lì dove c’era la vistosa cicatrice, chiudendo gli occhi e sospirando, avvicinò la coppa alle labbra quasi senza pensarci.
Un fruscio attirò la sua attenzione, voltò la testa in direzione di una colonna vicino da cui spuntò il viso tondo e pallido di una bambina, occhi neri come pozzi di tenebra e corti capelli castani legati ditro la testa.
“Quello non è il tuo posto.” Disse lei indignata abbassando la testa e guardandola da sotto le lunghe ciglia scure.
“Lo sarà.” Rispose la vampira sogghignando. In verità non aveva mai preso in considerazione la possibilità di regnare sul mondo delle Creature Oscure, ma doveva ammettere che in fondo quel trono non era poi tanto scomodo.
“Non è vero. Quel trono sarà mio.” Rispose decisa la bambina uscendo dal suo nascondiglio, il suo piccolo corpo era fasciato da una veste blu, i suoi piedi erani scalzi. La vampira la fissò inclinando la testa per studiarla meglio.

E questa da dove viene fuori?
“Basta così Lishe.” La bambina sussultò nel sentire quel tono di voce rigido chiamarla.
“Papà!” Urlò la bambina mettendosi a correre verso l’ uomo che era appena uscito da una porta laterale.
“Papa?!” Ripetè la vampira sorpresa come non mai, strabuzzando gli occhi. L’ uomo verso cui la bambina stava correndo a braccia aperte era Dimitri, cioè suo padre. Rimase a fissare la scena della bambina che si appendeva alle gambe dell’ uomo, che le porgeva un oggetto circolare e piatto.
Il volto dell abambina si illuminò. “L’ hai riparato.”
“Certamente.” Il re sorrise con gli occhi. Per poi guardare Neah ancora stravaccata sullo scranno con in mano la sua coppa di sangue.
“Rose.” Iniziò lui salutandola. “Non pensavo fossi già qui.” Lei ignorandolo si mise un po’ più comoda avvicinando la coppa al naso per gustare l’ odore del contenuto.
“Da quando in qua bevi del sangue così scadente?” Chiese lei arricciando il naso, per poi lasciare cadere il bicchiere che teneva in mano, il liquido macchiò il tappeto e la coppa rotolò giù per i tre scalini. La bambina sussultò e Dimitri strinse gli occhi.
“Ops.” Sussurrò a fior di labbra la vampira fissando la macchia rossa che si allargava sul tessuto. Sentì i passi di suo padre avvicinarsi, alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere i suoi stivali calpestare la macchia scura.
Il viso di Dimitri si allungò in un sorriso mentre allungava una mano per toccare la pelle sfregiata della figlia che prontamente si ritirò. Notò l’ occhio cieco e il suo sorriso di allungò ancora di più.
“Papà.” Sussurrò Lishe che era rimasta dove il padre l’ aveva lasciata, ancora con l’ oggetto stretto tra le braccia, ma venne ignorata.
“Sono curiosa di sapere da dove è uscita quella bambina.” Commentò la vampira sporgendosi per guardarla meglio, le sorrise mostrando i canini allungati. La bambina sussultò facendo un passo indietro.
“Rose, dobbiamo parlare.”
“Oh, questo è poco ma sicuro.” Disse lei fissando suo padre con uno sgardo di sfida.
 

Non aveva la più pallida idea di come fosse finita in quella situazione, a sorseggiare sangue insieme a suo padre sotto gli occhi ambrati del Generatore che l’aveva aggredita al bar, aveva appreso il suo nome, Azue. Mentre la bambina sembrava scomparsa, Neah pensò che fosse andata a giocare in qualche buio cantuccio.
“Quindi?” Inizò lei lanciando un’occhiataccia al Generatore che fissava il soffitto alto, neanche racchiudesse il senso della vita.
“Quindi, creerai un esercito, per me.” Dimitri andò dritto al punto, lasciando senza parole la figlia. Le parole rimasero sospese per aria.
Dalle sue labbra uscì una risata roca, mentre scuoteva la testa e guardava il padre come se fosse impazzito. “Cosa ti fa credere che lo farò?” Si ricompose incrociando le braccia, ma senza cancellare dalle labbra il sorriso beffardo.
“Non puoi fare altrimenti.” Rispose il Generatore fissandola con il suo sguardo ambrato.
“Hai già tutte le Creature Oscure ai tuoi piedi, che vuoi che faccia? Che mi metta ad ingaggiare degli Umani?” Pronunciò quell’ ultima parola come se le bruciasse sulla lingua e non vedesse l’ ora di sputarla, ovviamente il suo tono era sarcastico, lo disse ignorando completamente il Generatore, lui non c’ entrava niente.
Sospirò attendendo una risposta e quasi automaticamente si portò una mano all’ occhio vitreo.
“Guarirà, molto lentamente ma guarirà.” Fulminò con lo sguardo suo padre che non riuscì a togliersi dalle labbra quel sorrso strafottente.
“Io me ne vado.” Disse lei alzandosi. Stava per dire “a casa” ma si bloccò in tempo, non aveva una casa, non più, neanche un posto dove stare, forse…
Sentì una mano fredda stringere la sua senza alcuna delicatezza, in una stretta che si faceva sempre più fredda e dolorosa, era come stringere tra le mani un pezzo di ghiaccio, o meglio, era come se la mano fosse stritolata dal ghiaccio.
“Presto, quando gli Hel* inizieranno a vagare per il mondo degli Umani, a portare malattie, morte e distruzione, allora sarai obbligata a salvare ciò a cui tieni. Una persona, un posto dove stare, un ricordo” Era il Generatore a stringere la sua mano in una morsa di ghiaccio e a parlare.
“Non hai idea di quello che la dea Andhera ti ha donato.” Le parole giungevano lontane, smorzate. La poca vista che le era rimasta si stava oscurando mentre la sensazione di cadere le attanagliava lo stomaco. Quello che venne dopo furono solo lievi sussurri.

Dona la bocca a chi sta per morire,
il suo sangue macchierà le candide labbra,
la solitudine verrà colmata dal bacio dell’ abbandono.



* Nella mitologia norrena, Hel o Hella è la dea degli Inferi, figlia di Loki, dio dell'inganno, e di Angrboða (? Che? O.o), una gigantessa (ah, ok).
Hel esce raramente sulla terra, ma quando lo fa porta sventura e malattia: passa per le strade e nei villaggi e la gente si ammala all'improvviso.
Se spazza la strada con un rastrello vi saranno sopravvissuti, se invece ha una scopa moriranno tutti. (Olè!)
Hel viene descritta come una donna in qualche modo duplice: con metà viso nero o cadaverico e l'altra metà normale.
Alcuni tratti della dea hanno suggerito a diversi studiosi di metterla in relazione con le caratteristiche di Parvati-Kalì o di Persefone o, ancora, di Ecate.

(Ecco, sta di fatto che io prima di mettere il nik ‘’La sposa di Ade’’ avevo tentato in tutti i modi di chiamarmi ‘’Ecate’’ o ‘’Hecate’’ o ‘’Hekate’’ e tutte le altre varianti. Ma a quanto pare ero arrivata in ritardo ._.)
Fonte: Wikipedia
Ovviamente, tutto questo non c’ entra niente con la storia, mi sembrava fico inserire una cosa che non c’ entrasse niente con l’ ambientazione della fic, tutto qui ._. (no dico, magari vi sarebbe interessato).

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