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Autore: rose_jh    22/02/2012    5 recensioni
- Tu lo sapevi! - dissi isterica a bassa voce. Alzò le spalle ridendo ancora.
Lo colpii di nuovo. - Tu lo sapevi e non mi hai detto niente! - sbottai poi, a tono normale. - Ho sbagliato a darti fiducia, sei solo un egocentrico del cavolo, ti odio troppo Mal… -
- Sssh! - mi tappò la bocca con una mano, con l’altra avvicinò il mio viso al suo attraverso la mia nuca e mi baciò a lungo la guancia, provocando degli “uuh” e delle risate dei ragazzi. - Penso di preferirti mentre dormi. - appurò sorridendo sulla destra.
Provai ad allontanarlo da me con le mani, inutilmente, quindi mi arresi e gli morsi un dito. - Cazzo - imprecò ritraendo la mano e massaggiandosela. - devo chiamarti leoncino. - fece poi ridendo.
Mi sistemai i capelli e mi allontanai leggermente da lui, incrociando le braccia, senza neanche degnarlo di uno sguardo.
- Non dirmi che ti sei arrabbiata davvero! - esclamò accarezzandomi la schiena con una mano.
Mi girai a guardarlo e scostai la sua mano da me, incavolata. Alzai lo sguardo ai suoi occhi, ritrovando il suo viso in un’espressione infantile, con tanto di labbro sporto. Risi. - Vaffanculo, idiota! -
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2 : I think I hate you.

Quel giorno le altre si vestirono molto carine, sotto consiglio di Marty: vestitini corti, calze ricamate e ballerine o stivaletti a mezza gamba; per l’occasione “speciale”.

Io invece indossai solo un jeans, una felpa bianco latte con Puffetta e le mie immancabili Air Max.
Non mi piaceva mettermi in tiro, e non l’avrei fatto neanche per quelli lì.
Trucco semplice: mascara, matita e un velo di fard.
 
Entrammo tramite un portone in un edificio imponente, dagli interni in marmo lucido e brillante, di colori beige e bianco e rifiniture in nero.
Poi, attraverso una porta più piccola, in una sala enorme. Le ragazze riuscirono ad intrufolarsi nella folla fino ad arrivare verso i primi posti e trascinarono anche me, purtroppo.
C’erano cinque ragazzi seduti l’uno accanto all’altro, ma da dove ero seduta io non si vedeva niente, avevo quattro testoline saltellanti davanti, e neanche mi interessava vederli, preferivo guardare altrove. Sembravano tutti uguali, schematici. L’unico che si distingueva un po’ era il biondino, ma solo per il colore dei capelli.
Il “nostro” turno si avvicinava sempre più, e la nausea incominciava a farsi sentire. Più mi avvicinavo a quei ragazzi, più mi sentivo male (veramente era la claustrofobia, ma c’entrava anche la mia repulsione nei loro confronti). Quindi decisi di uscire fuori a prendere un po’ d’aria, ma l’ingresso era troppo lontano. Individuai una porta subito affianco al palchetto dove c’era la loro scrivania e velocemente la raggiunsi per poi scappare fuori, senza neanche degnarli di uno sguardo, di nascosto alle altre, che mi avrebbero bloccata lì con loro di sicuro. Non avevo mai visto quei cosetti bene in faccia e non mi interessava neanche sapere come erano fatti.
La porta affacciava sul retro, evidentemente. Era una piccola piazzola impolverata e silenziosa. Sembrava essere entrati in un altro mondo: Londra non era mica così silenziosa!
Una volta fuori mi diressi ad un muretto, mi ci sedetti sopra, presi il mio libro di Conan Doyle, Sherlock Holmes, ed iniziai a leggere, ma dopo neanche un minuto mi arrivò un sms di Marty:
- Perché sei scomparsa?! -.- Comunque hanno deciso di fare una pausa proprio adesso, purtroppo, e il nostro turno deve ancora arrivare. Siamo rimaste in poche che devono ancora avere gli autografi, quindi forse andranno più con calma con noi! :3 Sono stupendi *-* Cè, ERANO perché si sono dileguati tutti (?). Porci come sono, saranno andati a mangiare qualcosina =P Non vedo l’ora anche solo di sfiorarli. <3 -
Le risposi:
- Non mi sentivo molto bene. E “COMUNQUE” tu sei impazzita. Se avessi io l’opportunità di sfiorare uno di quelli avrei difficoltà a trattenermi dall’ucciderlo. Pazienza, tanto loro sono i TUOI idoli, non i miei. -
Ripresi a leggere.
Nonostante il naso chiuso dal freddo, avvertii una puzza di tabacco da voltastomaco e iniziai a tossire come una cretina, sentendomi addirittura mancare l’aria.
Mi girai e mi accorsi che sul muretto di fronte a me c’era seduto un ragazzo che fumava. Non l’avevo neanche visto uscire lì fuori e forse neanche lui aveva visto me.
La mia tosse iniziò a diventare sempre più forte, non respiravo più e avevo le corde vocali praticamente secche e appiccicate.
Il ragazzo si girò verso di me e mi guardò negli occhi per un po’.
“Carino” pensai distrattamente. Al solo pensiero che potesse interessarmi mi imbarazzai e scacciai via quella stupida parola dalla mia mente.
Si alzò dal muretto e, ancora con la sigaretta in mano, si avvicinò a me.
- Ehi, tutto bene? Vuoi un po’ d’acqua? - mi chiese in inglese perfetto, sorridendo. Mi accorsi di un velo di rossore sulle sue guance.
Purtroppo per lui quel giorno ero fin troppo irascibile. - Idiota, vorresti allontanarmi questa sigaretta?! - Chiusi il libro di scatto, lo appoggiai violentemente sul muretto e ripresi a tossire nervosamente.
- Ehi, modera i termini, ragazzina! Volevo solo aiutarti! - mi rispose spegnendo a terra la sigaretta che appiattì sotto le sue Nike candide con aria indifferente.
- RAGAZZINA LO DICI A TUA MADRE! - gli urlai guardandolo negli occhi con aria di sfida. Mi alzai dal muretto e lo scansai, toccandolo apposta con la spalla.
 
Andando via gli diedi, per la prima volta, una rapida occhiata da capo a piedi. Era molto alto rispetto a me - o ero io che ero molto bassa? Aveva i capelli con un ciuffo alzato al centro e più rasi sui lati, gli occhi color cioccolato amaro e le labbra abbastanza carnose, ma sottili. Indossava un cappottino beige appuntato, lungo fino ad un po’ più sopra del ginocchio, dei pantaloni marroni e delle Nike bianche.
Dirigendomi di nuovo verso la porta sentii le guance avvampare; succedeva dopo ogni volta che facevo la dura con qualche ragazzo carino, o al massimo decente.
 
Tornata dentro, individuai le altre e le raggiunsi. - Ragazze, un deficiente lì fuori mi ha praticamente fumato in faccia e adesso sto morendo asfissiata. - Sbuffarono in sincrono, per poi ridere. Gli sorrisi appena. - Vado nel bar qui fuori a prendere qualcosa, dopo raggiungetemi lì, preferisco aspettare da sola in un bar che stare in questa gabbia di matti! - Cercai di sembrare ironica, ma più che altro ero sarcastica.
Annuirono sorridendomi come delle ebeti. Sapere di essere in un raggio di pochi kilometri dai loro “idoli” le faceva uscire fuori di testa e sembravano non capire nulla.
Adesso volevo solamente uscire da quella sala enorme, che a confronto con tutta quella gente lì dentro sembrava la tana di un topo.
E volevo uscire anche dai miei pensieri, che continuavano ad avere come soggetto quel ragazzo che mi aveva sorrisa dolcemente quando mi aveva chiesto se stessi bene. Mi era capitato una sola dannata volta di interessarmi ad un ragazzo in Italia; veniva a scuola con me, e non avrei voluto cadere nello stesso errore. Sicuramente sarebbe finita come la prima volta: il tuo “lui” si fidanza con un’altra lei, visto che non ti caga di striscio.
Una volta uscita da quel grande edificio (che precisamente non sapevo cosa fosse, sembrava fatto apposta per congressi e sedute giornalistiche, ma al momento neanche mi interessava) mi diressi al bar della mia amata piazzetta, il “Cotton Candy”. Adoravo quel bar: come diceva il nome, profumava di Zucchero Filato. Mi sedetti ad uno dei graziosi tavolini bianchi, sprofondai nel rispettivo divanetto rosa ed ordinai un Frappé panna e cioccolata.
Dopo averne bevuto un po’ e giocherellato col mio cellulare, mi venne in mente di intrattenermi col mio libro, così iniziai a frugare nella borsa, senza risultati. Mi iniziai ad agitare; tenevo molto a quel libro. Respirai profondamente e decisi di cercare un’altra volta, ma ancora niente: non c’era. Mi alzai in piedi e, presa dal nervosismo assoluto, appoggiai la borsa sul tavolo cercando quel fottutissimo libro.
“Cazzo, l’ho perso!” pensai.
Mi sentii toccare la spalla sinistra e mi girai.
I miei occhi si congelarono nello sguardo di un altro paio di occhi, a me familiari, color cioccolato amaro. Di nuovo lui.
- Avevi perso questo, vero? Calmati, è solo un libro. - mi disse strafottente accennando una risatina, con quel suo sorriso malizioso sulle labbra. Mi dava i nervi.
- Per TE sarà “solo un libro”, per ME invece è importante, signor “Sono troppo intelligente da leggere Sherlock Holmes”. - ribattei prendendogli il libro dalle mani e infilandolo nella borsa.
- Sì, ha fatto piacere anche a me rivederti, splendore. - mi disse facendomi l’occhiolino. La sua voce calda mi rimbombò nella testa. “Nessuno mi aveva mai chiamata così.” pensai.
- Non chiamarmi splendore.- Inarcai un sopracciglio. - Cosa vuoi da me? -
- Nervosetta, eh? - domandò cercando invano di essere gentile, ma sempre con un fare irritante a mio parere.
Non risposi; lui ridacchiò piano.
- Perché prima eri alla conferenza? -
- A te che importa? - rimandai scocciata. Incrociai le braccia e mi appoggiai con un fianco al tavolino sulla mia destra.
- Curiosità. - Questa volta mi sorrise e aspettò un po’ la mia risposta. Esitai un attimo guardandolo negli occhi. - Andiamo, mica ti ho chiesto la carta di identità! Ti assicuro che non sono uno stalker. - Sorrise ancora. Il sorriso era quasi accecante, e riuscii a trovare un filo di dolcezza nel suo modo di fare, insieme ad un rossore sui suoi zigomi. Non sembrava un cattivo ragazzo, era solo un po’ troppo antipatico e saccente per me; ma era la seconda volta che lo vedevo arrossire.
Sbuffai. - Ho accompagnato quattro mie amiche alla conferenza di quei sei… o cinque, non ricordo… che si credono tanto dei fighetti. -
- A te non piacciono proprio, eh? - Sorrise scuotendo appena la testa.
- Ma a te che importa ancora? - Inarcai di nuovo un sopracciglio.
- Curiosità. - Fece spallucce.
Esitai di nuovo; stava per uscirmi un sorriso, ma trattenni l’espressione seria che avevo avuto fino ad allora.
- No, a dir la verità mi stanno molto antipatici, occhei? -
- Non giudicare dalle apparenze. - rispose, confondendomi.
- Che…? -
- Sei italiana, vero? - mi interruppe. Sbuffai sonoramente. - Altra curiosità. - continuò prima che potessi rispondergli male. Poi mi fece un sorriso sghembo sulla sua destra.
Non potevo trattarlo male; annuii. - Sì, italiana. Adesso vado, che le mie amiche mi aspettano… -
Feci per prendere la borsa e azzardai un passo in avanti.
Lui mi si mise davanti come per bloccarmi. - Veramente sei tu quella che sta aspettando loro qui. -
- E tu che ne sai? - chiesi quasi spaventata, dopo aver boccheggiato come una stupida.
- Una si chiama Frenk? - Rise piano. - Mi ha detto lei che eri qui. - continuò. Accennò un sorriso; “dolce” era l’unico aggettivo che mi alloggiava in testa. - Aspetta, so il nome della tua amichetta e non so il tuo? - Mi alzò il mento con le dita, inchiodando il mio sguardo nel suo. “Occhei, rimangio tutto” mi dissi in mente pensando alla sua acidità nel dire “amichetta”.
Le sue mani fredde mi fecero salire un brivido dietro la schiena. Ma forse non era il freddo, era solo il contatto fisico con un ragazzo a farmi questo effetto. Ero fatta così. Estremamente timida col sesso opposto.
Mi persi per un secondo nei suoi occhi, osservando le sfumature delle iridi, poi abbassai lo sguardo e stranamente imbarazzata, col dorso della mia mano, spostai via la sua.
Mi schiarii la voce. - Senti, non so cosa vuoi da me, perché sai queste cose di me e mi stai spaventando. Mi chiamo Rose, adesso mi fai andare via?! - Mi resi conto di essere stata leggermente acida; sembrò ci fosse rimasto male.
- Mi dispiace Rose, non volevo spaventarti. Te l’ho detto, volevo solo essere gentile… e farmi perdonare per l’incidente del fumo di prima. Comunque piacere, mi chiamo Zayn. - Mi porse la mano sorridendo, adesso si era addolcito. Proprio per questo gliela strinsi e sorrisi. Subito ritirai la mano, imbarazzata. Abbassai lo sguardo. Odiavo essere così impacciata, ma faceva parte del mio stupido carattere.
- Ehi, era un sorriso? Bene, allora almeno un po’ ti sto simpatico. - Mi rispose lui alzando il sopracciglio come avevo fatto io poco prima, tornando a fare l’irritante.
Feci scomparire rapidamente il sorriso. - Non farti strane idee. Adesso vado, davvero.  Addio. - Afferrai la borsa e la cioccolata con la mano sinistra e cercai di andar via, ma lui mi fermò per il polso destro.
- A presto, Rose. - mi disse con un tono basso, che lì per lì trovai quasi sexy. Mi sorrise ancora, guardandomi insistentemente negli occhi. Quel suo ripetere il mio nome mi mandava in tilt.
Non risposi, ma stavolta perché ero rimasta pietrificata. Aveva un sorriso mozzafiato.
Abbassai lo sguardo ancora più imbarazzata di prima, e col respiro corto me ne corsi via da quel bar, lasciandolo in piedi come un ebete.
Camminai velocemente fino ai giardinetti di fronte per scappare da quel bar, mi sedetti su una panchina e mi fermai un secondo a realizzare quello che era successo.
Mi accorsi che mi ero incantata solo quando mi vidi sventolare una mano davanti la faccia.

 


 

Chiedo infinitamente scusa a voi stupendi panda chiatti e coccolosi (?) che avete letto con pazienza questi due obbrobri di capitoli, per aver postato dopo tutto questo tempo. çwç

Grazie mille per le 5 recensioni al primo capitolo, mi hanno fatto molto piacere *^*

E grazie ai due panda che hanno aggiunto la storia alle preferite, all'unico panda che l'ha aggiunte alle ricordate e ai tre panda che l'hanno aggiunta alle seguite. 

NON SAPETE COME MI SENTO ORGOGLIOSA, PER ME E' GIA' TANTISSIMO *---*


Rose♥.
 

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