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Autore: baby80    22/02/2012    17 recensioni
"Sotto la neve c'è il pane, così era solita dire mia nonna..."
ed è proprio sotto la neve o il ghiaccio che si può nascondere l'inaspettato, bisogna soltanto avere pazienza ed attendere la primavera, o forse, qualche volta, è bene forzare la natura...
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il titolo non si riferisce al capitolo, non completamente almeno, ma alla resa della propria autrice. Alla mia resa.
Ho deciso di abbandonare questa fanfiction per un motivo semplicissimo, non la sento.
Già dal terzo capitolo la situazione ha cominciato a farsi difficile, me ne sono resa conto quando i tempi di attesa tra una frase e l'altra hanno iniziato ad essere superiori ai due minuti, per poi crescere sempre di più, fino al punto di obbligarmi a stare davanti al foglio bianco per ore senza riuscire a mettere insieme una frase di senso compiuto.
Ogni singola parola è stata per me una fatica immensa, ed è una cosa che generalmente non mi succede, non in questo modo almeno, non sto dicendo che scrivere mi riesce facilissimo, immagino che sia così per tutti, (tranne forse per due o tre persone il cui cognome va accompagnato da un inchino... il signor King per esempio...), ma non essere in grado di scrivere due parole senza bloccarmi per minuti e minuti è troppo anche per una principiante come me.
Il problema principale è che, come dicevo inizialmente, non riesco a sentire la storia, mi manca la passione che in altre occasioni mi trascinava sulla tastiera a scrivere, magari delle enormi cavolate, ma che comunque mi faceva godere di ciò che stavo facendo.
Non so cosa sia successo, forse ho affrettato i tempi di scrittura tra una storia e l'altra, o forse semplicemente ho bisogno di altro, perché nonostante io continui ad amare immensamente Lady Oscar e i suoi personaggi, mi par di capire che in questo momento della mia vita preferisco leggere di loro piuttosto che scriverne.
Sento la necessità di sentirmi libera di scrivere qualcosa di diverso, senza dover far riferimento ad un personaggio esistente, con una personalità ed un vissuto da “rispettare”.
Ho la bruttissima sensazione di dover fare attenzione a non colorare fuori dai margini ed ora come ora questa “regola” mi sta un po' stretta, credo di voler (sottolineo il credo perché è tutto ancora un po' confuso) creare qualcosa di mio, dal nulla, senza l'ansia di scrivere qualcosa di già scritto, o di snaturare l'anima di un personaggio già esistente.
Immagino che tutto questo scombussolamento sia colpa di una sola persona: Lucien Moreau.
Scriverò di lui? Con molta probabilità si, ma non ne sono certa, forse una volta iniziato a raccontare di lui avrò il medesimo problema che mi si è presentato mentre scrivevo “Ghiaccio”, ma non posso saperlo ora, quello che so è che questa storia non ha più senso, per me, non ora almeno, per cui, per rispetto di chi ha letto e commentato, preferisco troncare qui, non mi va di forzarmi e “regalarvi” uno scritto senza anima e passione.
Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno letto e commentato, e mi scuso per questa interruzione così “violenta”, ma chi mi ha “conosciuta” tramite la mia scrittura sa che questa non sono io, c'è veramente pochissimo di me, se non nulla, in Ghiaccio.
Vi lascio quello che doveva essere il capitolo 7, l'inizio per lo meno, e forse già da qui vi renderete conto che la storia stava perdendo acqua da ogni parte.
Grazie a tutti. A presto... spero :)




Il respiro caldo di Oscar mi colpisce le labbra, è prepotente, sintomo di un'ira che avrà il proprio epilogo di qui a poco, ne sono certo.
Non mi muovo di un passo, resto in attesa di qualcosa che percepisco dal fremito dei suoi muscoli al di sotto della dita e dallo sguardo che non ha smesso un istante di puntare i miei occhi.

“Lasciami.”
mi intima tra i denti, con una punta di stizza, ruotando le mani nel tentativo di trovare un qualche punto debole nella mia presa.
Non c'è via d'uscita e la situazione le è chiara fin da subito, fin dal momento in cui quel movimento non fa altro che procurarle dolore.

“Mi stai facendo male...”
le sento dire con meno arroganza, anzi, mi par quasi di udire una nota di insicurezza nella sua voce, e per esserne sicuro aumento la pressione attorno ai suoi polsi strappandole un gemito di fastidio.
Sorrido a mezza bocca, con insolenza.

“Non immagini quanto io desideri picchiarti.”
confessa in un sussurro, avvicinandomisi ancor di più ed io chino il viso, lievemente, quel tanto da condurre il mio sguardo allo stesso livello dei suoi occhi.

“Lo so. Ma non puoi farlo.”
le rispondo portando un piede dinnanzi all'altro, costringendola in questo modo ad indietreggiare di qualche passo, fino a toccare con la schiena la parete che le sta alle spalle.

“Cosa vuoi dimostrare André? Che io ho torto e tu hai ragione? È questo che vuoi?”
mi domanda puntando i piedi a terra ed opponendo resistenza, decisa a combattere contro qualsiasi mossa io le presenti di qui in avanti.
È furiosa e gli aliti di respiro convulsi che mi scivolano sul volto hanno quell'aroma dolciastro del liquore, segno che la sua ragione, così come la mia, è, per ora, ancora indebolita dall'alcol.
Questo pensiero, da solo, dovrebbe indurmi ad arrestare ciò che sto compiendo con fin troppo gusto, ma la verità ha un sapore così dannatamente buono che al suo confronto il silenzio e l'intelletto paiono profondamente noiosi, ed amari come il veleno.

“Non ho bisogno di dimostrare nulla. So di aver ragione quando dico che vuoi cancellare ogni traccia della tua femminilità perché lui non può amarti.”
le rispondo sprezzante, intrecciando sorrisi tra una parola e l'altra.

“Smettila! Non ti permetto di...”
alza la voce, cercando di richiamare in sé l'autorità del soldato, ma è il tremolio che precede il pianto l'emozione che prevale su qualunque altra.

“Credi che essere un uomo ti renda immune da qualsiasi dolore? Il mal d'amore è una sciagura che colpisce chiunque, indistintamente e in egual modo, per cui, mia cara Oscar, la tua decisione di vivere come il figlio maschio del casato De Jarjayes non ti regalerà un'esistenza meno difficile.
Quando ogni giorno ti sforzerai di riportare in te gli anni passati dell'infanzia, quando ancora eri convinta d'essere un maschio, questo ti rammenterà il motivo per cui avrai soffocato anche l'ultimo barlume della tua natura di donna, e la sofferenza ti si presenterà puntuale in tutta la propria prepotenza, trascinandoti all'interno di un malsano circolo vizioso che non ti darà pace.
È questo che desideri? Una vita di sofferenza soltanto perché Fersen ti ha rifiutata?”
sputo parole e rabbia con la consapevolezza fin troppo chiara di star perdendo la mia proverbiale pazienza.

“Taci! Non ti azzardare a dire altro! Tu non sai niente... niente...”
la sento minacciarmi, vedo il fuoco sul fondo delle sue iridi azzurre, ma non voglio fermarmi, non ora che la resa dei conti è vicina, e non desisto neppure quando, approfittando di un istante di distrazione, le riesce di divincolare le braccia, seppur ancora strette tra le mie mani, quel tanto da indirizzare contro il mio petto una serie di spinte che mi fanno barcollare all'indietro.

“Ti vivo accanto da una vita intera, non è necessario che tu parli per comprendere cosa ti passa per la testa.”
ribatto stancamente, avvilito da un'indolenza che mi toglie le parole.

“Non ce ne sarà più bisogno, da questo momento non dovrai più occuparti di me.”
afferma con una sicurezza che non mi convince, sarà per lo sguardo velato da quel fulgore che somiglia alle lacrime, o per la movenza repentina del suo corpo, quando lentamente si discosta dal mio, ma poco importa quale sia il reale motivo, ciò che mi interessa è combattere fino alla fine, così come non mi è mai stato possibile fare.di se
Lascio la presa attorno ai tuoi polsi e lo schiaffo che infliggi alla mia guancia destra è così forte da farmi dolere perfino l'orecchio, ma la mia reazione al tuo gesto è veloce quanto la tua mano e senza ombra di dubbio inaspettata.
Ti guardo, e ti sorrido con l'amarezza di chi non ha più nulla da perdere e prima che tu possa dire alcunché poso i miei palmi ai lati del tuo volto.

“Sei soddisfatta?”
ti domando chinandomi verso il tuo viso, mentre faccio scivolare le dita di entrambe le mani dietro il tuo capo, insinuandole tra i tuoi capelli.
Premo delicatamente i pollici sulle tue gote e tu mi osservi disorientata cercando nei miei occhi qualche tipo di risposta ch'io a parole non posso darti, ma che forse potrai trovare tu stessa a ridosso della mia bocca che ho posato con decisione sulla tua.
Ti bacio con l'esasperazione di un desiderio tenuto in catene per troppo tempo e la prima cosa che fai è afferrarmi i polsi, così come io avevano fatto con i tuoi, nel tentativo di liberarti delle mie mani che ti attirano ancor di più contro le mie labbra.
Ma non mi lascio distrarre, anche perché la forza che impieghi in tale azione sembra indebolirsi di secondo in secondo, per cui seguito a baciarti, come ho soltanto immaginato in questi anni, e quando la voglia mi si presenta ai margini delle labbra, con prepotenza, mi spingo oltre, pretendendo da te un contatto maggiore, ed è a questo punto che sento la tua bocca dischiudersi ed offrirmi quel sapore che ora so essere dolce e pericoloso come la più potente delle droghe.
Mi baci, copiando quei movimenti che ti sono sconosciuti, ma che sembra tu stia imparando rapidamente, mentre le tue mani abbandonano i miei polsi per raggiungere il mio capo, dove le tue dita si intrecciano ai miei capelli e mi spingono ancor di più nella tua bocca.

  
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