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Autore: Melanto    23/02/2012    7 recensioni
Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Alla disperata ricerca del Principe scomparso, mentre nel cielo rosseggia un'alba che odora di guerra. Una lotta contro il tempo per ritrovare la Chiave Elementale, prima che finisca nelle mani del Nero, e salvare il pianeta.
Siete pronti a partire?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementia Esalogy'
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ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 12: I Briganti di Ghoia (parte VI)

Ghoia, Dogato di Tha Cerròs – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-occidentali

“Je n'ai pas peur de la route /
Non ho paura del cammino.
Faudrait voir, faut qu'on y goûte /
Si vedrà, bisogna assaggiare
des méandres au creux des reins /
i meandri oscuri delle nostre emozioni
et tout ira bien là /
e tutto andrà bene.
Le vent nous portera /
Il vento ci guiderà.

Il Delegato Dogale, Erik Van Saal, aveva avuto gli incubi per tutta la notte.
I due uomini che aveva mandato a Ghoia per la riscossione delle tasse erano tornati e avevano varcato le soglie del castello in tutta fretta, gridando come disperati che Bashaar era tornato.
Quando aveva sentito quel nome era rimasto pietrificato sulla poltrona, ma poi aveva riso dell’impossibile eventualità perché Bashaar era morto. Morto e sepolto da quasi vent’anni e lo aveva ucciso lui. Con le proprie mani l’aveva trapassato con una delle enormi scimitarre appartenute al brigante, con i propri occhi l’aveva visto esalare l’ultimo respiro.
Bashaar era morto e quegli uomini dovevano aver bevuto o chissà che altro.
Poi si erano gettati, ansanti e terrorizzati, ai suoi piedi.
“Mio signore, dovete crederci! L’abbiamo visto, non siamo impazziti!”
“Era il fantasma del brigante! E’ tornato dalle Terre dell’Oltre!”
“Imbecilli.” Li aveva azzittiti con tono tagliente, guardandoli dritto negli occhi. “Quel cane, la sua strega puttana e tutti gli altri bastardi sono crepati. A quest’ora le loro ossa saranno state rosicchiate dai topi.”
“Ma… ma era lui… noi l’abbiamo-”
“E da quando i morti risorgono dalla tomba?” aveva ghignato, poi si era rilassato contro lo schienale della poltrona. “Dovete averlo confuso con qualcun altro. Descrivetemelo.”
Le due guardie si erano scambiate un’occhiata perplessa e poi quella magra aveva preso la parola.
“Non… non doveva avere più di vent’anni…”
A quel punto era sbottato in una risata talmente forte che era risuonata per tutta la sala, anzi, per tutto il palazzo.
“Vent’anni?! Ne aveva trenta quando c’ha tirato le cuoia, decerebrato, come può averne venti?!”
E giù un’altra risata.
Nessuno aveva fiatato e lui era stato pronto per fare un’altra battuta che però gli era rimasta strozzata in gola.

“Oggi… posso anche… morire, ma… un giorno… qualcuno… te la farà pagare… per tutto questo…”
“E chi? Nessun brigante sopravvivrà. Vi farò passare tutti a fil di spada. Farò trovare le vostre donne e farò uccidere anche loro. E i vostri figli. Chiunque si metterà sulla mia strada troverà la morte.”
“… mio figlio… non… non morirà… perché lui… lui… è nato… libero…”

Il figlio di quel cane quanti anni doveva avere?
Se l’era domandato all’improvviso e poi aveva scosso il capo con foga: erano stati uccisi tutti e i loro cadaveri bruciati. Nessuno era sopravvissuto. Nessuno.
Ma quella notte non aveva chiuso occhio. Gli incubi di Bashaar, dei briganti, dell’Erborista lo avevano perseguitato e, all’alba, aveva dato ordine ai suoi uomini di sellare i cavalli e partire: sarebbero andati a Ghoia. Quei cani rognosi e ribelli avevano bisogno di una nuova lezione e lui era pronto a impartirgliene una memorabile.
Era a questo che stava pensando mentre cavalcava alla testa del gruppo di miliziani composto da circa un’ottantina di uomini. L’espressione solenne, la schiena dritta e la testa alta. Sulle labbra un sorriso bieco. Al suo fianco, il capo delle guardie aveva il volto pallido e l’aria di chi, come lui, non doveva aver dormito per niente.
“Che hai?” Gli chiese d’un tratto e Kahil sobbalzò, uscendo dai suoi mille pensieri.
“No. Niente, mio signore.”
“Lo spero. Voglio vedere un bello spettacolo oggi, non deludermi.”
“Sì, signore.”
Ma il solo pensiero fece rabbrividire il soldato.
Il figlio di Bashaar. Non aveva fatto altro che pensare a questo da che i due uomini erano tornati. Li aveva presi da parte dopo che avevano parlato con il Delegato Dogale e si era fatto spiegare tutto per filo e per segno. E più i due raccontavano, più lui si era convinto che il fantasma di Bash altri non fosse che il bambino: quello che diciannove anni prima non aveva avuto il coraggio di uccidere. Tra tutti, aveva risparmiato proprio suo figlio, ma come diavolo era stato possibile? Quali Dee avevano interceduto, quel giorno, per salvarlo?
Gli errori del passato si pagavano sempre, e non importava quanto tempo ci sarebbe voluto, il fato avrebbe bussato alla porta con il conto da saldare. E lui aveva un conto infinito, sporco di sangue, di persone innocenti, di bambini che piangevano ancora nella sua testa, certe notti, e di madri che urlavano. Il lezzo di carne bruciata non aveva mai lasciato le sue narici e in tutti quegli anni aveva perso buona parte del sonno e della propria sanità mentale.
A dire la verità, forse aveva vissuto solo in funzione di quel giorno. Perché lui l’aveva sempre saputo che il passato sarebbe tornato; le parole di Bashaar non erano state che una maledizione e un avvertimento lanciati su di loro perché non abbassassero mai la guardia. Ma mentre tutti gli altri avevano riso e avevano finito con l’ignorarlo, lui non l’aveva mai dimenticato.
Sospirò lungamente e chiuse gli occhi per un momento. Quando li riaprì, la città di Ghoia comparve in lontananza e lui sentì il peso sulle spalle farsi più greve e sforzare il cuore che batteva veloce, inarrestabile.
Van Saal sistemò meglio la sua figura spessa sulla sella, drizzando le spalle.
“Ci siamo, finalmente” disse, abbozzando un’espressione di puro spregio e fastidio per essere stato scomodato in quel modo da assurde fantasie di schiavi che non avevano ancora capito che la ribellione non portava altro che alla morte. Quando un cane prova a mordere il padrone è la catena che viene stretta, per serrarsi attorno al collo e insegnargli chi comanda. Allo stesso modo, lui avrebbe fatto stringere tante corde attorno a loro, per ficcargli in testa una volta per tutte cosa fosse l’ubbidienza.
“Aumentiamo il passo” ordinò ai suoi uomini. Il gruppo spronò gli animali e questi andarono più veloci. Il rumore degli zoccoli era un ritmo scoordinato che sembrava crescere di intensità, pur rimanendo uguale.
La terra si sollevava, creando una piccola nuvola di polvere attorno alle zampe dei cavalli, quasi camminassero su un cuscino.
Quando si approssimarono alle porte, il comandante Kahil scorse una testa che scompariva velocemente dietro una casa. Era la vedetta lasciata in attesa, ma nessuno di loro, a partire dal Delegato Dogale, aveva mai puntato sull’effetto sorpresa. Se davvero era il figlio di Bashaar, quello che era arrivato in città, e se davvero assomigliava a suo padre come dicevano, allora tutti, lì a Ghoia, avevano saputo fin dal primo istante quello che sarebbe accaduto.
“Chissà dove ci staranno aspettando quei cani.” Van Saal sbuffò una smorfia, guardandosi attorno. Già prima di varcare la porta della città, si era accorto che non c’era un’anima per le strade. Il corso principale, dal quale si snodavano le varie stradine, era deserto. I banchi del mercato erano stati lasciati coperti e sgomberi dalle merci. Le porte e le finestre erano sbarrate, così come anche le soglie delle botteghe. Nessuno nascosto dietro i vetri, nessun trambusto di oggetti, legno, mormorii. Nemmeno il vento faceva rumore e le fronde sembravano essersi fermate di colpo dallo stormire.
Solo il silenzio li accolse, il silenzio della morte che anni prima avevano lasciato alle loro spalle.
Kahil inspirò a fondo, ma più cercava di incamerare aria, più gli sembrava che non fosse abbastanza per riempire i polmoni e si ritrovò a inspirare ancora un paio di volte.
“Sembri preoccupato.” Il Delegato Dogale lo derise continuando a guardare in avanti. “Ti fanno così tanta paura i fantasmi?” La sua era solo una battuta di pessimo gusto, ma Van Saal non sembrava considerare che a volte i fantasmi potevano entrare nei corpi delle persone e animare i loro occhi. E lui, in quelli del figlio di Bashaar, cosa avrebbe visto? Lo sguardo di suo padre?
Era così terrorizzato che gli tremavano le gambe.
“Affatto, mio signore” mentì meglio che poté, cercando sicurezza nella crudeltà che non aveva mai fatto parte del suo animo fino in fondo. “Non vi faremo perdere tempo, statene certo. Ce ne libereremo subito.”
“No, perché così presto?” Van Saal strinse lo sguardo e il naso adunco sembrò farsi più sottile e appuntito. “Voglio che la loro sofferenza sia lunga e dolorosa. Diamo loro modo di ricordare i vecchi tempi, ma questa volta… ci assicureremo che capiscano fino in fondo la lezione.”
Kahil annuì brevemente, ingoiando a vuoto. La bocca impastata di saliva ma la gola secca. Faceva troppo caldo quel giorno; più del solito. O forse era solo la sua impressione?
Seguirono la strada principale  fino a che qualcosa non parve cambiare e nel vuoto assoluto che aveva reso Ghoia una città disabitata, nel silenzio che gli stava spaccando i timpani qualcosa brillò di lontano verso una piazzetta laterale. Delle sagome scure si stagliarono contro il colore chiaro delle costruzioni illuminate dal sole alto sulle loro teste. L’ora di pranzo era passata solo da una manciata di minuti e le ombre si iniziavano ad allungare.
Sentì il cuore che arrivava fino alla gola quando si rese conto che quelle sagome erano uomini e quel brillio non era che il luccicare delle lame delle loro armi rudimentali. Rastrelli, forconi, pale, spranghe di ferro, mazze di legno, asce.
“Il comitato di accoglienza.” Il Delegato Dogale non sembrò intimorirsi. “Piccoli, ingrati bastardi. Dopo tutto quello che faccio per loro. Non sono che feccia.”
Eppure Kahil aveva il sentore che più cose terribili avesse detto Van Saal, più il prezzo da pagare sarebbe stato salato. E anche la sola idea del sale nella bocca gli fece seccare la gola ancora di più.
Il gruppo entrò con passo trionfante nella piccola piazza e si fermò a poca distanza dalla prima fila di uomini. Tra di essi, al centro, vi era l’unica donna.
Kahil trasalì visibilmente nel riconoscere, nei tratti del suo viso, quelli della giovane che aveva salvato assieme al bambino. Non c’erano più dubbi, ormai. Il figlio di Bashaar era tornato.
“Finalmente posso vedere in faccia chi dovrò punire” esordì il Delegato Dogale, sollevando il mento. “Avete osato cacciare dei membri della Guardia Cittadina che agivano per ordine mio. Sapete, vero, cosa comporta un simile atto di protesta? I miei ordini sono gli ordini del Doge.” Si sporse in avanti, appoggiandosi sul bordo della sella. “O devo forse pensare che vogliate ribellarvi proprio al signore del dogato? Sapete cosa succede a chi prova a sfidare la mia autorità…”
Le sue minacce si scontrarono con un muro di silenzio. Nessuno dei cittadini parve intimorito; nei loro occhi leggeva la durezza del ferro. Si ritrasse e cercò di non dare a vedere come la loro non-reazione l’avesse infastidito.
Van Saal guardò i due soldati che avevano farneticato di Bashaar. “E allora? Dov’è? Io non vedo il vostro fantasma.” Accennò un sorriso ironico.
Quello più magro prese coraggio. “E’ uscito da quella locanda!” Indicò l’ingresso aperto del Daaku.
“E allora andatelo a prendere, no? Vediamo di muoverci, ho una lezione da impartire quest’oggi.” Minacciò, tornando a guardare la gente. I miliziani scomparvero all’interno della locanda, muovendosi svelti. “Una lezione molto più severa di quella che ricordate. Qualcuno potrebbe dire che il fegato non vi manca di certo, ma io più che fegato lo chiamerei ‘pazzia’. Ad ogni modo, vedrete se non saprò fare di peg-”
In quel momento, uno dei soldati volò fuori dalla locanda, rovinando pesantemente sul terreno, davanti agli zoccoli del cavallo di Van Saal. Il suo compare più grosso lo seguì qualche attimo dopo.
Van Saal sgranò gli occhi mentre Kahil cercava di acquietare il proprio animale, innervosito da tale confusione.
Una voce allegra provenne dal locale e la figura di un giovane con i capelli ricci fece capolino. Si stava ripulendo le mani. “Non ci siamo per niente. Li ho atterrati con un pugno solo, ma ci pensi?”
Era seguito da altri due ragazzi. Uno aveva dei lunghi capelli neri e l’altro gli incisivi sporgenti.
“Era anche per questo che non ti ho fatto partecipare, ieri. Non ti avrebbero dato soddisfazione.” Appoggiò quello con i capelli lunghi, mentre il terzo se la rideva.
“E voi chi diavolo siete?!” sbottò Van Saal; la bocca distorta in una smorfia confusa e infastidita.
“E-e-erano… c-con… Bash…aar…” faticò a dire uno dei miliziani. Il naso spaccato di netto e non solo quello, purtroppo per lui. L’altro era svenuto sul colpo.
“Ah, sì?!” Il Delegato si irritò ancora di più. Guardò i tre stranieri che, a loro volta, lo stavano fissando: l’aria di chi non aveva alcuna paura, quasi fosse stato solo un fantoccio di paglia, e l’espressione disgustata. Quello con i capelli lunghi, in particolare, gli diede l’impressione di volerlo incenerire solo con lo sguardo. La loro arroganza lo mandò in collera.
“Ebbene?!” sbottò, gli occhi che vagavano in mezzo alla moltitudine di volti immobili come maschere di cera. “Dove sei, fantasma?! Voglio proprio vedere che faccia hai, piccolo bastardo! Avanti! Vieni fuori! Vieni fuori se hai il coraggio!”
“Ci tieni tanto a vedermi?” Quella voce gelò sia lui che Kahil sulle selle. “Eppure il mio viso dovresti conoscerlo bene. Quello davvero curioso, dei due, sono io.”
La folla, ferma davanti a Van Saal, si aprì adagio e in silenzio. Fecero spazio a un giovane che avanzò in mezzo a loro; in una mano stringeva l’elsa della spada di Bashaar, quella con cui lui l’aveva trafitto e piantato al suolo. La riconobbe all’istante e d’istinto appoggiò la sua su quella che aveva legata alla sella. Era il suo trofeo di vittoria e l’aveva portata perché con quella stessa scimitarra, che era stata il simbolo della loro passata rivolta, li avrebbe affossati nuovamente nel sangue. Però, nel momento stesso in cui le sue iridi si fermarono sul ragazzo, sul suo viso e sul suo sguardo, Van Saal avvertì, di netto, il sangue prosciugarsi dalle vene. Lo sentì strisciare e ritirarsi, come la marea dalla spiaggia.
“I morti non risorgono…” sibilò, cercando di convincere sé stesso.
Al suo fianco, Kahil era rimasto muto. Nella gola sentì un nodo serrarsi così forte da lasciarlo incapace di respirare e negli occhi pungevano le lacrime delle sue notti insonni.
Yuzo si fermò qualche passo avanti ad Haruko. Riempì le iridi della figura di Van Saal, che squadrò dall’alto verso il basso. Lentamente.
Quello era l’uomo che aveva ucciso i suoi genitori, che aveva assoggettato un’intera cittadina e fatto soffrire decine e decine di persone.
Quello era l’uomo che aveva ucciso i suoi genitori; che aveva ucciso suo nonno, tutti i briganti, le loro mogli e i loro figli.
Quello era l’uomo che aveva ucciso i suoi genitori.
Lo sezionò con lo sguardo, quasi avesse potuto farlo a pezzi per poterlo osservare meglio, per imprimersi nella memoria ogni singolo tratto del suo volto e della sua persona per non dimenticarlo mai. La calvizie incipiente sulla fronte e i lunghi capelli bianchi che formavano una striscia alla base della testa, il naso adunco e sottile, le labbra tese e gli occhi piccoli, vicini. La struttura massiccia, lo stomaco abbondante, gli abiti ricchi e dai tessuti pregiati, gli stivali con finiture in argento.
L’elsa.
Di.
Vendetta.
La mano inguantata era poggiata sulla gemella di Dolore e il fatto stesso che quell’uomo stesse toccando qualcosa appartenuta a suo padre gli fece ira e ribrezzo assieme.
Inspirò a fondo per abbassare il livello di collera che sentiva montare dentro di sé come un’onda di marea. La represse con forza e nella testa continuava a pensare che il piano di Mamoru fosse sbagliato.
Fin da quella mattina, quando la Fiamma gli aveva detto: “Terrorizzalo”, lui era rimasto perplesso.
“E’ vendetta che vuoi, no? Allora fagli provare la più grande paura della sua vita. Fagli desiderare d’essere morto. Piegalo, sotterralo sotto tutto quello che tu ti sei trovato a reprimere fino adesso.” Aveva continuato il compagno e nel suo sguardo aveva letto una fermezza che credeva non sarebbe mai riuscito a eguagliare. Tirare fuori il suo odio gli faceva paura, perché sapeva quanto grande fosse e il solo pensiero di lasciargli campo libero lo inquietava.
Non pensava che, invece, fosse tanto semplice, quasi naturale. Emergeva dal petto, si riversava dal cuore e colava nella cassa toracica come la lava di un vulcano. Entrava nelle vene e si mischiava al sangue, entrava nei polmoni e diveniva respiro, bollente, usciva dalle narici, dagli occhi, dalle labbra, da ogni poro della pelle. Si fondeva ai suoi poteri e diveniva vento. Il vento l’avrebbe guidato nelle azioni da compiere, nelle parole da dire. Il vento, che era stato l’obiettivo da raggiungere, poi l’alleato, poi il nemico e poi di nuovo un fedele compagno. Il vento con i suoi mutamenti bizzosi, che andava e veniva a suo piacere, che aveva bisogno d’esser controllato con le unghie e con i denti. Il vento. La libertà. Di suo padre e di sua madre, di suo nonno e dei briganti. La sua. Il vento che sceglieva il suo nome, il vento che gli faceva incontrare il Console, il vento che era al suo fianco ancora, per aiutarlo a vendicarsi.
L’espressione tesa e iraconda iniziò a sciogliersi nella piega deliziata delle labbra che ghiacciava la schiena perché non aveva niente di buono.
Nel cielo, il sole venne oscurato da una nuvola spuntata all’improvviso. Alcuni miliziani alzarono lo sguardo e videro che ce n’erano altre, che nascevano e morivano e si muovevano con velocità innaturali. L’aria attorno iniziò a farsi più fredda e tagliente. Il vento fece stormire le foglie e sollevare abiti e capelli.
Yuzo allungò la mano vuota verso Van Saal. “Hai qualcosa che mi appartiene” disse. “Dammela. Dammi quella spada” pretese senza mezzi termini e il nocciola degli occhi sembrò brillare alla luce di qualcosa che l’uomo non riuscì a identificare chiaramente. “Io voglio Vendetta.”
Il Delegato Dogale deglutì con uno sforzo. Le labbra strette presero a tremare per la rabbia. Non riusciva ancora ad accettarlo del tutto, ma se quello non era il fantasma di Bashaar allora doveva essere per forza suo figlio. Per forza! Perché la somiglianza non poteva essere un fottuto caso e quell’atteggiamento che sembrava non aver paura di niente neppure. E quella sicurezza di sé? Quel sorrisetto di sfida?
Arricciò le labbra in un ghigno e la stretta attorno all’elsa di Vendetta si fece ferrea.
“Come diavolo è possibile che quel bastardello sia ancora vivo?!” Si rivolse al suo comandante pur senza guardarlo. “Avevo detto di ucciderli tutti! Ero stato chiaro! Come hai potuto permettere che te ne sfuggisse uno?! E proprio il figlio di quel cane, maledizione!”
Kahil boccheggiò come un pesce fuori dall’acqua.
“Uno?” Un’altra voce sprezzante tuonò e venne accompagnata dal gorgoglio di una risata. “Puoi anche dire due!” Zedecka Hansen si fece largo, trascinando la gamba col suo fido bastone.
Van Saal riuscì a riconoscerlo, seppur invecchiato e con una benda sull’occhio. “Tu?!” sputò, la voce saliva di tono. “Ti ho visto morto!”
Zed rise di lui. “Non hai guardato bene, vecchio porco. Ero solo mezzo morto.”
Stavolta, il Delegato si girò verso il comandante, ma gli occhi di Kahil erano fissi su quanto stava accadendo. Non avrebbe mai creduto che, a salvarsi, fossero stati addirittura in tre. Zedecka era stato una sorpresa anche per lui.
“Kahil! Che diavolo significa tutto questo?! Sterminali, dannazione! Ripara agli errori, datti una mossa!”
L’uomo era frastornato, ma sì… avrebbe davvero riparato agli errori su quello Van Saal poteva stare certo. Senza rispondere scese dal cavallo reggendosi sulle gambe con passo malfermo.
Vide la donna poggiare una mano sulla spalla del ragazzo attirandosi la sua attenzione. “E’ l’ufficiale che ci risparmiò” spiegò e se lui avesse potuto vedere il volto del Delegato avrebbe trovato i suoi occhi ancora più allibiti e spalancati, ma a Kahil, in quel momento, non importava nulla di ciò che l’uomo avrebbe potuto pensare. Anzi, a dirla tutta, non gli sarebbe importato nemmeno nei momenti a venire.
Piano si trascinò davanti al giovane, guardandolo fisso in quegli occhi pieni di odio. Lo poteva vedere chiaramente, lo poteva addirittura sentire sulla pelle, nell’aria che gli girava intorno e che si era fatta insinuante.
“Qual è il tuo nome?” chiese, la voce che faticava a uscire.
Il volante abbassò la mano ancora tesa nell’attesa di ricevere la spada, il sorriso venne sostituito da una espressione seria. Lo guardò fisso e senza indietreggiare; non si mise nemmeno in posizione di difesa quasi percepisse chiaramente che colui che aveva davanti non era una minaccia.
“Yuzo.”
“Yuzo…” ripeté Kahil adagio, mentre annuiva. Poi fece quello che nessuno si sarebbe mai aspettato: si lasciò cadere in ginocchio, appoggiò le mani al suolo e si inchinò; la faccia premuta nella rena. “Mi dispiace. Mi dispiace per tutto. Non ho avuto il coraggio per impedire l’orrore di vent’anni fa. Speravo che risparmiandoti potessi mettere a tacere almeno un po’ la mia coscienza, ma è stato vano. Tutto vano.” Le lacrime si mischiarono alla polvere. “Ho sempre saputo che un giorno saresti tornato e se sei qui significa che le Dee lo hanno voluto, così come hanno voluto che ti lasciassi vivere. Allora… allora non avere pietà. Uccidimi, torturami, vendicati come più ti aggrada. Accetterò tutto quello che deciderai. Tutto.”
L’espressione non variò sul viso di Yuzo mentre l’aria attorno a lui gli sussurrava ciò che la rabbia le dettava. E diceva di accontentarlo, senza mezzi termini, gli sarebbe bastato un attimo, un colpo di spada e la testa si sarebbe staccata dal collo con la precisione chirurgica del bisturi di un Naturalista.
Si volse per cercare lo sguardo di Mamoru, perché in quel momento non riusciva a distinguere cosa fosse giusto e cosa sbagliato.

“Liberati, falla esplodere. Esaurisci tutta la rabbia che ti sei portato dentro fino a questo momento.”
“Non credo sia una buona idea. E se… se dovessi perdere il-”
“Ti fermerò io. Non preoccuparti, sarò lì con te.”

Nella pece dei suoi occhi trovò la solidità della realtà cui aggrapparsi, la lucidità delle azioni da compiere.
“Non devi ucciderli.”
Era come se Mamoru glielo stesse dicendo a voce, ma la sua bocca era ferma e le labbra chiuse.

“La rabbia sarà il vento che ti scivolerà attorno, ma non sarà più parte di te. Sarà il tramite per andare fino in fondo, ma non la mano che firmerà la condanna né il boia che la eseguirà.”

Cominciò a ripetere quella frase nella testa in maniera lenta e ciclica. Una volta dietro l’altra per ricordarla a ogni gesto che avrebbe compiuto, a ogni respiro che avrebbe preso e a ogni parola che avrebbe detto e ascoltato.
“Che cosa?!” La voce di Van Saal giunse irata e traboccante di sdegno. “Cosa devo sentire! Traditore bastardo! È così che mi obbedisci?!” Preso dalla foga estrasse Vendetta dal fodero legato alla sella. La lama danzò nel vento con eleganza, nonostante chi la brandisse fosse un uomo rozzo. “Ti insegno io a voltarmi le spalle, Kahil! Vuoi morire?! Ecco quello che ti aspetta per averlo risparmiato e per avermi tradito!” Impennò il cavallo e calò il fendente. L’avrebbe inchiodato al suolo come con Bashaar. Ma l’acciaio di Vendetta cozzò, con un rumore cupo, contro quello di Dolore.
“Non ti permetterò di sporcare la spada di mio padre con del sangue che non sia il tuo, Van Saal.”
L’interpellato rabbrividì a quella minaccia di Yuzo e allo sguardo immobile con cui gliel’aveva rivolta. Sollevò l’arma, facendo arretrare il destriero di un passo. “Guardie!”, chiamò, “Ammazzateli! Ammazzateli tutti! Non un solo essere umano deve sopravvivere!
La risata del giovane con i capelli lunghi spezzò la sua foga e quando vide che una fiamma, una fiamma pura!, gli ardeva nel palmo della mano perse tutte le parole.
“Il primo che si muove lo spedisco all’Infero senza nemmeno passare per il Gefüra” minacciò senza mezzi termini e per rafforzare il concetto liberò il potere del fuoco, innalzando una barriera alle spalle di Van Saal isolandolo, di fatto, dai suoi scagnozzi. “Se volete mettere alla prova il vostro ardore col mio, prego, a vostro rischio.”
“Nel caso, penserò io a spegnervi per bene.” Accanto all’altro, quello con gli incisivi sporgenti aveva una lingua d’acqua che gli avvolgeva il braccio.
Per il Delegato quella scoperta ebbe l’effetto di una doccia gelata.
“Elementi?!” esalò, carico di sconcerto. Lentamente lo sguardo tornava a posarsi sul figlio di Bashaar.
Il cielo oscurato da nuvole in corsa e il vento che, di colpo, esplose in raffiche che spazzavano la piazza senza sosta.
“Sì. Elementi” confermò Yuzo.
Il cavallo di Van Saal si impennò spaventato dalla forza della magia che percepiva come una presenza minacciosa. L’uomo ne tenne saldamente le redini, seppur con fatica, e tutto ciò che fu in grado di pensare fu che doveva fuggire da lì.
Alle sue spalle, il volante aveva ripreso la parola. “Scendi da cavallo e affrontami.”
Van Saal non ci pensava nemmeno. Era condannarsi a morte, lo comprese all’istante. Caricò il muro di fuoco, deciso a superarlo con un balzo, ma non aveva tenuto conto del fatto che Yuzo aveva messo da parte la storica pazienza in suo onore.
“Ti ho detto di scendere.” Sollevò la mano e con un gesto secco strappò l’uomo dalla sella sfruttando il potere del vento.
Kahil rimase a guardare la semplicità con cui il figlio di Bashaar l’aveva atterrato. Non poteva, non poteva assolutamente essere un caso se quel ragazzo era tornato. Le Dee lo avevano protetto fin da piccolissimo; il fatto che fosse un Elemento ne era una prova e il fatto che fosse lì ne era un’altra. Le Dee in persona erano venute a riscuotere il prezzo di tutte le loro malefatte.
“Ti ho detto di restituirmi Vendetta.” Yuzo allungò nuovamente la mano verso Van Saal, ora a terra. Quella spada apparteneva a lui e se la sarebbe fatta ridare a qualsiasi costo.
Il Delegato si mise a sedere, dolorante. La spalla e la schiena gli facevano male per il colpo ma non era disposto a cedere. Arrancò nella polvere. La mano vagò per cercare la scimitarra che, nella caduta, aveva perduto. La trovò e la strinse, saldamente, brandendola come fosse una difesa invincibile, ma non si rese conto di peggiorare la situazione.
Un sorriso sottile tese le labbra di Yuzo, mentre aumentava la forza delle raffiche. Quest’ultime erano piene di collera e sollevavano rena, frustavano lo spazio, costringevano a chiudere gli occhi. Le chiome degli alberi si dibattevano in fruscii confusi e spaventati. L’aria piangeva e ululava senza sosta.
Van Saal si trascinava sulla terra per allontanarsi da lui che restava in piedi e solido, quasi che il vento non esistesse nemmeno. Dolore stretta nella mano e con la lama rivolta al suolo.
Lo guardò con occhi spalancati e cercò di farsi scudo con Vendetta, inutilmente, perché le raffiche non gli permisero più nemmeno di brandirla.
“Fermali! Ferma i tuoi poteri!”
“E perché dovrei?” Yuzo si strinse nelle spalle. Il sorriso assunse una piega che inquietò il Delegato Dogale. “Immagino che anche i briganti, quando venivano trucidati, ti chiedevano di fermarti, ti supplicavano. E tu? Tu ti sei fermato?” Scosse il capo facendo schioccare la lingua con divertimento e ironia.
Van Saal arretrò ancora. “Sei pazzo…”
Yuzo non lo smentì, ma oscillò una mano in aria e da sotto la manica, girando attorno al polso e poi alle dita, fili di elettricità si attorcigliarono tra loro e si allungarono verso il suolo, formando una corda lunga e sottile. Il volante la fece schioccare, producendo un suono acuto e crepitante. Una frusta di fulmini.
Il sorriso scivolò dalle labbra, lasciando al suo posto un’espressione severa e dura. Adagio, iniziò ad avvicinarsi all’uomo che prontamente scivolò indietro, scalciando nella terra.
“Adesso striscia” ordinò Yuzo. “Chiedi perdono per tutto quello che hai fatto, chiedi perdono per le persone che hai trucidato, chiedi perdono per il dolore che hai arrecato e per il modo in cui hai reso schiave queste persone. Chiedi perdono alla gente di Ghoia. Chiedi perdono a me.” La frusta danzava al suolo, anche senza che il volante la muovesse: l’elettricità la rendeva viva e vibrante. Altri passi, lentissimi. “Supplicami, implorami di lasciarti vivere. Striscia ai miei piedi come la serpe che sei e pregami di essere magnanimo come tu non sei stato.”
Van Saal tremò per la collera che gli salì al viso. Mostrò i denti in un ringhio rabbioso e poi abbaiò, sputando saliva e tirando calci come un toro.
“Pietà?! Perdono?! Fottiti, piccolo bastardo! Ti taglierò la gola con la spada di quel porco di tuo padre!” rise in maniera convulsa, gli occhi spalancati inglobavano le facce impassibili di tutti gli abitanti che lo fissavano senza fiatare; volti scolpiti nella pietra. La terra sollevata dal vento gli andò in bocca, ma non se ne curò. “Voi mi appartenete! Io decido delle vostre vite che valgono uno sputo! Ve la farò pagare per esservi ribellati di nuovo! Siete carne morta che cammina! Carne morta!” E giù, ancora, un’altra risata fuori controllo.
Yuzo sollevò il volto al cielo; oscillò appena seguendo ritmicamente il movimento del vento che gli smuoveva gli abiti. Strinse le labbra e sospirò. “Risposta sbagliata.”
La frusta schioccò nell’aria e poi serpeggiò veloce, abbagliando Van Saal per un istante e colpendolo in pieno viso.
Il bruciore della folgore lo fece gridare e rotolare di lato, nella terra, tenendosi la guancia.
Yuzo continuava a guardare il cielo con aria assorta. Sembrava che il vento gli sussurrasse cosa fare e come.
“Supplicami” ripeté, abbassando lo sguardo privo d’espressione. “Supplicaci.”
“Bas… tardo…”
La frusta lo colpì di nuovo, all’altra guancia, e le grida di Van Saal tornarono a riempire l’aria assieme all’ululare del vento. Il volto segnato da sfregi di bruciature di colore bruno. Gli sembrava che la pelle potesse cadere a pezzi. Levò con fatica lo sguardo sul suo carnefice che seguitava a torreggiare su di lui; l’elettricità dei suoi poteri schioccava a vuoto con un suono che non avrebbe mai potuto dimenticare.
“Sto aspettando.” Lo incalzò Yuzo e forse, ciò che più spaventava il Delegato Dogale era quella calma nella voce che mai, nemmeno per un attimo, s’era trasformata in grida, mai s’era levata oltre la soglia di guardia, ma era rimasta quieta e ferma. Totalmente opposta al vento, che continuava a spirare pieno di furore.
Strisciò ancora ma un tronco alle sue spalle fermò i suoi movimenti. Van Saal lo guardò terrorizzato solo per un attimo, prima di tornare a fissare il giovane. Se solo fosse riuscito ad alzarsi! Ma per quanto voleva dare a vedere di potergli tenere testa e di non aver paura, le gambe non gli obbedivano.
Nel frattempo, Yuzo si avvicinava un passo alla volta e lo schiocco della frusta si faceva più forte. Van Saal si appiattì contro il tronco.
“Stammi lontano…” biascicò, il terrore negli occhi. Questa volta non poteva più fuggire.
“Devi solo supplicarmi” insistette Yuzo, sordo a qualsiasi altro richiamo.
Stammi lontano! Non avvicinarti a me, assassino!
Il volante si fermò davvero. “Assassino?” Qualcosa brillò nei suoi occhi e le labbra si tesero in un accenno di sorriso rassegnato. “Sì, lo sono già.” Caricò la frusta e all’elettricità anche l’aria si unì, fischiando, mentre prendeva forza sopra la sua testa.
Van Saal serrò gli occhi, nascondendosi dietro Vendetta.
“Che diavolo sta succedendo, qui?!”
Quella voce, comparsa dal nulla, fermò tutto. L’aria s’acquietò d’improvviso e il vento cessò di spirare.
Yuzo abbassò la frusta pur senza farla sparire; gli occhi puntati in direzione del nuovo arrivato.
Bardato con abiti ricchi e in sella a uno stallone imponente dal manto fulvo, un uomo osservava la scena con espressione palesemente sconcertata. Alle sue spalle, nugoli di soldati della Guardia Cittadina.
“Doge Gasport(1)!” piagnucolò Van Saal in un misto di gioia e sollievo. “Arrestateli! Questi sono pazzi! È in atto una ribellione e hanno tentato di uccidermi, di sovvertire il potere! E’ un attacco contro di voi, mio signore! Loro! Tutti!”
“Adesso calmati, Van Saal.” Gasport lo zittì con un gesto deciso. Il suo sguardo correva alla popolazione che vedeva armata dei più comuni utensili da lavoro. A loro volta, lo fissavano disorientati. Qualcuno parlò, borbottando quel: ‘E’ questo il Doge?’ che lo lasciò ancora più perplesso.
Poi, al centro, c’era quel ragazzo che stava usando la magia. Un Elemento.
“Esigo una spiegazione” ordinò, gli occhi fissi su Yuzo che dissolse in un attimo l’arma che stava brandendo. Rimase solo la spada.
Il volante sostenne il suo sguardo, in cui si leggeva palese rimprovero per ciò che stava vedendo. “Siamo Elementi, in viaggio al Sud per ordine del Re Ozora.”
“Per ordine del Re? Ed è stato sempre il Re a ordinarvi di spaventare i miei funzionari e sovvertire le città del mio dogato?”
“Ora lo ammazzo” borbottò Mamoru, palesemente infastidito, ma la mano del Tritone lo fermò prima che potesse muoversi.
“L’intimidazione è inaccettabile. Farò rapporto alla tua scuola elementale, come ti chiami?”
La Fiamma ingoiò un ruggito, mentre sul viso l’espressione si inaspriva. Guardò Yuzo e non lo vide vacillare nemmeno per un attimo: le labbra tese e il volto di pietra, ma negli occhi… negli occhi vide brillare qualcosa che in lui non aveva mai scorto. Orgoglio.
“Il mio nome?” sibilò il volante, la testa alta e lo sguardo fiero. “Il mio nome è Yuzo Morisaki. Figlio di Bashaar e Arya Morisaki che diciannove anni fa sono morti assieme ad altri cento, tra uomini, donne e bambini, nel tentativo di preservare la libertà di Ghoia da un funzionario corrotto di nome Erik Van Saal!”
Il Doge rimase colpito. “Morisaki…” con un sopracciglio inarcato si volse in direzione del suo sottoposto. “Van Saal, Morisaki non era il capo di quegli assassini che-”
“Di assassino, qui, ce n’è sempre stato solo uno” sputò Yuzo aspramente; anche i suoi occhi corsero a guardare l’uomo ancora a terra. “E non era mio padre.”
“Sì, Doge! Proprio lui! Quel bastardo rognoso! Arrestateli tutti, presto!”
Il volante coprì i suoi lamenti. “Quest’uomo ha ridotto Ghoia in schiavitù, costringendo i suoi abitanti a pagare tributi aggiuntivi alle tasse imposte dal dogato, li ha minacciati per anni, vessandoli per mezzo dei suoi mercenari che ha fatto passare per guardie cittadine.” Indicò gli sgherri di Van Saal che erano rimasti fermi e ora si sentivano in trappola.
Il Doge appariva disorientato, mentre muoveva gli occhi ai volti stanchi delle persone attorno a loro che non sembravano affatto dei veri ribelli, quanto dei disperati.
“E chi non poteva pagare veniva torturato, stuprato. Venduto.”
Gasport scosse il capo con decisione, stringendo le briglie. “Tutto questo non è possibile” rispose fermamente, tentando di aggrapparsi alle proprie convinzioni o a ciò che aveva sempre creduto che avvenisse. “L’operato del Delegato Dogale è sotto il mio controllo e-”
“Il vostro controllo? E da dove controllate? Dalla comoda poltrona al palazzo di Tha Cerròs?” Yuzo abbozzò un sorriso ironico. “E ditemi, è sempre da lì che riuscite a vedere quello che succede a Ghoia? I miei complimenti, avete una vista davvero acuta.”
“Di cosa mi stai accusando? Modera le parole ragaz-”
Non ci penso nemmeno!
Il modo in cui il volante ruggì lasciò sorpresi anche i suoi stessi compagni: aveva seppellito anche la diplomazia oltre alla pazienza.
Teppei sbatté le palpebre più volte, mentre Hajime sgranava gli occhi.
Mamoru, invece, aveva la schiena dritta e la testa alta. Le labbra distese in un sorriso di pura soddisfazione e approvazione.
Dove eravate, voi, mentre la gente moriva? Dove siete stato per questi venti lunghi anni? Da quanto tempo non mettete piede a Ghoia? È già tanto se qui conoscono il vostro nome!” Yuzo ridusse il tono, scuotendo il capo. “Che cosa conoscete, voi, di questa realtà?”
Gasport non replicò, ma vide lacrime scorrere sui volti di quelle persone che ora avevano abbassato le loro armi e si rese conto che anche gli occhi dell’Elemento che gli stava davanti dovevano aver pianto.
“E’ vero, Van Saal?” domandò, pur senza voltarsi a guardare direttamente il Delegato. “Per tutti questi anni hai abusato della fiducia che io avevo riposto in te? Mi hai usato?”
L’interpellato si vide in trappola. “Ma… ma no, mio signore! Io-”
“E’ tutto vero.”
La voce del comandante Kahil arrivò chiara e distinta, sovrastando quella di Van Saal. Quest’ultimo lo guardò con orrore.
“Taci, maledetto traditore!”
“Chiudi quella fogna! Per anni mi sono sporcato le mani ai tuoi ordini, adesso basta!” L’uomo prese ad avanzare, portandosi di fronte al Doge. “Quello che dice questo Elemento è vero. Tutto. Io c’ero vent’anni fa, ho partecipato alla strage dei briganti che avevano solo cercato di proteggere questa gente. Hanno strenuamente lottato con le unghie e con i denti, ma noi eravamo in numero maggiore… Non abbiamo risparmiato nemmeno i bambini…”
“Ma perché nessuno è mai venuto a rifermi di quanto stava accadendo?!” Il Doge era sconvolto. “Perché nessuno è mai venuto a Tha-”
“Perché non potevano!” Kahil abbassò il capo. “Se qualcuno avesse provato a lasciare la città, sarebbe stato ucciso. Erano questi gli ordini. Noi saremmo riusciti a rintracciarlo prima che potesse entrare in qualsiasi altra città, e lo avremmo punito.” Adagio allungò i polsi verso il Doge, chinando il capo. “Siamo noi quelli che devono essere incatenati e portati via, siamo noi quelli che devono pagare una volta per tutte. Loro hanno pagato anche troppo.”
Il Doge rimase in silenzio. Le mani poggiate una sull’altra sulla sommità della sella, lo sguardo fisso sui crini del destriero che oscillavano al vento, ora leggero, di Yùkiza.
Iniziò ad annuire piano, e prese la sua decisione.
“Così sarà. Guardie, arrestate Van Saal e i suoi uomini. Li condurremo a Tha Cerròs con l’accusa di strage e tirannide, abuso di potere, estorsione, schiavismo e… e solo le Dee sanno cos’altro” scandì lentamente, quasi come se egli stesso faticasse a crederci, e dopo più di trent’anni di fiducia, non poteva essere che così.
A quelle parole, Yuzo chiuse gli occhi, riempiendosi i polmoni di quanta più aria possibile per ingoiare le lacrime.
Era finito. Tutto, tutto finito.
Tra i mercenari dilagò il fermento, qualcuno cercò di fuggire, ma i veri miliziani della Guardia Cittadina erano molti di più e riuscirono a rincorrerli e bloccarli.
Van Saal seppe che oramai non c’era più scampo. Per lui, per la sua brama. Se gli fosse andata bene, l’avrebbero sbattuto in cella e buttato via la chiave; se gli fosse andata male… avrebbe spaccato pietre fino alla fine dei suoi giorni, sotto i lavori forzati. Per fortuna, a Tha Cerròs non vigeva la pena di morte, ma le pene corporali sì. Forse l’avrebbero preso a frustate.
Con gli occhi iniettati di sangue, guardò con odio il figlio di Bashaar che, dal nulla, era tornato per distruggerlo e distruggere tutto il suo impero perfetto. Si alzò in piedi e brandì Vendetta nell’ultimo guizzo di rabbia.
“Io marcirò in galera, ma prima ti spedisco nelle Terre dell’Oltre!”
Con la forza che gli era rimasta, lanciò la grossa scimitarra verso Yuzo.
Il volante non si mosse, mentre Vendetta tagliava il vento. Vicina con la velocità del soffio, era destinata a trafiggerlo in pieno. Ma a Yuzo bastò sollevare il dorso della mano e la spada si fermò all’istante, toccandogli la pelle solo con la punta. Girò il volto, schiuse le palpebre e diede un colpo leggero alla lama con le nocche. Il potere del vento mosse Vendetta con lentezza ed eleganza; l’elsa obbedì docile e si fermò nel palmo, dove venne racchiusa.
“Ti sei deciso, finalmente. Era ora che me la restituissi” affermò Yuzo, facendo sibilare la lama con un gesto deciso. Senza aggiungere altro gli volse le spalle e si mosse per raggiungere i suoi compagni.
Dietro di lui, Van Saal iniziò a ridere sommessamente, prima di esplodere in un suono fragoroso.
Credi… credi di aver vinto?! Di avermi sconfitto?! Illuso! Io finirò in cella, ma i tuoi genitori non ritorneranno! Per quanto tu possa fare, niente li riporterà indietro! E continueranno a marcire all’Inferno con Kumi!” rise sguaiatamente, restando seduto a terra. Senza un minimo di vergogna o senso di colpa. Rideva di ciò che aveva fatto e continuava a provarne piacere.
Yuzo lo ignorò con tutte le sue forze. Era consapevole che non avrebbe mai avuto di nuovo né sua madre né suo padre, ma cercava di trovare una consolazione nel fatto che Van Saal avrebbe pagato per i suoi crimini. Una minima, microscopica consolazione.
Stringendo le scimitarre aveva continuato a camminare, mentre Van Saal inveiva senza sosta.
Quegli schifosi rifiuti umani hanno provveduto a ingrassare i vermi di questo maledetto dogato! E i topi hanno pasteggiato alla grande con le ossa di quel cane bastardo e della sua puttana!
Questa volta Yuzo si fermò.
Girò appena il viso mentre le parole ‘cane bastardo’ e ‘puttana’ venivano ripetute e assimilate dalla testa. Ne aveva abbastanza.
Van Saal era ancora a terra, a contorcersi dalle risate. Il viso paonazzo, la bocca spalancata. Lo guardava e rideva di come, alla fine di tutto, ne sarebbe sempre uscito salvo.
Il volante si mosse così velocemente che lo sguardo di buona parte dei presenti non riuscì a stargli dietro. Gli videro spiccare un balzo, le lame ruotare nel vento e brillare sotto i raggi del sole.
Van Saal strozzò in gola il fiato quando le sentì conficcarsi nel terreno a un soffio dalla propria faccia. Gli occhi di Yuzo, improvvisamente vicinissimi ai suoi, lo guardavano con talmente tanto odio che non seppe come non morì d’infarto, perché in quel volto e in quello sguardo si sovrapposero quelli di Bashaar in maniera perfetta e lui, per la prima volta, pensò che il brigante fosse davvero risorto dalla tomba.
“Ascoltami con attenzione e fino in fondo.” La voce di Yuzo era fiato che graffiava i timpani e grondava minaccia. “Non osare mai più nominare la mia famiglia e i briganti. Se verrò a sapere che avrai fatto il loro nome anche una sola volta, io tornerò e ti strapperò la lingua. E se li scriverai, ti taglierò le dita una ad una. Qualsiasi cosa proverai a fare, io te la restituirò moltiplicata per cento. Non esisterà alcun posto su questo pianeta abbastanza sicuro per nasconderti perché io saprò ritrovarti sempre in ogni istante della tua misera e inutile esistenza. Sarò nel vento che soffierà intorno a te, sarò nei fulmini che accompagneranno la pioggia, sarò nell’aria stessa che respirerai. Ovunque ti girerai, io ci sarò. Mi hai capito bene?” Le labbra si deformarono in un ghigno che lo fece tremare dalla testa ai piedi. “Mio padre faceva sempre quello che diceva, no? Vuoi mettere alla prova anche me?”
L’uomo non rispose. Rimase inglobato nei suoi occhi che avrebbero voluto annientarlo per non lasciare, di lui, nemmeno la più misera traccia.
“Vuoi mettermi alla prova, Van Saal? Dimmelo” ripeté il volante e l’altro deglutì con uno sforzo. La testa si mosse pianissimo nel rispondere quel ‘no’.
Più lontani, Hajime, Teppei e Mamoru guardavano la scena.
“Che gli avrà detto?” domandò il tyrano. La Fiamma inarcò un sopracciglio con un mezzo sorriso.
“Non lo so, ma il bastardo si è appena pisciato addosso.”
“Oh, che schifo!”
“Per un attimo ho davvero temuto che...” Hajime scosse il capo, sbattendo le palpebre. Poi si passò una mano sul viso, ridendo del suo stesso, impossibile pensiero. “No. Yuzo non lo avrebbe mai fatto.”
Mamoru non disse nulla a riguardo, ma dentro di sé seppe di non avere la stessa sicurezza del Tritone perché lo sguardo che gli aveva visto l’attimo prima di agire gli aveva detto tutt’altro.
“Tutto quanto è successo è avvenuto per causa mia.” Il Doge tirava profondi respiri inquieti mentre restava in sella al suo cavallo. “Ho fatto troppo affidamento sulle figure dei Delegati e ho finito col perdere di vista il bene delle città appartenenti al dogato. Ma farò il possibile per rimediare anche se, nel vostro caso, non servirà a molto…”
“Doge Gasport” Haruko si fece avanti. “Coloro che sono morti non possono certo tornare in vita e questo noi lo sappiamo. Però vorremmo che il loro nome, il nome di tutti i briganti, fosse riabilitato. Perché hanno combattuto fino in fondo per la nostra libertà e vogliamo che vengano ricordati per quello che sono stati e saranno per sempre: degli eroi.”
L’uomo annuì con severità. “Sarà fatto, non temete. Una volta arrivato al palazzo dogale, sarà mia premura rendere i giusti onori a tutti coloro che hanno pagato per la follia di uno solo.” Con spregio e disgusto rivolse lo sguardo a Van Saal. “Guardie, mettete in catene quel viscido assassino.”
Yuzo non si mosse fino a che due miliziani non portarono via l’ormai non più Delegato Dogale, trascinandolo sulla rena perché non sembrava avesse nemmeno la forza di alzarsi in piedi, dopo il loro ultimo colloquio. I suoi occhi lo seguirono come ombre a ribadire il concetto che nessun posto sarebbe mai stato sicuro su Elementia, non per lui, e Van Saal rimase a fissarlo di rimando, fino a che non venne coperto dagli altri uomini e dai cavalli.
Solo allora, Yuzo si alzò in piedi. Con facilità estrasse Dolore e Vendetta dal terreno e rivolse loro uno sguardo malinconico; il metallo di cui erano fatte brillava sotto i raggi del sole non più coperto dalle nubi.
La guerra personale dei suoi genitori era terminata e forse avrebbe dovuto sentirsi orgoglioso di esser stato proprio lui ad avervi scritto la parola fine, ma non riusciva a provare gioia per una conclusione senza vincitori né vinti. I briganti erano ormai morti e questo non sarebbe cambiato, così come non sarebbe cambiato sapere Van Saal rinchiuso in gattabuia per tutto il resto dei suoi giorni.
E poi troppe cose di sé erano venute allo scoperto, nella conquista di quella giustizia a metà, di cui non sarebbe mai andato fiero, ma che non poteva più ignorare. Cose che scorrevano sul filo delle lame di Dolore e Vendetta.
Con un sospiro sollevò il viso al cielo e l’azzurro che copriva Ghoia era più carico e vivo, rinato, mentre le voci attorno a lui divenivano concitate e felici.
Guardò la gente che sollevava mazze e rastrelli proprio a quel cielo, inneggiando alla libertà che a lungo avevano cercato e, nonostante dentro non fosse felice, gli venne lo stesso da sorridere. Scorse i loro volti distesi perdere tutta la stanchezza e la rabbia di una vita di sottomissione e tornare indietro, quasi ringiovanire di colpo. Alcuni erano corsi per andare a prendere le donne e i bambini sulle montagne. Altri festeggiavano con i suoi compagni che erano assieme ad Haruko e Hansen. Il vecchio Zed nascondeva a fatica le lacrime, proprio come la volta che aveva visto lui e aveva creduto che fosse stato un miracolo. Teppei cercava di consolarlo con i suoi modi solari e Hajime rideva assieme a sua zia che fingeva un comportamento più vivace, ma che ogni tanto si asciugava gli occhi con la manica. Mamoru, invece, stava guardando lui e Yuzo se ne accorse solo in quel momento. Lo fissava senza una chiara espressione sorridente né triste; con gli occhi sembrava chiedergli qualcosa, e lui si limitò ad accentuare quel sorriso più simile a una smorfia.
Va tutto bene.
O questo avrebbe dovuto significare in qualche modo astratto.
Con decisione rinfoderò Dolore e la lama produsse un suono sottile nello scivolare contro il cuoio. A riposo. Questa volta per sempre.
“Quello che hai detto è giusto. Sono stato troppo lontano dalle terre che si estendono oltre Tha Cerròs.” Quella voce profonda lo distrasse dai suoi pensieri. Il Doge era sceso da cavallo per avvicinarsi e ora gli rivolgeva uno sguardo colpevole. Le labbra piegate verso il basso mostravano amarezza. “Ho peccato di buonafede. Ero davvero convinto che gli uomini che avevo scelto potessero svolgere il loro lavoro con la stessa correttezza che avrei impiegato io, ma a quanto pare le mele marce si formano anche sull’albero florido.”
Yuzo poteva percepire il suo sincero rammarico, così si limitò ad accennare col capo.
“Mi basta che la gente di Ghoia possa finalmente superare quest’incubo e vi ringrazio per ciò che farete per coloro che sono morti, in questi anni.”
Non era vero, non gli bastava, ma quello che avrebbe voluto non si poteva avere così continuò a mostrare la razionalità tipica degli Elementi come lui. Ne approfittò addirittura per chiedere informazioni sul Principe Tsubasa. Fece cenno a Mamoru affinché si avvicinasse e mostrò al Doge il permesso reale. Il responsabile delle terre di Tha Cerròs scosse il capo e disse loro di non essere stato presente durante la visita del Principe poiché impegnato altrove, ma di aver lasciato tutto nelle mani del Delegato appena arrestato. Nessun’altra informazione aggiuntiva, quindi, sarebbe stata sommata a quelle che già conoscevano.
Entrambi ringraziarono con un inchino e il Doge tornò a occuparsi dei prigionieri.
“Non c’era bisogno che pensassi a queste cose, non ora.” Mamoru lo affermò incrociando le braccia al petto. Entrambi avevano lo sguardo sul funzionario del Re, che dava disposizioni, e sulla lunga fila di uomini che venivano messi in catene.
Lui si strinse nelle spalle, con rassegnata semplicità. “Siamo in missione. Non posso dimenticarmene.”
Gli rivolse un sorriso che non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello che la Fiamma amava ma, in cuor suo, il giovane di Fuoco sapeva che non avrebbe potuto aspettarsi niente di più al momento.
“Yuzo, ascolta-” Mamoru fece per aggiungere qualcosa quando vennero raggiunti da Zed e Haruko.
“Degno di tuo padre!” esordì l’ultimo brigante, stringendo il braccio di Yuzo con ardore e affetto. “Sarebbe fiero di te, non ne ho alcun dubbio.”
“Se sei tu a dirlo, allora ci credo.” Il volante sorrise e approfittò di quell’intrusione per interrompere sul nascere la conversazione con la Fiamma. Gli rivolse solo uno sguardo fugace che diceva: ‘non adesso’ e Mamoru comprese poiché non aggiunse altro.
“Credici, figliolo” annuì ancora Zedecka, distendendo un ampio sorriso che trasmetteva affetto e sollievo, malinconia e anche un po’ di speranza. Speranza per il futuro di tutti coloro che non avevamo visto gli orrori che la lotta serrata per la libertà aveva comportato e che, nel suo cuore di vecchio dalla pellaccia dura, sperò non avessero mai dovuto provare. “Credici.”
Tutto tornava a divenire ovattato e distante, quasi coperto da una patina di pace che Yuzo guardava con disincanto e dalla quale non si lasciava toccare o ricoprire. Ringraziò il vecchio amico di suo padre, si lasciò abbracciare da Haruko, che gli carezzò amorevolmente il viso, e sorrise a tutte le persone che gli si fecero intorno per ringraziarlo di averli liberati dall’usurpatore. Tutto in maniera perfetta, ma non entusiasta.
Si rese conto di essere nuovamente in grado di usare l’incantesimo di Autocontrollo.
Tra i visi, scorse quello dell’uomo che gli aveva risparmiato la vita, firmando la condanna del suo signore. Con le catene ai polsi camminava scortato da un paio di miliziani della Guardia Cittadina. Kahil lo guardò a sua volta. Sul volto aveva un’espressione affranta eppure nel suo sguardo si poteva leggere chiaramente un senso di sollievo. Senza dire nulla, chinò il capo in segno di saluto e rispetto.
Era l’unica cosa che poteva fare, ormai, ma a Yuzo non sembrò abbastanza; nulla sarebbe mai potuto essere abbastanza.
Rispose al suo saluto, poi tornò a lasciarsi avvolgere dalla confusione circostante all’interno della quale sarebbe sparito fino al tramonto.


“Pendant que la marée monte /
Mentre sale la marea
et que chacun refait ses comptes /
e qualcuno rifà i suoi conti
j'emmène au creux de mon ombre /
mi sposto al fondo della mia ombra.
Des poussières de toi /
Le ceneri di te
le vent les portera /
il vento le porterà,
tout disparaîtra mais /
poi tutto sparirà.
Le vent nous portera /
Il vento ci guiderà.

Noir Desir Le vent nous portera

 

"Ancora devo capire cosa faceva qui il Doge” esordì Teppei, vuotando il fondo del bicchiere in cui erano rimaste due dita di un vino di mele speziato.
La locanda era piena in ogni ordine di posti, e molti altri erano stati aggiunti. Per non parlare delle enormi tavolate che erano state imbandite nella piazzetta all’esterno, dove sedevano anche loro. Gli abitanti di Ghoia avevano deciso di concedersi quel pranzo tutti insieme. Era stata invitata l’intera città, per festeggiare quella libertà che non erano sicuri avrebbero mai visto, ma in cui tutti avevano creduto. Dalle montagne erano tornate le donne e i bambini ora correvano dappertutto, ridendo e gridando, e nell’aria c’era il rumore delle stoviglie contro i piatti, dei bicchieri che tintinnavano in brindisi infiniti e di pianti che si levavano all’improvviso per poi mutarsi in risate e canti.
Haruko andava avanti e indietro, portando piatti e pentole, e tutti davano una mano, mentre nel girarrosto allestito nella piazza il maiale più grasso di Ghoia continuava a cuocere e dal forno della locanda le pizze uscivano in tutte le forme dei fiori.
Zed si pulì la barba sporca di vino con la manica. “Un caso. Un puro e semplicissimo caso, anche se io ho smesso da anni di credere al caso, soprattutto quando le coincidenze sono a incastro così perfetto.” Il tyrano convenne, ma non lo interruppe. “Stava rientrando nel Dogato dopo una visita a quello adiacente per questioni commerciali, solo che la strada per Tha Cerròs era interrotta, e l’unico modo era passare per Ghoia” rise, dando una manata sul tavolo dove i cocci tintinnarono. “Se è un caso, questo, io sono il Re Ozora!”
Tutti risero, lì intorno, e anche Mamoru abbozzò una smorfia, bevendo un sorso di vino di more. Poi girò lo sguardo al posto accanto al suo, trovandolo ancora vuoto. Il piatto di Yuzo era intatto così come glielo avevano messo davanti e lui l’aveva solo visto cincischiare col cibo, fingendo di mangiarlo.
Ripensò al volante e al fatto che non avesse detto nulla, tranne frasi di circostanza e piene della diplomazia degli Elementi d’Aria fino a che il Doge di Tha Cerròs non se n’era andato via, portando Van Saal e compari con sé. Dopo, aveva abolito anche le frasi di circostanza, chiudendosi in un silenzio pensieroso e concedendo giusto qualche sorriso, di tanto in tanto.
L’assassino dei suoi genitori era stato arrestato, ma non l’aveva visto felice, quanto rassegnato; l’aveva visto mostrare, davanti a tutti, un lato di sé che aveva sempre tentato di soffocare, un lato feroce che tutti credevano essere solo frutto della messinscena per spaventare Van Saal e piegarlo, ma lui sapeva che dietro la facciata della punizione c’era la rabbia di Yuzo finalmente libera. Anche lei, come Ghoia. Tutti si liberavano, quel giorno, di pesi e catene, e qualcuno prendeva coscienza di altri pesi, più piccoli, di altre catene più sottili con cui, questa volta, avrebbe dovuto convivere per sempre.
Senza attendere oltre si alzò con discrezione, lasciando gli altri alle risate e ai brindisi. Raggiunse la porta della locanda dove l’ostessa stava prendendo un vassoio dalle mani di una cameriera.
“Haruko” chiamò, poggiandole una mano sulla spalla. La donna gli rivolse un sorriso solare.
“Lo so! Il vino è finito di nuovo! Zedecka non si sa regolare! Adesso ve ne porto dell’altro-”
Mamoru scosse la testa. “No, veramente… volevo sapere se avevate visto Yuzo.”
Il giovane d’Aria si era alzato nel bel mezzo del pranzo ed era entrato nella locanda, poi i suoi occhi l’avevano perso nel via vai continuo di gente e vivande.
L’ostessa addolcì l’espressione. “Ha detto che voleva stare un po’ da solo. È andato sicuramente alla casa nella foresta. Lui…”, abbassò lo sguardo e sospirò, gli occhi velati di preoccupazione. “Ha bisogno di qualcuno che gli dia forza. L’arresto di Van Saal non è stato sufficiente e sa che nessuna vendetta sarà mai abbastanza per riempire il vuoto. Ha bisogno di qualcuno che gli stia accanto mentre impara ad accettare i propri limiti.”
Mamoru sorrise, rassicurante. “State tranquilla, ci penso io.”
“Grazie.” La donna gli poggiò una mano sul braccio, stringendolo fiduciosa. “Yuzo tiene moltissimo a te, l’ho capito. Così come ho capito che anche tu tieni molto a lui. Lo so che mio nipote è un uomo ormai e che, anche se sono sua zia, sono poco meno di un’estranea, però sono davvero molto, molto felice che abbia delle persone come te al suo fianco. E anche i suoi genitori; ovunque essi siano in questo momento, so che possono vederlo e so che ora… ora possono riposare in pace perché sanno che Yuzo non è da solo a percorrere il suo cammino.”
La Fiamma accennò col capo in segno di gratitudine per la fiducia che riponeva in lui; era un po’ come se gli stesse affidando il volante e Mamoru avrebbe fatto qualsiasi cosa per vegliare su di lui.
Sempre con discrezione, abbandonò la piazzetta piena di gente e di vita per raggiungere il suo triste uccellino.

Emerse dalla boscaglia in quella piccola radura che puntava alle montagne lontane del Nohro. Il tramonto investiva la facciata anteriore della casa e Yuzo che, proprio come gli aveva detto Haruko, vide seduto sul dondolo sotto al portico. Oscillava piano piano, spinto dal piede del volante che guardava dritto verso il sole rosso, senza rimanerne accecato. Tutta la sua figura, l’abitazione intera erano dipinti d’un arancio luminoso, come fossero stati bagnati da una pioggia d’oro.
Mamoru si fermò per osservare quel profilo che vedeva ma non guardava, il piede che imprimeva la spinta in maniera ritmica e lenta, le mani abbandonate sulle gambe. Attorno a lui non c’erano più ombre, dissolte dal sole e dal passato che aveva disseppellito i morti per renderli cenere. E quella cenere, però, il vento non riusciva a portarla via del tutto. La espandeva, ma una piccola traccia sarebbe sempre rimasta; un frammento d’ossa, un granello di polvere attaccato al cuore, dove avrebbe riposato in eterno.
In quel momento, Yuzo gli apparve tale pur sembrando diverso o forse quello non era che il suo vero volto, il suo spirito senza più mura di vetro a smerigliarne i contorni e renderli sfocati. Il volante combina guai e disobbediente, l’uccellino dalla fiducia incrollabile c’era ancora, ma sarebbe rimasto a dormire accanto al granello di polvere. Quello che vedeva ora era l’equilibrio che alla partenza da Raskal non aveva avuto, e senza bisogno di incantesimi. Era la consapevolezza di sé che non veniva né nascosta né ignorata.
Era un Elemento d’Aria e brillava di una luce abbagliante e calda, ma era così triste che feriva gli occhi.
Anche i suoi avevano cominciato a pungere, ma lui era un Elemento di Fuoco, nato nel calore che bruciava le carni. Quel piccolo dolore era ben poca cosa se paragonato a quello che poteva sopportare. Così si mosse per avvicinarsi a Yuzo; per raggiungere quella luce accanto alla quale aveva promesso di restare.
“Sapevo che ti avrei trovato qui” esordì, salendo i due scalini che portavano al porticato. Le suole produssero un rumore secco sul legno.
Yuzo non distolse lo sguardo, ma accennò un sorriso. Dolore e Vendetta giacevano appoggiate contro il muro della casa; finalmente riunite, sembravano i capi di una stessa corda che nel tempo era stata intrecciata attorno a migliaia di ostacoli e imprevisti. Ora che tutto si era dissolto, la matassa aveva nuovamente trovato un suo ordine e i capi erano stati ripiegati assieme.
Con movimenti rozzi, la Fiamma si lasciò cadere sul dondolo, assumendo una postura poco composta. Stretto nell’angolo, un braccio venne disteso lungo il bordo dello schienale, mentre l’altro appoggiato sul bracciolo. Le gambe allungate verso l’esterno. Un piede imitò il lento movimento di quello di Yuzo, aiutandolo nella spinta.
“Ero venuto per godere di questa brezza” confessò il volante. Brezza che lì soffiava dolcemente, trasportando lontano i pappi dei denti di golkorhas.
Mamoru sbuffò un sorriso ironico.
“Di questo spiffero, vorrai dire. Ah, i reumatismi…” Il sorriso del volante si accentuò per un breve momento e poi sfumò ancora sotto il suo sguardo. Il profilo che non mostrava né gioia né tristezza sembrava quello di una statua perfetta. “Cosa pensi?” gli chiese, ma l’altro scosse il capo.
“Niente di importante…”
Sperava che ci credesse? Mamoru lo irrise.
“Tu che ti lambicchi il cervello dietro futilità? Non è da te, volante.”
Il sole calava lentissimamente sotto gli occhi di Yuzo che anche se bruciavano un po’ rimasero incollati all’astro, per seguirne la caduta. Mamoru non comprese cosa stesse cercando nella sua luce. Ne possedeva una uguale, ma non sembrava essersene accorto o, forse, semplicemente non cercava nulla ma metteva in ordine tutto quello che aveva trovato, dandogli un senso.
“Ricordi quando, a Dhyla, provasti ad avvicinarmi e io ti allontanai?” domandò il volante a un tratto. “Tu andasti via.”
Lo ricordava. Mamoru lo ricordava bene. La paura del giovane nei suoi confronti l’aveva quasi ucciso e allo stesso tempo gli aveva permesso di ammettere una volta per tutte di esserne innamorato. Era stata una rivelazione.
“Ti ho seguito. Ti ho trovato in quel ciliegeto e ti ho ascoltato. Parlavi a tua madre.”
La Fiamma si allarmò. Non se n’era accorto, non lo aveva sentito arrivare.

“Mamma, sono innamorato del Vento.”

L’ansia gli azzannò il ventre al solo pensiero che avesse udito anche quello.
Yuzo continuò. Il movimento del dondolo sembrava scandire il tempo che il sole impiegava a tramontare e quello che scorreva tra loro, centellinandolo fino allo stremo.
“Hai detto che la mia forza è nella mia purezza. Ma io non lo sono più.”
“Cos’è che non saresti?”
Il volante puntò il piede al suolo, bloccando il dondolio. Bloccando il tempo.
“Puro.” Una lacrima solitaria e discreta scivolò sul viso, rivelando che c’era vita in quell’immobilità. Forse era solo colpa del sole, Mamoru non seppe dirlo con sicurezza, l’unica cosa di cui era certo era che fino alla fine di quella missione gli occhi di Yuzo non avrebbero più pianto. Quella gli parve quasi una cerimonia di commiato. “Non sono più la stessa persona che è partita da Alastra, convinta che il mondo fosse tutto lì, in quelle torri alte e bianche, in quello spicchio di terra che dalla terra era sollevato. Non sono più la persona convinta che non avrebbe mai potuto far del male a nessuno, che non avrebbe mai odiato e che avrebbe sempre perdonato tutti i torti che avrebbe subito. Guardami ora: ho ucciso, ho odiato e per quanto io mi possa sforzare non riuscirò mai a perdonare Van Saal per quello che ha fatto ai miei genitori. Ci ho pensato, ci ho provato, ma è più forte di me. Non voglio farlo.” Finalmente, il volante abbassò lo sguardo e poi si volse, per osservare la Fiamma.
Gli occhi nocciola gli apparvero limpidi come un cielo privo di nuvole. Le sue emozioni arrivavano dritte senza più filtri né riflessi. E Mamoru le accolse tutte, catturandole del proprio sguardo. In quel vetro vulcanico le avrebbe nascoste e protette perché era il primo a vederle nella loro purezza assoluta. Era come se gli appartenessero un po’.
“Quando l’ho avuto davanti, quando lo minacciavo affinché si pentisse delle sue colpe, per tutto il tempo… ho desiderato di ucciderlo. Volevo farlo a pezzi.” Il bagliore di quel gesto incompiuto brillò nel riflesso d’un raggio di sole. Era ancora lì, mostrato senza vergogna o colpa. C’era, non si poteva nascondere. “La rabbia che avevo era… aveva un qualcosa di mostruoso che non so quante volte ho temuto mi sfuggisse di mano. Ancora adesso non so spiegarmi se sono riuscito a controllarla solo perché c’eri tu e sapevo che mi stavi guardando, quasi mi ricordassi ogni istante che non dovevo ucciderlo, ma solo spaventarlo. Me lo ripetevo nella testa come una nenia continua. Sono cambiato così tanto che mi è estraneo il mio stesso riflesso. Chi sono adesso?” Yuzo scosse piano il capo. “Non lo so.”
La lacrima continuò il suo percorso sulla guancia e come una lumaca lasciava un’umida traccia dietro di sé. Oro liquido sotto il fuoco del tramonto.
Mamoru fissò i suoi occhi a lungo prima di rispondere, quasi che le parole da dire fossero annidate proprio lì, pronte per essere lette. Invece le parole lui già le conosceva da molto tempo, tempo in cui aveva atteso che si liberasse per sempre dai suoi muri, che aprisse i lucchetti in cui aveva serrato le profondità dello spirito, che gli mostrasse cosa si nascondeva nella faccia oscura del cuore.
Adagio, sollevò la mano abbandonata contro la spalliera del dondolo. Gli appoggiò le dita sulla guancia, lasciando che scivolassero sulla pelle. La lacrima scomparve, trascinata da quel tocco che assomigliava di più a una carezza.
“Sei la stessa persona che è partita da Alastra quasi un anno fa. E quello che hai perso non è la tua purezza. Anzi, non sei mai stato così trasparente come adesso. In ciò che vedo, continuo a riconoscerti.”
Gli occhi di Yuzo si chiusero piano e i sensi si concentrarono sul tatto. Si appoggiò contro le dita della Fiamma cercando e trovando conforto nel calore intenso della sua pelle che aveva il sapore di ‘casa’, anche se Alastra era lontana e Ghoia ancora sconosciuta.
Come avevano imparato a conoscersi così bene? A comprendersi in quel modo in cui le spiegazioni non dovevano più essere tirate fuori un po’ alla volta, ma scorrevano veloci come l’acqua in un torrente?
“L’ingenuità. È questo che ti sei davvero lasciato alle spalle nel momento in cui hai capito che gli uomini non sono né buoni né cattivi, ma ambedue le cose; sta solo a loro decidere quale far prevalere.”
Il volante accennò un sorriso triste. “E io cosa sono? Buono o cattivo?”
“Sei quello che sei. Con i tuoi pregi e i tuoi difetti. Anche io sono quello che sono”, scherzò, “e sono molto cattivo!”
Yuzo aprì nuovamente gli occhi e nelle iridi di Mamoru non trovò giudizi né condanne, ma solo quella pece familiare che ogni tanto ribolliva e gorgogliava, ma che non faceva male e lo proteggeva. Sempre.
Sospirò.
“Ti spiace se-”
“Che me lo chiedi a fare?” La Fiamma ridacchiò sottilmente  e fece scivolare la mano dietro la nuca.
Di nuovo, quella comprensione che andava oltre le parole sorprendeva e, allo stesso tempo, rassicurava. Sarebbe bastato anche solo un accenno o un gesto e l’altro avrebbe subito capito.
Due domande tornarono alla mente di Yuzo.
Cos’era quello?
Cos’erano loro?
Mamoru lo attirò contro di sé, lasciando che appoggiasse il capo nell’arco accogliente tra il collo e la spalla. Con le labbra poteva toccargli la fronte, mentre la mano restava affondata nei capelli tracciando percorsi, tornando indietro e creandone di nuovi in movimenti lenti che avevano un ritmo tutto loro.
Yuzo sbuffò un altro sorriso, scusandosi. “Credo che non potrò mai fare a meno del contatto fisico, è una cosa di cui ho bisogno. Non arrabbiarti.”
Tsk, è già da un po’ che ho smesso di arrabbiarmi. Sono stato io a dirtelo che ti avrei abbracciato tutte le volte o no?” Mamoru tese un po’ il labbro in una smorfia divertita. “E comunque, tu sei buono.”
La sua memoria tornò indietro, fino a Raskal, quando un volante imbranato era stato messo sulla sua strada. Non avrebbe scommesso nemmeno uno scudo su di lui e ora sarebbe stato capace di affidargli la vita senza pensarci un momento.
Tornò a guardare il tramonto che ormai stava scomparendo dietro le vette aguzze del Nohro. Assunse un’espressione più seriosa, pur senza smettere di carezzargli i capelli.
“Di quello che ho detto a Dhyla… cos’altro hai sentito?”
Yuzo inspirò a fondo, catturando l’odore della sua pelle, familiare anch’esso. “Nulla. Sono andato via quasi subito. Non sono mica uno che origlia. Volevo solo accertarmi che stessi bene.”
“Prego? Tu dovevi assicurarti che stessi bene io? Ma se è sempre stato il contrario.”
“Oh, credo che anche questo cambierà.”
Tsk! Sante Dee, il mondo comincia a girare all’inverso” ridacchiò divertito da quei ruoli che cambiavano, si evolvevano, da come Yuzo non aveva più paura di affrontare il mondo che non conosceva, da come egli stesso non aveva più paura di vivere quei sentimenti che aveva sempre rifiutato. Si volse un po’, quel tanto che bastava affinché le labbra si poggiassero sulla fronte del volante, baciandola a ogni parola. “Sei già passato a salutarli? Dobbiamo ripartire.”
“No, adesso vado. Dammi un minuto.” Yuzo si sistemò meglio contro di lui. Gli avvolse la vita con un braccio mentre il piede tornava a imprimere una leggera pressione al suolo. Il dondolo riprese a oscillare e il tempo a scorrere. “Restiamo così solo un altro minuto…”

 

“By the waters, the waters of Babylon /
Presso le acque, le acque del Babylon
we laid down and wept /
ci stendemmo e versammo lacrime
and wept /
versammo lacrime
for thee, Zion /
per te, Zion.
We remember thee, remember thee /
Noi ti ricorderemo, ti ricorderemo,
remember thee, Zion. /
ti ricorderemo, Zion

Don MacLean- Babylon

 

Il tramonto non riusciva più ad attraversare l’intrigo della foresta dei briganti, ma c’era ancora abbastanza luce per poter vedere distintamente tutte le sagome delle lapidi e l’imponenza della statua avvolta dai rampicanti.
Lentamente, Yuzo appoggiò Dolore e Vendetta contro la base, ai piedi di suo padre.
“Te le ho riportate. Ora sono di nuovo insieme per farvi la guardia. Vi proteggeranno da chiunque verrà a minacciare questo luogo.” Sorrise, levando lo sguardo al volto scolpito di Bashaar. “Sono un po’ scomode però, questo dovevo dirtelo. Come facevi a portarle sempre con te?”
La risposta gli arrivò dal cinguettio di un uccello che passò e scomparve, nascondendosi tra gli alberi.
Il volante intrecciò le mani davanti a sé e abbassò lo sguardo cercando le parole nei nomi incisi nella pietra.
“Sono in partenza. Forse sarei dovuto rimanere di più, ma non posso. Però tornerò.” Sorrise. “Tornerò sicuramente. Non dovete preoccuparvi per me, anche se non sembra me la so cavare bene. E poi non sono da solo, ho degli amici speciali che non mi volteranno mai le spalle. Penso che vi sarebbero piaciuti molto.” Inarcò un sopracciglio, guardando suo padre. “Credo che saresti andato d’accordo con Mamoru, visto il carattere che vi ritrovate.”
L’erba frusciò a un debole refolo di vento che serpeggiò tra le sue gambe e sollevò alcune foglie cadute. Le trascinò in un ballo e scomparvero alla vista.
“E poi… poi ho il Console. È stato il padre migliore che potesse capitarmi. Mi ha dato tutto quello di cui avevo bisogno: una casa, affetto. Una famiglia. Anche lui vi sarebbe piaciuto.” Lo sguardo scorse sulle sagome immobili che, per anni, erano rimaste a sopportare l’alternarsi del giorno e della notte, le intemperie, lo scorrere del tempo. “Sono stato davvero cieco. Ero così preso dal mio dolore, da ciò che avevo perduto, che non mi sono mai reso conto di quanto, invece, io sia stato fortunato, perché nonostante tutto ho sempre avuto qualcosa di vostro anche se non me n’ero mai accorto. La tua magia, mamma, mi ha permesso di poter aspirare a divenire un Elemento, e la tua forza di volontà, papà, ha fatto in modo che io la tirassi fuori al momento opportuno. Il coraggio apparteneva a entrambi, ed è proprio grazie a esso che proverò ad affrontare quello che mi aspetterà.” Sospirò, abbassando nuovamente lo sguardo e annuendo adagio, prima di risollevarlo. “In questo viaggio, so che qualcosa dovrò lasciarla indietro, lo sto già facendo, ma so anche che troverò cose molto più importanti lungo la strada. Una me l’ha data Ghoia, la mia storia, e tutto quello che voi mi avete lasciato, io non lo dimenticherò. Mi dispiace di avervi ferito e vi ringrazio per avermi amato fino alla fine. Vi voglio bene.”
Intrecciando le mani al petto in segno di preghiera, Yuzo fece un profondo inchino. Il vento si levò più insidioso e quando il volante sciolse le braccia, sollevando nuovamente il capo, gli parlò.
Iiiiihuuuuuusoooooooo.
Le fronde stormirono tutte insieme, in un frusciante bisbiglio, e un sorriso genuino gli illuminò il volto. Era proprio come gli aveva raccontato Zedecka.
“Allora è vero che il mio nome è stato scelto dal vento!” Guardò attorno a sé la boscaglia un’ultima volta e poi volse le iridi alla statua. “A presto” disse, voltando loro le spalle. Voltando le spalle all’intero cimitero di cui ora riusciva a comprendere fino in fondo il significato nostalgico che aveva provato vedendo quello di Dhyla.
Camminò tra le lapidi e i denti di golkorhas, per raggiungere l’uscita della foresta. Sulla strada che portava in direzione della Via Crociata, Mamoru e i suoi compagni lo stavano aspettando con i cavalli sellati, pronti per rimettersi in cammino.
Sul limitare del sentiero, una farfalla gli volò accanto.
Le foglie frusciarono più forte.
Yuzo si volse, ma nella foresta non c’era nessun altro oltre lui. Il volante scosse piano il capo, riprendendo a camminare.
Alle sue spalle, la farfalla si poggiò su una foglia che, nel flettersi, perse una goccia d’acqua. Velocemente si infranse sulla dura roccia della statua, sul viso di Arya levato al cielo, e scivolò lungo la guancia, mutandosi in lacrima.

 

I ricordi formano la nostra memoria,
quello che siamo, la nostra storia
e restano vivi, in ogni momento,
avvolgendo il cuore di fuoco e di vento.

 


Curiosità:
Avrei voluto usare un personaggio del manga da mettere nel ruolo del comandante delle guardie di Van Saal, ma, mi credete? Non ne ho trovato nessuno adatto ç_ç.
Uff, che peccato.


[1]GASPORT: è il capo supremo del Barça nel Road to 2002. Quando il presidente della squadra, Sebastian Cou (colui che avrebbe dovuto coprire il ruolo di Van Saal in questa storia ma è stato declassato XD), spinge per avere un ultimatum e destituire Van Saal dal suo ruolo di allenatore, Gasport lo difende e mette Cou a tacere (XD per questo l’ho declassato, era troppo un pirla!). Questo denota grande fiducia da parte di Gasport che ho voluto rendere anche in questo caso, ma stavolta con un diverso finale XD (Gasport: *clicca qui*)


 

…Il Giardino Elementale…



E guerra fu e fine fu. :3
I buoni vincono, i cattivi perdono, ma la vittoria è molto a metà. Metà gioia, metà dolore e tanta amarezza. XD cioè, sono pur sempre io, ormai dovreste essere abituati con me: tra il tutto bianco e tutto nero tendo sempre a scegliere una certa tonalità di grigio. *ride*
I Briganti di Ghoia sono stati vendicati e Yuzo è cresciuto parecchio, ma la crescita - anche se già in questo finale di capitolo si può intuire - si riuscirà a capire meglio solo andando avanti, dal suo modo di parlare e porsi.
Penso che il piacere più grande, l'ho provato scrivendo il pezzo in cui lui e Mamoru si ritrovano a parlare sul dondolo. Mi è piaciuto scriverlo, mi è piaciuto immaginarlo ed è il momento in cui è proprio palese che loro due e il loro rapporto sono cambiati in via definitiva. La canzone di Don McLean mi ha aiutato tantissimo e anche se il testo è il pezzo di un salmo, mi piaceva l'utilizzo metaforico rispetto alla storia: la canzone è il commiato da Gerusalemme da parte dei giudei costretti all'esilio dai babilonesi conquistatori. Qui, il commiato Yuzo lo fa verso una parte di sé, sopraffatta dalla consapevolezza di non poter più mentire a sé stesso.
XD forse vi aspettavate più mazzate, nel senso di 'Grande Mischia Tutti-contro-tutti'.
Ero stata tentata, ma se avessi dato piede libero a Yuzo, avrebbe squartato vivo Van Saal e non era il caso XD. Soprattutto, poi sarebbe stato un casino giustificarsi con il Doge. Ricordiamo che, per quanto bastardo, Van Saal era stato scelto legalmente dal Doge di Tha Cerròs, quindi le cose bisognava farle in un certo modo e senza stragi. L'ho sempre detto: anche su Elementia esiste la burocrazia! XD

Per quanto riguarda il prossimo capitolo, ve lo restituirò per intero, nonostante sia piuttosto lunghino (X3 quasi come questo *ride*), ma dividerlo non avrebbe avuto molto senso.
Il quattordicesimo è ancora in fase di stesura, e spero di riuscire a finirlo prima del prossimo aggiornamento: saranno quattro parti, molto serrate.

Penso di aver detto tutto. *-* Ringrazio come sempre le anime pie che continuano a seguirmi con affetto! :***



Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

- Elementia: Fanart

Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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