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Autore: MarmaladeMuffin    23/02/2012    2 recensioni
Quando Ringo va a fare visita a George, il suo migliore amico che sta per morire, i due cominciano a parlare della loro vita. Comincia così un viaggio all'insegna dei ricordi, di quei pazzi anni '60, le follie delle fans, i Beatles.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Harrison, Quasi tutti, Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Ci fu un interminabile momento di silenzio. A George bastò solo alzare lo sguardo e cercare quegli occhi tanto familiari, ora nascosti da quegli occhiali ma comunque visibili, per perdersi in un mare di ricordi. Oh, sì, ricordava benissimo la prima volta in cui si era specchiato in quei grandi occhi limpidi...

 

Era una giornata ventosa, e loro erano arrivati di corsa al club per ripararsi. George si guardò attorno. L'aria era satura di fumo, che aleggiava come uno spettro nel locale semibuio. Una band, i cui componenti potevano avere al massimo vent'anni, stava suonando il nuovo successo di Fats Domino davanti a una folla poco numerosa di teenagers annoiati. Dopotutto, era ora di cena. A lui comunque sembravano forti. 

Una folata di vento gelido, e John entrò imprecando, tutto spettinato e con la chitarra stretta in mano. «Dove diavolo è Pete?» sbottò guardandosi intorno. Paul e George risposero con una scrollata di spalle, dopotutto Pete era sempre in ritardo. Stuart aveva preso posto su uno sgabello e fumava la sua sigaretta, noncurante. George tornò ad ascoltare la band, il cui leader era un giovanotto biondo che forse credeva di essere Elvis. Notò che portavano tutti degli abiti sgargianti e belli, ben diversi dai loro indumenti di pelle nera.  Qualcuno in sala ballava.

Ecco, la band aveva finito, e si congedava tra gli applausi, per quanto pochi potessero essere. 

John era fuori di senno, continuava a imprecare e a impartire ordini, anche i più banali. «Ora tocca a noi»  ripeteva in continuazione. George stava accordando la chitarra quando sentì la voce di Pete. 

«Calmati John, non fare la vecchietta isterica». Quel Pete Best lo faceva davvero innervosire. Compariva sempre così all'improvviso, mezzo sbronzo, e si permetteva anche di fare certe battutine fuori luogo. Se non avesse avuto la chitarra in mano George gli avrebbe dato volentieri un pugno in faccia. John si limitò a bofonchiare un pesante insulto rivolto alla madre del batterista, ma ora era già più calmo. Erano le dieci, la serata era cominciata. 

 
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Ringo si lasciò letteralmente cadere su uno sgabello vicino al bancone, stanco morto.  Aveva suonato ininterrottamente dalle quattro di quel pomeriggio, e ora aveva le bracci a a pezzi. Era felice che anche quella giornata di lavoro fosse finita. Ora poteva godersi i nuovi arrivati, un gruppo di "rockers" che nonostante tutto sembravano sentirsi a loro agio sul piccolo palco. Li esaminò a lungo, mentre trangugiava la sua birra con indifferenza.

Il bassista non azzeccava una nota,anche se attirava l'attenzione delle poche ragazze ancora presenti a quell'ora della notte. Ringo non riuscì a trattenere un sorriso. Il batterista suonava con poco entusiasmo, mentre invece un chitarrista, indubbiamente il più giovane dei cinque, sembrava essere una cosa sola con la chitarra, e la suonava con trasporto.  Gli altri due chitarristi sembravano essere in perfetta sintonia, seppur diversi. Mentre uno cantava con foga, l'altro non smetteva mai di sorridere al pubblico, e ogni tanto Ringo intercettò delle occhiate complici tra i due.  Complessivamente però erano bravi. Certo che quella birra era davvero niente male...
 

Si ritrovò a correre a perdifiato su un ponte apparentemente infinito. Sotto di lui, il vuoto. Da cosa stava scappando? Sapeva solo che doveva continuare a correre, o sarebbe successo qualcosa di terribile. Le sue gambe stavano per cedere. Ringo sentì mancare la terra sotto i piedi, provò a urlare, ma dalla sua bocca non fuoriuscì alcun suono. 
 

Atterrò sul duro pavimento del locale. Non capiva più niente. O almeno, non ebbe neanche il tempo di realizzare cosa gli stava accadendo che si sentì strattonare per il colletto. Un omaccione gli urlò contro, ma non riuscì ad afferrarne le parole. Continuava a non vedere, tutto era così buio...

«Ho detto che devi smammare, mi hai sentito? Il club sta chiudendo!»- la voce del barista gli rimbombò nuovamente nelle orecchie. Fu come ricevere una scarica elettrica. Ringo balzò in piedi, e si fece strada tra le sedie abbandonate del locale ormai buio. Inciampò; era così stanco che avrebbe voluto starsene lì ad aspettare che qualcuno lo raccogliesse. Ma l'avvicinarsi dei passi del barista gli fece cambiare idea. Finalmente ecco la porta! Barcollando si precipitò fuori, nel marciapiede umido. Forse la sua condizione era dovuta al sonno, forse alla sbronza. O forse a entrambi. Si frugò le tasche in cerca delle sigarette. Diamine, Rory Storm doveva avergliele fregate! La sua band aveva portato via la batteria, così lui non avrebbe dovuto occuparsene. 

Le strade di Liverpool a quell'ora erano deserte, pareva che persino i criminali e le gang fossero andati a dormire. Per questo si stupì di sentire dei passi alle sue spalle, e quasi senza volerlo si voltò. Sotto la luce tenue e sinistra del lampione riconobbe due dei ragazzi che poche ore prima si erano esibiti dopo di lui. Che fare? In che condizioni era? Non se l'era ancora chiesto. Prima che potesse giungere ad una conclusione i due lo avevano già raggiunto. Quello più giovane parve riconoscerlo e fece un cenno all'amico, il giovanotto sempre sorridente. Furono loro a rompere il ghiaccio. 

«Allora, siamo davvero stati così terribilmente noiosi?». Era forse una battuta? Ringo aveva colto una vena di sarcasmo nella sua voce. 

Dal canto suo George si era davvero posto il problema. Aveva visto quel ragazzo addormentarsi così di punto in bianco, noncurante di tutto il loro baccano.

Ringo non sapeva cosa rispondere. Lui stesso non aveva avuto il tempo di riflettere su quello che gli era successo.  Cercò di formare una frase di senso compiuto. «Il sonno, la sbronza...».  Bofonchiò qualcosa su un ponte, ma si rese conto che risultava solo ridicolo. Anche loro dovevano averlo notato, poichè scoppiarono a ridere. Ringo gli rispose con una disinvolta alzata di spalle, ma in realtà avrebbe voluto sotterrarsi. Inaspettatamente, il ragazzo che aveva parlato per primo gli porse una mano affusolata. «Sono George». 

«Ringo». Il batterista gli strinse la mano, sollevato. 

Come se volesse ricordargli le buone maniere, George diede una gomitata nelle costole a Paul, che sembrava incredibilmente interessato a un gruppetto di gatti randagi che bighellonavano dall'altra parte della strada. Paul parve risvegliarsi da un sogno. Porse una mano a Ringo. «Io sono Paul, tanto piacere!» . Ringo notò che il ragazzo era mancino.

Fecero ancora qualche passo in silenzio, ognuno pensava a qualcosa da dire per rendere quella situazione meno imbarazzante.

«Ok, io sono arrivato. Ci vediamo!». Paul tolse fuori una chiave dal giubbotto e fermatosi davanti a un portoncino con la scritta "McCartney" cominciò ad armeggiare con la serratura. Un minuto dopo era scomparso nel buio dell'atrio, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle. 

«Beh, io continuo sempre in questa direzione, tu?». Ringo pensò che non gli avrebbe fatto male camminare un po'. «Ok, ti accompagno». George parve contento. Gli piaceva parlare conoscere nuove persone. L'avevano sempre etichettato come "timidone", ma si sa che le apparenze spesso e volentieri ingannano.

«Allora, come mai quel nome?» Ringo sorrise compiaciuto, si aspettava quella domanda. «Sai, è per via dei miei anelli. Il mio vero nome è Richard». Sollevò la mano destra e osservò i numerosi anelli, che riflettevano la luce del lampione, con orgoglio. 

 
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Quel ragazzo sembrava simpatico. Dopo qualche isolato si erano già detti tanto: avevano parlato del loro amore comune per la musica, dell'odio per la scuola, che entrambi avevano mollato, avevano parlato di sogni e di speranze che a quell'ora della notte (o del mattino?) sembravano così facili da realizzare. George era arrivato a casa. Si fermò sul portoncino e osservò il suo nuovo amico, se così si può definire una persona appena conosciuta. Aveva dei grandi occhi azzurri, che contrastavano totalmente con i suoi color cioccolato. Notò che era più basso di lui, sebbene fosse più anziano, e aveva un naso buffo. Sicuramente John si sarebbe divertito a schernirlo. «Beh, questa è casa mia» disse, accennando al portoncino in legno. Ringo gli sorrise. Era l'unica cosa che poteva fare, chissà se l'avrebbe mai rivisto. Però aveva un sorriso simpatico.

Si diedero la buonanotte, e George entrò in casa in punta di piedi. Non avrebbe potuto immaginare  di aver appena conosciuto quello che poi sarebbe diventato il suo migliore amico.

 
 
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Hei, ciao ^^
Ho scritto questo nuovo capitolo in fretta e furia e infatti non sono per niente soddisfatta. Ma fooorse mi sbaglio. (spero) 
Ok, leggetelo e poi se vi va fatemi sapere la vostra opinione :D 
Bye.
  
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