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Autore: Blue Drake    24/02/2012    1 recensioni
Questa è una storia senza futuro.
Questa è la storia di un passato senza coscienza.
Questa è la storia di un presente fra le ombre.
Questa è la mia storia.
Non sono sempre stato crudele. Non sono sempre stato freddo, cinico ed egoista. Un tempo non lo ero. Un tempo ero un bravo ragazzo, un ragazzo come tutti: normale.
Ma ci sono esperienze che cambiano la vita. Che ti strappano alla normalità, e ti privano di speranze e sentimenti.
Un tempo non era così. Un tempo io ero un uomo. Ed ora? Ora sono solo un'ombra...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dentro e Fuori dall'Agenzia'
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Capitolo 11

27 febbraio 1963 - "Guai all'orizzonte"

 

 

16:30. Due intere ore, trascorse fingendo di sonnecchiare, con gli occhi fissi sul soffitto crepato, nell'attesa che si facesse l'ora giusta per uscire. Quella sera ci sarebbe stato Patterson. Ogni tanto mi veniva la tentazione di chiedere a lui, come risolvere certi problemi. I MIEI problemi, per una volta, invece di quelli degli altri. Ma il suo sguardo, nero ed apparentemente senza fondo, non concorreva a mettermi a mio agio. Non abbastanza da portare allo scoperto certe mie faccende personali, per lo meno.

 

Stavo diventando irrequieto. Era un periodo frenetico, in effetti, senza molto tempo per prendere un respiro. Inoltre, la consapevolezza che, fra meno di due settimane, questa gente fuori di testa avrebbe deciso dove piazzarmi e, soprattutto, con chi, mi mandava in totale paranoia. Non ero per nulla certo di ciò che avrei dovuto aspettarmi

Odio l'incertezza. Odio non avere il controllo. Odio svegliarmi la mattina, con il terrore di non sapere dove mi addormenterò - e se avrò la fortuna di risvegliarmi - Ed infine, odio loro, primo su tutti il "caro" signor Thompson.

«Ti odio! Mi hai sentito?! Non me ne frega niente di dove tu sia ora, ma sappi che ti detesto con tutto il cuore, da sempre e per sempre»

Bah, tanto è perfettamente inutile. Se non mi può sentire, a che scopo inveire contro di lui? Non è certamente DIO - grazie al cielo, aggiungerei -

 

«July! Come andiamo?»

Dannato. Quella sera mi fece prendere un colpo.

«Non mi chiamo July... Jules, Jules, JULES!! Che cazzo. È così difficile, per voi inglesi, pronunciare i nomi per quello che sono?!»

«Uhh... Siamo nervosetti, eh?»

Rise. Ahh, che voglia di spaccargli la faccia.

«Tsk!»

«Preoccupato?»

«Non sono affari tuoi, Matthew»

Sibilai, scandendo di proposito il suo bel nome, ben sapendo quanto la cosa lo irritasse.

«Lo sono invece. Dimentichi che ho delle responsabilità sui miei ragazzi»

«E allora vai a fare loro da balia e lasciami in pace. Io NON sono un tuo ragazzo»

 

Ciò che più di tutto detestavo, in lui, era la sua freddezza. Così difficile, da scalfire. Sembrava fatto di marmo. Potevi ricoprirlo di insulti, tentare di sterminare la sua famiglia, far saltare in aria casa sua, la sua auto, il suo cane, dar fuoco al suo conto in banca, e tutto quello che ne ricavavi era uno sbuffo ironico e mezzo divertito o, tuttalpiù, un sopracciglio che si sollevava irritato. Ma che razza di essere umano era? Possibile che non avesse sentimenti? Possibile che fosse del tutto senza cuore?

Quella volta, ad esempio, tutto ciò che ottenni, dopo la mia piccola sfuriata, fu una leggera risata divertita. Niente di più. Come se le mie parole non avessero la forza di toccarlo. O peggio, come se nemmeno le avesse sentite.

 

«Non hai nulla di cui preoccuparti»

Mi disse invece, aggiungendo poi, con tutta tranquillità;

«Andiamo ora, o finirai col fare tardi a lezione»

Lo fissai, interdetto, con un dubbio che andava gonfiandosi nel mio cervello. Mi sorvegliava? C'era qualcosa, di ciò che facevo, di cui lui non fosse a conoscenza? Deglutii, d'un tratto decisamente nervoso. Ma annuii, seguendolo comunque, in silenzio. Se anche avessi avuto ragione, quello non era proprio il momento per fare domande né, tanto meno, pericolose scenate.

 

«Come vanno gli studi?»

«Gli... studi?»

Chiesi, con circospezione, osservandolo discretamente, mentre sentivo il mio cuore accelerare il proprio ritmo.

«Architettura, se ricordo bene»

Bugiardo. Non hai nessun bisogno di ricordare. Lo sai benissimo quello che studio, pensai, guardandomi bene da lasciar trapelare i miei pensieri. Invece abbozzai un sorriso, più finto di una bambola gonfiabile.

«Vanno bene. Credo che riuscirò a sostenere tutti gli esami previsti entro l'anno»

«Bene, sì... Uhm...»

Ahi! Guai in vista.

«Ci sarebbe una questione, in effetti, di cui ancora non abbiamo avuto modo di discutere. E spero che non ti creerà problemi con l'università»

Ed ecco un'altra cosa che, di lui, detestavo: l'innata capacità di far venire il panico a chiunque, con poche, semplici parole, creando insicurezze capaci di espandersi ed ingigantirsi come enormi voragini.

«Di cosa si tratta?»

Provai così a domandare, nonostante fossi consapevole che non avrei comunque ottenuto alcuna risposta, soddisfacente, ai miei dubbi.

«Sì... Si tratta del nostro... uhm... lavoro. Diciamo che potrebbe portarti via un po' di tempo...»

«Quanto tempo?»

Lo interruppi, bruscamente.

«Vedi, è difficile quantificarlo...»

«Finirò fuori corso?!»

Non riuscii a trattenermi dal ringhiare. La prospettiva mi irritava enormemente. Con tutti i sacrifici fatti, fino a quel momento, per tenermi al passo, ora tutto rischiava di venire vanificato da questo... questo...

«Spero di no, ma... è possibile»

... Schifo di pseudo-lavoro part-time, altamente sopravvalutato ed altrettanto altamente sottopagato.

«Ho intenzione di laurearmi nei tempi previsti»

Affermai, con più sicurezza di quanta in realtà possedessi.

«Ne sono convinto, e mi dispiace»

Non era affatto vero! Era un'altra maledetta menzogna. Non facevi che mentirmi, in ogni momento! Perché?! Perché, semplicemente, non potevi dirmi: «Prenderemo la tua vita e ne faremo ciò di cui abbiamo bisogno»? Perché è questo quello che succede con voi. È questo, ciò che successe... con me...

 

   
 
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