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Autore: HarleyQ_91    25/02/2012    2 recensioni
Vivien si avvicinò al dipinto e sollevò la candela per illuminarlo meglio.
Avevano tutti un’espressione così seria i conti Turner, persino la piccola Alyssa, che avrà avuto circa cinque anni, non sembrava godere di quella gioia e spensieratezza tipica della sua età.
E poi c’era lui, quel giovanotto che non era riuscita ad osservare bene qualche ora prima. Ora, col mozzicone di candela a qualche centimetro dalla tela, fece luce sul suo volto, illuminandone anche i più piccoli particolari.
Il conte Aaron Turner.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ringrazio da morire JennyKim che mi ha consigliato di mettere una copertina alla mia storia.
E la ringrazio anche per la stupenda immagine che ha modificato...
(da quanto mi ha assicurato, ha detto che ne sta preparando altre, non vedo l'ora di vederle!^^)
- sono lusingata -

Intanto inauguro questa mettendola come copertina del capitolo 2!^^
Buona Lettura!



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Capitolo 2
- Aggressione –

  Quella era una notte senza luna, la stanza era così buia che non potevano distinguersi nemmeno i bordi dei mobili, non che ce ne fossero molti, a dire il vero, un comodino e uno scaffale per gli abiti erano più che sufficienti per la stanza di una serva.
  Vivien non sapeva se dovesse dare la colpa al materasso scomodo, o all’agitazione che provava per ciò che sarebbe accaduto il giorno seguente, sapeva solo che da quando si era coricata non faceva altro che osservare quel buio incessante, senza possibilità di addormentarsi.
  Pensava a Clelia, a come quella povera donna doveva sentirsi sola ora che non c’era più lei a tenerle compagnia. A come dovesse soffrire ogni volta per alzarsi a prendere qualcosa che le serviva, con quei poveri piedi malati. Davvero andava bene così? Vivien aveva accettato quel lavoro perché era pagato meglio e non doveva più sottostare allo schifo del Red Lion, ma se il prezzo da pagare era la solitudine di Clelia, allora non era più tanto certa della sua scelta.
  La ragazza si alzò a sedere sul letto e scosse la testa. Non era da lei abbattersi così, quel lavoro era la manna dal cielo che aspettava da tempo – da sei lunghi anni – ed era certa che se avesse rinunciato, la stessa Clelia non l’avrebbe più guardata in faccia.
  Doveva calmarsi. Forse bere un po’ d’acqua l’avrebbe aiutata.
  Dopo qualche tentativo a vuoto nel buio, finalmente trovò il moccolo della candela sul comodino, con affianco i fiammiferi, finalmente fece un po’ di luce e poté scendere dal letto. Con solo la veste da notte e i piedi nudi si avviò per il corridoio, attraversando le altre stanze della servitù. Fin da piccola aveva sempre avuto un buon senso dell’orientamento, perciò ricordò bene come si giungeva al salotto principale.
  Bene, ora però da che parte sarà la cucina?
  Tenendo la candela alta alla linea del volto, si guardò attorno, cercando una porta che conducesse in una qualche sala da pranzo. L’alone di luce però andò ad infrangersi proprio su quel quadro che solo poche ore prima era stato oggetto della sua attenzione. Vivien sapeva di stare commettendo un’imprudenza – coglierla mentre curiosava non era il modo migliore di fare una buona prima impressione in quella casa – ma fu più forte di lei. Si avvicinò al dipinto e sollevò la candela per illuminarlo meglio.
  Avevano tutti un’espressione così seria i conti Turner, persino la piccola Alyssa, che avrà avuto circa cinque anni, non sembrava godere di quella gioia e spensieratezza tipica della sua età.
  E poi c’era lui, quel giovanotto che non era riuscita ad osservare bene qualche ora prima. Ora, col mozzicone di candela a qualche centimetro dalla tela, fece luce sul suo volto, illuminandone anche i più piccoli particolari.
  Il conte Aaron Turner.
  Doveva essere lui. Il viso ancora fanciullesco già presentava qualche traccia di maturità, la posizione composta con le mani dietro la schiena, le labbra serrate e gli occhi seri, intensi, quasi glaciali. Doveva avere all’incirca sedici, diciassette anni al massimo.
  Una folata improvvisa di vento fece rabbrividire la ragazza lungo tutta la schiena e spense la candela. I capelli castani sciolti lungo le spalle le si arruffarono leggermente e dovette tenere la sottoveste per evitare che si alzasse.
  Da dove veniva tutta quella corrente d’aria? Ogni porta e finestra veniva sbarrata prima che l’ultimo servitore andasse a dormire, o almeno nella sua vecchia casa si faceva così.
  Un improvviso rumore metallico la fece sobbalzare, seguirono poi dei borbottii. Prese immediatamente un altro fiammifero – se li era portati dietro per sicurezza – e riaccese la candela. Per prima cosa cercò qualcosa con cui difendersi, un ombrello abbandonato accanto il portone d’ingresso poteva andare bene, e si avviò verso i luogo da cui provenivano i rumori.
  Se si fosse trattato di un ladro avrebbe di certo urlato, qualcuno sarebbe corso ad aiutarla.
  Pensandoci bene, quello di catturare un malvivente poteva essere un buon modo per fare una bella impressione alla contessa e aggiudicarsi fin da subito la sua fiducia.
  Vivien aprì piano la porta di legno intagliato che si trovava accanto all’ingresso e si ritrovò nella sala da pranzo. La luce della candela non illuminava molto, ma abbastanza da far vedere alla ragazza la maestosità del camino, alto quanto lei, e l’eleganza del tavolo, decorato con cesti di fiori e frutta.
  Un altro rumore, un altro borbottio. Provenivano da dietro una porta che si trovava all’angolo della stanza. Vivien attese con le spalle attaccate al muro, accanto all’uscio. Se l’intruso fosse uscito da lì, l’avrebbe colpito senza lasciargli possibilità di difendersi.
  Sentì dei passi dirigersi verso di lei, decise allora di spegnere la candela e stringere bene tra le mani l’ombrello. Quel ladro non aveva scampo.
  La porta si aprì e una sagoma nera fece il suo ingresso nella sala da pranzo. Vivien non perse tempo, con tutta la forza che aveva nelle braccia, colpì lo sconosciuto in testa, sulla schiena e poi infine dietro le ginocchia – come le aveva insegnato suo padre per l’autodifesa – e sentì un tonfo sordo.
  La ragazza era fiera di sé. L’intruso era caduto a terra e, dai lamenti che emetteva, era piuttosto dolorante.
  “Chi cazzo c’è?” Esclamò lo sconosciuto, alquanto irritato, dopodiché emise due colpi di tosse. “Porca puttana, che male”.
  Vivien accese di nuovo la candela per vedere in faccia quel brigante, almeno se per qualche sfortuna fosse riuscito a scappare avrebbe sempre potuto riconoscerlo, appena la fiamma cominciò ad ardere ed illuminò il corpo dello sconosciuto però, la ragazza non rimase compiaciuta quanto avrebbe desiderato.
  “E tu chi cazzo sei?” Esclamò l’uomo.
  Aveva abiti nobili, anche se piuttosto mal ridotti, e i capelli arruffati non le permettevano di vederlo bene in viso. Lo sconosciuto stava cercando malamente di rimettersi in piedi, ma a quanto pareva era troppo ubriaco per tirarsi su.
  Vivien si accostò subito a lui, cercando di aiutarlo. Maledizione, aveva colpito un nobile, era certa che se la contessa lo fosse venuto a sapere non gliel’avrebbe fatta passare liscia.
  L’uomo afferrò il polso alla ragazza, che istintivamente lasciò cadere l’ombrello, e la trascinò a terra, di fianco a lui.
  “Ho chiesto chi cazzo sei!” Ripeté il nobile, poi le strappò la candela dalle mani e gliela mise a qualche centimetro dal volto. “Ma guarda, un volto nuovo”. Con sguardo languido ispezionò il viso di Vivien e anche il suo corpo, poi con una mano cominciò ad accarezzarle i capelli.
  “Mia madre è stata brava, stavolta”. Esclamò con tono piuttosto ambiguo. “Sa che ho un debole per le brune”.
  Vivien sgranò gli occhi e in un istante tutto le fu chiaro.
  Sua madre! Ha parlato di sua madre!
  Quello che lei aveva di fronte era il figlio della contessa, Aaron Turner. E lo aveva colpito facendolo cadere tramortito a terra. Oddio, quando la padrona lo fosse venuto a sapere, per lei sarebbe stata la fine.
  “Signore, vi prego di perdonarmi”. Esclamò lei, pensando intanto a qualche modo per evitare la pena che sarebbe seguita a quello sciagurato incontro. Tentò di alzarsi da terra, ma il conte la prese per un polso, non facendola muovere.
  “Dove credi di andare?” Domandò lui, posando a terra la candela e afferrando il volto della ragazza con la mano appena liberata. “Credi davvero che ti farò passare liscio un oltraggio del genere?”
  “Cosa volete fare?”
  Il conte la fece stendere con la schiena a terra e le si mise sopra, sogghignando in modo tutt’altro che rassicurante. Vivien non ci mise molto a comprendere quali fossero le sue intenzioni, era ubriaco, rintontito e arrabbiato, mentre lei era con addosso solo una succinta sottoveste. L’epilogo a cui sarebbe giunta quella situazione era fin troppo evidente.
  “Signore, fermatevi, o mi metterò a gridare”.
  “Grida pure quanto ti pare”. Le disse lui. “Credi davvero che servirà a qualcosa?”
  La ragazza contrasse la mascella e strinse i pugni. Purtroppo il conte aveva ragione, anche se qualche servo fosse accorso in suo aiuto, sarebbe bastato un ordine del padrone per mandarlo subito via. Vivien doveva cavarsela solo con le sue forze.
  L’uomo cominciò ad accarezzarle una coscia, facendo finire la mano sotto la veste, mentre con la bocca cercava le sue labbra. La ragazza stava provando a scansarlo con le mani, finché lui non le prese entrambi i polsi e glieli bloccò sopra la testa. Ora era completamente esposta al padrone, alla sua bocca, al tocco della sua pelle.
  “Per essere una serva, hai delle gambe davvero morbide”. Posò il volto nell’incavo tra i seni e baciò la stoffa che le copriva la pelle.
  “Sapete di alcool”. L’accusò lei, mentre si dimenava con tutto il corpo.
  “Sì, è vero. Ho bevuto un tantino”.
  “Quanto basta per permettervi di violentare una donna nel bel mezzo del vostro salotto”.
  Il conte ridacchiò e alzò lo sguardo su di lei. I suoi occhi erano illuminati fiocamente dalla luce della candela, ma Vivien poté benissimo vedere tutto il desiderio che vi era rinchiuso al loro interno.
  “Io non ti sto violentando, ti sto punendo”. La corresse, divertito. “Hai osato aggredirmi”.
  Il conte lasciò la presa sui polsi della ragazza, per andarle ad accarezzare il viso e le labbra. “Ma, fidati, la mia punizione ti piacerà”.
  Vivien lo vide avventarsi sulla sua bocca, così con le mani di nuovo libere prese l’unica cosa con cui difendersi – la candela – e gli sbatté il piattino di rame sulla testa. La ragazza fece appena in tempo a vedere il conte accasciarsi a terra che la fiamma si spense. Approfittando del buio, sgattaiolò via da sotto il corpo dell’uomo e, procedendo a tastoni, uscì dalla sala da pranzo.
  “Brutta stronza, me la pagherai”. Sentì esclamare dall’altra stanza e le venne un attimo di panico. Aveva aggredito il suo padrone, per ben due volte, se il conte avesse deciso di denunciarla la sua pena sarebbe stata di certo la morte. Che cosa aveva fatto?
  In un primo momento pensò di andare dalla contessa e raccontarle tutto, ma in verità non sapeva nemmeno quali fossero le stanze della padrona. Così optò per tornare in camera sua e, con grande sorpresa, una volta che si stese sul letto si sentì molto più tranquilla.
  Il conte era ubriaco, con un po’ di fortuna non si ricorderà niente..
  Con questo pensiero positivo – o forse era meglio chiamarla speranza – Vivien chiuse gli occhi e, cosa che non era riuscita a fare fino ad allora, si addormentò.
 
  Il mattino seguente la luce del sole invase troppo presto la stanza del conte Aaron, il quale aveva dormito in malo modo per i dolori cosparsi in tutto il corpo.
  Chi ha aperto le tende? Si chiese, premeditando già quale punizione infliggere al colpevole. Lo avrebbe rintanato per un giorno intero nel buio più totale delle cantine, così avrebbe smesso di adorare tanto la luce.
  Il cerchio che aveva alla testa però era ancora più fastidioso di quel forzato risveglio e, pensando al buio, gli tornò in mente cosa accadde la notte prima, nel salotto della sua villa, al debole chiarore di una candela.
  Quella maledetta!
  Il conte si alzò dal letto e si mise la sua vestaglia, sentiva i muscoli indolenziti e una palpebra stranamente pesante. Era dubbioso se guardarsi allo specchio o meno, forse ciò che avrebbe visto non gli sarebbe piaciuto, ma tanto erano mesi che non si riconosceva più in quel riflesso.
  “Fantastico, ho un sopracciglio spaccato”. Esclamò, osservando la sua immagine nel vetro della finestra.
  L’uomo strinse i pugni e contrasse la mascella. L’autore – anzi l’autrice – di quelle contusioni l’avrebbe pagata cara. Già, perché per la sfortuna della colpevole, lui quella notte non era stato abbastanza ubriaco da dimenticarsi l’accaduto.
  Picchiato da una serva, che brutto colpo per il suo orgoglio. Quella sgualdrina probabilmente era già andata a vantarsi delle sue gesta, così tutta la servitù avrebbe riso di lui, e non solo.
  Aaron si passò una mano tra i capelli ed emise un grugnito di disappunto al pensiero che suo padre potesse scoprire che cosa era successo. Quell’uomo per cui il titolo e la reputazione valevano più della vita e – di certo – più di suo figlio.
  Bussarono alla porta e, dopo aver ricevuto il consenso, Meg entrò nella stanza del conte con la testa bassa e facendo un leggero inchino.
  “Vostra madre voleva sapere se eravate sveglio, signore”.
  Aaron guardò la ragazza e inarcò le sopracciglia, di solito la contessa non si preoccupava degli orari del figlio, sapeva che non ne aveva. L’uomo si avvicinò alla ragazza e le sfiorò un braccio, accennando un sorrisetto che una qualsiasi giovane donna avrebbe considerato poco rassicurante.
  “Signor conte, vostra madre mi ha dato delle mansioni da svolgere”. Disse lei, con tono timido e tenendo sempre lo sguardo basso.
  “Vorrà dire che faremo presto”. L’uomo si chinò sul collo della ragazza famelicamente, facendola indietreggiare fino a sbattere la schiena contro la porta.
  I lividi gli facevano male, ma la frustrazione era più forte e in qualche modo doveva scaricarla, era stato umiliato e ferito – sia psicologicamente che fisicamente – e l’unico modo che conosceva per rinsavire il suo orgoglio offeso era quello di portare una ragazza sotto le sue lenzuola – o in questo caso addosso ad una porta – e aprirle le gambe senza pudore.
  Meg era la partner perfetta, troppo pudica per raccontare qualcosa a qualcuno e troppo impaurita per rifiutare le richieste del conte. L’unico suo difetto forse era la poca focosità, Aaron non ricordava una volta in cui l’avesse sentita gemere dalla passione, eppure ogni donna con cui era stato l’aveva sempre osannato come ottimo amante.
  Meg aprì le sue gambe, come ormai faceva da qualche mese a quella parte, e attese che il conte facesse il resto. Lui non perse tempo, le alzò la gonna e si abbassò i calzoni da notte che ancora indossava. Stava per dare inizio alle danze, quando bussarono di nuovo alla porta.
  La serva, impaurita, subito si irrigidì e riabbassò la gonna, mentre il conte sbuffò, risistemandosi i calzoni.
  “Chi è?” Chiese con tono acido. Prese poi Meg per un polso e la guardò aggrottando le sopracciglia, era fin troppo chiaro che cosa significasse quello sguardo. Tu non ti muovi da qui!
  Il volto che apparve da dietro la porta però fece dimenticare ad Aaron le sue poco rispettabili intenzioni con la serva.
  È lei! Si disse, senza nemmeno rifletterci sopra.
  La ragazza che lo aveva aggredito per ben due volte la notte prima, era quella che stava attraversando l’uscio della sua stanza e che gli stava rivolgendo un debole inchino. Quei capelli castani setosi e quegli occhi nocciola che avevano osato sfidarlo, non potevano essere dimenticati.
  Vederla alla luce del giorno però faceva un altro effetto. Non aveva quell’aria evanescente che per un attimo gli aveva fatto credere di trovarsi di fronte una dea. Forse era stato l’alcool, o la fioca luce della candela a rendergliela più attraente di come in realtà fosse.
  Ciò comunque non sminuiva il fatto che quella donna aveva osato colpirlo, e più di una volta.
  “Perdonatemi, signore, ma Meg è richiesta in cucina”. Aveva una voce posata e sicura e non abbassava mai lo sguardo, nemmeno quando lui la fissava intensamente degli occhi.
  Sembra non avere paura di me, forse crede che io non mi ricordi della notte scorsa.
  “Bene Meg, puoi andare”. Disse il conte, senza staccare gli occhi dalla nuova arrivata.
  “Ma signore…”
  “Ho detto che puoi andare!”
  Meg fece un leggero inchino e sgattaiolò via dalla stanza. L’altra serva stette per seguirla, ma Aaron fu più veloce e chiuse la porta prima che lei potesse uscire. Lo sguardo sorpreso di lei lo fece sorridere, davvero non capiva che cosa stava succedendo, oppure la sua era una finzione?
  “Sei nuova, vero? Come ti chiami?” Le chiese, avvicinandosi al suo volto.
  “Vivien, signore”. Rispose lei. Non un tentennamento, non un balbettio. Sembrava seriamente sicura di sé.
  Questo suo atteggiamento lo stava facendo innervosire ancora di più. Chi si credeva d’essere quella donna per ridicolizzarlo a quel modo?
  “Signore, vostra sorella mi aspetta”. Continuò lei.
  Aaron aggrottò le sopracciglia. “Cosa c’entra mia sorella?”
  “Sono la sua dama di compagnia, e la contessina vuole che le legga un libro”.
  Già, più di una volta gli era capitato di sentire la contessa lamentarsi con i servi perché non riusciva a trovare una dama di compagnia adatta ad Alyssa, così da sostituire quella licenziata poco prima.  
  “Deduco quindi che tu sappia leggere e scrivere”. Commentò, poggiandosi con un braccio alla porta e piegando l’altro all’altezza del fianco. “E inoltre sarai anche così intelligente da comprendere che stamattina mia sorella dovrà attendere per ricevere i tuoi servigi”.
  “Io non ho intenzione di far attendere proprio nessuno”. Contestò la ragazza, posando la mano sulla maniglia della porta. Il conte le bloccò il polso.
  “Forse non mi sono spiegato: farai ciò che ti dico io, Vivien, altrimenti dirò a mia madre che sei stata tu a ridurmi in questo stato e ti caccerà via di casa a calci”.
  Aaron rimase deluso quando sul volto della ragazza non notò nessuna espressione di stupore, era convinto che l’avrebbe spaventata, invece quella serva non sembrava nemmeno un po’ intimorita.
  “Non credo di aver compreso bene le parole del signor conte”. Disse con estrema compostezza, quasi irritante a dire il vero. “Probabilmente siete ancora molto stanco e dovete riposare”.
  “Mi stai prendendo in giro?” Poi aggrottò le sopracciglia e strinse ancora di più il suo polso nella mano. “Mi stai prendendo in giro!” Questa volta non era una domanda.
  “Non mi permetterei”. Ribatté lei. Chissà perché però Aaron non le credeva. “Solo che non so di che cosa stiate parlando, signore”.
  “Questi lividi, questo sopracciglio spaccato, sono tutti opera tua!” Esclamò, indicando il suo occhio e dei piccoli ematomi alla base del costato. “Come hai osato colpire il tuo padrone?”
  “Signore, dico davvero, non so di che cosa stiate parlando”.
  Il conte lasciò la presa sul polso della ragazza e, per la prima volta da quando lei era entrata nella sua stanza, vacillò nelle sue convinzioni. Forse la mente gli stava giocando un brutto scherzo, in effetti la sera prima aveva bevuto qualche bicchierino di troppo e, per quanto fosse certo che una serva l’avesse colpito, non era detto che quella suddetta serva fosse Vivien.
  “Ora che ci penso, forse ho commesso un errore”. Disse scrollando le spalle. “La ragazza di ieri notte aveva un viso angelico, quasi divino, e un corpo a dir poco sublime. Non puoi essere tu”.
  “Il signor conte mi perdonerà se gli comunico che la cosa non è affatto di mio interesse”. Commentò acida lei.
  Reazione interessante, constatò lui, come se fosse stata colpita sul personale. Probabilmente ogni donna avrebbe reagito così, sentendosi sminuita e offesa, ma perché non provare lo stesso a far calare la maschera a quella serva che sembrava tanto pura e composta?
  “Se il signor conte permette, ora vorrei andare da vostra sorella”. La ragazza aprì l’uscio della stanza e lui glielo lasciò fare. Tuttavia non sarebbe finita lì, Aaron era intenzionato a scoprire se era davvero lei la serva che lo aveva aggredito e, se così fosse stato, l’avrebbe punita per ben due volte: la prima per l’aggressione e la seconda per aver provato a prendersi gioco di lui, facendo finta di non sapere nulla.

 
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E' entrato in scena il conte Aaron Turner... è un tipo un po' strano, ve lo dico subito
(io stessa faccio difficoltà a comprenderlo, a volte xD)

P.S. Ringrazio tutti quelli che hanno deciso di leggere il mio scritto e chi ha commentato^^
Spero continuiate a seguirmi
Un bacione a tutti^^


*HarleyQ_91*

  
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