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Autore: Sparrowhawk    21/02/2012    2 recensioni
«Sai bene cosa sto cercando di fare.»
«Per saperlo lo so, ma purtroppo non lo stai facendo come si deve ed io non ti capisco.»
Bisognava sempre spingerlo contro il muro, a quello, altrimenti col cavolo che diceva addio alla sua corazza di robot senza cuore cercando di venire incontro a quelle che erano le tue di esigenze.
Emise un altro piccolo sbuffo e poi, appoggiandosi allo stipite della porta, mise le mani in tasca prima di ricominciare a parlare. Iridi grigie incontrarono iridi marroni e allora, solo allora, percepii con distinzione il peso dei miei sentimenti verso di lui.
Pur non meritandoselo affatto, avrei continuato a perdonargli ogni torto, sempre, rimanendogli accanto come l’amica che mi vantavo di essere ma che, nella realtà dei fatti, risultava essere la peggiore delle mie mascherate. Questo non perché non fossi brava a mentire a me stessa e agli altri, fingendomi totalmente disinteressata nei suoi confronti, piuttosto perché vivere vicino a quel ragazzo come semplice amica mi metteva sempre nella condizione di doverlo vedere mentre se ne andava con un’altra.
Una persona che non ero io.
Una persona che non sarei mai stata io.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Uno: Maledetto il giorno in cui ti ho conosciuto


Mi ero sempre comportata come se, l’unica persona importante al mondo, fossi io.

La condizione di vita degli altri esseri viventi, per quanto parte integrante della popolazione mondiale e degni di nota proprio come me, apparivano ai miei occhi come una sorta di spettri, fantasmi che avevano il permesso di condividere la mia stessa aria ma che, al contempo, avevano l’unica regola di starmi il più lontano possibile.

Alle volte ero io a cercare della compagnia.

Mi aggregavo ad una vecchia cerchia di amici e lì ridevo, parlavo, mi comportavo insomma come una normale adolescente. In quei momenti la me stessa cupa ed asociale tendeva a rintanarsi in un angolo della mia mente, al freddo, tenendo per sé ogni commento crudele ed ogni accenno di sarcasmo.

Ma quando non ne potevo più del continuo chiacchiericcio degli altri e il mio odio verso l’universo raggiungeva vette mai viste prima, allora tutto cambiava e quella parte di me veniva fuori all’istante, ostacolando ogni individuo ancora prima che avesse tentato di dirmi anche un semplice ‘ciao’.

Crescendo, quel mio essere tanto scorbutica, divenne una sorta di religione per me.

Arrivai alla soglia dei diciotto anni sentendomi completamente sola, se si considerava la mia non appartenenza a nessun gruppo preciso all’interno della mia classe o fra i miei coetanei, però ero appagata: l’unica cosa di cui mi importava era la scrittura, metodo attraverso il quale avevo imparato ad esprimere le mie idee senza difficoltà e, soprattutto, senza il timore che la mia voce non trovasse la forza di uscire dalla bocca.

Quando scrivevo ero forte, implacabile, ed ogni parola si imprimeva come a fuoco sulla carta, rimanendo indelebile per i giorni, forse perfino per i secoli, a venire.

Ero felice a questo pensiero, perché così una parte di me avrebbe continuato a vivere anche quando io, come è ovvio, non ci fossi stata più.

Inutile dire che, la lettura, fosse subito al secondo posto nella mia classifica di gradimento su ‘le cose che mi piace fare’.

Anche lì, sfogliando le pagine di un tomo pesante tanto quanto un mattone, mi chiudevo nel mio mondo senza permettere ad anima viva di intromettervisi.

Là, nella mia testa, immersa fino al collo nelle profondità della mia stessa fantasia, l’impressione che tutto fosse perfetto non mi abbandonava mai.

Era un sogno.

«Te lo avevo detto che l’avremmo trovata a leggere.»

peccato che, dai sogni, bisogna pur sempre svegliarsi.

Alzai lo sguardo piano, lentamente, ponderando ogni movimento con estrema accuratezza ed imprimendo nei miei occhi una sorta di luce fredda ed annoiata poiché, figuriamoci, già sapevo chi aveva osato interrompere la mia beneamata pausa.

Non biasimavo tanto uno dei due personaggi che si erano messi proprio di fronte a me, togliendomi la flebile luce del sole e mettendomi all’ombra nel grande cortile della scuola. Sapevo che era stato trascinato suo malgrado dal tifone che, entrambi, avevamo la sfortuna di chiamare amico, ma, pur pensandolo, non mi astenni dal proferire queste precise parole:

«Non avete niente altro da fare che andare in giro a tormentare delle povere anime pie come me?»

Detestavo essere interrotta così, senza motivo alcuno.

E, credetemi quando ve lo dico, ero praticamente certa che non ci fosse un valido motivo dietro a quell’interruzione.

«No.» rispose il primo che aveva parlato, alzando le spalle «Che cosa leggi?»

Chiusi il mio libro con un tonfo, riducendo gli occhi a due fessure.

«Non dirmi che sei venuto qui fuori, al freddo, portandoti dietro Sebastiano, solo per chiedermi cosa sto leggendo!»

«Ok, non te lo dico.»

«Seriamente?!»

«Che c’è?» sbottò lui, alzando le mani come a volersi discolpare «Sono stufo di tutte quelle ragazzine che mi girano intorno come api attratte dal miele, dovevo pur fare qualcosa!»

«E perché quel qualcosa deve comprendere l’infastidire me?»

«Forse è il tuo charme.»

«Emanuele, te lo ha mai detto nessuno che sei insopportabile?»

«E a te lo ha mai detto nessuno che quando ti arrabbi sei assolutamente adorabile?»

Arrivati a questo punto, io mi fermai, vinta come al solito da quelle sue stupide uscite: non avevo mai delle certezze con lui e, per quanto mi ci impegnassi, non riuscivo a capire se quando diceva quelle cose era perché le pensava veramente o perché mi vedeva come una delle tante, come una delle fan che cadevano a terra con gli occhi ridotti a cuoricini per una sciocchezza che all’apparenza poteva sembrare un complimento.

Presi a fissarlo con insistenza, serissima.

Solo quel ragazzo, nella sua infinita spavalderia, riusciva a darmi del filo da torcere.

«Ora che il nostro bel dibattito è finito…» continuò Emanuele, sistemandosi al mio fianco sulla panchina ed ignorando volutamente il mio sguardo di fuoco «…mi piacerebbe che tu rispondessi alla mia domanda.»

Io sospirai e mi allungai sul tavolo in legno di fronte a me, uno dei tanti sparsi per il cortile che, nei pomeriggi, quando faceva più caldo, usavamo per mangiarci sopra. Presi a guardarmi la punta delle dita delle mani come assorta, cercando dentro di me la forza di sostenere un altro inutile discorso con lui.

Era così evidente che stava lì solo per sfuggire a lei e non certo per un manipolo di galline che, di solito, o ignorava o premiava con occhiatine dolci. Magari avevano litigato e non aveva voglia di vederla. Poteva essere, visto che non è che il loro rapporto fosse tutto rose e fiori.

«…I racconti di Earthsea.» dissi infine, imprimendo poca gioia in quella risposta nonostante fossi stata entusiasta di quel libro da quando lo avevo comprato «Lo conosci?»

«Ne ho sentito parlare.»

«…vuoi che te lo presti?»

«Assolutamente no, figurati se mi metto a leggere un libro del genere! Ho altro da fare, io!»

In quel momento lo avrei preso a randellate ma, per mia enorme, enorme fortuna, c’era con noi un terzo personaggio che, come suo solito, aveva la facoltà di intervenire quando era più giusto farlo.

«Ehi, è il libro da cui hanno tratto il film che ti piace tanto? Sì, dai, quello di…di Goro Miyazaki.»

Sorrisi teneramente a Sebastiano mentre, alzando la testa, mi voltavo verso di lui.

Come gli volevo bene.

La sua presenza aveva per me lo stesso effetto della camomilla o di un cuscinetto salvavita: nel caso della camomilla, mi calmava, in quello del cuscinetto salvavita, mi impediva di ammazzare Emanuele quando l’impulso si faceva più che pressante.

«Esatto.» mormorai, tornando improvvisamente più vivace.

«Me lo hai fatto vedere a casa tua l’anno scorso, se non sbaglio. Mi era molto piaciuto.»

«Carino, vero?» ecco, adesso ero del tutto rianimata, una nuova luce mi riempiva gli occhioni scuri. Succedeva sempre così quando avevo la fortuna di incontrare qualcuno che la pensava come me su un film, un libro o qualsiasi altra cosa di cui mi intendessi «Pensa che qui, nel capitolo che sto leggendo ora, si scoprono le origi di Sparviere!»

«Adoravi quell’uomo! Mi hai fatto una testa così per tutta la sera.»

«Momento, momento, momento…»

Entrambi ci girammo a fissare il nostro amico che, per via del nostro entusiasmo, era stato tagliato fuori dalla conversazione nel giro di pochi attimi.

Aveva la fronte corrugata, lo sguardo torvo, e forse potevo scorgere una punta di dissenso sul suo viso.

«…quando è successa questa cosa?»

Noi due non rispondemmo di fronte a quella domanda tanto criptica.

Quando era successo cosa?

«Quand’è che vi siete incontrati a vedere un film di sera?»

«Un anno fa, l’ho ben detto.» esclamò Sebastiano, stringendosi nelle spalle.

«E come mai io non c’ero?»

«Guarda che ti ho chiamato» mugugnai io, incrociando le braccia al petto mentre mi chiedevo ancora come mai avesse quell’espressione addosso «sei tu che non sei voluto venire. ‘Un film troppo noioso, per me’, ricordi?»

«Io non ricordo niente.»

«Beh, è così che è andata.»

«Potevi insistere di più, così sarei venuto.»

«Io ho insistito visto che mi avevi promesso che saresti venuto.»

Zittendosi – non credete, rimarrà zitto solo per qualche secondo, il tempo di non pensare e dire la prima gastroneria che gli viene in mente –, Emanuele appoggiò il mento ai palmi aperti, sbuffando sonoramente.

«…secondo me ho ragione io, non ti sei impegnata, e questo perché in realtà volevi stare sola con Sebbolo.»

Probabilmente, sia io che il diretto interessato sgranammo gli occhi increduli.

«Come, scusa?» domandammo, all’unisono.

Non potevo parlare per Sebastiano, ma personalmente trovavo alquanto stupida quell’affermazione: era vero, il fatto che lui fosse di colore come me – ok, io sono sul caffelatte, ma è uguale – e che, quindi, mi comprendesse decisamente meglio di quanto avrebbe potuto fare chiunque altro per certi versi, lo rendeva il migliore degli amici che avrei mai potuto sperare di avere; mi metteva a mio agio, insomma, però la cosa finiva lì.

Arrivare a pensare che avessi voluto qualcosa di più dal nostro rapporto era…strano.

Non dico impossibile, solo strano.

«Hai capito bene.»

Oh, sul fatto che avessi capito non c’erano dubbi, il punto era che preferivo sostenere il contrario pur di non dovermi far scoppiare un embolo per colpa sua.

Respirai a fondo, stringendo le mani in due pugni.

«Stai…» al primo colpo non riuscii neanche a dirlo, tanto mi risultava assurdo «Stai insinuando che io ti abbia volutamente tenuto lontano quella sera – cosa che sappiamo non essere vera – solo per stare sola con il mio amore segreto, ovvero Sebastiano?»

L’altro annuì, fischiettando.

Non gli importava ciò che pensavo io, ormai si era convinto della veridicità dei suoi pensieri e questo, lo sapevano tutti, equivaleva al rendere vano ogni tentativo esterno di fargli capire il contrario.

«…sei un vero cretino.» sibilai, alzandomi di scatto in piedi ed allontanandomi da lui.

Camminai speditamente, senza voltarmi, salendo le scale e chiudendomi in bagno per un periodo di tempo che apparve infinito mentre, con la mano premuta sul petto, laddove batteva il cuore, e l’altra stretta al mio libro, cercavo di recuperare il fiato che stava svanendo per via della tachicardia. I sensi avrebbero potuto abbandonarmi da un momento all’altro ma io, con le lacrime a rigarmi il volto, mi aggrappai con tutta la forza che avevo al mio orgoglio: non sarei svenuta per una cosa del genere, non avrei permesso a quelle crudeli eppure ignare parole di ferirmi più di quanto già non facesse la sua sola esistenza.

Il mio problema al cuore, infondo, era complicato ma non invincibile.



Tornando in classe, qualche minuto dopo il suono della campanella, mi sorbii le parole piene d’ira del professore senza fiatare, la mente piena solo di domande circa la ramanzina che, ne ero certa, Sebastiano aveva sottoposto ad Emanuele.

Mi chiesi cosa gli avesse detto, come lo avesse rimproverato, e me lo domandai con ancora più insistenza quando lo sciocco venne a parlarmi poco prima della fine dell’ultima ora. Avevamo avuto ginnastica, entrambi stavamo in divisa, e siccome ero stata incastrata a mettere via del materiale lui si era fermato per darmi una mano, imponendosi come seconda scelta all’insegnante.

Per un po’ rimanemmo in silenzio, come sempre dopo che avevamo litigato, ma quando questo divenne insopportabile si decise a dire ciò che doveva, omettendo ovviamente la parte che più mi interessava sentire.

«Quel film…» disse «…lo voglio vedere anche io.»

Non si scusò, quindi, però non ne ero sorpresa.

Uno così non si sarebbe scusato mai, neanche di fronte all’evidenza delle sue cattive azioni.

«Noleggiatelo.»

E io non avrei mai lasciato correre questa sua mancanza, atteggiandomi a dura quando invece dentro ero molle quanto un budino.

«Voglio vedere proprio il tuo dvd, guarda il caso.»

«Ma davvero…?»

Sarcasmo.

Una delle mie armi migliori.

Lo sentii sbuffare e, nonostante non potessi vederlo in faccia, ne sorrisi. Era sempre bello sapere di averlo offeso e/o infastidito.

Suvvia, non guardatemi male, per lui era lo stesso!

«Sai bene cosa sto cercando di fare.»

«Per saperlo lo so, ma purtroppo non lo stai facendo come si deve ed io non ti capisco.»

Bisognava sempre spingerlo contro il muro, a quello, altrimenti col cavolo che diceva addio alla sua corazza di robot senza cuore cercando di venire incontro a quelle che erano le tue di esigenze.

Emise un altro piccolo sbuffo e poi, appoggiandosi allo stipite della porta, mise le mani in tasca prima di ricominciare a parlare. Iridi grigie incontrarono iridi marroni e allora, solo allora, percepii con distinzione il peso dei miei sentimenti verso di lui.

Pur non meritandoselo affatto, avrei continuato a perdonargli ogni torto, sempre, rimanendogli accanto come l’amica che mi vantavo di essere ma che, nella realtà dei fatti, risultava essere la peggiore delle mie mascherate. Questo non perché non fossi brava a mentire a me stessa e agli altri, fingendomi totalmente disinteressata nei suoi confronti, piuttosto perché vivere vicino a quel ragazzo come semplice amica mi metteva sempre nella condizione di doverlo vedere mentre se ne andava con un’altra.

Una persona che non ero io.

Una persona che non sarei mai stata io.

«…guardiamo quel film stasera, a casa tua.» disse alla fine.

«Non ho altra scelta?»

Scosse il capo.

«Chiamerò Seb-»

«No. Niente Sebbolo.» aveva una voce calma, vellutata, e in cuor mio sapevo che era lo stesso tono che usava quando voleva abbindolare qualcuna delle sue fangirl «Solo…io e te.»

Corrugai la fronte.

«Niente cuscinetto salva vita?»

«…che?»

«Cioè, volevo dire…» con le dita attorcigliate ad una ciocca di capelli, arrossii appena per via della mia stessa gaffe. Nessuno oltre a me sapeva di quel ‘soprannome’ per quanto anche un beota, a conti fatti, avrebbe potuto capire a chi mi riferissi esattamente. «Solo io e te?»

«Sì.»

«…a che ora?»



Inutile mentire, ero elettrizzata per ciò che sarebbe successo quella sera: lo sapevo da me, non era niente di eclatante per due comuni amici, però per me, quel ‘solo io e te ’, era una sorta di manna dal cielo, un regalo, un miracolo che mai mi sarei aspettata di poter godere. Non stavamo soli da mesi ormai, e ciò era da ricondurre al fatto che Emanuele, nella sua infinita demenza, aveva sempre dato la precedenza alle belle donne piuttosto che ai suoi amici. E ora, finalmente, dopo tutto quel tempo, avrei potuto stare di nuovo in sua compagnia.

Avrei potuto fare finta che esistessimo solo noi, al mondo, inebriandomi delle sue attenzioni e facendo con lui quella sequela di ironici commenti che, se sentiti dalle persone che osservavamo nella televisione, probabilmente avrebbero spinto alla depressione molta gente ma che avevano la facoltà di farmi ridere un sacco. Avrei accettato perfino le sue frecciatine, quella volta, tanta era la mia gioia.

Nei camerini feci la doccia e mi cambiai di volata, correndo poi per i corridoi come se avessi avuto alle calcagna un intero branco di lupi affamati, digiuni non da giorni, ma da anni.

Farlo aspettare era fuori discussione.

Ogni attimo era prezioso. Ogni istante, oro colato.

Correvo, correvo veloce come mai lo ero stata, ritrovandomi a chiedere scusa almeno cento volte a persone con cui non mi ero neanche mai intrattenuta.

Tutto per la stessa persona che, di lì a breve, mi avrebbe nuovamente delusa.

Fu infatti quando arrivai al piano terra, poco distante dall’entrata, che li vidi: Emanuele ed Alessia erano là, fuori dai portoni aperti della nostra scuola, a parlare tutti sorridenti di chissà che mentre io, a fissarli, recuperavo un poco del fiato perso nella corsa. Li osservai con un’attenzione chirurgica, studiando sin nei minimi dettagli ogni loro espressione, ogni movimento del corpo. Ero brava, in questo, e non mi sfuggiva mai nulla.

Le persone per me erano sì dei fantasmi, ma non opachi e senza forma, no. Erano fantasmi un poco speciali, che, quando facevo tanto di avvicinarmi, si tramutavano in una sorta di specchi: in quelle superfici rilucenti non mi specchiavo io, ma i loro pensieri e sentimenti.

Io li guardavo, annuivo, e poi mi allontanavo.

E lo avrei fatto anche questa volta se non fosse stato per il fatto che volevo sentirmi dire da lui ciò che già sapevo.

Lasciai che Alessia se ne andasse prima di affacciarmi all’uscita, seria in volto. Emanuele si girò e mi sorrise, gentile, cauto.

«Ho come la sensazione che tu debba darmi una cattiva notizia.» esordii io, ben sapendo che non avrebbe avuto il coraggio di cominciare da sé.

«Purtroppo mi sono ricordato di avere un impegno, oggi.»

Bugiardo.

«Non credo proprio di poter venire da te, per vedere quel film.»

Bugiardo…

«Questo è un vero peccato, volevo tanto vederlo e passare un po’ ti tempo con te!»

Bugiardo, bugiardo, bugiardo!

«Capisco. Sarà per la prossima volta.» queste parole uscirono dalle mie labbra, le stesse che si stavano stringendo in una smorfia di trattenuto astio «Ciao.»

Feci per andarmene, quell’andatura fiera e da valchiria che mi contraddistingueva a dare un tono alle mie movenze perfino in un momento in cui, le mie gambe, avrebbero preferito cedere per farmi accasciare in terra, fra i pianti. Se voleva mentire poteva farlo, però non poteva credere davvero che io mi bevessi le sue sciocchezze. Non io, non colei che smascherava sempre tutto e tutti. Il solo pensarlo gli avrebbe fatto capire di non conoscermi affatto.

«Ehi!» la sua voce mi fermò, anche se per breve tempo «Non mi fai nessuna scenata? Di solito mi salti addosso quando disdico un appuntamento.»

Di voltarmi non se ne parlava nemmeno, ma almeno rispondere potevo farlo.

«…e perché dovrei? Infondo non è colpa tua se hai dimenticato un impegno.» mi morsi un labbro andando avanti «Per questa volta ti perdono.»

E, detto ciò, proseguii per la mia strada, incurante dello sguardo che si era posato curioso sulla mia schiena.

La mano corse ancora al petto, ma stavolta non cominciai ad ansimare.

Se ne stava lì perché sì, il cuore batteva con una tale forza da farmi del male, tuttavia non così tanto da spingermi a preoccuparmi per il peggio. Da quando lo conosceva ero stata in quello stato tante di quelle volte, che ormai avevo perso il conto dei falsi allarmi che mi avevano portata a credere di stare per morire da un momento all’altro.



Arrivata a casa, chiusami la porta alle spalle, mi accasciai con la schiena su di essa, scivolando piano piano a terra, le ginocchia tenute vicino al petto.

Quello era diventato il mio posticino, l’unico che consideravo come zona neutrale: lì ero ancora in tempo a piangere per i dolori della giornata prima di cominciare con l’altra parte della mia vita, l’unica che mi desse una vera e propria soddisfazione; lì ero ancora la fragile ragazzina diciottenne perdutamente innamorata della persona sbagliata, e non una scrittrice di successo, pronta a fare il suo debutto nel firmamento dei più grandi pensatori di tutti i tempi.

Rannicchiata così, dunque, formulai il solito, odioso e dannatamente giusto pensiero.

Maledetto il giorno in cui ti ho conosciuto.”









La voce dell'Autrice: La demenza di Emanuele alle volte mi sconcerta...ma, siccome è un maschio, non posso fare altro che guardarlo dall'alto della mia superiorità di donna e cercare di passare oltre le idiozie che compie. ù.ù
Che poi, non posso biasimarlo. Se anche io fossi un ragazzo fare forse anche di peggio. *COFF COFF*

Aw, mi dispiace per Angela. Non so, è triste. Malata ed innamorata di un pessimo figuro quale quello là! Pessima accoppiata!
Chissà che ne verrà fuori... *come se lei non lo sapesse*
  
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