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Autore: xstylesmike    26/02/2012    13 recensioni
Festeggiavamo un anno insieme quando mi chiese di rimanere con lui per sempre. E mi scese una lacrima, perché capii per la prima volta in vita mia che le persone che ti amano non ti abbandonano, che essere felici è possibile.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Kate

 

Conobbi Louis il primo giorno nella mia nuova scuola a Doncaster. Era responsabile dell’accoglienza per i nuovi studenti, e mi seguì tutta la settimana per spiegarmi qualsiasi cosa ci fosse bisogno di sapere.

Ricordo che appena lo vidi pensai che fosse completamente rincitrullito, ma almeno era l’unico che mi considerava.

Dopo poco mi fece domande su di me, sulla mia famiglia, sul perché fossi lì.

-Kate, perché ti sei trasferita in questa scuola?

-I miei genitori sono morti- risposi senza emozione.

Avevo risposto talmente tante volte a quella domanda che ormai non mi faceva più effetto dirlo.

Come pronunciai quelle parole scomparve dal suo viso quel sorriso che avevo stampato da ore.

-Mi dispiace- chinò la testa e mangiò in silenzio, senza continuare con un interrogatorio, come di solito facevano tutti.

Non passò molto tempo prima che mi chiese di andare con lui alla festa di Julie, che a quanto pare era la ragazza popolare della scuola.

-Voglio che tu ti faccia degli amici qui, a parte me, ovvio- mi disse sfoggiando un enorme sorriso.

Dopo quel sabato sera non passò un weekend senza che uscissi con lui, e iniziai a lavorare come baby-sitter per le sue sorelle, per potermi comprare una casa appena compiuti i diciotto anni. 

La gente cominciava a definirci migliori amici. Stavamo bene insieme, lui era quello che teneva vivo il rapporto, io sono sempre stata più indifferente, era un comportamento che avevo imparato a tenere vivendo negli orfanotrofi, imparai che non dovevo mai affezionarmi a qualcuno, perché prima o poi se ne sarebbe andato. Ma con Louis era diverso, sapevo che non se ne sarebbe andato, e non affezionarsi fu impossibile.

Iniziai a pensare che probabilmente la nostra non era semplice amicizia. Tutte le volte che mi abbracciava, che mi sussurrava qualcosa all’orecchio, che metteva i occhi azzurri su di me, tremavo, e lo stomaco si attorcigliava.

Gli parlavo sempre di tutto, di qualsiasi cosa pensassi o mi succedesse, ma evitai di dirgli quello, perché avrebbe rovinato tutto.

 

Una sera, dopo che misi a letto le sue sorelle, andai nella sua stanza come facevamo sempre. Quella sera sarei rimasta a dormire da lui, nella camera degli ospiti, poiché i suoi genitori erano fuori città.

-Non pensi che tra di noi non sia solo semplice amicizia?- mi chiese con una naturalezza quasi sconvolgente.

Mi alzai dal suo letto, per fissarlo con sguardo serio.

-Scherzi? Piantala di dire certe scemenze- aveva tremendamente ragione, lo sapevo, ma non avrei permesso a nulla di rovinare ciò che avevamo in quel momento, perché se fossimo diventati qualcosa di più che amici, prima o poi sarebbe finito.

-Sono serio- affermò arricciando leggermente il naso.

Mi limitai a sbuffare, e cominciai a mangiarmi le pellicine delle dita. Lui mi raggiunse sul letto e si sdraiò accanto a me.

-Non mangiarti le pellicine, te l’ho detto un milione di volte- disse ridendo.

Mi fissava accennando un sorriso.

-Che c’è?- dissi chinando lo sguardo.

-E se io facessi questo?

Appoggiò la mano sul mio mento e mi tirò a sé, baciandomi. Chiusi gli occhi e mi godei il momento, senza pensare a cosa sarebbe successo dopo.

-Ti amo- pronunciò quelle parole come se fossero la cosa più naturale di sempre.

-Ma smettila.

Cominciò a baciarmi il collo, e mi slacciò i primi bottoni della camicia. Lo fermai.

-Scusa, Kate, scusa. Se non vuoi... Dio, sono stato uno scemo- se avessi fermato tutto lì sarebbe solo stato peggio, ormai c’eravamo dentro.

Gli slacciai i pantaloni, e lui finì il suo lavoro con la camicia, poi mi sfilò il reggiseno, e io la sua maglietta bianca che gli scolpiva perfettamente il fisico. Così finché non fummo completamente nudi sotto il caldo piumone. E facemmo l’amore.

Dopo quella notte eravamo una coppia, e lo fummo a lungo. Festeggiavamo un anno insieme quando mi chiese di rimanere con lui per sempre. E mi scese una lacrima, perché capii per la prima volta in vita mia che le persone che ti amano non ti abbandonano, che essere felici è possibile.

 

Una sera stavo tornando dalla mia famiglia affidataria, e sulla strada incontrai un senza tetto che si stava facendo una dose di eroina. Ero spaventata, sapevo com’era la gente come lui, avevo passato tutta l’infanzia con persone così. Iniziò a parlarmi, poi mi si avvicinò sempre di più. Sentivo il suo fetore che mi impediva di respirare. Lo spinsi a terra e scappai. Arrivata a casa mi resi conto di avere una goccia di sangue sul dito, ma non ci feci caso.

‘Devo proprio smetterla di mangiarmi queste stupide pellicine’ pensai.

 

Due mesi dopo divenni maggiorenne. Avevo raccolto soldi a sufficienza per permettermi un appartamento, ma anziché andare a Londra come avevo sempre sognato di fare, rimasi a Doncaster, per Louis.

I servizi sociali mi imposero una serie di controlli medici e psicologici prima di lasciarmi alla mia nuova vita, tra cui il test per l’AIDS.

Il risultato fu sconvolgente, ero siero positiva.

-Com’è potuto succedere?- chiesi all’infermiera tra le lacrime.

-Bè, è una malattia sess...- cominciò a spiegarmi lei.

-Lo so che è una cazzo di malattia sessualmente trasmissibile, ma io non posso averla contratta, non faccio sesso con chi cazzo mi capita- ero arrabbiata, e parecchio, non avevo fatto nulla per meritarmi una cosa del genere.

La donna mi fissò a lungo mentre piangevo e imprecavo, per poi continuare a parlare -Potresti averla presa a contatto con il sangue di qualche infetto, se avevi una ferita aperta- mi guardò mentre mi torturavo le dita -come le tue dita.

Improvvisamente pensai a quella sera con il senza tetto. Pensai che era passato un sacco di tempo, e che nell’ultimo periodo io e Louis avevamo fatto l’amore un sacco di volte.

Lasciai l’ambulatorio. Dovevo andarmene da Doncaster. Avevo rovinato la vita dell’unica persona che io avessi mai amato.

 

Bussai con insistenza alla porta di casa Tomlinson, Jay mi fece entrare, e mi disse che Louis era in camera sua.

Prima di aprire la sua porta presi un grande sospiro. Dovevo finirla lì, dovevo semplicemente spiegargli tutto e lasciarlo, avevo già fatto abbastanza, non avrei rovinato la sua vita ulteriormente.

-Louis?

-Kate, ciao. Non ti aspettavo qui a quest’ora- si tolse le cuffie e venne verso di me per baciarmi.

Mi scansai e mi sedetti sul letto, facendogli segno di mettersi lì anche lui.

-Non ci girerò intorno Louis, io... Non possiamo più stare insieme.

Rise, evidentemente non aveva capito quanto fossi seria. -Scherzi?

-No. Ho l’AIDS. Devi fare il test, potresti essere infetto.

Lo vidi sbiancare, e appoggiarsi al bordo del letto, sussurrando qualcosa di incomprensibile.

-Non puoi lasciarmi, ti amo.

Mi ero ripromessa di non piangere, ma non ci riuscii.

-Ho già fatto abbastanza danni.

Mi avvicinai e lo baciai per quella che sarebbe stata l’ultima volta. Anche lui stava piangendo.

-E adesso dove andrai?

-Londra, immagino.

-Tornerai?

Sorrisi delicatamente. -Sai che non posso.

Quando fui sulla soglia mi rigirai -Louis, in più di due anni che ci conosciamo non te l’ho mai detto, ma ti amo, hai reso la mia vita migliore.

Non lo vidi mai più.

 

 

Louis

 

Non ebbi più relazioni così lunghe dopo Kate. Mi aveva lasciato senza apparente motivo, pensando di avermi rovinato la vita, quando l’unica cosa che mi aveva davvero distrutto fu quell’addio.

Non avevo contratto l’AIDS, e questo suo irrazionale terrore che fosse accaduto mi aveva sorpreso, poiché avevamo sempre usato il preservativo.

Mi chiesi più e più volte se mi avesse tradito, ma no, doveva averla presa in altro modo. Lei mi amava, lo so.

Dopo dieci anni mi decisi ad andare a Londra e trovarla. Doveva per forza essere in cura da qualche medico, quindi non sarebbe stato difficile.

Scoprii che il suo ospedale era il London Bridge Hospital, e mi ci recai in un baleno.

-Salve, cercavo una sua paziente, Kate Collins- dissi al dottore quando lo trovai durante la sua pausa caffè.

Improvvisamente sbiancò, e mi fissò con aria malinconica. 

-Lei è Louis?- mi stupii del fatto che quell’uomo conoscesse il mio nome -Kate parlava sempre di lei, e sapeva che un giorno sarebbe venuto a cercarla, diceva che lei è un ragazzo cocciuto.

Parlava di lei come se non ci fosse più, ma non poteva essersene andata.

-Dov’è Kate?- chiesi con ancora un minimo di speranza.

-Mi dispiace.

 

Era morta, mi aveva lasciato definitivamente. E tutto quello che mi era rimasto di lei erano quelle ultime parole che pronunciò prima di andarsene, ‘ti amo’, non me l’aveva mai detto prima, ma lo sapevo.

  
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