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Autore: Shinalia    26/02/2012    4 recensioni
estratto capitolo
« Sei una vampira, non puoi soffrire di emicranie! » ribattei mesto ed in tono leggermente acido.
Alzò gli occhi al cielo con evidente irritazione « Sembri un animale in gabbia. A casa sono tutti preoccupati … » Annuii distrattamente, non dando realmente peso alle sue parole. Notando la mia disattenzione Alice si indispettì « Bella si è divertita moltissimo a scuola! - squittì
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 12



 
Pov Edward.
 
Il limite.
Qual è il limite di un uomo innamorato? Era una domanda che mi ero posto spesso, sin da quando avevo compreso quanto affetto mi legasse a Bella e cosa rischiassi, trascorrendo con lei ogni istante. Osservandola crescere. Permettendo al mio sguardo di soffermarsi sul suo viso dai lineamenti acerbi dapprima e sulla delicata bellezza sbocciata, quando era maturata, sotto il mio sguardo ormai bramoso. Ma avevo soffocato quei sentimenti, tentando di mettere a tacere ciò che sentivo, ciò che ero consapevole non sarebbe mai stato giusto e neppure opportuno.
Avevo tentato.
Lottato.
Sperato.
Eppure non avevo mai avuto il coraggio di allontanarmi da lei e non avevo mai compreso per quale motivo; se nella speranza di un mutamento nei miei sentimenti, o più probabilmente nei suoi sentimenti.
Ma cosa importava, ormai?
Ero fuggito, correndo per le strade sconosciute, celando la mia presenza agli umani, grazie alla fitta boscaglia, tentando invano di scaricare l’amarezza ed il dolore, separandomi da lei.
Correvo per sottrarmi alla presa di quelle parole.
Correvo per sfuggire alla realtà, conscio che ai suoi occhi non ero stato che un mostro inaffidabile.
Una consapevole che avevo negato, sino all’ultimo istante.
Eppure ognuno di quei passi compiuti non era che un colpo al mio cuore muto. Un cuore morto che non avrebbe dovuto provare dolore, ma che invece agonizzante doleva, serrandosi in una stretta e angosciante morsa.
Un mostro con dei sentimenti e delle emozioni inopportune. Ironico, vero?
La risata amara che sfuggì alle mie labbra riecheggiò nel silenzio di quella foresta attorno a me, mentre i miei piedi si muovevano sempre più veloci, per sfuggire a quella sofferenza che mi tallonava, tenendo il mio passo.
Perché potevo scappare da lei, ma non da quell’amore che avvelenava la mia mente ed il mio cuore.
________________________
 
 
Dieci giorni.
Quanto possono apparire eterni dieci miseri giorni, quando nulla conta e nulla vale?
Quando non si ha nulla per cui sorridere.
Nulla per riaprire gli occhi, al mattino, immerso in quel finto sonno.
Perché un reale oblio, tra le braccia di Morfeo, era una fortuna di cui non avrei mai potuto beneficiare.

Avrei voluto, lo avevo desiderato mentre, disteso sul mio letto, in una cittadina desolata dell’Alaska, mi limitavo ad osservare il soffitto umido e macchiato di muffa, senza però realmente vederlo.
I rumori della strada mi apparivano ovattati e distanti, soffocati dal ruggito assordante che riecheggiava nella mia mente e che tentava invano di portare la mia attenzione sulla fame logorante, che mi premuravo di ignorare.
Assurdo e assolutamente irresponsabile, considerando quanto il mio controllo fosse divenuto sempre più labile, di giorno in giorno, sino a quando solo la stanchezza mi tratteneva dall’avventarmi sulla fonte di quelle pulsazioni che spesso percepivo al di là della porta della mia camera.
Era un vecchio modelle cadente, dove ben poche persone azzardavano ad avventurarsi.
Qualche turista sfortunato, qualche coppietta anziana, le cui risa come pugnali affilati mi rammentavano la mia solitudine, ad ogni ora del giorno.
Mi ricordavano ciò al quale non avrei mai dovuto aspirare e verso il quale aveva egoisticamente allungato la mia mano. Sciocco.
Uno sciocco che volontariamente si affamava.
Ma forse era altro a spingermi ad agire così, a non nutrirmi, non solo il disgusto per me stesso e per la mia condizione. No. La consapevolezza di essere un mostro, di esserlo sempre stato, anche quando ostentando una civilità ed un’umanità che rappresentava solo una misera facciata. Una maschera le cui crepe mostravano la realtà che avrei desiderato celare, ma invano.
Allora perché non abbandonarmi del tutto a quella natura?
Perché non cedere a quegli impulsi che erano sempre stati parte di me e che mi ero ostinato a sopprimere, per una finzione priva di valore?
Erano quelle le domande che mi tormentavano, che avvelenavano la mia mente, alimentate da quella fame persistente, che mi strappava ogni barlume di razionalità, lasciandomi annegare in quegli oscuri e dolorosi pensieri; l’unico appiglio per sfuggire ai ricordi.
Per recidere quel legame che ancora mi legava ad essi, compiendo quell’ultimo passo che lei non mi avrebbe mai perdonato.
Peccato che la mia memoria volesse persuadermi a scacciare quegli intenti, rammentandomi quegli insegnamenti che avevano nutrito la mia mente, per secoli. Ma soprattutto quel viso paffuto e quel corpo caldo, troppo umano. Come avrei mai potuto affondare i canini godendomi il sangue stillante, nella mia bocca, quando quel calore e quel dolce sapore mi avrebbe ricordato la mia piccola Bella?
Come avrei potuto strappare la vita a qualcuno, rammentando i suoi caldi occhi color cioccolato ed immaginando l’orrore riflettersi in essi?

Non avrei potuto, semplicemente.
La memoria, quale maledizione.
Quale atroce tormento, essere capaci di rievocare anche il più effimero dettaglio.
Il suo profumo, un dolce sorriso, la sensazione che anche un misero contatto casuale poteva destare in me.
Uno sfioramento.
Un bacio fraterno.
Dita sottili che giocavano con le ciocche dei miei capelli, tentato di dare un garbo a quella massa informe.
Piccoli ricordi, di un quotidiano che rimpiangevo, malgrado la consapevolezza di quanto quella rinuncia fosse necessiaria.
Eppure benchè la mente possa essere ormai certa di dove risieda la ragione ed il giusto, il cuore non segue sempre le vie e le strade dell’intelletto. Perché esso si inoltra in impervi cammini, aggrappandosi ad una ragionevolezza sua, fatta del calore dei sentimenti, dei bisogni e delle necessità che divengono primarie, come il respiro.
Ed il mio cuore non aveva compreso, tantomeno accettato quella decisione, quella lontananza, che avrebbe gravato su di me in eterno.
Perché la memoria di un’immortale, come lui, non si piega alle intemperie del tempo.
 
 
______________________
 
Un mese
 
Logorato dalla lontananza, dal senso di colpa, dai timori e da quelle domande prive di risposta, vagavo per le strade di una città conosciuta, circondato dal candore della neve, che sembrava ricoprire ogni dove, con il suo gelido manto.
Ed io mi paragonavo a quella terra brulla, soffocato dal ghiaccio, che serrava la mia mente ed il mio cuore. O forse questo è ciò che avrei desiderato.
Avrei voluto anestetizzare con il freddo ogni mio caldo sentimento, sfuggendo così al tormento ed a quei quesiti, senza risposta, che come un tarlo riecheggiavano dentro di me.
 Bella era tornata a casa? Era con Matt? Avevano chiarito? Lo aveva perdonato?
Probabilmente si… non nutrivo alcun dubbio su quell’ultimo punto, conscio della natura caritatevole della mia Isabella.
Mia.
Solo nei miei sogni; in quelli che la mia natura immortale non mi concedeva.
Il sorriso amaro sulle mie labbra strappò l’ennesimo sospiro alla mia accompagnatrice, che aveva insistito per accompagnarmi, quel giorno, nella mia consueta passeggiata. Peccato che quelle ore, trascorse nel totale isolamento delle natura, erano dettate dal mio bisogno di solitudine, al quale quel giorno mi ero visto costretto a rinunciare.
«Dovresti accettare la realtà ed andare avanti. » mi rammentò, posando una mano guantata sulla mia spalla, tentando di concedermi quella consolazione che le sue dita fredde non potevano donarmi.
Avrei voluto poter chiudere gli occhi, percepire il calore irradiarsi sulla mia pelle, attraverso quel lieve contatto, anche attraverso la stoffa, illudendomi che fossero le dita di Bella a sfiorarmi, provando a risollevarmi. Ed invece…
Ed invece non ero che il solito sciocco, che tentava di crogiolarsi in vane fantasie, che lo avrebbero condotto sempre più a fondo, in quel baratro tetro che lo stava inghiottendo. Che mi stava inghiottendo. – mi corressi, scrollando la spalla, per sottrarmi a quella delicata presa, che non faceva altro che alimentare i miei cattivi pensieri. «Io accetto la realtà, se non fosse così sarei da lei, a combattere per qualcosa di impossibile.»
«Forse non la ami abbastanza per combattere. – mi pungolò Tanya, fermandosi nel bel mezzo di quella stradina, puntano i suoi occhi dorati su di me, con quell’espressione di biasimo che ormai conoscevo sin troppo bene. – Sai benissimo che il mio interesse va ben oltre la semplice amicizia e che la tua presenza, qui, non può far altro che rendermi felice. Perché, nonostante tu ora mi rifiuti, il tempo potrebbe mutare la tua decisione e mostrarti ciò che potrei donarti. Quidi puoi immaginare quanto mi sia difficile rivolgerti queste parole. » continuò, esitando appena, mordendosi quelle labbra tumide, arrossate a causa del vento che sferzava sui nostri volti.
Scossi il capo, portandomi le mani sul viso, strofinando con forza, tutt’altro che intenzionato ad ascoltare tutto ciò. In un momento come quello non potevo fare i conti con i sentimenti di Tanya, non quando avevo già abbastanza problemi con i miei, con quelle emozioni che non ero in grado di controllare. Ero consapevole che lei sarebbe stata la scelta più opportuna, assolutamente la più giusta, per quelle innumerevoli qualità che in lei avevo sempre apprezzato, ma non solo. Ma sarebbe stata una farsa, proprio come quella in cui avevo vissuto, sino ad allora. E la mia amica non meritava certamente quel fittizio amore, che sarei stato in grado di donarle, conscio che il mio cuore sarebbe sempre stato altrove. « Non è necessario.» protestai, con voce soffocata e smorta, ricevendone in risposta solo uno schiocco di labbra deciso ed un’occhiata pungente.
«Tu non hai combattuto e ti stai semplicemente aggrappando a delle parole che, sai benissimo, erano state pronunciate dalla rabbia. Dall’esasperazione. – continuò, ignorando la mia interruzione, pronunciando quelle frasi con sempre maggiore veemenza. – Dio, io vi osservati insieme, più di quanto avrei mai voluto ed ho notato quanto potevi essere impossibile, con le tue soffocanti pretese, con le tue premure, completamente fuori luogo, perché non più rivolte ad una bambina, ma ad una donna. Bella è una donna. » continuò, scandendo quelle parole con estenuante lentezza, quasi fosse lì a parlare con un moccioso, cosa per altro non totalmente errata, pensai, mentre osservavo me stesso attraverso i suoi ricordi. Scorgevo quelle figure sconosciute, seguendo quei battibecchi assurdi che mi strapparono un sommesso sorriso, malgrado la morsa al mio cuore sempre più salda.
«Le parole fanno male, possono ferire più di quanto non si voglia. – sussurrò, avvicinandosi a me, accarezzando con dolcezza la mia guancia, con i suoi caldi occhi color caramello nei miei e le sue labbra piegate in una triste smorfia. – Tu non sei scappato solo da lei, ma anche dai tuoi demoni, dalle tue paure, dal tuo timore di essere un mostro. Stai scappando da te stesso e sino a quando non comprenderai questo, sino a quando non ti accetterai, non sarai mai in grado di capire lei e ciò che vuole. » concluse, stranamente criptica, celandomi i suoi pensieri oltre una colte di futili immagini, prima di posare la sua bocca tumida sulla mia, in un bacio appena accennato.
Un leggero sfiorarsi, un impalpabile contatto, prima che i miei occhi potessero seguire la figura di Tanya, che ripercorreva il sentiero, verso casa.
 
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Due mesi.
Lo scorrere lento del tempo, l’alito caldo del vento, in quella cittadina sconosciuta, dove avevo deciso di alloggiare, per qualche tempo. Avevo abbandonato l’Alaska, deciso ad affrontare i miei personali demoni, la mia natura, spronato forse dalle parole di Tanya, sebbene una parte di me trovasse inutile anche solo provarci. Quale sarebbe stato il premio per i miei sforzi? Una pacca sulla spalla e la pace interiore? Dubitavo su quest’ultima, considerando il tumulto dei miei pensieri e la sensazione di perdita che gravava sul mio cuore, nonostante il trascorrere incessante dei giorni.
Avrebbe dovuto affievolirsi quel sordo dolore al petto.
Avrebbe… - rimuginai, passandomi stancamente una mano tra i capelli, osservando le mura spoglie di quella casa. Era stata Alice ad indirizzarmi verso quel luogo, con una telefonata, la settimana precedente. L’avevo ignorata, deciso a non fidarmi di lei, conscio della sua natura di subdola manipolatrice ma qualcosa, come al solito, mi aveva indotto a cedere.
Forse non era il luogo più accogliente che avrei mai potuto desiderare, ma era questo ciò di cui avevo bisogno. Un mondo isolato, nel quale tentare di ritrovare quella parte di me perduta. Quel mio essere che si era sgretolato, giorno dopo giorno, dall’arrivo di Bella nella mia vita. Avevo perso parti di me, preso da lei, da quelle guance rosse, da quello sguardo sveglio, da quella boccuccia rosea, che aveva rappresentato per me un tormento, negli ultimi anni.
Ma, in fin dei conti, forse era stato giusto così, naturale questo brusco allontanamento. Perché si può amare, ma quale amore può essere quando ci si annulla completamente, per l’altra persona? Non è amore quello che ci porta a rinnegarci, a sopprimere parti di noi. Non è amore quello che ci esorta a dimenticare chi siamo, cosa siamo, trasformandoci, mutandoci. Giusto è crescere insieme, limare il proprio carattere, maturare.
Io invece, avevo soffocato quella la mia natura, forzandomi in schemi che non mi appartenevano, per essere più simile a lei, per essere degno di lei, senza comprendere quanto folle fosse il mio atteggiamento e quale frustrazione ciò alimentasse. Una frustrazione che su di lei sfogavo, inconsciamente consapevole di quanto i miei sforzi sarebbero andati in contro semplicemente al fallimento.
Il mio totale e completo fallimento. – precisai, mentalmente, abbandonandomi all’ennesimo profondo sospiro, nello stesso istante in cui il fruscio della carta, al di sotto della porta, attirò il mio sguardo, sulla mia possibilità di essere felice, sotto forma di una variopinta busta da lettere.
   
 
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